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Giornalisti vessati dalle intimidazioni: la libertà di stampa interessa più a qualcuno? – Lettera43

Cronisti fermati dalla Digos, identificati, perquisiti, tenuti in carcere. Oppure condannati per diffamazione, svegliati alle 4 notte per una querela, attaccati pure dentro la Rai. Ai tempi dei governi Berlusconi saremmo scesi in piazza. Ora che siamo di fronte alla repressione delle idee contrarie al potere dovremmo fare qualcosa. Perché riguarda il nostro diritto di non essere d’accordo.

Giornalisti vessati dalle intimidazioni: la libertà di stampa interessa più a qualcuno?

Dice la questura di Roma che la cronista del Fatto Quotidiano Angela Nittoli, il fotografo del Corriere della sera Massimo Barsoum e il video maker freelance Roberto Di Matteo non avevano dichiarato di essere giornalisti. Per questo sono stati identificati, perquisiti, portati in commissariato, lasciati due ore dentro una cella costretti a pisciare con la porta aperta e infine lasciati andare quando ormai l’evento che dovevano seguire per lavoro (un’incursione degli attivisti di Ultima generazione) era passato.

Giornalista trattenuto per quattro ore senza poter parlare con redazione, familiari, avvocato

A Padova un cronista del Mattino di Padova, Edoardo Fioretto, il 12 aprile era stato fermato dalla Digos della questura patavina all’interno della mostra “Da Monet a Matisse” assieme ad altre sei persone sospettate di far parte di Ultima generazione e di aver pianificato un’azione di protesta contro le opere esposte a palazzo Zabarella. È stato trattenuto per quattro ore in cui non ha potuto comunicare con la redazione, con i familiari, con un avvocato, con nessuno. Quattro ore per scoprire se fosse o meno un giornalista sono una barzelletta che non farebbe ridere nessuno e a cui non crederebbe nessuno. L’ex direttore della Stampa Massimo Giannini ha raccontato a Otto e mezzo di essere stato «svegliato alle 4 di notte per una notifica di diffamazione».

A novembre del 2023 a Messina il giornalista Fabrizio Bertè è stato fermato e perquisito dalla Digos, quindi trattenuto in questura e rilasciato dopo circa due ore. Si trovava in via Garibaldi per documentare una manifestazione di protesta di aderenti alla campagna “Fondo riparazione” promossa dal movimento Ultima generazione. Anche in quel caso non ha potuto documentare la protesta.

I cronisti di Domani che rischiano il carcere per l’inchiesta su Crosetto

Il blocco preventivo dei giornalisti si aggiunge a tutti i fatti di questi ultimi mesi. Tre giornalisti del quotidiano Domani sono finiti sulle pagine dei giornali internazionali perché rischiano il carcere. L’inchiesta è iniziata dopo che il loro giornale ha pubblicato nell’ottobre del 2022 un articolo sui conflitti di interessi del ministro della Difesa, Guido Crosetto, per via dei compensi milionari ricevuti da Leonardo e altre aziende dell’industria bellica fino a pochi giorni prima del suo insediamento del governo Meloni, in un dicastero che ha rapporti diretti con quelle aziende. Dopo la pubblicazione dell’articolo, che conteneva notizie vere e documentate, il ministro non ha querelato ma ha cercato la fonte dei giornalisti tutelata dal segreto professionale.

Guido Crosetto: «Toti è stato arrestato per corruzione»
Il ministero della Difesa Guido Crosetto (Ansa).

Il condannato a otto mesi di carcere per il reato di diffamazione

Un giornalista del Giornale, Pasquale Napolitano, è stato condannato per il reato di diffamazione a otto mesi di carcere (pena sospesa): la condanna si riferisce a un articolo pubblicato nel 2020 su un sito campano. Il giornalista aveva correttamente pubblicato i chiarimenti e le rettifiche delle persone di cui scriveva nel suo articolo, ma è stato ugualmente querelato.

