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Si vergognano anche loro della Tunisia

Il corrispondente di Radio Radicale Sergio Scandura, ieri sera ha sottolineato un errore che spiega molto del non detto e del mal detto sul sanguinario accordo tra Italia e Tunisia, rinnovata versione del sanguinario memorandum che lega dal 2017 l’Italia alla Libia. Scandura dà notizia che è la malnutrizione la causa della morte della bambina che stava nei 45 naufraghi salvati dalla nave Humanity1. 

Secondo l’Ansa le 45 persone sarebbero state salvate “in acque Sar libiche” mentre il tracciato mostrato dal giornalista mostra chiaramente come l’imbarcazione fosse in acque Sar italiane quando è stata soccorsa. Erano partiti dalla Tunisia, da Sfax, due giorni prima. La salma della bambina di 5 mesi è stata evacuata insieme alla madre diciannovenne e alla sorella di due anni, mentre la nave è stata spedita a Livorno come stabilito dal feroce gioco del decreto Piantedosi che sparge in giro per l’Italia salvatori e salvati per sabotare i salvataggi in mare. 

Scandura si chiede perché l’agenzia Ansa abbia erroneamente battuto nel suo lancio l’informazione che l’imbarcazione fosse partita dalla Libia e da dove abbia tratto quell’informazione. Perché è importante sapere da dove è partito il barchino? “Quei corpi soccorsi in mare che arrivano dalla Tunisia – scrive Scandura – non sembrano affatto ben messi. Arrivano come ‘pezze’ e non si può certo dire che in Tunisia riescano a beneficiare anche solo di uno stantio odore di assistenza umanitaria, in un Paese che peraltro non ha mai tradotto in legge il diritto di asilo e la protezione umantaria. Quei corpi – continua il giornalista – che arrivano dalla #Tunisia ci dicono forse una (ennesima) cosa. Il modello di accordi imbastito da Italia e commissione Ue, col memorabile #TeamEurope Meloni-Rutte-von der Leyen che ha reso omaggio al tiranno di Tunisi, ha gli stessi connotati criminogeni del memorandum fatto con i ‘clan’ che governano la #Libia. Forse, raccontare e documentare come i rifugiati arrivino anche dalla Tunisia ridotti a stracci – neonati cadaveri inclusi per malnutrizione – può mettere in imbarazzo gli autori di certi accordi, di certi memorandum concepiti per alcune isterie elettorali sul fenomeno migranti?”  

Buon giovedì. 

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Effetto domino su Saviano

Alla Buchmesse, la fiera dell’editoria mondiale a Francoforte, dove a ottobre l’Italia sarà il Paese ospite, un autore internazionale come Roberto Saviano non viene invitato perché si è preferito “dare voce a chi finora non l’ha avuta”. Questa è la spiegazione data da Mauro Mazza, commissario straordinario del governo per la Buchmesse.

Roberto Saviano non sarà invitato alla Buchmesse di Francoforte perché si è preferito “dare voce a chi finora non l’ha avuta”

Come scrive lo scrittore Paolo Giordano “Saviano è diventato una cartina al tornasole di certi criteri politici di inclusione ed esclusione inaccettabili nella cultura”. All’invito del governo aveva declinato già da tempo Antonio Scurati, annusando l’aria che tira. Paolo Giordano e Alessandro Piperno hanno fatto sapere di “avere altri impegni”. Franco Buffoni ha annunciato pubblicamente che non andrà. Saviano ha spiegato che quelle del governo sono “banali scuse”: “servono a velare malamente il messaggio, del resto chiaro: fate i bravi e sarete parte della banda”, ha detto in un’intervista a La Stampa.

Duro anche Sandro Veronesi che ha motivato così la sua rinuncia: “Le ragioni balorde e ridicole con cui il Commissario Mazza ha giustificato l’esclusione di Roberto Saviano – dice – non mi permettono di accettare l’invito che ho ricevuto. Continua questa pratica di ingerenza del Presidente del Consiglio e dei suoi più fidati collaboratori, accompagnata da ‘putiniana ipocrisia’, su decisioni che non devono seguire logiche politiche”. Il direttore della Buchmesse ha dovuto spiegare che la fiera “è sinonimo di libertà di parola e di diversità di opinioni e prospettive”. Si è detto felice che Saviano sia ospite del suo editore tedesco. Sempre a proposito della credibilità internazionale di questo governo.

