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Piano Mattei, perché la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa – Lettera43

Dai comunicati stampa sembra che il governo Meloni stia per lanciarsi nella più importante campagna per l’Africa da decenni. Peccato sia propaganda. Perché “gara d’appalto per i respingimenti illegittimi nei confronti dei disperati che cercano ristoro” suonava male. La verità è che i dati del nostro contributo sono nettamente in calo.

Piano Mattei, perché la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa

Leggi le dichiarazioni e i comunicati stampa del cosiddetto Piano Mattei e d’istinto pensi che il governo abbia intenzione di lanciarsi nella più importante campagna per l’Africa da decenni. Certo, le organizzazioni internazionali fanno notare come sotto la coperta della propaganda covino le ceneri dell’ennesima esternalizzazione delle frontiere. L’hanno chiamato Piano Mattei perché “gara d’appalto per i respingimenti illegittimi nei confronti dei disperati che cercano ristoro” non avrebbe lo stesso effetto.

L’Africa dipinta come un ambiente accogliente da cui non fuggire più

A livello di percezione sui giornali è comunque passata l’idea che Giorgia Meloni sia stata promotrice di un’improvvisa beneficenza e anche i suoi non-sostenitori sono convinti che al di là dei fini i mezzi comunque non siano in discussione. Quindi ci si mette a spulciare tra i dati del contributo italiano alla cooperazione per lo sviluppo. Sviluppo, del resto, è la parola magica che restituisce l’idea che l’Africa tra poco possa essere un ambiente talmente accogliente e laborioso da non invogliare più nessuno a partire. Anzi, l’Africa dipinta nelle conferenze stampa del Piano Mattei (rigorosamente senza africani poiché l’ultima volta Moussa Faki Mahamat, il presidente della Commissione dell’Unione africana, ha gelato tutti) sembra un posto meraviglioso: bella e ci vivrei, verrebbe da dire.

Piano Mattei, perché la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa
Riunione della cabina di regia a Palazzo Chigi per il Piano Mattei (Imagoeconomica).

I dati Ocse e di Openpolis inchiodano l’Italia: il nostro aiuto è diminuito

Invece i dati preliminari Ocse relativi al 2023 restituiscono un’immagine poco promettente del contributo italiano alla cooperazione allo sviluppo. Dopo due anni di relativo miglioramento, l’andamento dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) del nostro Paese ha subito un notevole calo: -15,5 per cento. Una inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti. Come sottolineano i dati elaborati da Openpolis il rapporto con il reddito nazionale lordo (Rnl) si è ridotto, scendendo sotto lo 0,30 per cento e segnando quindi un ulteriore allontanamento dall’obiettivo fissato in sede internazionale di raggiungere un rapporto Aps/Rnl pari allo 0,70 per cento entro il 2030, nonostante nel nuovo Def tale obiettivo sia stato riaffermato. Anche in termini assoluti si è verificato un calo, ancora più marcato se consideriamo esclusivamente la componente genuina dell’aiuto. Infatti, la spesa per rifugiati nel Paese donatore (la principale voce dell’aiuto cosiddetto gonfiato) è aumentata del 5,8 per cento circa, mentre l’aiuto bilaterale al netto di tale voce, la parte più importante della cooperazione italiana, è diminuito del 45 per cento.

Piano Mattei, perché la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa
La premier Giorgia Meloni (Imagoeconomica).