Il marasma Rai con i casi Ranucci e Scurati-Bortone

Poi c’è la Rai. Gli attacchi a Sigfrido Ranucci e alla sua trasmissione Report sono diventati ormai un genere letterario. Il caso Scurati e la quasi matematica certezza che a pagare sarà solo la giornalista Serena Bortone è una notizia scivolata liscia. I giornalisti che gentilmente sono stati accompagnati all’uscita sono stati sommersi dall’accusa di volersi arricchire e quindi sono rientrati nelle cronache di gossip, più che nei ragionamenti sulla libertà di stampa. In una lettera all’Unione europea l’European Movement International ha scritto che «l’indipendenza dei media è stata sottoposta a forti pressioni in Italia. Il governo di Giorgia Meloni ha esercitato sempre più il suo potere sulla Rai, l’emittente nazionale italiana, estromettendo manager e conduttori televisivi dai loro incarichi e censurando programmi critici nei confronti del governo. Inoltre, recentemente giornalisti e giornali sono stati costantemente attaccati da membri del governo, soffocando le voci dissenzienti e ostacolando l’indipendenza dei media».

Serena Bortone, la presidente Soldi contro l'ad Sergio: «Il procedimento fa male alla Rai»
Serena Bortone (Imagoeconomica).

Non siamo diventati la nuova Ungheria solo per l’insediamento di Meloni

Ma perché la libertà di stampa per cui si riempivano le piazze ai tempi dei governi Berlusconi ora è diventata un brodino caldo che interessa solo agli operatori dell’informazione e a pochi appassionati cittadini? Questa è la domanda. Le pressioni sulla stampa hanno potuto essere affilate in questi ultimi mesi perché il terreno è stato preparato da anni, da forze politiche mica solo a destra, da una campagna diffamatoria sottile ma continua. Troppo facile pensare che l’Italia dell’informazione sia diventata la nuova Ungheria solo per l’insediamento di Meloni e del suo governo. Il concime è stato versato da chi proditoriamente ha declassato il giornalismo a un mero esercizio di opinioni spesso senza nessuna attinenza ai fatti reali. La credibilità è stata deteriorata dalla politica, da una parte del giornalismo stesso e dallo sdoganamento del diritto di essere avversi alla realtà.

Ha a che fare con la democrazia e interessa chiunque non è d’accordo col potere

Se la propaganda convince gli elettori ad avere diritto a mondi immaginari nonostante le regole, è ovvio che chi tiene fermo il punto viene visto come un sabotatore, un avversario politico, un nemico. È quello che sta esattamente succedendo. E qui si svolta in un lato ancora più pericoloso di un semplice attacco al giornalismo: siamo di fronte alla repressione delle idee contrarie al potere. Questo ha a che fare con la democrazia e interessa tutti coloro che oggi vorrebbero avere il diritto di non essere d’accordo.

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La Lega inventa la legge “ad operam”

La giornalista di Repubblica Alessia Candito racconta dell’emendamento presentato dal deputato leghista Igor Iezzi al ddl sicurezza, attualmente in discussione in commissione Affari Costituzionali, che prevede una nuova aggravante dei reati contro la pubblica incolumità “che sembra ritagliata sulla variegata rete di attivisti che da mesi protesta” contro nuove opere pubbliche. Come ad esempio il Ponte sullo Stretto.

La nuova fattispecie prevede un aumento “da un terzo a due terzi della pena” nel caso in cui “la violenza o minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica”. In sostanza dopo gli ecoterroristi il partito di Salvini (e bisognerà vedere cosa ne pensa il governo) mette nel mirino anche i ponteterroristi.

Almeno a sentire il leader di Alleanza verdi sinistra Angelo Bonelli: “Quello di Iezzi è un emendamento che vuole intimidire la legittima protesta contro il Ponte e se fosse approvato verrebbe previsto il carcere da 4 a 20 anni anche a chi con immagini o atti simbolici possa minacciare il blocco di opere infrastrutturali”. “Per chi protesta – spiega Bonelli – quindi è prevista una pena tripla rispetto alla corruzione e altri reati gravi come rapina e altro. Siamo in una vera emergenza democratica”.

Nel Paese delle leggi “ad personam”, inventarsi una legge “ad operam” sarebbe un colpo di genio straordinario se non fossimo in uno Stato di diritto dove le libertà di critica e di manifestare, entro i limiti della legge, sono riconosciute dalla Costituzione. Avanti così, non ci sarebbe da stupirsi se il prossimo passo fosse l’introduzione del reato di “opposizione politica”. Dentro e fuori dal Parlamento. Tanto per completare l’opera.

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Centro migranti in Albania, Edi Rama scarica Meloni: “Il problema sarà farlo funzionare”

“Quella roba lì è solo italiana. L’Albania ha dato disponibilità e terreni, ma nulla di più”. In colloquio con Repubblica il presidente dell’Albania Edi Rama prende le distanze dai centri per migranti che il governo italiano sta costruendo nel suo Paese. Rama spiega che “il centro comunque in qualche mese sarà pronto, quello è niente. Ma il problema sarà farlo funzionare. E sarà molto difficile per le procedure: come fai a far ruotare 3000 persone in 28 giorni con la burocrazia italiana e con le regole europee?”.

