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L’unica cosa che sicuramente non funziona nel Pd

Se c’è una cosa di cui il Partito democratico può andare fiero è la sua costante, perfino faticosa, pluralità. All’interno dei dem – piaccia o meno – convivono anime spesso distanti tra loro, talvolta in conflitto, che rendono difficile la gestione del partito ma che allargano la platea degli elettori. Non c’è in Italia un altro partito che si prenda la briga di legittimare le diverse posizioni al suo interno, anche pagando lo scotto delle guerre tra correnti che gli avversari usano come sinonimo di disunità e debolezza.

Il pluralismo è il marchio originale del Pd, la ragione fondante della sua creazione, la più grande differenza rispetto alle forze politiche italiane: un partito che negli anni è stato guidato da segreterie differenti, a prima vista addirittura inconciliabili. Proprio per questo i dem sono visti come un’istituzione più solida delle leadership passeggere, alla stregua degli storici partiti in giro per il mondo.

Con la sua segreteria Elly Schlein ha promesso di instillare una linea politica diversa dai segretari che l’hanno preceduta. È un compito arduo perché guidare la “macchina” Pd significa mettere le mani su fili che appartengono a potentati divenuti nel tempo vere e proprie incrostazioni. Il confine tra l’instillare e l’imporre però è un passaggio stretto: manutenere il senso di comunità – seppure nuova – rinnovandone la classe dirigente e la missione è una passeggiata in una cristalleria. Non ci sono ricette facili per riuscirci. Sicuramente c’è la ricetta sbagliata già vista: personalizzare il percorso. Anche solo con un nome nel simbolo. 

Buon lunedì.

 Elly Schlein (foto Wikipedia © European Union, 2024)

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Il banchetto delle guerre: nel 2023 spesi 2.440 miliardi di dollari

Le spese militari a livello globale hanno raggiunto il livello record di 2.440 miliardi di dollari nel 2023. Sono i dati del rapporto dell’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri), secondo cui l’incremento delle spese del 6,8 per cento su base annua è il dato più alto dal 2009, spingendo la cifra al livello più alto mai registrata dal Sipri nei suoi sessanta anni di storia.

Le spese militari a livello globale hanno raggiunto il livello record di 2.440 miliardi di dollari nel 2023

Per la prima volta gli analisti del centro studi hanno registrato un aumento delle spese militari in tutte e cinque le regioni geografiche: Africa, Europa, Medio Oriente, Asia e Oceania e Americhe. I due Paesi ad aver speso di più sono Stati Uniti e Cina che rappresentano, rispettivamente, il 37 e il 12 per cento della quota complessiva – metà della spesa globale – con aumenti del 2,3 e del 6 per cento rispetto all’anno precedente. Il governo degli Stati Uniti ha speso il 9,4 per cento in più in “ricerca, sviluppo, test e valutazione” rispetto al 2022, nel tentativo di tutelare il primato del Paese nell’ambito della tecnologia militare. La Cina, invece, ha stanziato una quota di 296 miliardi di dollari nel 2023 per le spese militari, un dato che conferma una tendenza in atto nella prima potenza asiatica da 29 anni a questa parte.

Sipri registra il dato più alto in sessant’anni di storia. Usa e Cina sono i Paesi che spendono di più.

A seguire ci sono Russia, India, Arabia Saudita e Regno Unito, con un aumento del 7,9 per cento su base annua. La spesa militare della Russia nel 2023, dopo un anno di guerra su vasta scala con l’Ucraina, è stata superiore del 24 per cento rispetto al 2022 e del 57 per cento rispetto al 2014, quando la Russia assunse il controllo della Crimea. Con una spesa pari al 5,9 per cento del Pil, equivalente al 16 per cento della spesa totale del governo russo, il 2023 ha segnato i livelli più alti registrati dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. In un contesto di crescenti tensioni con Cina e Pakistan, la spesa indiana per la Difesa è aumentata del 4,2 per cento rispetto al 2022 e del 44 per cento rispetto al 2014, riflettendo un aumento del personale e dei costi operativi. L’aumento della spesa dell’Arabia Saudita è stato del 4,3 per cento, pari a circa 75,8 miliardi di dollari, equivalenti al 7,1 per cento del Pil: secondo il Sipri questo dato è stato alimentato dall’aumento della domanda di petrolio non russo e dal rincaro dei prezzi del petrolio dopo l’invasione dell’Ucraina.

