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Santanchè, Sinner e la giornata di sole

È dura la vita dei politici al governo caduti in disgrazia. Devono immergersi abbastanza perché si parli poco di loro, evitando di prestare il fianco a chi legittimamente gli chiede chiarimenti dovuti o spiegazioni mai date. Eppure devono farsi vedere, ancora di più se nell’aria c’è qualche elezione, perché non possano essere accusati di essere scomparsi. È un filo sottile che dalle parti di Palazzo Chigi chiamano furbizia o moderazione. Non c’entra nulla il senso della misura: è un atavico senso di sopravvivenza applicato al mantenimento del potere che spesso è considerato protezione dal tracollo giudiziario. 

La ministra al Turismo Daniela Santanchè si porta sulle spalle una nomea di imprenditrice appannata da storie di società malgestite nonostante il probabile abuso degli aiuti di Stato. È associata al pasticciaccio brutto delle spiagge che non vengono messe al bando ingrassando imprenditori balneari che si fregiano di bagni riservati ai ricchi mentre pagano concessioni da poverissimi (il Twiga del suo socio Flavio Briatore secondo Nicola Fratoianni paga 21 mila euro all’anno e fattura otto milioni). La ministra ha quel non trascurabile problema di avere mentito al Parlamento sulla gestione della sua società editoriale, sbugiardata dalle indagini in corso. 

Ieri Santanchè ha deciso di fare capolino spiegandoci che è una brava ministra perché c’è un “record di turisti” (qualsiasi cosa significhi detto così) e perché “Sinner numero uno”. Che c’entra il tennista con il ministero? Niente. Tutto fumus. Non è facile scrivere qualcosa senza scoprirsi, quindi Santanchè si è buttata sul tennis. Il risultato è piuttosto ridicolo, da imbucata rediviva. Immaginate un lavoratore qualunque che al proprio capo che gli chiede cos’ha combinato oggi risponda che fuori c’era un bel sole. Una roba così. 

Buon mercoledì. 

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Lettera pro Israele di MacEoin. Ma è morto due anni fa

Ieri Repubblica in prima pagina pubblicava una lettera dal titolo: “Cari studenti, Israele non è un regime”. Era addirittura una doppia pagina a firma dell’accademico Denis MacEoin, accompagnata da un editoriale del direttore Maurizio Molinari dal titolo “Il seme dell’odio viene dal 7 ottobre”.

Ieri Repubblica pubblicava una lettera dal titolo: “Cari studenti, Israele non è un regime”. Una doppia pagina a firma dell’accademico Denis MacEoin e del direttore Molinari

L’introduzione della lettera di MacEoin diceva: “Pubblichiamo una risposta di Denis MacEoin alla mozione presentata dall’Associazione studentesca dell’Università di Edimburgo per boicottare tutto ciò che è israeliano e in cui si afferma che Israele è governato da un regime di apartheid. Denis MacEoin è un esperto di affari del Medio Oriente. Ecco la sua lettera agli studenti”. Per qualsiasi lettore è stato naturale collegare quella lettera agli studenti alle molte proteste in giro per il mondo.

C’è solo un piccolo particolare omesso nella doppia pagina del quotidiano: MacEoin è morto nel 2022 e quella lettera risale al 2011, 13 anni fa, in un contesto inevitabilmente molto diverso da oggi. L’account X di Repubblica ammette “l’errore di non indicare la data originaria” ma ci tiene a precisare che “i contenuti restano di evidente attualità e sono un contributo al dibattito sulla guerra in Medio Oriente”.

Nella redazione non sono molto d’accordo visto che il cdr si dice convinto che “decontestualizzando fatti e opinioni non si stia facendo un buon servizio al giornalismo e alla credibilità” del giornale e parla di “ennesimo caso sconcertante che siamo costretti a denunciare, con l’unico scopo di salvaguardare collettivamente il nostro lavoro, la nostra professionalità e la nostra reputazione”. E intanto un altro giorno di bombe su Gaza è passato.

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Omeopatia elettorale per la salute

Si potrebbe definire un decreto omeopatico, come le gocce al 99% fatte di acqua che promettono guarigioni miracolose. Che poi si tratti di un decreto che ha a che vedere con la salute degli italiani aggiunge imbarazzo. Ma tranquilli, c’è spazio per imbarazzarsi ancora poiché le decisioni uscite ieri dal Consiglio dei ministri sulle liste di attesa in Sanità prevedono un esborso pari a zero.

