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Salvini rischia la leadership, arretrano i 5 Stelle

Matteo Salvini avrà poco da festeggiare con il generale Roberto Vannacci. Nonostante la trovata del suo candidato di punta la sua Lega sta ben sotto le aspettative e le promesse del ministro ai Trasporti e vice presidente del Consiglio. E da oggi comincia ufficialmente la marcia per la sua sostituzione alla guida del partito. Il “Capitano”, sempre pronto a sfruttare i microfoni, ha perso la parola. Umberto Bossi, definito “traditore” da Vannacci e accusato da Salvini, è la fotografia di un partito che non vede l’ora di tornare alle origini. O meglio, di superare in fretta l’era Salvini.

Non solo Salvini, flop anche del Movimento 5 stelle

Giuseppe Conte promette che nei prossimi giorni il Movimento 5 Stelle si riunirà per l’analisi della sconfitta, esercizio tipico dei partiti-partiti. “Potevamo sicuramente fare meglio, faremo una riflessione interna per cercare di approfondire le ragioni di questo risultato che non era quello che ci aspettavamo”, ha detto Conte, promettendo che il dialogo “con le forze progressiste non dipende da un appuntamento elettorale” e sarà “sempre più intenso man mano che dovremmo assumerci la responsabilità di offrire un’alternativa rispetto alle forze di governo”.

Terzo Polo

Matteo Renzi aveva promesso che sarebbe volato a Bruxelles e aveva giurato di sentire un’aria positiva. Ma si è sbagliato di nuovo. Italia Viva non supera la soglia di sbarramento, come annunciato dallo stesso Renzi, nonostante il matrimonio con +Europa e il fu Terzo polo si conferma politicamente ininfluente nonostante lo sproporzionato spazio che occupa sui media. Anche i suoi fedelissimi, sempre molto abbondanti nelle dichiarazioni, non si sono né visti né sentiti.

Unica consolazione l’esule risultato negativo dell’ex alleato Carlo Calenda. La politica “sul serio” fuori dalla cerchia ristretta e da qualche giornale compiacente non esiste nel Paese. In tempi di pericolose nostalgie fasciste e di compressione delle libertà e dei diritti le elezioni premiano le posizioni nette, da una parte o dall’altra. Ma in fondo è la storia della Seconda Repubblica, dove in ogni elezioni qualcuno si propone come interprete di uno spazio politico che i risultati elettorali non hanno mai evidenziato.

Ora per Calenda (come per Renzi) si prospetta il dovere di affrontare la richiesta più pressante degli elettori liberali: assumersi la responsabilità di avere lasciato un’area fuori dal Parlamento europeo. Bocciatura anche per Emma Bonino, nella lista insieme a Renzi.

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Ma dai, il mondo là fuori è diverso da quello che si legge

Ma dai. In un momento storico in cui la destra si mette a fare la destra nell’accezione più becera la sinistra funziona. Che sorpresa. Mentre Giorgia Meloni accumula voti degli arrabbiati, dei mussoliniani nostalgici, di quelli che godono perché finalmente un uomo forte anche se donna i risultati delle elezioni europee scandiscono un concetto basilare: la politica si fa per prendere posizione e non per guadagnare posizioni. 

Così Alleanza verdi e sinistra che molti giornali e molti commentatori politici imbiancati hanno sempre trattato come una pittoresca combriccola di idealisti incassa un risultato che è la somma dei cosiddetti liberali che occupano paginate di pensosi analisti. Le catene di Ilaria Salis che qualcuno considerava  un argomento laterale hanno ottenuto un riscontro elettorale prevedibile in un Paese (il nostro) in cui le catene non sono d’acciaio ma stringono i polsi dell’informazione. Il modello di accoglienza che stava a Riace dimenticato e calpestato da certi giornalisti è presente e vivo.

Il Partito democratico che per qualcuno avrebbe dovuto liquefarsi sotto la guida di Elly Schlein ha guadagnato voti di persone che non avrebbero mai pensato di poterlo votare, spinti da candidature come quella di Cecilia Strada che sovvertono il paradigma del dibattito pubblico in questo Paese, parlando di vite in mezzo a quelli che sciorinano numeri, ricordando che i diritti umani andrebbero rispettati anche quando vengono appaltati. 

Ma dai, la pace non interessa solo a coloro che la intendono come restituzione politica agli ex amici tiranni ma anche a chi la considera un’urgenza più dell’armarsi. Una cosa queste elezioni europee ce la dicono chiaramente: i cosiddetti liberali interventisti che non vedono l’ora di infiammare l’escalation escono malamente sconfitti con l’atavico vizio di aiutare le destre. 