La spesa militare di Israele, seconda dietro l’Arabia Saudita nella regione del Medio Oriente, è cresciuta del 24 per cento raggiungendo i 27,5 miliardi di dollari, trainata principalmente dall’offensiva a Gaza. L’Iran è stato il quarto Paese per spesa militare in Medio Oriente, ma con una crescita marginale (+0,6 per cento), che ha portato il totale a 10,3 miliardi di dollari. Nel 2023 l’Ucraina è diventata l’ottavo Paese per spesa militare a livello mondiale, con un aumento annuo del 51 per cento che ha portato il Paese invaso dalla Russia a raggiungere una quota di 64,8 miliardi di dollari, cifra comunque equivalente solo al 59 per cento della spesa militare russa dello scorso anno. Il più marcato aumento in termini percentuali della spesa militare nel 2023 è stato registrato dalla Repubblica Democratica del Congo (+105 per cento), seguita dal Sud Sudan (+78 per cento).

La spesa militare italiana complessiva “diretta” per il 2024 sarà di circa 28,1 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1400 milioni

Rete pace e disarmo sottolinea come complessivamente la spesa militare europea nel 2023 è aumentata del 16%: il più grande incremento annuale nella regione nel periodo successivo alla Guerra Fredda. La spesa in Europa centrale e occidentale è aumentata del 10%, mentre in Europa orientale del 31% soprattutto a causa del conflitto in corso tra Ucraina e Russia. La spesa totale di tutti i 31 Stati membri della NATO nel 2023 si è attestata su 1.341 miliardi di dollari pari al 55% del totale.

Il Sipri evidenzia un calo di oltre il 5% nella spesa militare italiana che non appare invece nelle cifre di Bilancio ufficiali e che probabilmente deriva da trasformazioni relative al cambio di valuta e all’inflazione. “È vero che il cambio di Governo a fine, con l’avvento dell’Esecutivo Meloni, ha forse impedito il concretizzarsi di alcune decisioni di aumento. – scrive Rete pace e disarmo – Ma è altrettanto vero che le stime per il 2024 (sempre tratte dai Bilanci ufficiali dello Stato) già raccontano di un balzo simile a quello in corso in tutto il mondo: la spesa militare italiana complessiva “diretta” per il 2024 sarà di circa 28,1 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1400 milioni rispetto alle medesime valutazioni effettuate sul 2023″. Una crescita derivante soprattutto dagli investimenti in nuovi sistemi d’arma: sommando i fondi della Difesa destinati a tale scopo con quelli di altri Dicasteri nel 2024 per la prima volta l’Italia destinerà una cifra di circa 10 miliardi di euro agli investimenti sugli armamenti.

 

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Ben svegliati

Ben svegliati. C’è voluta la coraggiosa presa di posizione Serena Bortone, conduttrice della trasmissione “Che sarà” su Rai 3, per avere l’ennesima conferma che questo governo sia fascista per tradizione, nei modi e nell’individuazione dei nemici. 

La Rai è solo una dei tanti esecutori di un mandante politico che vigliacchi e stolti insistono nel dipingere come destra liberale

La censura nei confronti di Antonio Scurati ha la stessa cifra del boicottaggio nei confronti di Roberto Saviano, del trattamento riservato a due uomini di lettere come Marino Sinibaldi e Nicola Lagioia, in quella stessa trasmissione è stata censurata (con molto meno rumore, purtroppo per noi) anche la scrittrice Nadia Terranova, lo stesso violento attacco personale l’ha subito la scrittrice Valentina Mira.