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La campagna elettorale di von der Leyen? Per il sito “Politico” viola le regole di trasparenza dell’Ue

Sarà il fremito di un’alleanza immaginata con il Partito dei conservatori e dei riformisti europei ormai sfumata cammin facendo. Sarà la consistente sensazione di essere mal sopportata anche all’interno del proprio gruppo dei Popolari Ue, ma Ursula von der Leyen è riuscita a incorrere in un errore clamoroso: la sua campagna online per la rielezione alla guida della Commissione europea viola le regole di trasparenza approvate sotto la sua guida. 

La campagna pubblicitaria dedicata a sette paesi Ue (tra cui Belgio, Finlandia e Italia) costa circa 70 mila euro e punta sui servizi di ricerca Google e sulla piattaforma YouTube. Nel video di von der Leyen vengono decantate le sue qualità di leadership e l’impegno profuso alla guida dell’esecutivo Ue.

Eppure in nessuno dei suoi annunci viene menzionata – come ha scoperto Politico – “la sua campagna o il suo partito (il Ppe) come acquirente ufficiale nel registro per la trasparenza di Google”.

La rivista internazionale sottolinea come una società di consulenza con sede a Parigi, la MCC AdQuality, risulti la “responsabile dei messaggi digitali” a sostegno di von der Leyen. Il nome è stato successivamente cambiato in MCC nel registro degli annunci politici di Google dopo le prime indagini della redazione di Politico. 

La campagna online di von der Leyen per il bis

L’Unione europea ha recentemente approvato nuove regole per aumentare la trasparenza sulle campagne online, compresa la necessità per i candidati politici e i partiti di rivelare chi acquista spazi pubblicitari consentendo una chiara identificazione.

Von der Leyen non si candida per essere eletta al Parlamento europeo, è la candidata del Ppe a capo della Commissione e il suo successo elettorale potrebbe aprirle la strada per essere confermata dai leader dell’Ue come presidente della Commissione.

Il Ppe di Von der Leyen è anche firmatario di un codice di condotta per queste elezioni europee che include impegni per “garantire la trasparenza della pubblicità politica e dei messaggi della campagna” e comporta l’impegno di non pubblicare annunci politici tramite intermediari come agenzie pubblicitarie senza una corretta attribuzione alla fonte. 

“MCC AdQuality ha speso 69.300 euro in totale per 17 annunci sui servizi di Google da metà marzo, quando von der Leyen ha annunciato la sua campagna per la presidenza della Commissione, secondo i dati sulla trasparenza della società tecnologica”.

Molti di questi annunci, che costano tra i 7 mila e i 35 mila ciascuno, “rappresentano alcune delle spese più elevate per annunci politici su Google negli ultimi due mesi in Europa, in base ai dati dell’azienda”. 

Cosa prevede la normativa Ue sugli annunci online

Le norme dell’Ue sugli annunci online diventeranno vincolanti dopo le elezioni del Parlamento europeo dell’8 e 9 giugno ma la Commissione (guidata dalla stessa von der Leyen) ha già invitato le principali piattaforme online, tra cui Google, a garantire che i partiti politici dietro i messaggi a pagamento fossero resi pubblici, nelle linee guida sull’integrità elettorale collegate alla nuova legge sulla moderazione dei contenuti dell’Ue.

Lunedì, sette Ong hanno criticato Google per aver reso difficile esaminare le pubblicità politiche e le potenziali interferenze straniere sui suoi servizi digitali.

All’inizio di questo mese von der Leyen aveva messo in guardia “dalla minaccia di interferenze straniere e ingerenze nella politica dell’Ue”. E, annunciando una stretta sulla trasparenza, aveva aggiunto: “Le grandi piattaforme digitali devono rispettare i loro obblighi”. Poi deve essersene dimenticata. 

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Russiagate, perquisizioni al Parlamento Europeo: l’operazione collegata all’inchiesta sulle sospette interferenze russe in Ue

Russiagate, si allarga l’inchiesta. Un’operazione congiunta di investigatori belgi e francesi ha scosso questa mattina il Parlamento Europeo con perquisizioni negli uffici di Bruxelles e Strasburgo.

L’indagine, come riportano il settimanale tedesco Der Spiegel e il quotidiano belga De Tijd, si collega a quella sul presunto ruolo del portale di notizie Voice of Europe in un’operazione di influenza russa volta a condizionare le elezioni europee e le attività all’interno del Parlamento.