Parole molto diverse da quelle usate dal presidente albanese a novembre scorso quando vennero presentati i due “centri italiani di raccolta” che Rama definì il risultato di un percorso “importante di natura storica, culturale ma anche emozionale che lega l’Albania all’Italia”.

Edi Rama scarica Meloni. Dubbi e criticità sui Cpr in Albania

I dubbi a cui fa riferimento il presidente albanese nella sua intervista sono gli stessi che da mesi avanzano gli esperti di diritto internazionale. L’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo dell’Associazione Diritti e Frontiere aveva spiegato come l’accordo tra Italia e Albania fosse “opaco, disumano e privo di basi legali” perché “qualunque procedura di allontanamento forzato attuata da autorità italiane attraverso il trattenimento in un centro di detenzione deve essere convalidata dalla decisione di un giudice” e perché “la consegna delle persone soccorse in mare alle autorità albanesi” potrebbe costituire un’ipotesi di respingimento collettivo già condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Hirsi, quando nel 2009 una motovedetta della Guardia di finanza riconsegnò alle autorità libiche, entrando nel porto di Tripoli, decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali.

Anche rispetto la procedura di cosiddetto “sbarco selettivo” tra donne, minori e uomini ci sono diversi problemi di legittimità giuridica in quanto si tratta di una palese violazione delle norme interne ed europee che impongono per tutti lo sbarco in un porto sicuro indicato dall’autorità che coordina le attività di ricerca e salvataggio.

Le parole di Rama a due giorni dalla visita a sorpresa del Pd

Le parole di Rama arrivano due giorni dopo la visita a sorpresa di alcuni deputati del Pd in Albania che avevano raccontato di essersi trovati di fronte a “70mila metri quadrati di nulla” nonostante gli annunci del governo. “Oggi 22 maggio solo ruspe, mentre avevano annunciato che il 20 maggio 2024 avrebbe aperto il centro. Oggi abbiamo svelato il loro bluff elettorale”, aveva detto il deputato Matteo Mauri.

I costi dei due centri per migranti in Albania intanto sono lievitati. Openpolis ha analizzato i numeri del protocollo Italia-Albania per il “rafforzamento della collaborazione in materia migratoria“, firmato a Roma il 6 novembre 2023 e ratificato poi dal Parlamento italiano lo scorso febbraio.

Numeri e costi dei Cpr in Albania: l’analisi di Openpolis

Una relazione tecnica ricostruisce le spese a preventivo ipotizzando un costo di circa 650 milioni di euro in 5 anni, di cui però solo 30 milioni di euro circa in 5 anni (4,4 milioni di euro nel 2024 e 6,5 milioni l’anno tra 2025 e 2028) riguardano la gestione. A cui vanno aggiunti 95 milioni per il noleggio delle navi, quasi 8 milioni di assicurazioni sanitarie per operatori italiani in missione all’estero e di ben 252 milioni di costi per le trasferte dei funzionari ministeriali.

Per preannunciare il rischio flop dell’operazione italiana in Albania il presidente albanese Rama ha citato il “Piano Mattei” rivendicato da Giorgia Meloni: “Come fai a portarlo avanti? – dice Rama -. Sì, puoi fare accordi, aprire centri in Tunisia o in Libia. Ma sai quanti soldi ci sono in ballo sul traffico dei migranti su quelle coste? Ed è tutto gestito molto in alto”.

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Salis in tribunale senza catene, ma il giudice svela il suo domicilio segreto. Le proteste del padre

Ilaria Salis per la prima volta si presenta in tribunale a Budapest con i suoi genitori in taxi, senza catene alle caviglie e senza manette ai polsi. È entrata in tribunale salutando velocemente i giornalisti e gli amici (era presente anche il fumettista Zerocalcare) per la terza udienza del processo che la vede imputata con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. “Voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno supportato”, ha detto la candidata Ue per Avs prima di entrare nella sala riunioni del tribunale, spiegando di non poter aggiungere altro per il processo in corso. 