Nelle spese per i rifugiati non c’è un effettivo spostamento di risorse

Non è solo questione di africani, così terribilmente neri per piacere al governo. Anche i bianchissimi ucraini secondo i dati preliminari nel 2023 hanno ricevuto 266,5 milioni di dollari, in netta diminuzione rispetto all’anno precedente quando la cifra superava i 360 milioni. A questo si aggiunge che una parte dei soldi dell’Aps fa riferimento al cosiddetto aiuto gonfiato, ossia a un aiuto che viene rendicontato come tale, ma che non comporta un effettivo spostamento di risorse dal Paese donatore, o che non viene alla fine investito in progetti di sviluppo. Rientrano in questa voce per esempio le spese per i rifugiati, che rappresentano più di un quarto della spesa totale. Si tratta delle spese legate all’accoglienza dei rifugiati prima dell’esito della loro domanda di asilo. Soldi che non escono mai dai confini italiani e che molte organizzazioni contestano nella contabilità relativa alla cooperazione allo sviluppo. Come sottolinea Openpolis, in Italia nel 2023 non soltanto è diminuito l’Aps complessivo, in termini assoluti e in rapporto al reddito nazionale lordo, ma al suo interno è diminuito in modo molto più marcato l’aiuto genuino. Mentre l’aiuto gonfiato (qui identificato con la sua principale componente, la spesa per rifugiati nel Paese donatore) è aumentato. Si può concludere quindi che la magnanimità italiana verso i Paesi in via di sviluppo è falsa negli obiettivi ed è falsa perfino nella percezione. Alla faccia di Enrico Mattei.

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L’azienda che guadagna 2 milioni al giorno dai palestinesi in fuga da Gaza verso l’Egitto

C’è una società egiziana di un imprenditore molto vicino al presidente Abdel Fattah al-Sisi che guadagna 2 milioni di euro al giorno sui palestinesi che fuggono dai bombardamenti di Gaza. A rivelarlo è un’inchiesta di Middle East Eye firmata dal “corrispondente MME”, il titolo solitamente utilizzato dai giornalisti che lavorano in regioni pericolose dove per ragioni di sicurezza è impossibile rivelare la propria identità. 

Dietro un lauto pagamento offre un passaggio ai palestinesi che attraversano la frontiera da Gaza a Rafah verso l’Egitto

Hala Consulting and Tourism Services è un’azienda di proprietà del leader tribale del Sinai e magnate Ibrahim al-Organi (nella foto a sx di al-Sisi), che offre dietro un lauto pagamento il passaggio ai palestinesi che attraversano la frontiera da Gaza a Rafah verso l’Egitto. I prezzi sono di 5.000 dollari per adulto e 2.500 dollari per i bambini sotto i 16 anni. Middle East Eye Hala scrive che Consulting and Tourism Services ha il monopolio della fornitura di servizi di trasferimento al valico di Rafah, l’unica uscita di Gaza non confinante con Israele e l’unica via di uscita dall’enclave costiera per i palestinesi. Solo negli ultimi tre mesi, si stima che la compagnia abbia guadagnato almeno 118 milioni di dollari, pari a 5,6 miliardi di sterline egiziane, dai palestinesi disperati che cercano di lasciare Gaza devastata dalla guerra

L’indagine di Middle East Eye rivela che Hala Consulting and Tourism Services è vicina al presidente egiziano al-Sisi

Nonostante l’attenzione dei media internazionali che già nei mesi scorsi avessero già puntato Hala Consulting l’azienda ha raddoppiato i suoi profitti nel mese di aprile, con una media di tariffe giornaliere che ha superato i 2 milioni di dollari. L’analisi di MEE della lista dei viaggiatori pubblicata online da Hala rivela che il mese scorso la compagnia potrebbe aver guadagnato almeno 58 milioni di dollari da circa 10.136 adulti e 2.910 bambini che hanno attraversato il confine attraverso la sua “lista VIP”. Si stima che ad aprile gli incassi dell’agenzia siano raddoppiati rispetto al mese precedente. 

Prima della guerra, Hala faceva pagare a tutti coloro che uscivano da Gaza attraverso il valico di Rafah 350 dollari a persona, ma da allora il prezzo è aumentato di circa 14 volte. Sulla base delle liste di viaggiatori pubblicate dal 2 febbraio, MEE può rivelare che i profitti di Hala dai palestinesi potrebbero essere stati di almeno 21 milioni di dollari a febbraio, 38,5 milioni di dollari a marzo e 58 milioni di dollari ad aprile. Il conteggio si basa su 23 liste pubblicate a febbraio, 30 a marzo e 30 ad aprile.

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I politici sono la principale minaccia per la libertà di stampa in Europa

La principale minaccia per la libertà di stampa in Europa I politici. Nel report World Press Freedom Index 2024 pubblicato oggi da Reporters Sans Frontières (Rsf) un terzo degli stati membri dell’Unione europea sono definiti “problematici” e anche gli stati “buoni” o “soddisfacenti” vedono calare sensibilmente il proprio punteggio. 