Buon lunedì. 

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L’asse della guerra franco-tedesco batte in ritirata

L’asse della guerra franco tedesco esce sconfitto dalle elezioni europee. In Francia la schiacciante (e prevista) sconfitta alle elezioni europee del partito del presidente Emmanuel Macron in contemporanea con la vittoria fuori misura dell’estrema destra di Rassemblement National e del suo candidato Jordan Bardella hanno provocato un terremoto politico. Macron a sorpresa ha scelto lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e la convocazione delle elezioni legislative il 30 giugno e il 7 luglio. Una scommessa ultra-rischiosa nel suo secondo mandato, presa solo sei volte nella Quinta Repubblica, otto volte in tutta la storia della Francia, e non sempre con esiti positivi.

L’ultimo scioglimento, deciso da Jacques Chirac nel 1997, aveva visto la sinistra conquistare la maggioranza dei seggi, dando luogo alla nomina del socialista Lionel Jospin a Matignon e alla coabitazione. La furia bellicista del presidente francese, che nelle ultime settimane aveva ipotizzato l’invio di soldati Nato in Ucraina (smentito dalla Nato stessa) non ha portato fortuna. E così, ancora una volta, un liberale prepara il terreno alla destra. L’obiettivo di rilanciare la Francia come grande potenza militare e geopolitica per supplire ai vuoti lasciati dalla difficile situazione del mercato interno e dell’occupazione hanno evidentemente fallito.

L’asse della guerra sconfitto: in Francia Macron rischia di regalare il Paese a Marine Le Pen, in Germania Scholz subisce un tracollo

In Germania l’Spd incassa un 14% che è il peggior risultato della sua storia, due punti sotto le scorse elezioni europee del 2019. “È una sconfitta politica, di tutti nella Spd. Sarebbe eccessivo attribuire tutta la responsabilità a uno solo”, ha detto il segretario generale della Spd, Kevin Kuehnert, cercando di alleggerire la posizione di Olaf Scholz e del suo litigiosissimo governo semaforo, con i Verdi che sono crollati al 12% perdendo più di 8 punti rispetto a cinque anni fa. I socialisti del cancelliere Olaf Scholz sono dietro anche all’Alternative für Deutschland e raccolgono metà dei consensi rispetto alla Cdu/Csu, che con il 30% dei consensi si proietta come primo partito nel Paese. Il dato dirompente è l’ascesa dell’Afd, l’Alternative für Deutschland. Sono primo partito in tutti i Land della Germania dell’Est, tranne Berlino, nonostante i numerosi scandali delle ultime settimane che hanno evidenziato i rapporti opachi e lo scambio di denaro tra alcuni membri e Russia e Cina.

Anche Scholz come Macron fa parte di quella fetta d’Europa che spingeva per armare l’Ucraina per sferrare attacchi in territorio russo, portando a un’inevitabile innalzamento del conflitto. Nel suo Spd ha fatto rumore la posizione del ministro della Difesa Boris Pistoriu, che ha addirittura avvertito la Germania di “prepararsi alla guerra” entro il 2029. La guerra per Macron e per Scholz è stato il terreno su cui hanno voluto provare a costruire la loro centralità europea proponendosi come irrinunciabili guide. L’ambizione di creare un’Europa agli ordini di Franci e Germania come ai tempi di Merkel e Sarkozy (e poi Hollande) è miseramente fallito. E ora a farne le spese sarà anche l’Ucraina usata come strumento elettorale. 

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Astensionismo record: l’affluenza crolla al 49,52%

Affluenza in calo drastico, con il 50% appena mancato. Il primo partito italiano è sempre l’astensionismo ma questa volta avrebbe la maggioranza necessaria per governare. Durante la campagna elettorale, tutti i partiti avevano evocato il rischio di una significativa diminuzione dei votanti, che si è concretizzato già dai primi dati delle 23 di sabato. Questo andamento è stato confermato anche nella seconda giornata di voto e alla chiusura dei seggi, con risultati arrivati molto lentamente.

Un nuovo record negativo di affluenza, dopo il 54,5% del 2019. Sempre meno italiani partecipano alle elezioni del Parlamento Europeo, mentre l’elettorato delle amministrative sembra mantenersi stabile. In Piemonte, l’affluenza è stata del 56,37% (rispetto al 63,22% precedente) e alle comunali del 62,72% (contro il 67,90% precedente). Sono lontani i tempi del 73% raggiunto nel 2004. E qui perde la politica, tutta. 

