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Vi auguro di essere contestati ancora di più, ancora più forte

Il potere che si lamenta di essere censurato è un’illogica barzelletta che però non fa ridere perché ha molto a che fare con la violenza. Siamo certi che la ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Maria Roccella sappia bene la differenza tra una censura e una contestazione. Se non fosse così sarebbe troppo ignorante per stare dove sta. Si tratta quindi di un’evidente mala fede – questa no, non ci stupisce – perfettamente in linea con il vittimismo di un governo che vorrebbe essere contro-potere mentre gestisce il potere, desiderio tipico di tutti i reazionari. 

Per poter censurare bisogna innanzitutto ricoprire un ruolo di comando. Se dall’alto l’ordine di zittire viene calato verso il basso siamo di fronte a una censura. È una censura quando pezzi di governo o i suoi servi sciocchi impediscono la libertà di parola ai giornalisti, agli scrittori, agli artisti, agli intellettuali, ai lavoratori, più generalmente ai cittadini. La ministra potrebbe quindi essere censurata da qualcuno più alto in grado, solo quello. 

Negli altri casi si tratta di contestazioni, sano conflitto che nutre e che svela una democrazia. È un’enorme puttanata anche la frase che circola in queste ore “andate a contestare dove non è concesso”. Se non fosse possibile dissentire si attiverebbero tutti i i meccanismi necessari per ristabilire la democrazia. Non sapere governare il dissenso dice molto dell’ignoranza e dell’incapacità di gestire il potere. 

Auguro alla ministra Roccella e a tutti i ministri che vorrebbero imporre visioni non condivise di essere contestati ancora di più, ancora più forte, per prendere coscienza del ruolo che ricoprono. 

Buon venerdì.   

Nella foto: frame del video della contestazione studentesca agli Stati generali della natalità, 9 maggio 2024

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Moro, Impastato e Livatino tirati per la giacchetta

Giorgia Meloni parla addirittura di libertà. Ricordando l’anniversario della morte di Peppino Impastato e di Aldo Moro, oltre alla beatificazione del giudice Rosario Livatino, la presidente del Consiglio dedica un pensiero “a chi ha sacrificato la propria vita per la nostra libertà”. “Lo dobbiamo all’Italia e ai valori che amiamo”, scrive sui suoi social con linguaggio da Istituto Luce.

Giorgia Meloni parla addirittura di libertà. Ricordando l’anniversario della morte di Impastato e Moro, oltre alla beatificazione del giudice Livatino

Peppino Impastato di questi tempi sarebbe ritenuto un “professorone” nel calderone degli “intellettuali di sinistra” che non avrebbe spazio sulla stampa e sulla televisione pubblica nemmeno per qualche secondo della sua trasmissione Onda pazza con cui sbeffeggiava il boss Gaetano Badalamenti. Troverebbe qualche esponente del governo che lo inviterebbe a “mettere le canzoni in radio” senza parlare di politica. O che lo accuserebbe di volersi arricchire con la mafia invece di combatterla davvero.

Rosario Livatino di questi tempi verrebbe buono per parlare di giustizia a orologeria. Lui che aveva avuto l’intuizione dell’imprenditoria catanese legata alla mafia e che aveva scardinato i rapporti tra politici e mafiosi nell’agrigentino oggi sarebbe accusato di teoremi giudiziari a scopo politico oppure sarebbe additato come un nemico del Paese per il sabotaggio alla parte produttiva della nazione.

Aldo Moro di questi tempi invece torna utile, eccome, per soffiare sul brigatismo come se fosse la radice del centrosinistra in Italia. Quell’Aldo Moro che aveva aperto un dialogo con quella stessa sinistra che oggi qualcuno vorrebbe equiparare ai peggiori gerarchi del Paese. Che tristezza un Paese ridotto così.