Nel report World Press Freedom Index 2024 sulla libertà di stampa l’Italia di Meloni scivola al 46° posto

Il rapporto, che ha esaminato la libertà dei media e i diritti giornalistici in tutto il mondo, ha rilevato che in Europa, “i politici stanno cercando di ridurre lo spazio per il giornalismo indipendente”. Tra i leader che già comprimono la libertà di stampa vengono citati “il primo ministro filo-Cremlino ungherese Viktor Orban e il suo omologo in Slovacchia, Robert Fico“, così come “i partiti di governo in Ungheria (67°), Malta (73°) e Grecia (88°), i tre paesi peggio classificati dell’UE”.

La Grecia ha conquistato l’ultimo posto nell’Unione europea per il terzo anno consecutivo a causa di diversi fattori, tra cui gli omicidi irrisolti di due giornalisti, Sokratis Giolias e Giorgos Karaivaz, nonché scandali di spyware e attacchi politici ai media non allineati al governo. Anche l’Italia, governata da Giorgia Meloni, si distingue in negativo, scendendo di cinque posti al 46° posto. Tra le criticità segnalate del nostro Paese c’è “un membro della coalizione parlamentare al potere” che “cercava di acquisire la seconda più grande agenzia di stampa (AGI)”.

Sotto accusa anche il caso Agi

Una situazione che quindi inevitabilmente peggiorerà visto che la vendita di Agi al Gruppo Angelucci viene data ormai per certa e sarà comunicata nei prossimi mesi estivi, quando saranno passate le elezioni europee e quando il clima vacanziero favorirà la distrazione.  Il report ammonisce anche la Francia e il Regno Unito, chiedendo “attenzione” sull’arresto della giornalista francese Ariana Lavrilleux da parte delle autorità francesi e sulla continua detenzione di Julian Assange da parte delle autorità britanniche. 

Rsf nel report sottolinea anche la mancanza di protezione per i giornalisti impegnati a Gaza

Con l’avvicinarsi delle elezioni europee RSF come “gli Stati e altre forze politiche stanno abbandonando il proprio ruolo nella protezione della libertà di stampa. “Questa disattenzione a volte va di pari passo con azioni più ostili che minano il ruolo dei giornalisti o addirittura strumentalizzano i media attraverso campagne di attacchi o disinformazione”, ha spiegato Anne Bocande, direttore editoriale di Rsf. Rsf ha anche sottolineato la mancanza di protezione per i giornalisti nella guerra a Gaza, notando più di 100 giornalisti palestinesi uccisi dalle Forze di Difesa israeliane.

Una manciata di paesi ha registrato invece un miglioramento, tra cui la Polonia, che ha aumentato dieci posti al 47° posto e la Bulgaria, che è aumentato di 12 posti al 59° posto. Questo, secondo il rapporto, “grazie a nuovi governi con maggiore preoccupazione per il diritto all’informazione”. Per quanto riguarda gli aspiranti dell’UE, l’Albania – fedele alleata di Giorgia Meloni – è scesa al 99° posto, un calo di tre posizioni e 3,76 punti, principalmente a causa dell’omicidio di una guardia di sicurezza della stazione televisiva, Pal Kola, nel marzo 2023, che è ancora irrisolto. Mentre “in Serbia, il partito di governo e gli sbocchi filogovernativi hanno intensificato gli attacchi al giornalismo indipendente. Nel contesto delle tensioni con la Serbia, i giornalisti in Kosovo hanno subito numerose aggressioni fisiche”, scrive il rapporto.

Per la direttrice di Rsf, Anja Osterhaus “il crescente livello di violenza contro i professionisti dei media che riferiscono sulle elezioni si sta sviluppando spaventosamente. Gli autocrati, i gruppi di interesse e i nemici della democrazia vogliono impedire con tutti i mezzi la cronaca indipendente. I governi democratici devono fare di più per proteggere i professionisti dei media”. 