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Una racchetta per la cucina italiana. Con Lollo dal Padel nella brace

S… padel… late culinarie

Sempre lui, il cognato d’Italia nonché ministro all’Agricoltura nonché Francesco Lollobrigida, il principe delle gaffe.  Qualche giorno fa si è lanciato a parlare di padel, lo sport molto in voga che l’ex tennista Nicola Pietrangeli ha definito “il trionfo delle pippe”. Il ministro ci ha deliziato con una dichiarazione che è pura poesia, sottolineando come “organizzare una partita di padel è facile e si può bilanciare il livello. Anche aver installato un campo di padel a Caivano significa portare benessere sociale. Inoltre è un modo per promuovere anche la cucina italiana che oggi, insieme ai monumenti, è il più grande attrattore turistico. Ho proposto di trasformare la padella tanto che avremo una racchetta dedicata alla cucina italiana”, ha aggiunto. A questo punto siamo nella comicità professionistica. Ma chi saranno i suoi autori?

Alluvionati

Durante un incontro elettorale della lista di centrodestra ‘Cambiamo Castello’ alle elezioni comunali di Castel Bologneseviceministro Galeazzo Bignami ha minacciato il ritiro dei 6 mila euro forfettari di rimborso per i beni mobili danneggiati dall’alluvione “se ci sono persone, dirette o eterodirette dal Pd, che vogliono continuare a fare di tutto ciò un’arma di lotta politica”. “Quello che ha detto è incredibile, c’è proprio un’idea diversa di cosa sono un partito e un’istituzione. Siete stati voi – urla Stefano Bonaccini in risposta al meloniano – a promettere il 100% dei rimborsi”. Dimmi chi voti e ti dirò che risarcimento avrai.

Altresì detto

Giorgia Meloni è detta “Giorgia” ma sono molti i candidati per le prossime elezioni europee che hanno provato a semplificare la vita agli elettori (e a se stessi) aggiungendo nomignoli o soprannomi. Il record è del candidato di Forza Italia circoscrizione isole Edmondo Tamajo “detto Tamaio detto Di Maio detto Edy detto Edi detto Eddy”. Contiene moltitudini.

La Decima di Vivaldi

Il giornalista David Parenzo ospita in studio il candidato per la Lega di punta, il generale Roberto Vannacci. Lui entra, saluta tutti e si siede mentre sullo sfondo suona l’inno europeo. Parenzo chiede a Vannacci: “Le piace l’inno d’Europa Sa di chi è”. Vannacci: “Bella domanda, Vivaldi?”. La melodia utilizzata per rappresentare l’Ue è tratta dalla Nona sinfonia, composta nel 1823 da Ludwig van Beethoven, che ha messo in musica l’Inno alla gioia, scritto da Friedrich von Schiller nel 1785. Ma ora Vannacci dirà che “non si può nemmeno esprimere la propria opinione”. Decimati.

Non ne imbrocca una

Antonella Soldo fondatrice dell’associazione Meglio Legale e candidata con Stati Uniti d’Europa nel nord-est, poco fa ha consegnato una pianta di cabbabis al vicepremier Matteo Salvini, a seguito della presentazione di un emendamento della Lega al ddl sicurezza che vieterebbe anche la raffigurazione della foglia di canapa. Salvini parte con la manfrina “la droga è morte, la droga è morte, la droga è morte” e poi invita a “fare l’amore”. Niente, sbagliata pure questa. Come ricorda Carlo Canepa di Pagella politica “Si stima che nel mondo muoiano ogni anno più persone per malattie sessualmente trasmissibili di quelle uccise dall’abuso di sostanze, come alcol e droghe”.

Palla in tribuna

L’imperdibile account su X di @nonleggerlo riporta un dialogo durante una trasmissione. Giannini: “Trump ha chiamato il suo popolo alla rivolta a Capitol Hill, raggiungendo quasi un colpo di stato. Che idea di democrazia è questa”. Salvini: “Lasciamo decidere agli americani”. Giannini: “Questo però è accaduto, no?” Salvini: “Se l’ha fatto ha sbagliato, punto”. Gruber: “Non è ‘se’, ha fatto questo”. Poi Salvini s’è messo a parlare d’altro. Palla in tribuna.