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G7 Giustizia, scontri a Venezia tra manifestanti e forze dell’ordine

Scontri tra polizia e manifestanti a Venezia in occasione di una manifestazione organizzata contro il G7 Giustizia, in corso in città, che ha preso il via nel tardo pomeriggio. Gli agenti della polizia in tenuta antisommossa hanno respinto con una carica i manifestanti che stavano avanzando in corteo verso la sede del Summit, la Scuola Grande San Giovanni Evangelista. Al corteo, annunciato dai centri sociali, alcuni manifestanti – in tutto circa 250 – sventolavano bandiere della Palestina

Scontri a Venezia in occasione del G7 Giustizia mentre il (veneziano) ministro Nordio annuncia il “Venice Justice group”

All’interno della Scuola Grande San Giovanni Evangelista il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato la nascita del “Venice Justice group”, “un organismo – ha spiegato il Guardasigilli – che permetta di rafforzare e coordinare ancor di più le nostre iniziative; un nuovo strumento a tutela dello stato di diritto, oggi sotto attacco su più fronti a cominciare dall’aggressione russa all’Ucraina; e che va tutelato anche rispetto ai nuovi scenari aperti dall’intelligenza artificiale”

Il ministro ha colto l’occasione anche alla capacità dell’Italia “di ristabilire lo stato di diritto con gli strumenti della democrazia durante gli anni di piombo” sfruttando l’anniversario della morte di Aldo Moro dicendosi “orgoglioso che la mia Venezia possa associare il suo nome, sinonimo nel mondo di bellezza e di Italia, a quest’ulteriore conquista a tutela dei diritti fondamentali”.

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Emergenza climatica, per l’80% dei migliori scienziati del mondo sentiti dal Guardian falliremo gli obiettivi

Il quotidiano britannico The Guardian ha interpellato i migliori scienziati sul clima del mondo: centinaia di loro si aspettano che le temperature globali saliranno almeno di 2,5 gradi sui livelli preindustriali di questo secolo fallendo gli obiettivi fissati dalla comunità internazionali. 

Cambiamento climatico, sondaggio del Guardian

Quasi l’80% degli intervistati, tutti dell’autorevole Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), prevede un aumento di almeno 2,5 gradi di riscaldamento globale, mentre quasi la metà un incremento di almeno 3 gradi. Solo il 6% di loro è convinto che il limite fissato a livello internazionale (di 1,5°) sarà rispettato. 

Molti degli scienziati interpellati hanno confessato di temere un futuro “semi distopico” per le carestie, le migrazioni di massa a causa delle ondate di calore, incendi, tempeste e inondazioni ben più gravi di quelle viste fin qui.

“A volte è quasi impossibile non sentirsi senza speranza e rotti”, spiega la scienziata del clima Ruth Cerezo-Mota. “Dopo tutte le inondazioni, gli incendi e le siccità degli ultimi tre anni in tutto il mondo, tutti legati al cambiamento climatico, e dopo la furia dell’uragano Otis in Messico, il mio paese, pensavo davvero che i governi fossero pronti ad ascoltare la scienza, ad agire nel migliore interesse della gente”.

L’immobilismo dei governi, dice la ricerca, provoca negli scienziati “rabbia e paura”. Henri Waisman, professore presso l’istituto di ricerca politica Iddri in Francia, ha dichiarato: “Affronto regolarmente momenti di disperazione e senso di colpa per non essere riuscito a far cambiare le cose più rapidamente, e questi sentimenti sono diventati ancora più forti da quando sono diventato padre”. 

Per l’80% l’aumento della temperatura si attesterà intorno ai 2,5°

Il Guardian ha contattato ogni autore principale o editore di recensioni raggiungibile dei rapporti dell’Ipcc dal 2018. Quasi la metà ha risposto, 380 su 843. I rapporti dell’Ipcc sono le valutazioni gold standard del cambiamento climatico, approvate da tutti i governi e prodotte da esperti di scienze fisiche e sociali.