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Scontri con gli studenti pro Gaza in Usa e la protesta si allarga

Un’operazione in stila militare ieri ha sgomberato una tendopoli di studenti in California impegnati in una protesta pro gaza dove forze dell’ordine in assetto anti-sommossa hanno sgomberato una tendopoli a Ucla e arrestato oltre 130 persone, usando anche – secondo la Cnn – proiettili di gomma. Centinaia di agenti del Lapd, dello Sheriff’s department e della polizia stradale si sono mossi contro gli studenti e altre centinaia di persone che avevano risposto all’appello lanciato dai manifestanti sui social. 

“Gli americani hanno il diritto di protestare, non di creare il caos”, ha detto il presidente Joe Biden volendo “fare chiarezza” in un momento in cui “c’è sempre qualcuno che corre per mettere a segno punti politici”. Il riferimento nemmeno troppo velato è al suo avversario Donald Trump che ha agitato il solito allarme di “estremisti e agitatori di estrema sinistra”. 

“Questo non è il momento per la politica e dunque voglio essere chiaro: le proteste violente non sono protette. Lo sono le proteste pacifiche”, ha detto Biden nel messaggio teletrasmesso. “Il vandalismo, il rompere vetrate, chiudere i campus e costringere a cancellare le classi non è protesta pacifica, così come non lo è minacciare o intimidire le persone” ha proseguito il presidente sottolineando che “il dissenso è essenziale per la democrazia, ma non deve mai portare al disordine”: l’America “non è un Paese autoritario, ma non neanche un Paese senza leggi, l’ordine deve prevalere”.

Sgomberati gli studenti a Ucla. Feriti anche per un’incursione violenta di filo israeliani

Il rapporto della ong Armed Conflict Location and Event Data Project disegna però uno scenario piuttosto diverso dalla narrazione che va per la maggiore: il 99% delle proteste nei campus sono state finora pacifiche. Gli arresti dall’inizio delle proteste sarebbero 1.300 gli arresti totali dall’inizio della crisi, stima il New York Times, con più di 300 fermati tra Columbia e City College, ma anche nel campus di Manhattan di Fordham, un ateneo gesuita, per passare poi a Dallas, Dartmouth in New Hampshire e Tulane a New Orleans. 

Ma a Ucla le violenze sono arrivate anche da studenti filo israeliani che nella notte di mercoledì hanno assalito il campo con lancio di petardi e fuochi d’artificio contro i ragazzi. Decine di persone si sono lanciate contro le barriere cercando di sfondare il perimetro difeso dagli studenti chesono stati colpiti da mazze e spranghe di ferro, presi a calci e pugni dovendo ricorrere alle cure mediche ospedaliere. “Se fossi stato a Gaza nessuno avrebbe potuto medicarmi”, ha detto Yusef, uno di loro, che ha ricevuto 12 punti in testa. Il rettore di Ucla, Gene Block, ha parlato di “istigatori” e definito “inaccettabile” l’attacco all’accampamento, mentre l’ufficio del governatore Newson ha criticato come “in ritardo” e “limitato” l’intervento della polizia che ha assistito alla scena senza intervenire nonostante le numerose chiamate al 911. 

Negli Usa i i sondaggi rivelano una novità storica: la maggioranza di cittadini Usa per la prima volta criticano l’operato di Israele

Intanto le proteste si allargano in tutta Europa. A Parigi è tornata la tensione dopo il fallimento di un incontro a Sciences Po mentre la Sorbona è stata evacuata. Cresce la preoccupazione anche per la prossima edizione dell’Eurovision in Svezia. Anche la Farnesina invita alla cautela gli italiani che parteciperanno come pubblico alla manifestazione musicale mentre lo Stato di Israele ha alzato l’allerta per i cittadini che si recheranno nella città svedese. 

Ieri il presidente Usa Biden ha risposto con uno stentare “no” a chi gli chiedeva se le manifestazioni studentesche inducessero a un cambio di rotta sulla politica americana in merito al conflitto a Gaza. Ma tutti i sondaggi rivelano una novità storica: la maggioranza di cittadini Usa per la prima volta criticano l’operato di Israele.