Giuramento di sangue

Crazy Ass Moments in Italian Politics pubblica il video del candidato consigliere comunale di Pescara Michele Calvani si è rimboccato la manica della camicia, ha tirato fuori un coltello, si è tagliato il braccio e ha prestato giuramento di sangue. Poco dopo ha ritirato la sua candidatura. Spergiuro.

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Un francobollo per il fascista Italo Foschi, altra vergogna che sdogana il revisionismo – Lettera43

Il ministero del Made in Italy guidato da Urso ha celebrato così il primo presidente dell’As Roma. Che però fu anche squadrista, pupillo dell’antisemita Farinacci, fedele servitore di Mussolini. Tra saluti romani e negazione dell’antifascismo, ogni giorno il governo Meloni sposta l’asticella per vedere l’effetto che fa.

Un francobollo per il fascista Italo Foschi, altra vergogna che sdogana il revisionismo

Dicono che si tratti solo di un francobollo, che sarà mai. Poi dietro l’angolo c’è la cancel culture urlata spesso a proposito da coloro che odiano chiunque non sia d’accordo con la loro opinione. Il ministero del Made in Italy guidato da Adolfo Urso ha dedicato un francobollo celebrativo a Italo Foschi. Motivazione ufficiale: fu il primo presidente dell’As Roma, la squadra di calcio capitolina. Foschi merita quindi di finire inquadrato e appiccicato sulla corrispondenza che circola in Patria. Incidentalmente Foschi fu però anche fascista, squadrista, pupillo dell’antisemita Roberto Farinacci e del quadrunviro del partito nazionale fascista Cesare Rossi. Fu ovviamente un fedele servitore di Benito Mussolini che seguì fino alla Repubblica di Salò.

Italo Foschi esultò per l’assassinio di Giacomo Matteotti

Nella sua ventennale carriera di servizio al fascismo Foschi ha compiuto atti di pura violenza. Per citarne uno, si potrebbe ritornare a novembre del 1923 quando organizzò la devastazione dell’abitazione romana dell’ex presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti. Pochi giorni dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti, Italo Foschi scrisse ad Amerigo Dumini, propulsore dell’omicidio: «Sei un eroe, degno di tutta la nostra ammirazione».

L'irritazione al Corriere per l'articolo sulle nozze della figlia di Cairo e altri spifferi
Giacomo Matteotti, al centro in primo piano.

Processato per l’adesione alla Repubblica sociale italiana, fu graziato da indulto

Italo Foschi aderì alla Repubblica sociale italiana, si avviò alla carriera prefettizia e solo nel 1944 venne definitivamente collocato “a riposo”. Dopo la Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo fu processato per la sua attiva adesione alla Repubblica sociale italiana, ma graziato da indulto. Da prefetto di Trento Foschi frequentò assiduamente Wolfram Sievers, detentore di una personale collezione di crani e scheletri umani derivante dall’assassinio di 112 prigionieri ebrei appositamente selezionati e uccisi dopo essere stati misurati per analisi antropometriche.

Un bel tipino: espulso dal partito per gli eccessi dell’attività squadrista

Foschi era troppo fascista perfino per i fascisti. Il Dizionario biografico italiano della Treccani riporta che Italo Foschi fu segretario politico del Fascio Romano, «coinvolto in numerose aggressioni contro gli avversari politici del fascismo», espulso dal partito dopo l’omicidio di Matteotti per gli eccessi dell’attività squadrista. Venne quindi riammesso poco dopo per ordine di Farinacci, ma di nuovo dovette abbandonare la segreteria per «non aver soppresso convenientemente lo squadrismo e di esserne stato coinvolto».

Un francobollo per il fascista Italo Foschi, altra vergogna che sdogana il revisionismo
Italo Foschi.

Così il ministero «interpreta il sentimento della Comunità nazionale»

Poi, dopo tutta questa melma, Foschi è stato anche presidente e fondatore della squadra di calcio della Roma. Dicono le linee guida del ministero che i francobolli andrebbero dedicati a «personaggi non in vita purché abbiano avuto un impatto eccezionalmente rilevante sul territorio e/o sulle comunità italiane “riservando” al ministro o a un suo delegato il compito eminentemente politico di interpretare il sentimento della Comunità nazionale». Forse il segreto sta qui, nell’«interpretare il sentimento della Comunità nazionale» che dalle parti del ministero viene associata alla comunità politica del ministro in carica. O forse Foschi è soltanto l’ennesimo grimaldello della “memoria storica” utilizzata per sdoganare il revisionismo che va così tanto di moda.