L’unica misura per la quale è richiesta una copertura, di circa 250 milioni, è quella che riduce le tasse al 15% per i camici bianchi che fanno intramoenia finalizzata a ridurre le liste di attesa, spingendo ancora sull’uso privatistico della sanità pubblica. Ma non è tutto. Il decreto sulle liste d’attesa che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sventola per accelerare la sua rincorsa alle elezioni europee non è stato scritto di concerto con le Regioni come pubblicizzato. Chi lo dice? Le Regioni. “Ci si risparmi almeno l’imbarazzo di dover smentire ogni riferimento alla concertazione con le Regioni. Ci riuniremo nei prossimi giorni e faremo pervenire le nostre proposte di modifica del decreto concordate in modo unanime”, dice a chiare lettere il coordinatore della Commissione salute della Conferenza delle Regioni, Raffaele Donini.

Così dai numeri usati dalla propaganda di governo – che sul nostro giornale con fatica ci impegniamo tutti i giorni a verificare e spesso a confutare – ora siamo passati ai decreti senza soldi che hanno come unico fine quello elettorale. Credere che parole scritte su carta senza denaro contante possano risolvere il problema di una Sanità martoriata dai tagli subiti nel corso degli anni è un gioco di prestigio che può durare qualche settimana, solo per il tempo di chiudere le urne della corsa a Bruxelles. Le liste d’attesa si ingolfano per i medici che mancano, perché quelli che ci sono vengono pagati poco e male, perché il privato si sta mangiando il Servizio sanitario nazionale. Come ovviare alla carenza di medici nella Sanità pubblica La risposta è facile, lapalissiana. E quella del governo è quella sbagliata.

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Elezioni Ue: si vota per il Parlamento europeo, ma la campagna elettorale è monopolizzata da questioni nazionali

Quando si parla di voto europeo, raramente al cittadino brucia la passione politica. Per la stragrande maggioranza degli elettori del vecchio continente le elezioni del Parlamento di Bruxelles rappresentano una sorta di lontana eco, un rombo cupo che non riesce a far tremare le certezze domestiche. È un’usanza ormai decennale: mentre i commissari partono per la campagna a reti unificate, ad arringare le piazze virtuali con indirizzi programmatici e promesse di stabilità, il popolo pensa ad altro. Pensa ai salari stagnanti, ai mutui che soffocano le famiglie, alla benzina che non finisce mai di aumentare. E vota di conseguenza: con la pancia, con il portafoglio, con la rabbia di chi si sente tradito dalle istituzioni.  

In Germania, ad esempio, ad Angela Merkel è subentrato Olaf Scholz, ma l’aria è sempre la stessa. La coalizione semaforo, con Verdi e Liberali a tenere le redini del carro, sta mostrando tutte le sue fragilità. E mentre Scholz si rifugia nei toni pacati del “Cancelliere della pace”, i suoi alleati vanno già all’attacco sulla crisi dei migranti, provando a ricucire uno strappo che rischia di diventare un buco nero per la maggioranza. 

Sono le questioni interne le protagoniste di una campagna elettorale che sembra interessarsi ben poco all’Ue

Anche in Francia l’inquilino dell’Eliseo ha ben altri grattacapi oltre il voto di Bruxelles. Emmanuel Macron è impantanato in un mandato a dir poco tormentato, tra proteste di piazza e conti pubblici fuori controllo. E se un tempo sperava di potersi fregiare del blasone di leader dell’Ue, oggi arranca nella ricerca di una qualche legittimità. Anche perché in casa propria gli cresce un’insidia sempre più invadente: Marine Le Pen potrebbe cedere la scena al giovane Jordan Bardella, ma il rischio di un’affermazione del fronte populista è più concreto che mai.    

In Spagna Pedro Sánchez si avventura in questa tornata con un fardello ben più ingombrante di un voto europeo. Dopo aver approvato un’amnistia per i separatisti catalani in grado di far stropicciare gli occhi persino ai più smaliziati analisti, il premier socialista si ritrova in una posizione per lui inedita: bersaglio polemico non solo delle destre madrilene, ma anche di una parte importante della sua stessa base elettorale. In Bulgaria domina la scena il magnate e politico Delyan Peevski, già sanzionato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito. A Cipro il partito populista National Popular Front (ELAM) sta guadagnando terreno parlando di “sostituzione etnica”. 