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Buon primo maggio il giorno dopo

Il 2 maggio, appena passato il primo maggio riempito di festa e di promesse, le solite, sono morti tre lavoratori, in Campania in un perimetro di 40 chilometri, e in Sicilia.

A nord di Napoli, a Lettere, un operaio di 57 anni è precipitato dal terzo piano di un palazzo dove si stava allestendo un cantiere edile. L’incidente è avvenuto in tarda mattinata, in via Depugliano. A Casalnuovo, a nord di Napoli, un operaio 60enne ha perso la vita in un cantiere in viale dei Tigli. Si chiamavano Raffaele Manzo e Vincenzo Coppola. La terza morte sul lavoro in un cantiere edile a Floridia, nel Siracusano: vittima un 59enne, operaio della ditta che si stava occupando dei lavori sul tetto della casa. Si è verificato un cedimento e l’uomo è caduto ed è stato poi stato travolto dal materiale.

Il primo maggio Mario Mondello, 64 anni, è morto cadendo in un laghetto artificiale con il suo trattore che si è ribaltato. Ad aprile sono morti 103 lavoratori, 83 sul luogo del lavoro e 20 in itinere, per una media di 3,4 al giorno. Siamo a 363 dall’inizio dell’anno, con una media di 3 al giorno. 

Mentre tutto questo accade l’Inail e il governo esultano per «il calo delle morti bianche». Perché? Inail scrive che “le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto entro il terzo mese del 2024 sono state 145.130 (+0,4% rispetto a marzo 2023), 191 delle quali con esito mortale (-2,6%) rispetto alle 196 registrate nel primo trimestre 2023”. Ma poi si legge di “un incremento dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati da 148 a 151, e un calo di quelli in itinere, da 48 a 40”. Come al solito ci si capisce poco. Da tempo si chiede che i dati dei lavoratori siano forniti con il tipo di contratto in essere nel momento del decesso. La risposta è sempre silenzio. 

Buon venerdì. 

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Le euromafie spadroneggiano. Ma sono sparite dall’agenda Ue

Le organizzazioni mafiose italiane sono sempre più globali e presenti in Europa. Secondo il Serious and Organised Crime Threat Assessment (SOCTA) di Europol, il 70% dei gruppi criminali che operano nell’Unione Europea sono attivi in più di tre Paesi dell’Unione Europea e il 65% di essi è composto da membri di più nazionalità. Nonostante il quadro assolutamente preoccupante che emerge anche dalle recenti inchieste il pericolo mortale di questa diffusione endemica viene sottovalutato sia dalle istituzioni europee sia dai diversi governi nazionali.

Le mafie sono un pericolo per l’economia, la politica, la società e in definitiva per la tenuta delle democrazie europee

Le mafie sono un pericolo per l’economia, la politica, la società e in definitiva per la tenuta delle democrazie europee. Non sono oramai più da decenni solo un problema italiano. Eppure non sono al centro dell’agenda politica europea. Le organizzazioni mafiose sono solo un pezzo di un sistema criminale organizzato più vasto, che sfrutta la scarsa trasparenza del sistema economico-finanziario e la corruzione a livello politico per indebolire i sistemi democratici europei, soprattutto a livello locale. 

Per questi motivi i ragazze e ragazzi di WikiMafia chiedono ai candidati di impegnarsi su quattro punti: l’istituzione Commissione parlamentare Antimafia Europea permanente, sollecitare l’approvazione di un pacchetto di norme antimafia europee, diffondere cultura e consapevolezza antimafia, anche tra i colleghi di altri stati membri e trasparenza su chi finanzia la campagna elettorale pubblicando in una sezione “trasparenza” ad hoc del  loro sito elettorale la lista dei contributi superiori ai 500 euro ricevuti da privati, enti del terzo settore e imprese. Occhio a chi non risponde. .

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Per 34 volte la maggioranza è stata “salvata” dall’opposizione

Per 34 volte la maggioranza di governo è stata “salvata” da voti di esponente dell’opposizione che sono stati stampella del governo. Openpolis ha preso in considerazione 34 i voti finali, tra i 49 presi in esame, in cui almeno un esponente dell’opposizione ha votato a favore di un provvedimento della maggioranza sottolineando come in 3 occasioni li esponenti dell’opposizione che hanno votato a favore sono stati ben 12. Si tratta della legge a favore delle persone anziane, della conversione del decreto legge in materia di strumenti finanziari e della conversione del decreto legge finalizzato al potenziamento della ricostruzione nei territori del centro Italia colpiti dai terremoti del 2009 e del 2016. 