Ma nel corso  dell’udienza il giudice Josef Szos ha rivelato l’indirizzo dove Ilaria Salis sta scontando i domiciliari, scatenando le protesta del padre di Ilaria, Roberto Salis. Che durante il processo si è girato verso l’ambasciatore italiano Manuel Jacoangeli dicendogli: “Bisogna fare qualcosa”. L’indirizzo “non dovrebbe essere rivelato, anzi protetto e non va inserito nel verbale”, ha poi sottolineato l’avvocato della difesa Gyorgy Magyar.

Il primo testimone ascoltato dai giudici non riconosce l’italiana durante l’aggressione

All’udienza ha parlato anche il primo testimone sentito come parte lesa nel processo. In un’altra aula collegata con voce camuffata, ha spiegato che il 10 febbraio del 2023 all’uscita di un ufficio postale è “stato aggredito da dietro da persone che avevano il volto coperto e quindi non sono in grado di riconoscerne nessuna. Non hanno detto niente – ha raccontato il testimone e non so se fossero uomini o donne”.

“Prima di entrare nell’ufficio postale – ha aggiunto – mi ha chiamato una donna con i capelli biondi che mi ha chiesto se partecipavo al giorno dell’Onore e ho detto di no. Sono entrato nell’ufficio postale e uscendo sono stato aggredito. Mi hanno colpito alla testa e sono caduto per terra cercando di proteggere la faccia. Non ho capito nulla, stavo male, ho cercato di sedermi e mi hanno spruzzato spray in faccia”.

Il testimone ha spiegato di far parte di un’associazione ‘che protegge i valori ungheresi’ e che “probabilmente sono stato aggredito per il mio abbigliamento”. “Soffro ancora per l’aggressione, ancora adesso sono psicologicamente provato per quanto successo”, ha concluso chiedendo un risarcimento di 10 milioni di fiorini ungheresi.

Il giudice ha rivelato l’indirizzo segreto dove Ilaria Salis sta scontando i domiciliari. Le proteste del padre

Intanto la segretaria del Partito democratico Elly Schlein chiede che Giorgia Meloni si adoperi per il rientro di Salis come per Chico Forti. “Non possiamo accettare di vedere nessun cittadino e nessuna cittadina italiana portati al processo al guinzaglio. – detto Schelin – Per questo abbiamo detto da subito che Ilaria Salis deve tornare in Italia. Lo direi per ogni persona, invece abbiamo visto che per il governo di destra non è così. Abbiamo visto che si sono adoperati per fare rientrare Chico Forti, già condannato, e vorremmo che il governo si impegnasse con l’alleato di Meloni, Viktor Orban, perché Ilaria Salis, che è ancora sotto processo e non ha una condanna, possa stare ai domiciliari in Italia”. 

A Schlein ha risposto il ministro degli Esteri Antonio Tajani spiegando che “il governo italiano segue tutti i detenuti italiani all’estero”. “Siamo intervenuti sulle condizioni di detenzione di Ilaria Salis così come abbiamo riportato a casa Chico Forti – ha detto Tajani ospite di Diritto e rovescio su Rete 4 – . Noi abbiamo seguito tanti italiani senza guardare al colore politico – ha aggiunto Tajani – vedi Patrick Zaki che se non fosse stato per il governo sarebbe ancora in Egitto”.

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Così in Italia muore il diritto di cronaca

Ieri la videomaker Angela Nittoli, il fotografo Massimo Barsoum e il videomaker Roberto Di Matteo sono stati fermati, poi identificati, quindi perquisiti e infine trasferiti di fretta con una volante della Polizia al commissariato Castro Pretorio dove sono stati rinchiusi in una piccola cella per due ore. La loro colpa Seguire una protesta degli attivisti di Ultima generazione. Tecnicamente esercitavano il loro diritto di cronaca che è anche il cuore del loro mestiere. 

È accaduto ieri a Roma ma era già accaduto a Padova e a Messina. Il trasferimento al commissariato di Castro Pretorio è stato giustificato con l’esigenza di effettuare una perquisizione. I giornalisti però si erano offerti di mostrare il contenuto delle loro borse e dei loro zaini. Di certo sono stati portati lontano dal luogo in cui avrebbero potuto (e dovuto) fare il loro mestieri di cronisti. 

La Federazione nazionale della stampa racconta di avere già espresso le sue preoccupazioni dopo gli episodi di Padova e Messina in un incontro con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. “Durante quell’incontro – scrive il sindacato – il ministro aveva escluso che ci fosse un modus operandi della polizia per quanto riguarda verifiche e controlli sui giornalisti che seguano gli atti di protesta di Ultima generazione. Dopo quello che è accaduto oggi, appare invece evidente che esista una linea di intervento per scoraggiare i cronisti dal documentare i blitz di questi attivisti”.