È la stessa violazione di libertà di espressione che sta nelle decine di querele di esponenti della maggioranza di governo nei confronti di quotidiani come Domani. Personalmente a La Notizia ho ricevuto negli ultimi 12 mesi più della somma delle querele governative ricevute in 30 anni di scrittura. 

È la stessa bile nera che ha bollito Michela Murgia fino ai suoi ultimi giorni di vita. È lo stesso spirito nero che nel 2023 ha prodotto una circolare rivolta ai Centri di cultura italiana in cui comparivano i nomi degli intellettuali da non invitare. La radice è sempre la stessa.

Non è stata la Rai a censurare Scurati, crederlo è da ingenui. La Rai è solo una dei tanti esecutori di un mandante politico che vigliacchi e stolti insistono nel dipingere come destra liberale. I leghisti tra di loro chiamano i meloniani “fascisti”. Qui fuori ancora si scrive del presidente (chiamandolo al maschile) di un governo di centrodestra. Forse è giunto il tempo di svegliarsi, anche per i comodi che convinti che non toccherà mai a loro. 

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Riparte la gara a scaricare Draghi salvatore Ue. Almeno fino alle elezioni

La bolla Draghi, per ora, si è sgonfiata. Il discorso di La Hulpe, pronunciato dall’ex presidente della Bce martedì scorso, aveva intensificato i rumors che lo vorrebbero alla testa dell’Europa, alla Commissione o come successore di Charles Michel. Il solluchero dei giornali e degli opinionisti è eruttato dopo mesi in cui ha dovuto rimanere dormiente. Solo che l’ipotesi Draghi in Ue, come qualsiasi fatto politico che non si riduca a bastonare i bastonabili, sconquassa la maggioranza di governo e la presidente del Consiglio Meloni annuncia la ritirata fino alle prossime elezioni per il Parlamento di Bruxelles. 

Così alla premier non resta che allontanare il fantasma di Draghi e puntare sul “cambiamento”. “Spero che quando ci incontreremo saremo di fronte ad un’Europa diversa”, ha detto la leader di governo, aggiungendo che “quello che mi interessa è che sia Draghi che Enrico Letta, che sono considerati due europeisti, ci dicano che l’Europa va cambiata”. La strategia è quella di continuare ad appoggiare la commissaria uscente Ursula von der Leyen (ma a ben vedere anche su di lei Meloni e Salvini sono spaccati) picchiando sui temi che uniscono il governo italiano e quello europeo: l’immigrazione, i rimpatri, il fantomatico Piano Mattei che entrambe sventolano come sviluppo tacendo la voglia di fortificazione dei confini. Se von der Leyen si schianterà all’interno del suo partito (non improbabile) o sullo scacchiere internazionale la presidente del Consiglio italiana potrà giustificarsi dicendo di avere semplicemente operato per l’autorevolezza internazionale dell’Italia. Tempo per virare su Draghi ce ne sarà, anche dopo le elezioni. Meloni ha già ampiamente dimostrato abilità nel ricoprire posizioni che smentiscono ciò che dichiarava fino a poco tempo prima. Sarebbe un’ennesima prova. 

Giorgia Meloni batte in ritirata. Appoggiare Draghi prima delle elezioni per Bruxelles non conviene quasi a nessuno

La preoccupazione maggiore è che gli affezionati di Draghi non stanno nel campo destro dei partiti. Al centro – anzi, nei centri – Calenda e Renzi lo hanno trasformato in un feticcio politico, pronto da stampare sulle magliette. Nel Partito democratico piace molto solo alla minoranza del partito e non coincide con la svolta che vorrebbe imprimere la segretaria Elly Schlein. Nel Movimento 5 stelle Draghi è l’incarnazione della caduta del secondo governo Conte, il risultato delle manovre di palazzo che hanno aperto la strada alla destra. Per Alleanza verdi e sinistra l’ex presidente della Bce è un avversario politico sui temi economici e viene considerato inaccettabile. 