La maggioranza dall’inizio della legislatura ha rischiato più volte di essere battuta

In altri casi invece i voti dell’opposizione avrebbero potuto essere decisivi. Tra questi Openpolis cita il voto sul divieto di produzione di carne coltivata (approvata con 159 voti favorevoli, inclusi 4 provenienti dall’opposizione), quello sulla legge contro il deturpamento dei beni culturali pensata per perseguire i manifestanti per la lotta al cambiamento climatico (138 voti favorevoli), quello sulla ratifica dell’accordo Italia-Albania in materia di immigrazione (155 favorevoli) e quello riguardante l’istituzione della commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid (132) che ha visto, tra gli altri, i voti favorevoli degli esponenti di Italia viva. 

Molti provvedimenti sono stati approvati con un numero di voti piuttosto basso

Al senato invece la “soglia di sicurezza” per la maggioranza rispetto ai potenziali contrari è di 87 voti. Anche in questo caso non è stato sempre necessario superare questo valore per approvare un Ddl. È però interessante osservare che rispetto a Montecitorio in questo caso le situazioni a rischio sono state molte meno: 29 in totale. L’opposizione avrebbe potuto influire neil voto sulla legge di conversione del decreto flussi migratori (approvato con 84 voti favorevoli), quello sul Ddl in tema di deturpamento di beni culturali (85), quello sulla conversione del decreto legge sulla governance del cosiddetto Piano Mattei (85) e infine il voto sulla recente riforma in materia di voto in condotta per gli studenti (74). Quest’ultima è tra l’altro la norma approvata con il più basso numero di voti favorevoli dall’inizio della legislatura. 

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Europee, la vera sostituzione etnica è nelle liste elettorali

Le elezioni europee? Un generale con un’ossessione per le diversità, un ex sottosegretario alla cultura invischiato in brutte storie di quadri scomparsi e costretto alle dimissioni dalla stessa leader che ora lo infila in lista, un leader di partito che se n’è andato da Bruxelles per andare in Senato candidandosi a Roma per poi dimettersi e che ora si ricandida per Bruxelles ma non ci andrà, una capa di governo capolista per marketing, un ex presidente del Consiglio che viola il patto con i suoi alleati e si infila in lista all’ultimo secondo all’ultimo posto perché così si nota di più: l’unica vera sostituzione etnica in Italia non arriva dai barconi sul mare ma dalle liste elettorali per le prossime elezioni europee. Le candidature dei partiti italiani assomigliano molto poco al Paese che siamo, ma dicono di una società politica che rappresenta sé stessa, i suoi tic, le sue sofferenze elettorali. 

I tre candidati capolista dappertutto alle elezioni europee sono la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il leader di azione Carlo Calenda e il fumantino Cateno De Luca (con il suo Sud chiama Nord). La leader di Fratelli d’Italia rinuncia al marchio del suo cognome Meloni (per cui aveva pensato a candidare la sorella Arianna) e punta tutto sull’essere “Giorgia” amica del popolo. L’onnipresenza in tutte le circoscrizioni ribadisce ciò che si sa da tempo: Fratelli d’Italia ha un serio problema di classe dirigente e la sfiducia di Meloni acuisce il problema. Nelle liste dei meloniani non manca comunque il familismo. Sfumata Arianna Meloni si è trovato un posto per il nipote del ministro Guido Crosetto eletto tre anni fa consigliere comunale a Torino con una campagna elettorale che puntava sul celebre cognome scritto a caratteri cubitali senza bisogno né del nome né di una foto. Giovanni Crosetto racconta che il celebre zio gli dà “importanti consigli”, oltre al cognome. Sarà. Meloni ha trovato un posto anche per il fratello del ministro Ciriani, sindaco di Pordenone. Nella grande famiglia di Fratelli d’Italia corre anche l’ex sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi. Era il 9 febbraio quando Meloni lo convinse alla dimissioni mentre infuriava la polemica su un dipinto scomparso da una villa e ricomparso nella collezione personale dell’ex sottosegretario e dopo la bacchettata dell’Antitrust che aveva definito “incompatibili” le attività del critico d’arte. Tre mesi dopo Sgarbi, inopportuno per un posto nel governo, viene ritenuto potabile per un seggio a Bruxelles. 