Una scelta quasi elegante paragonata ai discorsi di Vannacci…

Nei giorni in cui Roberto Vannacci, generale dell’esercito candidato alle Europee, si ridicolizza per infilare la fascistissima X nei suoi squinternati discorsi, la scelta di recuperare dal sacco dell’umido Italo Foschi risulta perfino elegante, pensandoci bene. Il francobollo dedicato a Foschi è un ulteriore passo di un percorso che andrebbe osservato da lontano per averne una visione di insieme. Ogni giorno si sposta l’asticella per vedere l’effetto che fa. Dai saluti romani che erano solo «opera di qualche scalmanato» siamo passati alla commemorazione «per esigenze storiche» fino a oggi con una bella celebrazione di Stato. Perfino l’ex ministro Carlo Giovanardi, componente della consulta che al ministero del Made in Italy esprime il suo parere sulle emissioni di nuovi francobolli, in un dolente articolo su Il Riformista ha scritto che «celebrare negli stessi giorni Foschi e Matteotti e non ricordare l’anniversario delle migliaia di morti di una città martire come Zara è un grave errore».

Un francobollo per il fascista Italo Foschi, altra vergogna che sdogana il revisionismo
Il francobollo dedicato a Italo Foschi (da forzaroma.info)

Se non ti dichiari antifascista, questa si chiama connivenza

Cosa viene dopo la celebrazione? Il già magistrato di Cassazione Aniello Nappi avverte: «È singolare che non si comprenda come sia essenziale distinguere situazioni non assimilabili. Il silenzio o comunque la mancata enfatizzazione delle manifestazioni fasciste è interpretabile come tolleranza, se proviene da partiti dichiaratamente antifascisti; è interpretabile come connivenza se proviene da partiti che rifiutano di dichiararsi antifascisti. E indipendentemente dalla volontà degli interessati, la supposta connivenza di un partito di governo accrescerebbe probabilmente la possibilità che a quelle manifestazioni consegua il pericolo di ricostituzione del disciolto partito fascista».

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Altra picconata al Decreto Cutro: fermo annullato alla Sea Eye 4

A Reggio Calabria c’è stata l’ennesima picconata al Decreto Cutro e alla gestione dell’immigrazione che ha in mente il governo. Con la sentenza n. 811 del 5 giugno 2024 firmata dal giudice Pantano il tribunale di Reggio Calabria ha annullato il provvedimento del marzo scorso di fermo amministrativo di 60 giorni della nave di soccorso Sea Eye 4 della ong tedesca Sea Watch.

Considerate assolutamente prive di elementi di prova le accuse secondo cui l’equipaggio della nave non avrebbe seguito le istruzioni della guardia costiera libica. Il Tribunale ha confermato che le operazioni di salvataggio in mare sono sempre state doverose e rispettose delle norme internazionali e della legge del mare che, notoriamente, obbliga al salvataggio di imbarcazioni in difficoltà come priorità assoluta su qualsiasi altra considerazione.

“La sentenza di Reggio Calabria è una vittoria significativa per noi e per tutte le altre organizzazioni di soccorso in mare – commenta la ong – dimostra chiaramente che il fermo di navi di soccorso civili è un abuso dei poteri dello Stato. Ora abbiamo urgentemente bisogno del sostegno politico del governo tedesco, perché anche l’Italia sta ignorando i diritti del nostro Stato di bandiera con i suoi fermi illegittimi di navi di soccorso tedesche. Esortiamo i ministeri responsabili a cogliere la sentenza come un’opportunità per fare una campagna per porre fine a questa pratica in Italia”.

Ormai al famoso Decreto Cutro non crede più nessuno. Un provvedimento che, sentenze alla mano, complica la vita a chi si prodiga per i soccorsi in mare. Come ripetono tutti. Ora anche a Reggio Calabria.

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Le Elezioni Europee trasformate da Meloni in un referendum. Su se stessa

Non c’è che dire. Tra slogan e frasi ad effetto, nell’arte della comunicazione, Giorgia Meloni può dare lezioni. Le Europee non fanno eccezione. Con la sua candidatura – unico caso tra i leader dei Paesi Ue – la premier ha caricato la sfida elettorale di un significato che va ben oltre il rinnovo dell’Europarlamento: un referendum sul suo gradimento e una cartina di tornasole per misurare il consenso del suo esecutivo.

Un voto per confermare o smentire la “rivoluzione” di cui si fa portavoce. “Voglio sapere dagli italiani se sono soddisfatti del lavoro che stiamo facendo, sia a livello nazionale che europeo”, ha detto la premier in una recente intervista al Tempo.