Tutto questo ha un nome preciso: censura preventiva. Feccia da autocrazia. 

Buon venerdì. 

Nella foto: immagine di repertorio dal profilo X di Ultima generazione

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Altro che natalità, siamo alla glaciazione demografica

Mentre la ministra Roccella polarizzava le tifoserie sul diritto di parola e agli Stati generali della natalità teneva banco la polemica sul limite tra contestazione e censura, i professionisti provavano a ragionare su quella che da alcuni viene definita una “glaciazione demografica”.

Glaciazione demografica. Flagello della natalità. Se il governo ascoltasse gli esperti aiuterebbe

Percorsi di secondo welfare ad esempio ha realizzato una ricerca con Fondazione Lottomatica che dice come la denatalità in Italia rispecchia un serio divario tra desideri e realtà. “Le difficoltà economiche sono l’ostacolo prevalente tra le coppie dove la donna resta in casa (entrate insufficienti). Le difficoltà di conciliazione, invece, ostacolano la procreazione quando la donna è occupata (troppi impegni e poco tempo).

I padri italiani danno ancora scarso contributo alle incombenze di casa e di cura”, scrive l’associazione. Sono tutti problemi noti, nonostante certa politica sia convinta di poterli ignorare. C’è il sostegno alle famiglie che continua a essere troppo poco e troppo breve. C’è il congedo parentale che è troppo oneroso per le famiglie meno abbienti.

Ci sono gli asili nido che continuano a mancare (nonostante si nasca sempre meno e nonostante i soldi del Pnrr) mentre in Germania, Paese Bassi, Danimarca, Slovenia addirittura il posto viene garantito dal momento in cui finisce il congedo di maternità. Il professore di scienze politiche all’Università di Milano Maurizio Ferrera fa notare che anche i mancati servizi agli anziani non autosufficienti influiscono su giovani che devono dedicarsi ai propri genitori prima di poter essere genitori.

E poi c’è ovviamente il lavoro che occupa moltissimo tempo non sempre garantendo uno stipendio adeguato. La denatalità è un argomento molto serio e urgente, molto più delle uscite pubbliche della ministra. Forse converrebbe parlare di quello.

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Lotta al traffico internazionale di droga, a Palermo il Summit tra i magistrati italiani e del Sudamerica

Nel giorno dell’anniversario del giudice Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia insieme alla sua scorta a Capaci, nella sua Palermo si ritrovano i magistrati italiani con i magistrati con i colleghi dell’Iberoamerica per un’attività di coordinamento contro il grande business delle mafie: la cocaina. L’incontro è stato voluto e organizzato dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e per tre giorni, fino a venerdì, vede confrontarsi i protagonisti delle procure italiane e del Sudamerica. 

La linea rossa tra Italia e Sudamerica collega le organizzazioni criminali brasiliane, venezuelane, messicane, colombiane con i loro “naturali alleati dei gruppi mafiosi calabresi e albanesi – ha spiegato Melillo –  che hanno da tempo in qui paesi stabili ramificazioni, anche a fini di riciclaggio”. Per il procuratore antimafia “non sono un caso – con ha spiegato in una recente intervista a Repubblica – gli arresti di importanti uomini di ‘ndrangheta avvenuti recentemente in Brasile e Perù. Così come appare radicata quanto trascurata la presenza in America Latina di autentiche colonie mafiosi calabresi”. 

Nel giorno dell’anniversario della morte di Giovanni Falcone il procuratore nazionale antimafia Melillo riunisce magistrati italiani e sudamericani per coordinare le indagini in corso

Come ai tempi di Falcone e Borsellino le sostanze stupefacenti rimangono il business principale delle mafie, in primis la cocaina. Negli ultimi quattro anni i quantitativi di cocaina intercettati nel nostro Paese sono passati da circa 3 tonnellate e mezzo (2018) a oltre 26 tonnellate di sostanza sequestrata, il 77% delle quali presso le aree doganali marittime.

A fronte di una maggiore diffusione nel territorio non è cambiata nel tempo la concentrazione media (70%) di principio attivo rilevata nei campioni di sostanza analizzati. La spesa per il consumo stimata nel 2022 rappresenta poco meno di un terzo della spesa generale attribuita all’acquisto di sostanze stupefacenti e si aggira intorno ai 5 miliardi di euro.