I temi? Difesa dei confini e dei privilegi fiscali. E c’è anche la “sostituzione etnica”

Poi ci sono le difficoltà economiche locali che ricorrono come un’ossessione in queste consultazioni. Perfino in un piccolo gioiello democratico come il Lussemburgo, il dibattito è ormai diventato man mano una guerriglia senza esclusione di colpi sul paradiso fiscale di casa. Con l’ago della bilancia Nicolas Schmit, spitzenkandidat del Partito Operaio Socialista, che gioca un difficile ricatto: mantenere il diritto di veto in materia fiscale, che gli eurocrati di Bruxelles vogliono eliminare.

Dalla Scandinavia ai Balcani, insomma, il gran fattore delle elezioni europee sembra essere il dibattito nazionale. A Helsinki il fronte euro-scettico della Finlandia aizza la folla con slogan anti-migranti, nell’estremo tentativo di convincere gli elettori a votare con la pancia e non con la ragione. Mentre la piccola Lettonia ribolle in un dibattito dalle venature identitarie, con il fronte progressista accusato di aver ceduto alle lusinghe delle minoranze russofone.  Eccola qui, l’Europa di Maastricht e di Schengen: un cantiere aperto, un caleidoscopio di rivendicazioni e di aspirazioni. Un cantiere dai ritmi convulsi, segnati dalle contingenze locali più che da battaglie dall’ampio respiro.

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La “Decima” e il governo

Qualcuno molto ingenuamente ha pensato che tollerare le vannacciate del generale Vannacci fosse la strategia migliore. Qualche giorno fa Dino Amenduni, analista politico di professione, faceva notare come nel 2016 Huffington Post Usa inserì le dichiarazioni di Trump all’interno della sezione ‘intrattenimento’, considerando le sue uscite insulse e ridicole. “Così facendo ne aumentò molto la visibilità, – spiega Amenduni – perché chi va nella sezione ‘intrattenimento’ ha le barriere difensive molto più basse rispetto a chi legge contenuti della sezione ‘politica’. Fu un tragico errore, di cui poi si scusarono (però) troppo tardi, quando Trump era già diventato presidente”. 

Scrollarsi di dosso Vannacci quasi con un sorriso, così come dare poco conto alle braccia tese dei neofascisti durante le loro celebrazioni, così come irridere chi denunciava il pericolo del ritorno della cultura fascista osata impunemente ci ha condotti a una sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento, Pina Castiello, che compare in un video mentre viene disegnata “una Decima” su una torta di panna montata con le risate dei presenti che ridono urlacciando «Fai una decima, una Decima Mas». 

La candidata leghista alle elezioni europee Angela Russo ha fieramente condiviso il video sui suoi social, evidentemente convinta che fosse una scenetta simpatica e utile a raccattare voti. La sottosegretaria parla di «un episodio goliardico» e accusa di volerlo elevare «a prova regina di nostalgie pericolose». Ma noi qui fuori non abbiamo bisogno di altre prove. Abbiamo bisogno di reazioni significative per rispettare il sangue da cui nasce la Costituzione che avrebbe dovuto spazzare via per sempre la “Decima” e i suoi sostenitori. 

Buon martedì. 

Foto dalla pagina Fb di Sandro Rutolo

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Ormeggia la diseguaglianza. Ricchi & poveri a Genova

Se ieri mattina aveste scattato una foto al porto di Genova avreste potuto cogliere l’istantanea del momento storico italiano. Guardando dai balconi dei palazzi che si affacciano sul mare a sinistra si scorgeva la Celebrity Ascent, nave da crociera affittata per il matrimonio dei rampolli indiani Anant Ambani e Radhika Merchant, ormeggiata a ponte Doria, nel porto di Genova.