Le Europee trasformate da Meloni in referendum: su se stessa

Eppure nei comizi, negli spot e nei talk show la leader di Fratelli d’Italia si è ben guardata dall’affrontare i veri nodi politici e le sfide che si giocano nell’Unione. Il target di Meloni è un risultato vicino a quello delle ultime Politiche, per distanziare il Pd e mettere una pietra tombale sui progetti di rivalsa di Matteo Salvini.

Un obiettivo ambizioso, considerando che alle politiche FdI aveva raggiunto il 26,4%. Non scendere sotto quella soglia, o avvicinarcisi, le permetterebbe di mantenere lo status quo. Un metro di giudizio probabilmente basso per chi ha parlato di “onda rivoluzionaria” e di “partito dell’interesse nazionale”.

Ma del resto coerente con un governo che finora non ha certo brillato per visione e risultati conseguiti. L’assenza di un confronto sui temi europei è fin troppo evidente. Dalla riforma del Patto di stabilità Ue alla gestione dell’immigrazione, dai rapporti con la Cina alle regole sugli aiuti di Stato fino all’enorme tema delle guerre in corso, Meloni si è trincerata dietro accuse generiche all’Ue burocratica e all’eccesso di tecnicismi.

Una linea buona per svicolare da questioni dirimenti ma non certamente utili ai canoni di una campagna elettorale. Le urne hanno oscurato il merito delle questioni, trasformando il voto in un plebiscito pro o contro Giorgia. La vera posta in gioco per Meloni è riuscire a scardinare l’asse Ppe-Socialisti-Liberali che da sempre governa le istituzioni comunitarie.

La presidente del Consiglio punta ad affermarsi come leader di un nuovo polo conservatore, alleandosi con le destre europee per insediarsi al vertice e plasmare l’Ue a sua immagine e somiglianza. Ma anche qui manca una visione organica, un progetto di società e di sviluppo.

A prevalere sono le ostilità ideologiche, l’accusa contro un’Europa “islamizzata”, il richiamo all’orgoglio identitario. In Italia l’obiettivo di Meloni è blindare la leadership del centrodestra, marginalizzando gli alleati pur di presentarsi come l’unica interprete della “nazione”. La sua campagna è stata un concentrato di attacchi agli avversari. Un duello tutto giocato sullo stile e le etichette, senza proposte concrete sul futuro dell’Europa.

Slogan ad effetto

La sfida è riuscire a dar voce a italiani e patrioti, recita il mantra meloniano. Parole evocative, buone per solleticare un certo elettorato. Laddove servirebbero, però, idee per accompagnare la transizione verde e digitale, gestire i flussi migratori, riformare la governance economica.

Non un’indicazione in merito, solo frasi ad effetto come “Bruxelles non ci dica cosa mangiare” o “motivazioni folli”, rivolto all’Ue per la procedura d’infrazione contro l’Italia sui requisiti richiesti dall’Assegno unico per i figli che secondo l’Ue discriminerebbero i migranti.

Del resto la campagna con cui Meloni & C. hanno assediato le tv e le piazze è figlia di questa impostazione: spot con cori da stadio e slogan che gridano “Ritorneremo ad essere grandi”, senza spiegare come. Rimane sospesa una domanda: e se Giorgia perdesse il referendum che ha indetto su sé stessa, che conseguenze ne trarrebbe?

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La sfida tra moderati e sovranisti che può stravolgere gli equilibri dell’Ue

Si avvicina il momento della resa dei conti per i gruppi politici del Parlamento europeo. La notte elettorale del 9 giugno dirà come si divideranno i 720 membri eletti della nuova assemblea di Strasburgo e chi saranno i vincitori e i vinti del voto cruciale per il futuro dell’Unione. Gli animi e le ipotesi sui nuovi equilibri politici si surriscaldano. Il rischio è che il voto stravolga la geografia dell’emiciclo, con la destra nazionalista e sovranista in netta ascesa secondo le proiezioni degli esperti.

Un quadro che desta forte preoccupazione per le sorti della maggioranza europeista finora guidata dal tridente PPE-S&D-Renew. Gli scenari tracciati dai ricercatori Simon Hix e Kevin Cunningham dell’Istituto per le politiche europee dell’Università Bocconi sono allarmanti: i tre gruppi moderati perderebbero la maggioranza assoluta, con l’ago della bilancia che penderebbe decisamente verso la destra radicale. Uno scenario apocalittico per il fronte europeista che rappresenterebbe invece un grande successo per i falchi sovranisti come Viktor Orban e Marine Le Pen, da tempo alla ricerca di un’Unione meno integrata e più rispettosa delle prerogative nazionali.