Oggi in Italia è sostanzialmente un prodotto di massa: in poco più di vent’anni i prezzi sono crollati e la domanda è esplosa. Oggi i consumatori sono almeno mezzo milione, con 44 mila ragazzi sotto i 19 anni. 

Il summit internazionale palermitano ha al centro anche i nuovi strumenti necessari all’evoluzione del traffico di droga internazionale

Il summit internazionale palermitano ha al centro anche i nuovi strumenti necessari all’evoluzione del traffico di droga internazionale. In un’intervista alla Rai dello scorso gennaio il criminologo Vincenzo Musacchio spiegava che i nuovi trafficanti di droga (spesso figli o parenti dei capi storici sudamericani) “sono in grado di gestire e finanziare l’intera operazione criminale senza mai entrare in contatto con la droga”.

Sfruttando le moderne tecnologie e la comunicazione satellitare “impartiscono ordini su lussuosissimi yacht o in terre, dove la legge, di fatto, non è pienamente efficace. Rimangono puliti perché raramente possono essere collegati a specifiche operazioni di traffico di droga o dove si trovano, non è possibile stabilire alcuna prova della loro colpevolezza perché le leggi di quel territorio non sono compatibili con le nostre legislazioni”. 

“Il traffico degli stupefacenti è tornato ad essere un grande business per le mafie”, ha detto oggi il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, intervenendo a Palazzo Jung di Palermo alle celebrazioni in ricordo della strage di Capaci. Di droga si era occupato Giovanni Falcone nel suo impegno professionale, a partire dalla celebre operazione Pizza Connection in accordo con l’Fbi.

Falcone insisteva nel ripetere che solo con un maggior coordinamento delle indagini si potessero raggiungere importanti risultati contro le mafie. La Direzione nazionale antimafia fu una sua intuizione. Oggi la superprocura ha bisogno di diventare internazionale. 

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“Signor presidente chiediamo che per i nostri figli manifestare sia un diritto e non un pericolo”

“Signor Presidente, siamo centinaia di genitori di ragazze e ragazzi che frequentano la scuola superiore. Una di loro, studentessa di un liceo di Roma, è tornata a casa con la testa spaccata dal manganello di un poliziotto. Un’altra, colpita ripetutamente alle costole, è stata portata via in ambulanza. In quella circostanza, almeno cinque studenti minorenni sono stati feriti dai colpi dei poliziotti che affrontano armati e in tenuta antisommossa i giovani disarmati e a volto scoperto”. 

Inizia così la lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di 200 (per ora) genitori di “studenti minorenni che manifestano pacificamente il loro dissenso” e “vengono brutalmente caricati, percossi, lasciati a terra da adulti che avrebbero il compito di proteggerli, di garantire l’esercizio dei loro diritti”. I genitori si rivolgono al capo dello Stato per esprimere “sconcerto e preoccupazione”: “la Costituzione della quale lei è garante – si legge -, la Carta che le nostre figlie e i nostri figli studiano a scuola, assicura il diritto di manifestare, di riunirsi pacificamente e senza armi, la libertà di esprimere il proprio pensiero. È questo che insegniamo in classe e in famiglia ed è questo insegnamento che i giovani mettono in pratica quando manifestano per difendere il diritto all’aborto, per contestare gli accordi di collaborazione militare con le università israeliane o per chiedere che il governo Israeliano smetta di massacrare migliaia di donne, bambini, ragazzi come loro”. 

“A ogni intemperanza – spiegano i genitori nella loro missiva – le forze dell’ordine reagiscono caricando e sferrando colpi di manganello, ferendo chi capita a tiro, traumatizzando tutti gli altri. Non accade lo stesso con gli ultras armati di spranghe che mettono a ferro e fuoco le città. In quel caso, la furia di tifosi adulti viene tollerata e contenuta senza far scattare ogni volta la conta dei feriti”. 