A Genova le nozze sul mega-yacht Celebrity Ascent dei rampolli indiani Anant Ambani e Radhika Merchant

Mille e duecento invitati a bordo della nave, affittata dal magnate indiano Mukesh Ambani, padre dello sposo, che il giorno precedente hanno occupato la piazzetta di Portofino, una vera e propria invasione dal mare, come nei peggiori incubi di certa propaganda. Solo che questi non sono disperati: Tra gli invitati spiccano cantanti come Rihanna e i Backstreet Boys oltre a gente come Mark Zuckerberg, Bill Gates e John Elkann. La festa, durata tutta la notte, a bordo della nave da crociera ha scatenato le polemiche in città: il volume della musica non ha fatto dormire molti genovesi e a nulla sono valse le segnalazioni sia degli abitanti del centro storico e delle alture.

Di fianco c’è la nave “Sea Eye 4” che ha portato in salvo 51 migranti, tra cui più della metà, 28, sono minori. La nave carica di naufraghi ha potuto lasciare il porto di Taranto soltanto il 14 maggio scorso, per effetto delle misure imposte dal governo, dopo aver subito il fermo amministrativo più lungo mai imposto a una nave che si occupa di soccorso in mare ai migranti. Ad aspettarli sul molo non c’erano calici di champagne ma i medici della Croce Rossa. Ora verranno smistati tra Genova, La Spezia e Savona. Alcuni nelle Marche e in Emilia Romagna. E di sicuro saranno ritenuti fastidiosissimi.

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Campagne elettorali Social: le destre spendono di più anche se vogliono meno Europa

In vista delle elezioni del Parlamento europeo di sabato e domenica prossimi, politici e partiti hanno aumentato significativamente la loro spesa per gli annunci online. Tra tutti, il primo ministro ungherese Viktor Orbán e il suo partito Fidesz hanno dominato la scena, spendendo enormi cifre sulle piattaforme di Google e Meta (Facebook e Instagram). La loro presenza è così massiccia che ha persino superato quella di paesi interi come la Spagna.

Campagne elettorali social: l’ungherese Fidesz batte tutti

Fidesz ha investito più di qualsiasi altro partito politico nei 27 paesi dell’Unione Europea, acquistando la maggior parte degli annunci su entrambe le piattaforme. Gli annunci di Fidesz seguono la retorica del sovranismo europeo, attaccano i rivali politici come succubi di Bruxelles e ce l’hanno con il solito George Soros, mentre si rivendono come il “partito della pace” in riferimento alla guerra in Ucraina.

Anche i partiti di estrema destra in Europa hanno intensificato la loro presenza online. L’Alternative für Deutschland (AfD) in Germania, ad esempio, ha speso più di qualsiasi altro partito tedesco su Google, con annunci che hanno raggiunto almeno 90 milioni di visualizzazioni.

La retorica di questi annunci va dagli attacchi alla “follia climatica” degli avversari politici alle richieste di fermare l’”invasione” dei migranti. Sette dei primi 10 partiti che spendono di più per la campagna online sono di destra e di estrema destra: oltre all’ungherese Fidesz e all’AfD tedesca, ci sono il Partito della Libertà austriaco (FPÖ), i democratici svedesi, i polacchi di Legge e giustizia, Fratelli d’Italia e gli spagnoli di Vox.

Nonostante le nuove leggi europee sulla tecnologia e la privacy abbiano reso più difficile per i politici indirizzare gruppi specifici di elettori, lo studio di Politico ha rilevato che i partiti di destra e di estrema destra sono stati tra i maggiori investitori in annunci digitali. Questi partiti rappresentano oltre il 60% della spesa pubblicitaria politica online.

Gli altri partiti europei

Anche i partiti collegati al Partito Popolare Europeo (Ppe), ai Socialdemocratici e ai Verdi hanno investito in modo significativo nelle pubblicità digitali, cercando di competere nel grande gioco della campagna elettorale online. Ad esempio, in Belgio, il leader del partito fiammingo di estrema destra Vlaams Belang, Tom Van Grieken, ha speso più di 100mila euro solo nell’ultimo mese tra Facebook e Instagram.

In Romania, il primo ministro Marcel Ciolacu ha utilizzato le piattaforme Meta per promuovere i suoi sforzi di reindustrializzazione del paese, mentre in Francia, dove la legge locale vieta gli annunci politici sei mesi prima delle elezioni, le spese sono state notevolmente inferiori. Tuttavia, gruppi di campagna e agenti governativi hanno comunque trovato modi per promuovere interessi specifici attraverso pubblicità che puntano su tematiche locali.