L’obiettivo di 1,5° è stato scelto per limitare i danni della crisi climatica ed è il limite fissato per i negoziati internazionali. Le attuali politiche climatiche indicano che il pianeta si avvia a un aumento di 2,7° e il sondaggio del Guardian mostra che pochi esperti dell’Ipcc si aspettano che i governi forniscano l’enorme azione necessaria per ridurlo.

Dipak Dasgupta, dell’Energy and Resources Institute di Nuova Delhi, ha dichiarato: “Se il mondo, incredibilmente ricco com’è, sta a guardare e fa poco per affrontare la difficile situazione dei poveri, alla fine perderemo tutti”.

Per tre quarti degli esperti intervistati la politica è frenata da un’indiscutibile mancanza di volontà mentre il 60% vede nelle pressioni delle lobby dell’industria fossile il principale freno al cambiamento.

Circa un quarto degli esperti dell’Ipcc che hanno risposto ha detto di avere creduto che l’aumento della temperatura globale sarebbe stato mantenuto sotto i 2°, ma ha ammesso di avere perso le speranze di raggiungere quel risultato. 

Solo il 25% si dice ottimista

C’è anche un 25% di scienziati che si dicono comunque ottimisti di limitare l’aumento della temperatura a 2 gradi o addirittura meno. Non si tratta di fiducia nella politica ma nella velocità della tecnologia. “Sta diventando sempre più economico salvare il clima”, ha detto Lars Nilsson, dell’Università di Lund in Svezia. Sullo sfondo rimangono i governi come quello italiano, ancora convinti che la protezione del motore termico, delle industrie fossili, dell’eccessivo consumo di carne siano tratti distintivi di un sovranismo al passo dei tempi. 

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Libertà di stampa in Italia: ora si muove il consorzio europeo MFRR

La crescente pressione sulla libertà di stampa in Italia ha spinto il consorzio Media Freedom Rapid Response (MFRR), un meccanismo a livello europeo che traccia, monitora e risponde alle violazioni della libertà di stampa e dei media negli Stati membri dell’UE e nei paesi candidati,  a organizzare una missione urgente a Roma il 16 e 17 maggio.  Il consorzio europeo parla di “un’interferenza politica senza precedenti nei media del servizio pubblico”, sottolineando i crescenti casi di cause vessatorie contro i giornalisti e la possibile vendita dell’agenzia di stampa AGI saranno al centro della visita di due giorni. 

“Alla luce dei recenti sviluppi legislativi sulla libertà di stampa e dei media a livello europeo, – scrive MFRR –  in particolare l’adozione della direttiva anti-SLAPP e della Legge Europea sulla Libertà dei Media (EMFA), questa missione si propone di analizzare il serio peggioramento degli standard per la libertà dei media nel paese, richiamando l’attenzione dei politici italiani ed europei sulle violazioni del quadro legislativo europeo”

La crescente pressione sulla libertà di stampa ha spinto il consorzio Media Freedom Rapid Response (MFRR) a organizzare una missione urgente

Una delegazione era già stata in visita in Italia nel 2022 ma la missione annunciata a Roma per il 16 e il 17 maggio si concentrerà su tre tremi prioritari: la crescente pressione politica sull’emittente pubblica RAI, la vendita dell’agenzia di stampa pubblica AGI e la riforma delle leggi penali sulla diffamazione, alla luce del crescente numero di cause vessatorie che i giornalisti devono affrontare in Italia. La missione sarà guidata dalla Federazione dei Giornalisti europei (EFJ) e da Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa (OBCT), cui si uniranno Article 19 Europe, lo European Centre for Press and Media Freedom (ECPMF) e l’International Press Institute (IPI).

La delegazione MFRR ha richiesto incontri con rappresentanti del Ministero della Giustizia, della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e dell’Autorità per le Telecomunicazioni AGCOM. La delegazione incontrerà anche i parlamentari che hanno partecipato alle discussioni sulla libertà di stampa in Italia. La delegazione europea incontrerà inoltre i rappresentanti di cinque partner locali – Amnesty International Italia, Articolo 21, Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti (CNOG), Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI), Unione Sindacale Giornalisti Rai (USiGRai), nonché giornalisti e altri soggetti interessati per avviare un dialogo sulla condizione attuale dei media italiani.