Russiagate, perquisizioni al Parlamento Europeo: al centro delle indagini le notizie diffuse dal portale Voice of Europe

L’obiettivo principale delle perquisizioni è stato, sempre secondo Der Spiegel,  l’ufficio di un collaboratore dell’eurodeputato olandese di destra, Marcel de Graaff. Il dipendente avrebbe lavorato anche per l’eurodeputato tedesco dell’AfD Maximilian Krah ed è sospettato di essere stato coinvolto nel rilascio di un lasciapassare parlamentare a una donna arrestata in Polonia come spia russa.

Le autorità ceche, già allertate da informazioni di intelligence, hanno imposto sanzioni a Voice of Europe, con sede a Praga, definendola un’operazione di disinformazione e propaganda orchestrata da Mosca. Dietro l’operazione si ipotizza la figura di Viktor Medvedchuk, oligarca ucraino e stretto confidente del presidente russo Vladimir Putin.

Secondo le indagini, il portale non si sarebbe limitato a diffondere notizie e opinioni allineate con la narrativa del Cremlino, ma avrebbe anche svolto un ruolo attivo nel finanziamento occulto di candidati pro-Russia alle elezioni europee del 2019. Le stime parlano di un milione di euro utilizzati per sostenere esponenti di estrema destra e partiti populisti in diversi stati membri dell’Unione Europea.

La replica di Voice of Europe: speculazioni prive di fondamento

Voice of Europe ha respinto con fermezza le accuse, definendole “speculazioni prive di fondamento”. Il portale nega di aver ricevuto o distribuito denaro per influenzare le elezioni. Tuttavia, i sospetti non si sono placati.

Le perquisizioni odierne rappresentano un passo significativo nella lotta alle interferenze russe nelle istituzioni europee.L’inchiesta in corso punta a fare luce su un’operazione di disinformazione e influenza che potrebbe avere avuto un impatto significativo sulle elezioni europee e sulle attività del Parlamento.

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La parola indicibile sulla strage di Brescia

Ieri il governo si è dimenticato di commemorare la strage di piazza della Loggia. La strage di matrice neofascista di cinquant’anni fa probabilmente imbarazza ancora cinquant’anni dopo. Ma chi può sentirsi imbarazzato se non coloro che si sentono eredi della cultura politica dei mandanti?

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ieri ha detto che gli attentatori volevano «punire e terrorizzare chi manifestava contro il neofascismo e in favore della democrazia», ma era anche «un tentativo di destabilizzazione contro la Repubblica italiana e le sue istituzioni democratiche. In Italia vi era chi tramava e complottava per instaurare un nuovo regime autoritario. Contro la Repubblica, nata dalla lotta della Resistenza, che aveva indicato le sue ragioni fondanti nella democrazia, nella libertà, nel pluralismo, nella solidarietà, principi scolpiti nella Carta Costituzionale».

A Brescia a rappresentare il governo c’era la ministra Anna Maria Bernini. Il presidente del Senato Ignazio Maria Benito La Russa non è riuscito a pronunciare la parola “fascista”. Nè lui né il presidente della Camera erano presenti a Brescia. Rimane per terra il post con cui il quotidiano Secolo d’Italia scrive “Sì, la Repubblica italiana è a Brescia, dove c’era Mattarella. Ma è anche a Caivano dove c’era la premier”. Giorgia Meloni era a Caivano e in serata ha scritto “continueremo a lottare contro ogni forma di terrorismo, affinché libertà e democrazia restino i soli pilastri sui quali si fonda la nostra Nazione”. Ma anche a lei manca la parola indicibile. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: La piazza pochi istanti dopo l’esplosione (Silvano Cinelli wikipedia)

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Ci vorrebbe un tappo anche alla propaganda

Da tre giorni è al centro del dibattito tra candidati e leader di partito per le prossime elezioni europee il tappo che non si stacca più dalle bottigliette di plastica. Il leader della Lega Matteo Salvini e lo staff di comunicazione del suo partito hanno ritenuto il fastidio del ruotare un tappo un elemento rilevante per la loro campagna elettorale, dedicandogli una card pubblicata sui social per denunciare “Eco-norme surreali volute da Bruxelles” a cui Salvini propone di opporsi in nome del sempre presente “buonsenso”, qualsiasi cosa significhi.