Campagne elettorali social: dubbi sugli effetti

Nonostante l’onda di annunci politici online, non è chiaro se questi ingenti cifre spese influenzeranno effettivamente gli elettori europei. Secondo uno studio di aprile delle università di Monaco e Giessen la pubblicità politica sui social media può influenzare i risultati elettorali, anche se l’effetto “sui risultati delle elezioni è ancora poco chiaro”.

Le piattaforme di social media come Google e Meta sono state criticate per la loro gestione degli annunci politici, con Meta sotto inchiesta dalla Commissione Ue per possibili carenze nei controlli.

TikTok, invece, non consente pubblicità politica, ma i contenuti politici continuano a diffondersi, con i politici che cercano di raccogliere supporto tra i giovani utenti dell’app. Un solo dato è certo: i partiti che vogliono meno Europa sono quelli che spendono di più per martellarla.

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La Lega all’attacco del Colle, prove tecniche di premierato

L’aria pesante che tira si può annusare ripercorrendo il 2 giugno di ieri, festa della Repubblica, in cui per la prima volta un governo ha pensato bene di sferrare l’attacco diretto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

Il primo è stato il senatore Claudio Borghi, spesso usato nella Lega come uomo d’avanscoperta per provare a lanciare il sasso e vedere l’effetto che fa. Scrive Borghi: “È il 2 giugno, è la Festa della Repubblica Italiana. Oggi si consacra la Sovranità della nostra Nazione. Se il Presidente pensa davvero che la Sovranità sia dell’Unione Europea invece dell’Italia, per coerenza dovrebbe dimettersi, perché la sua funzione non avrebbe più senso”. Più Italia e meno Europa è il motto della campagna elettorale della Lega, l’ultima probabilmente con Salvini in sella, che rischia di essere politicamente seppellito sotto il risultato che arriverà. 

Forse proprio la paura di perdere il ruolo da segretario ha spinto Salvini ha accodarsi al suo senatore. Dice Salvini: “Penso all’Europa come un insieme di Stati sovrani, autonomi e liberi che mettono in comune alcune energie, alcune forze, però la sovranità nazionale è assolutamente fondamentale”. 

Appare perfino inutile precisare che Mattarella non volesse mettere in discussione la sovranità nazionale e appare perfino inutile aggiungere che i meccanismi dell’Unione europea sono ben distanti dall’idea che ne hanno Salvini e Borghi. Il punto politico è un altro: un vice presidente del Consiglio attacca il Quirinale durante il 2 giugno. Sono le prove tecniche del premierato che sognano, quello delle mani libere senza intoppi. 

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Un lavoratore su dieci

Più di un lavoratore su dieci in Italia è irregolare. I dati presentati dalla Confcommercio in occasione della propria Giornata nazionale “Legalità, ci piace” dicono che l’illegalità è costata alle imprese del commercio e dei pubblici esercizi 36,8 miliardi di euro e ha messo a rischio 268 mila posti di lavoro.

Le rilevazioni Istat del 2021 scrivevano di un valore economico dell’illegalità sul lavoro superiore ai 173 miliardi di euro, di cui oltre 68 miliardi da lavoro irregolare e oltre 18 da attività illegali. Sul lavoro siamo di fronte a un tasso di irregolarità pari al 12,7%, i settori maggiormente colpiti sono: servizi alle persone con un tasso di irregolarità del 42,6%; agricoltura, avicoltura e pesca 16,8%; costruzioni 13,3%; commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasposti e magazzinaggio, alloggio e ristorazione 12,7%.

Per dirla in numeri nel 2021, erano 2 milioni e 990 mila le unità di lavoro a tempo pieno in condizione di non regolarità; occupate in prevalenza come dipendenti, circa 2 milioni e 177 mila. Aggiungete in un quadro come questo le politiche di precarizzazione del lavoro, di liberalizzazione dei meccanismi di appalto, l’indebolimento delle tutele contro i licenziamenti illegittimi e avrete l’humus perfetto per le morti sul lavoro che infestano le statistiche del nostro Paese, scorrendo di giorni in giorno. 