Il consorzio della Commissione europea parla di “un’interferenza politica senza precedenti nei media del servizio pubblico”

Il progetto MFRR, co-finanziato dalla Commissione europea, fornisce supporto legale, supporto pratico e difesa pubblica per proteggere i giornalisti e gli operatori dei media e promuovere la libertà di stampa. I partner del progetto sono ARTICLE 19 Europe, la Federazione europea dei giornalisti (EFJ), Free Press Unlimited (FPU), il Centro europeo per la libertà di stampa e di media (ECPMF), l’International Press Institute (IPI) e l’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa (OBCT). Fino all’aprile 2022, anche l’Istituto di Informatica Applicata dell’Università di Lipsia era un partner del progetto.  In Italia dall’inizio di quest’anno sono state segnalate 45 violazioni dei diritti dei giornalisti. Si va dal negato di diritto di cronaca, alle querele temerarie fino alla violenza fisica. Fino a qualche mese fa si sarebbe detto che “l’Italia è com l’Ungheria”. Ora il nostro paese è pronto per diventare termine di paragone. 

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Ma i programmi elettorali per le europee?

La legge elettorale per le elezioni europee che si svolgeranno l’8 e il 9 giugno non prevede l’obbligo per i partiti di presentare il programma elettorale. Pagella politica ha pubblicato i programmi presentati finora, mentre la campagna elettorale è già iniziata da un bel pò. Si ritrovano solo i programmi elettorali di Forza Italia-Noi moderati, di Azione, della lista Pace terra dignità di Michele Santoro e della lista Libertà di Cateno De Luca. 

Gli altri partiti politici sono in campagna elettorale senza avere ancora reso pubblico ciò che vogliono fare in Europa. Molti di loro lo pubblicheranno a breve (quelli di Fratelli d’Italia sono incagliati sulla guerra in Ucraina, ad esempio) e molto probabilmente qualcuno ne farà a meno. Secondo il direttore di Pagella politica Giovanni Zagni «forse è meglio così: nella politica italiana si ha la distinta sensazione che gli impegni presi per iscritto, pubblicamente, in modo netto siano da evitare». L’assenza di un programma scritto permette comunque ai partiti di presentare candidati con idee sostanzialmente opposte su alcuni punti cruciali, Le elezioni diventano così un’adesione ideale – più che programmatica – all’una o all’altra parte, con profili sempre già vicini alla tifoseria. 

Queste prime settimane di campagne elettorale hanno offerto un dibattito molto povero sui temi europei, come se le competenze del Parlamento europeo fossero sovrapponibili a quello nazionale. Così la politica diventa, ancora una volta, un’ossessiva carrellata di influencer. 

Buon giovedì. 

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La lite Gruber-Mentana tira più di Ucraina e Gaza

Diceva un vecchio maestro di giornalismo che non c’è niente di più insopportabile dei giornalisti che scrivono dei giornalisti illudendosi che sia una notizia. La strage di lavoratori morti a Casteldaccia è praticamente scomparsa dalle prime pagine dei giornali, ieri ne è morto un altro, cinquantaquattro anni spenti da una caduta dal detto di un capannone.

Lilli Gruber e Enrico Mentana sulla rete televisiva La7 fanno a gara a chi ha l’ego più lungo

Anche l’avanzata di Israele a Rafah, con la consueta macelleria di civili martirizzati in nome di Hamas è diventata una notizia da bisbigliare. Il genocidio a Gaza è un argomento sensibile che fa perdere voti, acquirenti di libri e di canzoni. Meglio starne alla larga. La sofferenza del popolo ucraino invece è uno sfondo su cui passano le giornate, buono solo per lucrare qualche voto dall’una o dall’altra parte. La notizia che invece indisturbata campeggia è quella del litigio tra Lilli Gruber e Enrico Mentana che sulla rete televisiva La7 fanno a gara a chi ha l’ego più lungo.