Nell’immagine un povero tizio si tortura le narici con espressione di lancinante sofferenza. La comunicazione politica di Salvini è spesso una sfrenata banalizzazione della realtà che mira agli stomaci più che alle idee. Del resto la direttiva europea sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, in particolare dei prodotti monouso, è stato votato quando Salvini era al governo (era il primo governo Conte) e alcuni suoi deputati europei hanno votato a favore. Nessuno ha mai preso la parola in Aula. La direttiva europea è stata adottata dall’Italia durante il governo Draghi, sostenuto anche dalla Lega di Matteo Salvini.

Com’era prevedibile Salvini è stato dileggiato da molta gente, politici e non, sui social per la singolare scelta delle priorità politiche della sua campagna elettorale. Ieri il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture intervistato sui tappi che si incastrano nel naso dei suoi elettori ha invitato a “occuparsi di temi più importanti”, mimando una superiorità di intenti a una comunicazione che ha innescato lui. Un capolavoro.

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“Leonardo, le guerre spingono i profitti ma allo Stato vanno gli spiccioli”

Leonardo, l’azienda partecipata attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, ha “aumentato i profitti grazie alle guerre”, ma lascia “solo spiccioli allo Stato azionista” e “taglia i posti di lavoro”.

È questa la denuncia della Fondazione finanza etica (del gruppo Banca etica) e della Rete italiana pace e disarmo che hanno partecipato per l’ottavo anno consecutivo all’assemblea dei soci del colosso italiano partecipato per il 30,2% dal Ministero del Tesoro.

L’assemblea degli azionisti si è tenuta lo scorso 24 maggio, Fondazione finanza etica e  Rete italiana pace e disarmo hanno partecipato nell’ambito di un progetto di “azionariato critico” che prevede l’acquisto di quote (e quindi il diritto di partecipare all’assemblea dei soci) anche in altre società. L’assemblea dei soci di Leonardo si è tenuta a porte chiuse, con gli azionisti non in presenza, come accade anche per altre società, sfruttando un’eccezione concessa in tempi di pandemia che è diventata una regola. Dunque le domande al management sono state formulate in forma scritta, prima dell’assemblea. .

Cosa dicono Fondazione finanza etica e Rete italiana pace e disarmo

Fondazione finanza etica e Rete italiana pace e disarmo sottolineano come “la principale impresa militare contribuisce in misura molto limitata all’economia italiana mentre moltiplica i profitti per gli azionisti privati”. E spiegano: “Abbiamo inviato circa quaranta domande a Leonardo Finmeccanica, in particolare per capire quanto sia rilevante la produzione per l’economia nazionale, anche in termini di occupazione”, ha detto Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica.

“Le risposte sul coinvolgimento di Leonardo nella produzione di armi nucleari sono sconfortanti: Leonardo partecipa a un programma francese per la produzione di un missile con testata nucleare. Tuttavia, poiché si tratta di un progetto classificato come “Special France”, Leonardo afferma di non poter accedere ad alcuna informazione in merito a causa delle rigide normative francesi sulla sicurezza strategica”. Francesco Vignarca, coordinatore campagne della Rete italiana pace e disarmo, ha constatato che “Leonardo non ha aumentato per nulla la trasparenza”, che “i dati sull’export militare sono esposti in maniera poco chiara” e ha lamentato la mancanza di “informazioni sulla suddivisione del fatturato e sugli occupati per singolo stabilimento”.

“Anche se parziali, – ha aggiunto Vignarca – i dati forniti dimostrano però che l’export militare di Leonardo ha una rilevanza ridotta: vale infatti intorno a 1,2 miliardi di euro nel 2023, su 15,3 miliardi di euro di ricavi totali della compagnia. Ben distanti dai livelli dichiarati da Aiad (Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza), a dimostrazione di quanto l’industria delle armi sia poco strategica per l’interesse nazionale in termini di ritorni economici e occupazione”.

Vignarca sottolinea come Leonardo spa “che da sola controlla oltre il 70% della produzione e il 75% delle esportazioni italiane” abbia una “componente produttiva militare” che “è passata negli ultimi 15 anni dal 56% all’83%” sebbene “abbia ridotto i suoi occupati in Italia del 24%”.

“Nonostante le molte acquisizioni di commesse nel settore militare (come la partecipazione alla produzione dei nuovi caccia F-35 per la quale in Parlamento il governo aveva promesso 10.000 nuovi posti di lavoro) e le svariate acquisizioni d’impresa, il numero complessivo degli occupati di Leonardo SpA si è ridotto” ha spiega il coordinatore di Rete italiana pace e disarmo.