L’ascesa dei sovranisti

Secondo le proiezioni di Hix e Cunningham, il Partito Popolare Europeo (PPE) si confermerebbe prima forza politica con 183 seggi, seguito dai Socialisti&Democratici (S&D) con 131 deputati. È però la terza piazza di Renew Europe (84 seggi) a far rabbrividire i pro-europei: il gruppo liberale guidato da Emmanuel Macron sarebbe insidiato dagli euroscettici dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) con 78 eletti e dall’ultradestra di Identità e Democrazia (ID) con 72 seggi.

Un’evenienza che sposterebbe il “baricentro decisionale” dell’Europarlamento marcatamente a destra. La minaccia di una maggioranza alternativa, e potenzialmente anti-europeista, non è più una fantascienza: “Le famiglie nazionaliste ECR e ID insieme potrebbero raggiungere più seggi dei Socialisti”, avvertono con fin troppa chiarezza Hix e Cunningham nelle loro proiezioni. Sul piatto ci sarebbe la futura leadership della Commissione europea e le politiche dell’Esecutivo di Bruxelles nei prossimi cinque anni.

In caso di sconfitta del fronte europeista, le quotazioni di Ursula von der Leyen per un secondo mandato da presidente scenderebbero vertiginosamente. La chiave di volta per l’esito di questo “scontro di civiltà” tra l’anima sovranista e quella comunitaria potrebbe essere la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia sarà, secondo lo studio, “l’attore chiave” per la formazione di un super-gruppo nazionalista, capace di sbilanciare gli equilibri politici a Strasburgo. Meloni si trova di fronte a un bivio cruciale: sostenere von der Leyen e il campo europeista oppure convergere con Le Pen, Orban e l’ala più oltranzista del sovranismo per esportare il suo modello di destra-conservatrice anche in Europa. “Una decisione tutt’altro che semplice per la leader di FdI, certamente tentata dall’ipotesi di proiettare la sua maggioranza italiana di governo anche nell’emiciclo europeo per ridimensionare il ruolo delle istituzioni Ue”.

Gli scenari ipotizzati da Hix e Cunningham sono molteplici e coinvolgono tutto l’arco parlamentare. Gli esperti non escludono la formazione di un “nuovo gruppo a destra del PPE”, costola dei partiti nazionalisti attualmente al governo nei vari Paesi membri: dai polacchi di Diritto e Giustizia all’ungherese Fidesz di Orban, passando per Fratelli d’Italia, il Rassemblement National di Le Pen, gli olandesi della libertà e gli svedesi democratici. Un raggruppamento di questa portata scalzerebbe subito S&D come seconda forza dell’emiciclo, dando vita a una maggioranza sovranista senza precedenti e ridisegnando l’assetto dell’Europa.

Il bivio

Quello che fino a pochi anni fa sembrava un miraggio, oggi appare una concreta possibilità: i nazionalisti di estrema destra come Le Pen e i conservatori di Orban e Meloni farebbero cartello con l’obiettivo di riportare indietro le lancette dell’integrazione europea. “Potrebbe emergere un nuovo super-gruppo di tutti i partiti governativi di destra”, mettono in guardia Hix e Cunningham con uno scenario da incubo per gli europeisti. In questo caso il baricentro decisionale si sposterebbe ulteriormente, con le destre sovraniste in grado di mettere il bastone tra le ruote al processo di unificazione.

Seppur meno probabile, Simon Hix e Kevin Cunningham non escludono l’eventualità di una formazione a sinistra con posizioni anti-immigrati, con il Movimento 5 Stelle italiano e la tedesca Sahra Wagenknecht che potrebbero aggregarsi ai socialisti dissidenti di Smer per dare vita a un nuovo soggetto politico. Una mina vagante per gli equilibri a sinistra dello schieramento europeista, che finirebbe per disperdere ulteriormente il forte elettorato critico verso l’immigrazione.