A Bruxelles si discute anche se siano più importanti i leader o gli aspetti decisionali che l’Ue ha voluto darsi. Come scrive Roberto Castaldi su Euractiv “se Draghi venisse proposto come Presidente della Commissione sarebbe un colpo forse mortale al sistema degli Spitzenkandidat, cioè la proposta di un candidato alla Presidenza della Commissione da parte dei vari partiti europei in vista delle elezioni europee”. La riflessione tra i gruppi europei è la candidatura di un uomo lontano dai partiti e con ruoli dirigenziali di punta nell’economia possa aumentare ancora di più l’idea delle istituzioni europee come lontane e autoreferenziali nei meccanismi di scelta della classe dirigente. 

Intanto il principale guastatore italiano di Draghi, quel Salvini che pure con Draghi ha governato, in un’anticipazione del suo libro lancia un’accusa pesante: nel luglio 2022, scrive il leader della Lega, ci furono pressioni da parte di Emmanuel Macron e Angela Merkel su di lui e su  Berlusconi per tenere Draghi a Palazzo Chigi. A proposito di trasparenza democratica Ue. 

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Il Bestiario della settimana – Credere, obbedire, spalmare: Lollo ministro formaggino e la zuffa con il Gambero Rosso

Il ministro formaggino
L’inesauribile ministro all’Agricoltura Francesco Lollobrigida, nonché cognato d’Italia della presidente del Consiglio, ha avuto un’altra delle sue epiche idee. “Sto facendo un ragionamento con la ristorazione, sia con Confcommercio che Confesercenti. Vorrei imporre un piatto dedicato al formaggio nei menù degli esercizi di ristorazione. Non il formaggio che accompagna, ma il formaggio che è il piatto, ricalcando un po’ il modello francese”, ha detto il ministro durante una visita allo stand di Gambero Rosso al Vinitaly. Il ministro ha poi smentito litigando con Il Gambero Rosso che ha riportato la notizia accusando la testata di avere riportato una notizia “priva di fondamento”. Epica la risposta del giornale: “Restiamo stupiti davanti al suo stupore, leggendo la nota pubblica in cui contesta ‘il modo’ in cui il Gambero ha dato la notizia, visto che il Gambero si è limitato a sbobinare, come si dice in gergo, le sue parole estrapolandole dal relativo video e a riportarle in maniera neutra”. Credere, obbedire, spalmare. Molti formaggini molto onore.

Rita Levi di Montepulciano
Sempre lui, sì, sempre il ministro Lollobrigida. Ospite di Bruno Vespa a Porta a porta il fratello della sorella della capa era in trance agonistica per difendere il consumo di vino e ha deciso di nominare la scienziata Rita Levi Montalcini definendola “grandissima donna amante del vino, non tanto per il cognome”. Il ministro gioca sul cognome Montalcini che evidentemente associa al Brunello di Montalcino. È un’associazione per assonanza con cui di solito si smette di giocare in terza o quarta elementare. Ma ha ragione il disegnatore Makkox, ci è andata bene che non l’abbia chiamata Rita Levi di Montepulciano.

Vento in Ciocca
In occasione della morte di Paolo Pininfarina, erede dell’omonima azienda, l’eurodeputato Angelo Ciocca verga un commosso post su X: “Un saluto ad un genio, che ha reso grande il Made in Italy nel mondo e che continuerà il suo maestrale lavoro da lassù”. Al di là della virgola messa canicula canis – come direbbero i latini – colpisce che il “maestrale” lavoro. Significa che c’è vento, molto vento, evidentemente.

Come poga Tajani
Giovedì il ministro degli Esteri Antonio Tajani (FI) ha regalato un disco dei Maneskin a Tony Blinken, segretario di Stato americano, in occasione del suo compleanno. Entrambi si trovavano a Capri per il G7 Esteri. Chissà cosa accadrà al prossimo Consiglio dei ministri quando si scoprirà che è stato donato un album cantato tutto in inglese.