Leonardo, solo 49 milioni di euro di dividendi allo Stato italiano per l’anno 2023

Infine i dividendi: “appena 49 milioni di euro” che lo Stato italiano incasserà per l’anno 2023. “Mentre sono stati molto significativi i vantaggi degli altri azionisti che – a differenza del Ministero del Tesoro, azionista di lungo periodo – comprano e vendono azioni di Leonardo liberamente sui mercati azionari. Chi ha acquistato azioni di Leonardo nel gennaio del 2023 e le ha rivendute a fine dicembre, ha guadagnato circa il 70%. Il corso del titolo in borsa è stato aiutato dalla guerra in Ucraina e dal conflitto in Israele, con la corsa al riarmo di Europa e Nato”, ha concluso Vignarca.

Basandosi su una definizione tecnica di “extraprofitti” proposta dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE), uno studio stima che le imprese abbiano realizzato circa 2.000 miliardi di euro di profitti in eccesso a livello globale nel 2022, di cui 310 miliardi di euro originati nell’Ue.

Tassati con un’aliquota progressiva del 20-40%, questi profitti produrrebbero 107 miliardi di euro in fondi pubblici. In Italia il Movimento 5 stelle ha chiesto a più riprese “un contributo di solidarietà sugli ingenti extraprofitti messi a segno dalle aziende del comparto armi” senza ottenere risposta dal governo.

Leonardo, contattata da La Notizia, non ha voluto commentare.

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Pietà per i morti, nessun perdono per i collaborazionisti

Rispondere con il sangue dei bambini massacrando profughi è terrorismo. Rispondere alla Corte dell’Aia martoriando gli sfollati è la cifra politica di un governo che viene ritenuto democratico solo da un stuolo di miopi commentatori: Benjamin Netanyahu è un criminale di guerra alla stregua di Putin, di Hamas.

La “più grande democrazia del Medio oriente” è uno stato guidato da razzisti criminali che stanno riuscendo nel capolavoro di smentire perfino i suoi sostenitori più accaniti. “Siamo inorriditi, quello che è successo dimostra ancora una volta che nessun luogo è sicuro a Gaza. Continuiamo a chiedere un cessate il fuoco immediato e duraturo”, ha detto l’infermiera italiana Gaia Giletta da Rafah. Come spiega ActionAid “sono stati colpiti i rifugi di fortuna che ospitano sfollati palestinesi, situati accanto ai magazzini dell’Agenzia Onu per i profughi palestinesi (Unrwa), contenenti aiuti umanitari vitali. Luoghi – scrive l’Ong—che dovrebbero essere sicuri per i civili, e che invece sono diventati bersagli di una violenza brutale. Bambini, donne e uomini sono stati bruciati vivi sotto le loro tende”.

Pietà per i trucidati da entrambe le parti ma nessun perdono per chi, anche dalle nostre parti, è complice di un massacro che ha l’unico scopo di cancellare un popolo e uno Stato. E allora il primo passo è riconoscere quello Stato, la Palestina, per dimostrare che la comunità internazionale è capace almeno di porre un limite al suo stringere mani insanguinate. 

Buon martedì.  

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A scuola di referendum. O meglio di cul-de-sac

“Sul referendum costituzionale ho dato dei consigli a Giorgia Meloni. Del resto credo di essere un esperto della materia. La Meloni se perde dovrà dimettersi, che voglia o non voglia”. Con la presidente del Consiglio in evidente difficoltà su quella che doveva essere la “madre di tutte le riforme” e invece è già diventata ordinaria amministrazione da cui prendere le distanze, si butta il fuoriclasse di schianto contro il referendum Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio che avrebbe dovuto abbandonare la politica e poi è passato dal governo Conte al governo Draghi fino all’alleanza con Calenda, poi a quella con Bonino e ora candidato alle elezioni europee.

Renzi promise di lasciare la politica e invece ci è rimasto con altalenante coerenza sulle sue posizioni

Sulla questione il senatore fiorentino ha fiuto e annusa sornione la tardiva presa di distanze di Meloni braccata, come spesso le accade, dalle sue stesse dichiarazioni trionfanti. Renzi però omette qualche piccolo particolare: in conferenza stampa dopo le dimissioni disse che non “ci sarebbe stata nessuna fuga” ma sarebbe rimasto “militante tra i militanti” nel Partito democratico e alla fine ha fondato un piccolo partito personale, di quelli che disprezzava da segretario del Pd. Renzi promise di lasciare la politica e invece ci è rimasto con altalenante coerenza sulle sue posizioni.