Lei si è lamentata (giustamente) per avere ricevuto la linea dal telegiornale con un ampio ritardo e ha parlato poco elegantemente di incontinenza. Lui si è preso i meriti degli ascolti suoi e anche di quelli degli altri, minacciando di andarsene con un monologo piantato in mezzo alla finestra che dovrebbe essere dedicata all’informazione. Infine la rete televisiva ieri ha scritto un comunicato che è un capolavoro salomonico. Entrambi i litiganti sono convinti che fosse una dichiarazione di vittoria l’uno sull’altro e la “crisi” si è risolta come in una scena di Amici miei, dove non ci si ricorda più perché si stava litigando. In una crisi drammatica del giornalismo – di libertà, di credibilità, di sostenibilità economica – i giornali hanno scritto dei giornalisti.

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Lega sempre più “pacifista”. Un bel problema per Meloni

Ieri è stato il ministro Matteo Salvini: “invito Macron a tacere. Se Macron pensa alla guerra, si metta l’elmetto, si prenda una fionda e vada lui a combattere”. Per il leader della Lega il pacchetto allo studio del governo del nuovo pacchetto di invio di armi in Ucraina non era “la risposta giusta”. A quel punto il caso politico è stato smorzato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani chiarendo che le armi spedite dall’Italia sarebbero state “solo a scopo difensivo” (per quel poco o niente che significa): “ non diamo materiale che possa essere usato aldilà dei confini, non siamo in guerra con la Russia”. Ha detto il presidente di Forza Italia. 

Eppure l’insofferenza in casa leghista circola da un po’. “Ci preoccupa molto il fatto che si senta parlare solo di armi e che non ci siano iniziative diplomatiche che prevedano l’ipotesi di negoziati”, aveva detto qualche giorno fa il capogruppo leghista in Senato Massimiliano Romeo e l’insofferenza era stata notata da tutti. Oggi il vicesegretario della Lega Andrea Crippa compie un ulteriore passo in avanti e intercettato nei corridoi della Camera dichiara di essere contrario all’invio del Samp-T italiano a Kiev, “uno strumento che non serve più solo a difendere i cittadini ma rischia di essere anche offensivo: questo è uno strumento per fare la guerra alla Russia e noi diciamo no”. Il braccio destro di Salvini – uno dei pochi fedelissimi nella cerchia ristretta del segretario – chiarisce che la Lega è “contro l’invio di altre armi a Kiev e non perché stiamo contro l’Ucraina, ma perché in questo modo non si risolve la guerra che ha provocato così tanti danni ai cittadini, anche in termini economici”. 

Dopo Salvini anche il vicesegretario della Lega Andrea Crippa si dice contrario all’invio di armi in Ucraina

La strategia del leader della Lega è chiara: da aprile i sondaggi dicono che la Lega è il partito più amato dai pacifisti di destra e il segretario ha intenzione di capitalizzare al massimo la posizione fino alle prossime elezioni europee. A questo si aggiungono le posizioni del presidente francese Macron che la Lega non ha mai amato e ora ha l’occasione di utilizzare come pietra angolare per puntare su un messaggio “pacifista” che si opponga all’escalation militare in Ucraina. In più c’è la soddisfazione di creare un forte imbarazzo alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, incastrata dalle promesse fatte in ambito internazionale, che oggi incontra il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg con il fantasma del suo alleato sempre meno credibile nonostante i voti in Parlamento.