In fondo al… Pozzolo
Emanuele Pozzolo, il deputato di Fratelli d’Italia indagato per lo sparo di Rosazza, nel Biellese è stato smentito da tutti. Aveva promesso di dire la sua verità di fronte ai magistrati ma non l’ha mai fatto. Ha raccontato di non essere stato lui a sparare ma la Procura ne è certissima. Ha litigato con i carabinieri con il solito atteggiamento del “lei non sa chi sono io”. Ora contesta alcune parole del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, presenti nei verbali degli inquirenti, in cui venivano rivelati dettagli di un colloquio avuto tra i due la notte di Capodanno. “Dopo lo sparo, Pozzolo è venuto vicino a me, bianco in volto e completamente sotto choc. Ha detto: ‘Ma posso avere io sparato?’. Lo ha detto per due o tre volte. Era catatonico”, aveva riferito il sottosegretario. “Non commento i ricordi dell’amico Andrea Delmastro, che d’altronde non può rammentare la scena non essendo, come lui ha detto, in grado di farlo – afferma Pozzolo, sulle pagine locali del quotidiano La Repubblica -. Probabilmente è rimasto spaventato anche lui dall’incidente. Ma penso che ricordi male”. Ormai Pozzolo sta diventando un aggettivo.

Montaruli, da che pulpito!
Chi ha deciso di usare il partito Fratelli d’Italia per un bel video a uso e consumo dei social con cui dire che “TeleMeloni” non esiste e che non è stata infranta nessuna regola nella nuova par condicio pensata dal governo? La parlamentare Augusta Montaruli, già sottosegretaria all’Università condannata in via definitiva per peculato a un anno e sei mesi per l’uso improprio dei fondi dei gruppi consiliari del Piemonte negli anni dal 2010 al 2014. Le spese pazze contestate a Montaruli superavano di poco i 41 mila euro, la condanna era arrivata in secondo grado per circa 25 mila euro. Insomma, il partito di Giorgia Meloni ci ha fatto dire da una pregiudicata che loro le regole le rispettano. Forte, no?

Sovranisti distratti
Reform Uk, il partito fondato da Nigel Farage, il fautore della Brexit, ha accusato il candidato Tommy Cawkwell di essere “inattivo” nell’anno delle elezioni, decidendo di licenziarlo. Gli è sfuggito un piccolo particolare: Cawkwell è morto due mesi fa. Ma è morto in modo troppo inattivo evidentemente.

Forza (Nord) Italia
Flavio Tosi e gli altri ex leghisti fondano Forza Nord, un comitato interno a Forza Italia: “La Lega nasce come partito del Nord e diventa poi nazionale, con una struttura territoriale sempre più leggera. FI sta facendo il percorso inverso, nasce nazionale ma si sta radicando sempre più a livello territoriale. E siccome nasce a Milano e dunque al Nord, vuole dare una connotazione che faccia comprendere questo legame”. Alla fine Salvini si ritroverà solo al Sud con un chiosco di arancini.

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Tutta colpa dei giovani: torna il giochetto sporco della vecchia politica – Lettera43

Sono terroristi che occupano le università, fannulloni, delinquenti ambientalisti. Da raddrizzare e punire. I ragazzi tornano con prepotenza nella schiera dei nemici di un Paese gerontocratico e patriarcale che da sempre li sbeffeggia e li esclude da ogni dibattito pubblico. Forse è arrivato il momento di dire basta.

Tutta colpa dei giovani: riecco il giochetto sporco della vecchia politica

I giovani che sono terroristi perché occupano le università. I giovani che sono fannulloni perché vorrebbero il reddito di cittadinanza per stare sul divano. I giovani che manifestano per il clima perché pretendono che si ritorni nel Medioevo. I giovani che stanno rammollendo la nazione perché vogliono essere fluidi. I giovani che pretendono uno stipendio perché non hanno voglia di lavorare. Poi c’è quella frase divenuta famosa di un ex presidente del Consiglio che disse che i giovani devono faticare, spaccarsi la schiena come i loro nonni. Poi ci sono i giovani che vogliono la liberalizzazione delle droghe leggere perché sono sempre sballati. Poi ci sono i giovani che non sanno cosa sia la disciplina. E così via. Benvenuti nell’irruzione della gerontocrazia.