“Perché, invece, – chiedono i genitori – gli studenti minorenni e disarmati vengono manganellati? Le nostre figlie e i nostri figli tornano a casa impauriti, sgomenti, arrabbiati. Raccontano dei coetanei a terra, del sangue, delle ferite, delle cariche, ci mostrano i video girati con i loro telefoni. La violenza delle forze dell’ordine rischia di innescare nei giovani più suggestionabili una risposta violenta. A questo si vuole arrivare? «Dal corteo sono partite offese», leggiamo nei resoconti giornalistici. E quindi? Compito dei poliziotti che si confrontano con un corteo di minorenni, quando anche alcuni dei ragazzi dovessero urlare parole offensive, non è quello di agire con giudizio e moderazione? Quale esempio vogliamo dare? Come dobbiamo comportarci noi adulti, noi genitori? Dovremmo scoraggiare le ragazze e i ragazzi dal manifestare? «Vai, mai stai attenta. Non metterti davanti con lo striscione» diciamo loro: «o rischi che ti arrivi una manganellata». Sa cosa ci rispondono, signor Presidente? «Mamma, se non arriva a me arriva a un’altra ragazza o un altro ragazzo che come me non ha fatto niente»”. 

La lettera si chiude con la richiesta “che manifestare sia un diritto e non un pericolo” e “che anche in Italia venga finalmente apposto il numero identificativo sulla divisa di ogni poliziotto per individuare chi, con il pretesto della difesa dell’ordine pubblico, si accanisce con violenza sui giovani disarmati alimentando in tutti loro la sfiducia nelle istituzioni che lei, Signor Presidente, rappresenta”. 

Siamo messi così. 

Buon giovedì

Foto di apertura di Marioluca Bariona

 

 

 

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I diritti secondo Gasparri. E quelli costituzionali

Ieri il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri ha trovato il tempo di presentare in Senato il manifesto valoriale Pro vita e famiglia, l’associazione che da anni si scaglia contro la legge 194 sull’aborto. Gasparri si è lanciato in una lectio magistralis sui diritti.

Ieri il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri ha trovato il tempo di presentare in Senato il manifesto valoriale Pro vita e famiglia

Ha detto, testualmente, come riportano le agenzie: “Quando mi chiedono cosa penso dei diritti, io rispondo ‘mi faccia l’elenco dei diritti. Quali sono?’. Mettiamoli in ordine di priorità. Il primo diritto è quello alla vita, perché se uno non è vivo non c’è nessun altro diritto. Il secondo diritto è quello a essere nutriti, perché se non si mangia si muore. Poi c’è il diritto a lavorare, perché se non si lavora non si può comprare il cibo, poi c’é il diritto di manifestare il proprio pensiero, richiamato dall’articolo 21 della Costituzione. Dobbiamo combattere l’errore che trasforma le parole, perché la parola diritti è sacrosanta, ma viene usata solo in una certa maniera, per fare riferimento solo a certi diritti, come quelli Lgbt. Noi rifiutiamo questa impostazione monoculturale, questo pensiero unico anche sulla parola ‘diritti’. Noi difendiamo tutti i diritti, partendo dal diritto alla vita che comprende tutto. Perché in ordine cronologico ci sono la vita, il nutrimento, il pensiero e il lavoro, poi viene tutto il resto”.

L’articolo 3 della Costituzione dice che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Tutti i cittadini, quindi. Anche coloro che non sono d’accordo con Gasparri. E il discorso si potrebbe chiudere così.

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Elezioni Ue: le posizioni dei partiti sul cambiamento climatico

A meno di tre settimane dalle elezioni europee dell’8 e 9 giugno, le posizioni dei partiti italiani sulla lotta ai cambiamenti climatici sono state delineate con maggiore chiarezza attraverso la pubblicazione dei rispettivi programmi elettorali. Uno dei temi centrali di questa tornata elettorale sarà il modo in cui affrontare la crisi climatica, la cui esistenza è riconosciuta da tutte le forze politiche, a differenza di quanto accaduto in passato.

Pagella politica nella sua newsletter A fuoco ha analizzato le diverse posizioni. L’unica lista elettorale a non menzionare la lotta ai cambiamenti climatici nel suo programma è “Libertà” di Cateno De Luca, mentre gli altri schieramenti hanno espresso posizioni contrastanti sul Green Deal europeo, il piano con cui l’Unione europea mira a diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050.

I Partiti di Governo: Revisione del Green Deal

 I partiti di destra che sostengono il governo Meloni, ovvero Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, chiedono una revisione del Green Deal europeo, ritenendolo troppo ideologico e potenzialmente dannoso per l’economia.

Fratelli d’Italia riconosce la “crisi climatica” e il ruolo cruciale degli agricoltori nel fronteggiarla, ma propone di “rivedere la normativa sul ripristino della natura” per non penalizzare agricoltura e allevamento, e di “cambiare le eco-follie del Green Deal”. Il partito di Giorgia Meloni vuole “modificare radicalmente la direttiva sulle case green” e “cancellare il blocco alla produzione di auto a motore endotermico dal 2035”, sostenendo che il raggiungimento degli obiettivi climatici deve essere economicamente e socialmente sostenibile, senza approcci ideologici o oneri sproporzionati.