Le proiezioni restano comunque semplici stime e il voto popolare del 9 giugno potrebbe ribaltare le previsioni. Ma la tendenza sembra chiara: la destra nazionalista e anti-sistema sta diventando una realtà pesante, con cui i tradizionali partiti europeisti dovranno sempre più confrontarsi nella prossima legislatura. Senza contare che un exploit dei sovranisti metterebbe a rischio anche i poteri e le attribuzioni del Parlamento stesso, con le forze nazionaliste da sempre critiche verso il processo di integrazione. Alla vigilia del voto tutto è ancora in gioco, compresa l’anima e il futuro dell’Unione europea. La partita si gioca sull’asse von der Leyen-Meloni: se prevarrà la linea europeista, l’Ue potrà rimanere unita e coesa. In caso contrario, con la vittoria del fronte anti-europeo guidato da Meloni, Orban e Le Pen, l’Unione potrebbe davvero spaccarsi con conseguenze imprevedibili per l’intero Vecchio Continente.

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Il Pd tra guerra in Ucraina e Patto di stabilità Ue: lo slalom di Schlein tra le anime del partito

“Il partito è unito e compatto attorno al programma. Ringrazio Marco Tarquinio per il contributo che viene a portare e, negli anni in cui il centrosinistra sbandava sulle politiche migratorie, già allora le segnalava. Tante sono le cose che abbiamo in comune, su altre il suo pensiero non corrisponde al programma del Partito democratico. Abbiamo voluto allargare la scelta degli elettori”.

Lo ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein, in un’intervista a Corriere Tv, in vista delle Europee. “Questa campagna vede il Pd più unito e compatto che mai. Abbiamo messo in lista i nostri dirigenti, i nostri amministratori e le figure della società civile che hanno voluto arricchire. Sono molto orgogliosa di questa lista. Il mio mandato è ricostruire un’identità chiara di questo partito”, ha aggiunto.

Armi all’Ucraina: le distanze tra le posizioni nel Pd

I più dolci lo chiamano “pluralismo” ma negare che la trasformazione del Pd che ha in mente la segretaria Schlein sia un percorso accidentato diventa difficile. Qualche giorno fa alla proposta di Tarquinio di superare la Nato per una nuova alleanza europea hanno risposto piccati in molti tra i dem. Il presidente del Copasir Lorenzo Guerini ci ha tenuto a precisare che “di fronte al ritorno delle ambizioni di potenza della Russia, nessuno potrebbe sentirsi più sicuro senza la capacità di deterrenza della Nato”.

Il responsabile Esteri del partito, Peppe Provenzano, ha messo in chiaro: “Com’è noto, Marco Tarquinio è un candidato indipendente, le posizioni sulla politica estera e di sicurezza del Pd le esprime il Pd. E sono chiare e note. Le abbiamo ribadite nel programma per le Europee e, a chi vuole strumentalizzare, ricordo che la questione della Nato la sinistra italiana l’ha risolta con Berlinguer negli anni Settanta”.

Ma contro l’invio di armi non c’è solo il candidato indipendente ex direttore di Avvenire. “L’invio delle armi in Ucraina non ha funzionato. Dopo due anni dall’inizio della guerra, se fosse bastato il sostegno militare e l’invio delle armi, staremmo festeggiando l’Ucraina in pace”, ha detto qualche giorno fa Cecilia Strada, candidata indipendente (e capolista) nelle liste del Pd.

L’europarlamentare uscente (e ricandidata) Pina Picierno ha sconfessato Strada ribadendo la posizione del partito e il senatore Filippo Sensi ha sottolineato come “il Pd abbia sempre votato a favore”. Ed è vero. Nonostante il dibattito interno i voti del Pd in Parlamento sono chiari. La stessa scena l’abbiamo vista a Bruxelles.

Patto di Stabilità Ue: divergenze nel Pd anche su questo fronte

La segretaria Schlein ha contestato il Patto di Stabilità imposto da Bruxelles e ha accusato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni di averlo subito senza fiatare. Però quel Patto porta la firma di un dem che conta, Paolo Gentiloni, che per la Commissione europea si occupa proprio di economia.

E qui il cortocircuito ricomincia: Gentiloni difeso strenuamente da una parte del partito (qualcuno lo vorrebbe addirittura come prossimo segretario) e Gentiloni sanguisuga per un altro pezzo. La voce che circola sottovoce è sempre la stessa. Dicono che “la linea della segretaria è sicuramente più vicina alla sensibilità di Cecilia Strada”.

Raccontano che l’evoluzione del partito sia in corso, anche se lenta, anche se poco percettibile. E in effetti non è un segreto che gli eventuali buoni risultati dei candidati direttamente scelti dalla segretaria insieme a una buona percentuale del partito alle prossime elezioni europee potrebbero essere gli elementi che spostano ulteriormente l’asse. Ma allora rimane una domanda su tutte: perché non dirlo ad alta voce?

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