Il Parlamento, appunto “è quello che conta”, dicono negli ambienti di Fratelli d’Italia mentre il ministro della Difesa Guido Crosetto lavora sul nono pacchetto di aiuti. E per ora il voto della Lega alla Camera e al Senato non sembra essere in discussione, nonostante alcuni dissidenti – come Claudio Borghi – che potrebbero astenersi per corroborare la narrazione sotto traccia. A Meloni però non basteranno i numeri per evitare l’isolamento in Ue verso le prossime elezioni. Le posizioni filoatlantiste sono la condizione sine qua non per spostare il Partito dei conservatori e dei riformisti europei (di cui Fratelli d’Italia fa parte) nella possibile maggioranza che verrà a Bruxelles. Un Salvini sempre più radicale sulla contrarietà all’invio di armi in Italia e in Europa è un serio problema di tenuta della narrazione meloniana e alla lunga del governo stesso. Nel quartier generale di Fratelli d’Italia si è deciso di non menzionare l’Ucraina nel programma elettorale per le elezioni europee ma come sempre accade non sarà possibile nascondere la diatriba sotto il tappeto troppo a lungo. 

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Dopo le navi il governo mette nel mirino gli aerei

Dopo le navi, gli aerei. Al governo italiano non basta sabotare il salvataggio in mare con una serie di decreti firmati da Piantedosi che puniscono la troppa voglia di non fare annegare la gente. Dopo il sabotaggio delle navi delle Ong che vengono tenute lontano dalle zone critiche del Mediterraneo caracollando per porti improbabili, dopo la raffica di fermi amministrativi ogni volta smentiti dai tribunali, ora l’Ente nazionale dell’aviazione civile (Enac) vieta agli aerei di osservare (per salvare) dall’alto i barchini dei disperati. Se non si vedono è come se non morissero, secondo i satrapi che tomberebbero tutto quel pezzo di mare che non serve ai bagnanti aperitivisti. 

Con una serie di provvedimenti identici (il 3 maggio per gli aeroporti di Lampedusa, Pantelleria, Comiso e Catania Fontanarossa e tre giorni dopo per quelli di Trapani Birgi, Palermo Punta Raisi e Palermo Bocca di Falco) Enac sceglie “l’interdizione all’operatività dei velivoli e delle imbarcazioni delle ong sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale” accusati di “compromettere l’incolumità delle persone migranti” e di sovraccaricare la Guardia costiera italiana nel salvataggio di vite. 

«Un atto vigliacco e cinico di chi usa la criminalizzazione delle ong come strumento di propaganda politica in vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del parlamento europeo», dichiara Sea-Watch che promette: «non fermeremo le operazioni anche a costo di mettere in pericolo i nostri aerei». 

I governanti saranno maledetti dalle 2.755 persone in pericolo a bordo di 47 imbarcazioni avvistate solo nei primi tre mesi del 2024 e dalla storia. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: frame del video da un aereo di Sea-Watch sull’intervento della Guardia costiera libica durante il salvataggio di migranti

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Terremoto in Liguria, parla Antoci (M5S): “Così la gente è spinta a non votare”

“Di fronte a notizie così la gente è spinta a non andare a votare. La cosa grave non è solo il segnale devastante che arriva dalla Liguria, ma anche l’aggravante di convincere i cittadini che non sia possibile modificare questi comportamenti”. È preoccupato Giuseppe Antoci, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi e attuale presidente onorario della fondazione Caponnetto che ha speso una vita a lottare contro la criminalità organizzata e che ora ha accettato la sfida politica da candidato capolista alle Europee nella circoscrizione isole per il Movimento 5 Stelle. “La gente deve andare a votare”, ci dice.

Antoci, che ne pensa dell’arresto (ai domiciliari), tra gli altri, del presidente della Liguria Giovanni Toti?
“Guardi, al di là della presunzione di innocenza che va garantita, Giuseppe Conte ha proposto un patto di legalità a tutti i partiti, perché non applicarlo? Di cosa ci si preoccupa Come per le intercettazioni: mi intercettino pure. Perché preoccuparsi? Il tema non è politico, è morale. C’è l’etica. Quando arriva la magistratura significa che un pezzo di Paese e di politica ha già sbagliato. Bisogna anticipare altrimenti abbiamo già perso. C’è anche una questione di selezione della classe dirigente, sulla quale il M5S prova ad essere attentissimo”.

