Giornalisti vessati dalle intimidazioni: la libertà di stampa interessa più a qualcuno? – Lettera43
Cronisti fermati dalla Digos, identificati, perquisiti, tenuti in carcere. Oppure condannati per diffamazione, svegliati alle 4 notte per una querela, attaccati pure dentro la Rai. Ai tempi dei governi Berlusconi saremmo scesi in piazza. Ora che siamo di fronte alla repressione delle idee contrarie al potere dovremmo fare qualcosa. Perché riguarda il nostro diritto di non essere d’accordo.
Dice la questura di Roma che la cronista del Fatto Quotidiano Angela Nittoli, il fotografo del Corriere della sera Massimo Barsoum e il video maker freelance Roberto Di Matteo non avevano dichiarato di essere giornalisti. Per questo sono stati identificati, perquisiti, portati in commissariato, lasciati due ore dentro una cella costretti a pisciare con la porta aperta e infine lasciati andare quando ormai l’evento che dovevano seguire per lavoro (un’incursione degli attivisti di Ultima generazione) era passato.
Giornalista trattenuto per quattro ore senza poter parlare con redazione, familiari, avvocato
A Padova un cronista del Mattino di Padova, Edoardo Fioretto, il 12 aprile era stato fermato dalla Digos della questura patavina all’interno della mostra “Da Monet a Matisse” assieme ad altre sei persone sospettate di far parte di Ultima generazione e di aver pianificato un’azione di protesta contro le opere esposte a palazzo Zabarella. È stato trattenuto per quattro ore in cui non ha potuto comunicare con la redazione, con i familiari, con un avvocato, con nessuno. Quattro ore per scoprire se fosse o meno un giornalista sono una barzelletta che non farebbe ridere nessuno e a cui non crederebbe nessuno. L’ex direttore della Stampa Massimo Giannini ha raccontato a Otto e mezzo di essere stato «svegliato alle 4 di notte per una notifica di diffamazione».
“Reduce dal programma di Fazio dove avevo criticato la maggioranza, sono andato a dormire e 4 agenti di polizia mi hanno svegliato alle 4 di notte per notificarmi una querela per diffamazione” #ottoemezzo pic.twitter.com/VwcJ5zZaaB
— Il Grande Flagello (@grande_flagello) May 23, 2024
A novembre del 2023 a Messina il giornalista Fabrizio Bertè è stato fermato e perquisito dalla Digos, quindi trattenuto in questura e rilasciato dopo circa due ore. Si trovava in via Garibaldi per documentare una manifestazione di protesta di aderenti alla campagna “Fondo riparazione” promossa dal movimento Ultima generazione. Anche in quel caso non ha potuto documentare la protesta.
I cronisti di Domani che rischiano il carcere per l’inchiesta su Crosetto
Il blocco preventivo dei giornalisti si aggiunge a tutti i fatti di questi ultimi mesi. Tre giornalisti del quotidiano Domani sono finiti sulle pagine dei giornali internazionali perché rischiano il carcere. L’inchiesta è iniziata dopo che il loro giornale ha pubblicato nell’ottobre del 2022 un articolo sui conflitti di interessi del ministro della Difesa, Guido Crosetto, per via dei compensi milionari ricevuti da Leonardo e altre aziende dell’industria bellica fino a pochi giorni prima del suo insediamento del governo Meloni, in un dicastero che ha rapporti diretti con quelle aziende. Dopo la pubblicazione dell’articolo, che conteneva notizie vere e documentate, il ministro non ha querelato ma ha cercato la fonte dei giornalisti tutelata dal segreto professionale.
Il condannato a otto mesi di carcere per il reato di diffamazione
Un giornalista del Giornale, Pasquale Napolitano, è stato condannato per il reato di diffamazione a otto mesi di carcere (pena sospesa): la condanna si riferisce a un articolo pubblicato nel 2020 su un sito campano. Il giornalista aveva correttamente pubblicato i chiarimenti e le rettifiche delle persone di cui scriveva nel suo articolo, ma è stato ugualmente querelato.
Il marasma Rai con i casi Ranucci e Scurati-Bortone
Poi c’è la Rai. Gli attacchi a Sigfrido Ranucci e alla sua trasmissione Report sono diventati ormai un genere letterario. Il caso Scurati e la quasi matematica certezza che a pagare sarà solo la giornalista Serena Bortone è una notizia scivolata liscia. I giornalisti che gentilmente sono stati accompagnati all’uscita sono stati sommersi dall’accusa di volersi arricchire e quindi sono rientrati nelle cronache di gossip, più che nei ragionamenti sulla libertà di stampa. In una lettera all’Unione europea l’European Movement International ha scritto che «l’indipendenza dei media è stata sottoposta a forti pressioni in Italia. Il governo di Giorgia Meloni ha esercitato sempre più il suo potere sulla Rai, l’emittente nazionale italiana, estromettendo manager e conduttori televisivi dai loro incarichi e censurando programmi critici nei confronti del governo. Inoltre, recentemente giornalisti e giornali sono stati costantemente attaccati da membri del governo, soffocando le voci dissenzienti e ostacolando l’indipendenza dei media».
Non siamo diventati la nuova Ungheria solo per l’insediamento di Meloni
Ma perché la libertà di stampa per cui si riempivano le piazze ai tempi dei governi Berlusconi ora è diventata un brodino caldo che interessa solo agli operatori dell’informazione e a pochi appassionati cittadini? Questa è la domanda. Le pressioni sulla stampa hanno potuto essere affilate in questi ultimi mesi perché il terreno è stato preparato da anni, da forze politiche mica solo a destra, da una campagna diffamatoria sottile ma continua. Troppo facile pensare che l’Italia dell’informazione sia diventata la nuova Ungheria solo per l’insediamento di Meloni e del suo governo. Il concime è stato versato da chi proditoriamente ha declassato il giornalismo a un mero esercizio di opinioni spesso senza nessuna attinenza ai fatti reali. La credibilità è stata deteriorata dalla politica, da una parte del giornalismo stesso e dallo sdoganamento del diritto di essere avversi alla realtà.
Ha a che fare con la democrazia e interessa chiunque non è d’accordo col potere
Se la propaganda convince gli elettori ad avere diritto a mondi immaginari nonostante le regole, è ovvio che chi tiene fermo il punto viene visto come un sabotatore, un avversario politico, un nemico. È quello che sta esattamente succedendo. E qui si svolta in un lato ancora più pericoloso di un semplice attacco al giornalismo: siamo di fronte alla repressione delle idee contrarie al potere. Questo ha a che fare con la democrazia e interessa tutti coloro che oggi vorrebbero avere il diritto di non essere d’accordo.
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