Renzi promise di rispettare l’opinione degli italiani e invece ha costruito la seconda fase della sua carriera politica sugli attacchi a coloro che hanno votato – secondo lui – in modo sbagliato. La lezione che Renzi può impartire a Meloni quindi non è sulle dimissioni da premier, scontate in caso di bocciatura del referendum. Al massimo può insegnare alla premier come perdurare in un cul-de-sac. E di questa lezione il Paese ne farebbe volentieri a meno.

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Meloni e l’Italia che corre. Ma i numeri e i fatti raccontano un’altra realtà

Non c’è solo l’attacco ai telespettatori di La7 (e quindi a qualche milione di italiani), nel suo videomessaggio pubblicato sui social dalla presidente del Consiglio. Giorgia Meloni sveste i panni da premier per indossare quelli della candidata di punta di Fratelli d’Italia e riparte la propaganda sull’Italia in crescita sfidando, a tratti, la realtà dei fatti e pure quella dei numeri.

Tra crescita, Export e Spread

“Oggi, pur in una situazione difficile, l’Italia è finalmente tornata a crescere più della media europea. È cresciuto l’export, è sceso lo spread e la Borsa italiana nel 2023 è stata la migliore in Europa. Ma soprattutto abbiamo toccato il tasso di occupazione più alto di sempre, aumentano i contratti stabili, aumenta l’occupazione femminile, diminuisce il rischio di povertà, e dopo tre anni i salari sono tornati a crescere più dell’inflazione”, ha detto Meloni.

Ma per il sito di fact checking Pagella Politica, che ha analizzato le parole della premier, le cose non stanno esattamente così. L’economia, ad esempio. I dati Eurostat dicono che nel 2023 il Pil italiano è cresciuto dello 0,9 per cento rispetto all’anno precedente, mentre la crescita media dell’Unione europea è stata pari allo 0,4 per cento.

L’anno scorso 12 Paesi Ue sono comunque cresciuti più dell’Italia, tra cui la Spagna (+2,5 per cento), mentre la Francia è cresciuta meno (+0,7 per cento) e in Germania il Pil è lievemente sceso (-0,2 per cento). Le previsioni pubblicate dalla Commissione europea prevedono per quest’anno una crescita del Pil dello 0,9% con una media europea dell’1%.

Per l’Osce l’Italia si fermerà allo 0,7%. Insomma, l’Italia non è la locomotiva d’Europa. L’export, a differenza di quanto sostenuto da Meloni, non cresce. Lo stesso Ministero degli Esteri certifica che i volumi delle esportazioni sono identici a quelle dell’anno precedente. L’Istat nella sua relazione scrive che “l’export nazionale in valore risulta stazionario ed è sintesi di dinamiche territoriali molto differenziate”.

La discesa italiana dello spread invece (come avviene per quasi tutti i Paesi europei) ha una motivazione semplice: il peggioramento delle condizioni economiche della Germania che hanno fatto aumentare il rendimento dei titoli tedeschi.

I dati sulla povertà assoluta

Meloni ha rivendicato anche un altro risultato: secondo lei, in Italia è diminuito il rischio di povertà. Come sottolinea Pagella Politica la presidente del Consiglio “ha omesso un altro dato importante per comprendere l’andamento della povertà nel nostro Paese”.

Secondo le stime preliminari più aggiornate di Istat, nel 2023 è leggermente aumentata la percentuale di cittadini e di famiglie che vive in povertà assoluta. Per quanto riguarda il rischio di povertà dice sempre l’Istat che la percentuale nel 2023 è calata rispetto all’anno precedente “grazie a misure che erano state introdotte prima dell’insediamento del governo Meloni (tra cui l’assegno unico universale) e che l’attuale governo ha solo modificato in parte”, spiega Pagella Politica.

I salari e l’inflazione

Infine, la presidente del Consiglio ha detto nel suo videomessaggio su La7 che, grazie al suo governo, “dopo tre anni i salari sono tornati a crescere più dell’inflazione”.

La leader di Fratelli d’Italia fa riferimento al rapporto annuale Istat dello scorso 15 maggio secondo il quale “le retribuzioni contrattuali orarie nel 2023 sono aumentate del 2,9 per cento, in rafforzamento rispetto al 2022”.

Nello stesso rapporto c’è però scritto che “i prezzi al consumo, seppure in decelerazione, hanno comunque segnato nel 2023 una crescita del 5,9 per cento, che ha determinato un ulteriore arretramento in termini reali delle retribuzioni”.

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