Ha tutta la parvenza di un’emergenza nazionale se non fosse che l’evasione di sopravvivenza – chiamata così dai fiancheggiatori politici dell’illegalità – è un tema che rimane sempre scostato dalle pensose commemorazioni antimafia. Come se non sapessimo che è proprio quella vasta zona di grigio a essere l’ecosistema perfetto per le mafie. 

Buon lunedì. 

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Il Bestiario della settimana – Forza Italia resuscita Berlusconi, Salvini sul Titanic e l’eccellenza italiana di Magi

Silvio forever

Dopo la morte di Silvio Berlusconi in molti hanno fatto notare come la commemorazione dell’ex leader fosse stata interminabile dentro Forza Italia. Poi Tajani e i suoi hanno deciso di utilizzare il nome di Berlusconi sul simbolo anche per le prossime elezioni europee, passando dalla commemorazione alla seduta spiritica. Ora addirittura in Forza Italia hanno pensato di invitare a scrivere Berlusconi sulla scheda, nonostante, per ovvie ragioni, Silvio non sia candidato. Andando avanti così altri potrebbero candidare Berlinguer, altri Andreotti, qualcuno Che Guevara e, perché no, anche Topo Gigio. Giusto per restituire credibilità alla politica e combattere l’astensionismo. Mattarella ha da poco firmato il decreto per il via libera di un francobollo commemorativo dedicato a Berlusconi. Magari al prossimo giro al Quirinale candideranno quello.

Il Titanic di Matteo

Tra i partiti che si stanno distinguendo (in meglio o in peggio fate voi) per la propria campagna elettorale, la Lega di Matteo Salvini svetta con la polemica sul tappo di plastica delle bottiglie di plastica che ha tenuto banco per qualche giorno, giusto per ricordarci quale sia il livello del dibattito. Il partito del ministro delle Infrastrutture questa settimana ha preparato una bella card con l’ex ministro del Movimento 5 stelle Danilo Toninelli e la segretaria del Partito democratico Elly Schlein in posa come nella celebre scena del film Titanic. Dall’altra parte c’è il rendering del Ponte sullo Stretto di Messina. Sopra campeggia la scritta “meno Europa più Italia”. Nessuno ancora adesso ha capito il nesso tra slogan e immagine. Di certo i risultati delle elezioni potrebbero consegnarci il nuovo Schettino della Lega. Proprio lui, Capitan Salvini.

Eccellenza italiana

Riccardo Magi di +Europa si è presentato alla Camera dei deputati con una bustina di cannabis light con la foto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la scritta “canapa eccellenza italica”. Attimi di panico tra i presenti. S’è vista gente frugare nelle tasche temendo di averla perduta.

Addio astensionismo

A Ingria, piccolo paese nel torinese, ci sono in tutto 46 abitanti e 30 di loro sono candidati alle prossime elezioni amministrative. In una lista c’è il candidato sindaco che sfida sua madre candidata con la lista avversaria. Ecco come fare votare gli italiani: candidandoli. Risolto il problema dell’astensionismo.

Collocamento Miccichè

Nel giro di una settimana il presidente della Regione Sicilia Gianfranco Miccichè ha piazzato due bei colpi. Prima ha risposto “ce lo possono sucare altamente” a chi lo accusava di peculato per avere utilizzato l’auto blu per faccende personali. Poi si è scoperto che il suo pescivendolo di fiducia di Cefalù era stato assunto dalla senatrice Daniela Ternullo, arrivata a Palazzo Madama grazie proprio alla rinuncia di Miccichè. “Non c’è nulla di illecito, non è stato pagato con risorse del Senato, ha avuto per qualche mese un incarico personale, l’ho pagato coi miei soldi, attraverso un regolare contratto”, ha detto la senatrice a Repubblica. Nel suo staff al Senato figurava anche un altro collaboratore di Miccichè, Giancarlo Migliorisi, che nei mesi scorsi si è dovuto dimettere dalla segreteria tecnica dell’Ars perché sorpreso dalla polizia a comprare cocaina. “Ha un curriculum straordinario, è un mio corregionale, a suo carico non risultano procedimenti penali né amministrativi”, ha detto di lui al Fatto Quotidiano la Ternullo. Morale. Miccichè meglio dei Centri per l’impiego: trasforma in lavoro tutto ciò che tocca.

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