Le candidature dei partiti italiani assomigliano molto poco al Paese che siamo ma dicono di una società politica che rappresenta sé stessa, i suoi tic, le sue sofferenze elettorali

A proposito di personalismi: il leader di Azione Calenda lascia solo il Nord-ovest alla compagna di partito ed ex ministra Elena Bonetti. Anche il presidente di Forza Italia Antonio Tajani  e il leader di Italia viva si candidano in 4 circoscrizioni delle 5 disponibili. La segretaria del Pd Elly Schlein e la leader di +Europa sono candidate in 2 circoscrizioni. Leaderismo anche nei simboli, ovviamente. I nomi di Meloni, Calenda e De Luca campeggiano nei propri simboli elettorali. Il nome Bonino fa capolino nel contrassegno di Stati uniti d’Europa che tiene insieme +Europa e Italia viva. Forza Italia neanche per queste elezioni europee riesce a rinunciare al nome di Silvio Berlusconi, con l’effetto di una lunga seduta spiritica. 

Vorrebbe essere “società civile” il generale dell’esercito Roberto Vannacci candidato nella Lega di Salvini. La tentata mostrificazione del militare xenofobo è riuscita nella mirabile impresa di elevarlo a simbolo. Alla sua prima uscita ufficiale del duo Vannacci-Salvini due giorni fa a Roma mancavano quasi tutti i dirigenti della Lega. Quanto Vannacci possa rappresentare  il Paese è tutto da capire, viste le prese di distanze dei suoi stessi compagni di partito e l’indignazione di gran parte dei cittadini.

Sono di un’altra “società civile” le proposte che si ritrovano nelle altre liste. Nel Pd spazio ai giornalisti Marco Tarquinio e Lucia Annunziata insieme a Cecilia Strada e anche qui le posizioni (considerate troppo pacifiste) dei candidati esterni agitano il partito. I civici scelti da Giuseppe Conte e dalle primarie interne per il Movimento 5 stelle sono il direttore (uscente e dimissionario) de La Notizia Gaetano Pedullà, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, l’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico e l’ex capitana della nazionale femminile di calcio Carolina Morace. Alleanza Verdi Sinistra punta sull’insegnante Ilaria Salis incarcerata in Ungheria e sui ritorni dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino e del sempiterno Leoluca Orlando. Alessandro Cecchi Paone ha scelto di candidarsi con Stati Uniti d’Europa, il capitano Ultimo la lista di Cateno De Luca mentre la lista pacifista di Santoro (sempre che venga ammessa) punta sull’attore Paolo Rossi e sullo scrittore Nicolai Lilin. 

Le cosiddette candidature “civiche” agitano Lega e Pd

Nel Partito democratico fa discutere anche la quinta candidatura consecutiva di Patrizia Toia, all’Europarlamento ininterrottamente dal 2004. “Ci sarò con l’energia e la convinzione che avete visto negli anni”, ha scritto Toia sul suo profilo Facebook. La deroga è stata votata “con la regola del silenzio assenso” in una votazione lampo convocata solo un paio d’ore prima. E a proposito di politici di lungo corso nella lista Stati Uniti d’Europa spicca il nome di Sandra Mastella, moglie del sempreverde Clemente. Sandra di cognome farebbe Lonardo ma di questi tempi conviene usare il cognome più comodo, con buona pace delle battaglie femministe. Tra i partiti che non hanno raccolto le firme per presentarsi alle elezioni c’è la strana coppia Alemanno-Rizzo, Alternativa popolare del sindaco di Terni Bandecchi, Forza Nuova, i Pirati e il Partito Animalista-Italexit che fu di Paragone. Quanto le liste possano assomigliare al Paese lo sceglieranno gli elettori l’8 e il 9 giugno. 