La Lega, guidata da Matteo Salvini, promette di “affrontare le politiche climatiche con maggior pragmatismo per evitare di de-industrializzare l’Unione europea”, rivedendo il Green Deal “da cima a fondo”. Anche Forza Italia, il partito di Antonio Tajani, chiede di passare “da un Green Deal ideologico a un Green Deal realistico”, rivedendo il pacchetto di iniziative che rischia di danneggiare settori chiave dell’economia italiana.

Le Opposizioni: Difesa o Critica al Green Deal 

Dall’altro lato, alcuni partiti dell’opposizione difendono il Green Deal e chiedono misure e obiettivi climatici ancora più ambiziosi, mentre altri lo contestano.

Il Partito Democratico, guidato da Elly Schlein, ritiene che l’Europa debba consolidare la leadership mondiale nel contrasto all’emergenza climatica, investendo in innovazione, sostenibilità, ricerca e green economy. Il PD propone strumenti per la decarbonizzazione del sistema energetico, il rafforzamento della direttiva sul monitoraggio del consumo di suolo e la creazione di un’Agenzia europea per la manutenzione del territorio e il contrasto al dissesto idrogeologico.

Il Movimento 5 Stelle, con un programma di 103 pagine di cui dieci dedicate al capitolo “Energia e clima”, propone il rafforzamento del Green Deal, la creazione di un fondo per le energie rinnovabili e l’efficientamento energetico degli edifici, l’introduzione di una tassa sugli extraprofitti delle compagnie energetiche, l’estensione del sistema della cessione dei crediti d’imposta per finanziare la transizione ecologica e la piantumazione di tre miliardi di alberi in Europa entro il 2030.

Alleanza Verdi-Sinistra, composta da Europa Verde e Sinistra Italiana, difende e vuole rafforzare il Green Deal per raggiungere la neutralità climatica e un’Europa alimentata al 100% da energie rinnovabili entro il 2040, anticipando l’obiettivo attuale del 2050. La lista propone un “Fondo europeo per gli investimenti ambientali e sociali” da almeno 2.000 miliardi di euro per finanziare investimenti green, trasporto pubblico ed efficientamento energetico delle case.

Posizioni Critiche e Proposte

 Radicali Azione-Siamo Europei, la lista di Carlo Calenda, pur riconoscendo la necessità di azioni sul clima, contesta le politiche climatiche adottate dall’Ue negli ultimi anni, proponendo di riformare la tabella di marcia del Green Deal, accusato di avere “un forte impianto ideologico”. Calenda propone di rinviare almeno al 2035 gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra attualmente fissati al 2030 e di “rifiutare ulteriori innalzamenti dei target di decarbonizzazione”.

La lista “Stati Uniti d’Europa“, composta da Italia Viva di Matteo Renzi e Più Europa, menziona solo brevemente la “lotta al cambiamento climatico”, ispirandosi a un “principio di ragionevolezza e gradualità, tutelando allo stesso tempo l’industria e i posti di lavoro”.

Infine, la lista “Pace Terra Dignità” dell’ex giornalista Michele Santoro propone una “transizione ecologica radicale” basata sull’economia circolare, puntando a contenere il surriscaldamento in un grado e mezzo entro il 2030 attraverso misure come la riduzione del consumo di carne, dell’uso dell’aereo e degli sprechi di acqua.

Il Futuro del Green Deal nell’Unione Europea

Nonostante le posizioni divergenti sui temi climatici, il futuro del Green Deal europeo non dipenderà esclusivamente dall’esito delle elezioni italiane, poiché l’Italia elegge solo 76 parlamentari europei su 720. Sarà la maggioranza che si formerà all’interno del nuovo Parlamento europeo a determinare il destino del Green Deal, attraverso l’elezione della presidenza della Commissione europea, il principale organismo esecutivo dell’Unione europea.

Se i partiti di destra e conservatori incrementeranno i loro voti e troveranno un’intesa per allearsi, il rischio – o la possibilità, a seconda dei punti di vista – che il Green Deal sia ridimensionato sarà concreto. D’altra parte, una maggioranza favorevole potrebbe rafforzare ulteriormente le politiche climatiche dell’Unione europea.

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