Nell’inchiesta di Genova irrompe il tema delle mafie. Crede che ora diventerà un tema elettorale o sarà un’occasione persa
“Dobbiamo partire da quanto funzionano in questo Paese le lezioni. Se noi abbiamo situazioni grigie a Bari, a Torino, a Palermo, a Catania, in Liguria, o capiamo che c’è un’emergenza o abbiamo perso l’ennesima occasione. E il fallimento pesa sulle spalle non solo nostre, ma anche di coloro che hanno perso la vita, di chi ha lasciato la migliore normativa antimafia d’Europa e del mondo. In questa indagine in Liguria compaiono cosche mafiose del nisseno, è la solita criminalità organizzata che fa affari. Il reato che coinvolge altri soggetti, non Toti coinvolto per altri gravi reati, è addirittura quello di scambio politico mafioso. La verità è che le persone devono esercitare l’unico diritto forte che hanno, quello del voto. Noi ce la stiamo mettendo tutta per fare capire che stiamo tentando di innescare questo seme che deve diventare germoglio, pianta e soprattutto radici che mantengano, in questo Paese, il terreno dei valori”.

A destra dicono “giustizia a orologeria”…
“Questo è il solito tema. Quindi la magistratura si deve fermare a ogni elezione? Le misure cautelari si eseguono perché ci sono pericoli precisi, tra cui l’inquinamento delle prove. La magistratura non può stare ferma. È sempre il solito tentativo di giustificare tutto, come se ci fosse un piano di azione per attivare precisi percorsi durante le campagne elettorali. Queste invece sono delle lezioni che spero che i cittadini capiscano così come capiscano che per noi le candidature di Scarpinato, Cafiero De Raho e, umilmente, la mia, sono la dimostrazione dell’impegno che il Presidente Conte vuole mettere sul tema della legalità”.

Ma non è pericoloso rivendicare una superiorità morale?
“No perché non la rivendichiamo. Tant’è vero che il patto per la legalità che abbiamo proposto non è interno al nostro partito ma rivolto alla politica italiana. Noi stiamo ponendo un altro tema: sediamoci a un tavolo, chi ci vuole stare ci sta. Non è una questione di percentuali. È proprio il contrario. Vogliamo fare parte di una squadra, la politica, che su certi temi non si può dividere”.

La campagna elettorale però converge più sui grilli nel menu che sulle mafie…
“Io penso che il tema della lotta alla mafia sia una priorità. E lo dico nel mese in cui ci stiamo avvicinando alle commemorazioni di uomini che hanno perso la vita, un elenco in cui nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2016 stavo per finire anch’io e quattro valorosi poliziotti. Se pensiamo di commemorare le vittime delle stragi e nel contempo lanciamo segnali di picconamento delle norme create da quegli uomini diventa pericoloso. Noi al Parlamento europeo vogliamo rendere permanente la Commissione speciale CRIM per investigare sulle mafie. Se la Commissione europea scrive agli Stati e dice ‘sappiamo che ci sono infiltrazioni mafiose nell’agricoltura anche in Slovacchia e in Corsica’, invitando a usare il ‘protocollo Antoci’, così sta dicendo che ci sono emergenze di infiltrazioni mafiose anche negli altri Stati. Quindi mi chiedo: perché la commissione antimafia non è permanente?”.

È preoccupato dalla riforma della giustizia e la compressione di libertà per i giornalisti?
“Molto. Nella riforma della giustizia si propone di creare una corte nominata dalla politica che deve valutare disciplinarmente i magistrati. Prendiamo un baluardo, l’autonomia della magistratura che ci ha invidiato l’Europa e il mondo e mettiamo la politica a giudicare la Giustizia Sul giornalismo io sono preoccupatissimo. Se tu imbavagli quel mondo chi ti racconta che un soggetto pur non compiendo un reato parla con i mafiosi? In un paese civile secondo voi è giusto che i cittadini lo sappiano?”.

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