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Com’è andato il G7? Male

Che il G7 dei ministri dell’ambiente e dell’energia a guida italiana si sarebbe concluso in un poco quasi nulla era prevedibile osservando il poco peso dato al vertice dai membri del governo e dalla stampa più filogovernativa. Discutere di cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquinamento coordinati dal governo italiano che rasenta il negazionismo sui tre temi ha portato a licenziare un documento che pare un tema di buone intenzioni scritto alle scuole secondarie. 

L’ipocrisia è offensiva: nel documento di 35 pagine si riconosce il ruolo essenziale della società civile, in particolare dei gruppi vulnerabili e marginalizzati, dei lavoratori, dei sindacati e dei giovani, e che metteranno al centro dei loro sforzi per affrontare la tripla crisi e la transizione energetica, l’equità di genere e per la comunità Lgbtqia+. 

Quel grado e mezzo che dovrebbe essere l’obiettivo per tutti è tradito proprio dai paesi del G7 convenuti in Italia. L’impegno di ridurre le emissioni del 40-42%, al 2030 rispetto al 2019 si limiterà – se tutto va bene – 19-33% delle emissioni dove servirebbe almeno un 58%. Che per la prima volta si inserisca una data d’uscita dal carbone (nel 2035) serve a poco se si insiste a non voler mettere mano all’uscita dal gas e dal petrolio. Lo sforzo di trovare una definizione condivisa di sussidi inefficaci alle fonti fossili invece di programmarne l’eliminazione indica la chiara volontà di transitare il meno possibile in una transizione energetica più declamata che praticata. Va così.

Buon giovedì? 

Venaria Reale, Italy. People protest against the inaction of G7 climate ministers. Credit: M.BARIONA

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La dignità a tempo determinato

Diceva Enrico Berlinguer che il Primo maggio fosse l’unica festa civile capace di spingere gli uomini “a uscire dai loro tenaci particolarismi” per “rinnovare l’impegno di fare del lavoro il fondamento della dignità umana, la pietra di paragone di una reale giustizia, la condizione per una libertà vera, che è liberazione dal bisogno, dallo sfruttamento, dall’oppressione”.

Qualche decennio dopo Berlinguer è stato usato come clava alla kermesse di Fratelli d’Italia. La seconda carica dello Stato, Ignazio Maria Benito La Russa, ha strumentalizzato un applauso dedicato all’ex segretario del Pci mentre poco prima la sua capa Giorgia Meloni sventolava ancora il fantasma del comunismo. Il lavoro come fondamento della dignità umana si è spento di fronte ai numeri impietosi dell’Italia come ultimo Paese in Europa, dove i salari negli anni sono scesi mentre tutto intorno aumentavano. Il lavoro come pietra di paragone di una reale giustizia invece sta sotto un lenzuolo bianco insieme ai morti di lavoro che rimangono impuniti.

Nel loro caso la giustizia si impiglia nella catena di appalti e subappalti che tesse un tela mortale. Il lavoro come condizione per una libertà vera che è liberazione del bisogno è stato tradito dalla precarizzazione. Una libertà precaria o a tempo determinato non è libertà. È un respiro per trovare appena le forze per trascinarsi fino al prossimo tonfo, la prossima crisi aziendale, la prossima cassa integrazione (vera o fittizia). La liberazione dello sfruttamento invece riposa in pace con la bocciatura del salario minimo che avrebbe segnato il limite dell’indecenza.

Con i primi soli cominceranno a seccarsi nei campi i lavoratori per qualche spicciolo all’ora, ricominceranno le lagne degli imprenditori che lamentano la mancata inclinazione allo schiavismo di questa o di quella generazione. Il senso del lavoro in questo primo maggio 2024 sta in quei sette bonus decisi dal governo e nella mancetta da 100 euro che arriverà l’anno prossimo ma è stata annunciata in tempo per la prossima corsa elettorale. Il lavoro come concessione, quel che basta, e se fai il bravo una carota come premio. Al massimo l’ottavo bonus sarà un bel funerale pagato dallo Stato.

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