I giovani sono considerati colpevoli di ogni malanno di un Paese che da sempre li esclude

Nella schiera di nemici da cui si abbevera la politica sono ritornati prepotentemente i giovani. I giovani come entità indefinita che sarebbero colpevoli di qualsiasi malanno presente e futuro di un Paese che storicamente e strutturalmente non permette loro di entrare nel vivo del suo dibattito è la barzelletta di questi mesi. Il primo e principale campo di scontro è l’ambientalismo. L’industria del carbone e i suoi sostenitori politici e finanziari fanno di tutto per apparire un potere sempre più gerontocratico e patriarcale. I giovani preoccupati del loro futuro sono i nemici giurati, colpevoli di non accettare il famoso comandamento conservatore del “there is no alternative”. È normale che se arrivano ragazzi che ad alta voce denunciano le informazioni false e soprattutto elencano0 le alternative possibili allora il gioco rischia di incagliarsi. Se poi – come spesso accade – hanno dalla loro parte anche i fatti e la scienza allora diventano un nemico da punire per ammansire. Assistiamo quindi a schiere di 60enni che vorrebbero insegnare ai giovani come manifestare, nonostante non abbiano mai provato in vita la paura di non avere un welfare dignitoso (banalmente una pensione) e di non avere un Pianeta vivibile su cui poggiare i piedi. Gli stessi che hanno consegnato ai giovani un mondo allo sbando li sbeffeggiano. Eppure è stato il voto degli anziani (che preferiscono farsi chiamare maturi) a spingere Donald Trump alla Casa Bianca, secondo le statistiche è stato il voto degli anziani a soffiare sulla Brexit. Soltanto il 37 per cento degli under 30 ha votato per Trump, mentre nel Regno Unito, nella fascia tra i 18 e i 24 anni, il 73 per cento ha votato per rimanere nell’Ue.

Tutta colpa dei giovani: riecco il giochetto sporco della vecchia politica
La protesta di Ultima generazione alla Scala di Milano (Getty Images).

Quel vizio millenario di puntare il dito contro le nuove generazioni

Il sociologo Karl Mannheim, in merito all’avvento delle nuove generazioni, diceva che «l’emergere di nuovi uomini comporta la necessità inconsapevole di una nuova selezione, di una revisione nel campo del presente, ci insegna a dimenticare ciò di cui non abbiamo più bisogno, a desiderare ciò che non è stato ancora ottenuto». I vecchi borbottanti si sentono novità ma esistono da sempre. Aristotele nella sua Retorica (IV secolo a.C.) scrive «i giovani sono magnanimi; poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita, anzi sono inesperti delle ineluttabilità, e il ritenersi degni di grandi cose è magnanimità: e ciò è proprio di chi è facile a sperare (…). Essi credono di sapere tutto e si ostinano al proposito; questa è appunto la causa del loro eccesso in tutto». Nel I secolo a. C., Orazio lamentava: «Questa gioventù di sbarbati…non prevede ciò che è utile, sperperando i suoi soldi». Secoli dopo, sono arrivati i giornali. Il sito Quartzy ha raccolto alcuni articoli. 1925: «Sfidiamo chiunque tenga gli occhi bene aperti a negare che vi sia, come mai prima, un’attitudine da parte dei giovani a comportarsi in modo grossolano, sprezzante, rude e assolutamente egoista». 1936: «Probabilmente non c’è un periodo nella storia in cui i giovani abbiano dato una tale enfasi alla tendenza a rifiutare ciò che è vecchio e desiderare ciò che è nuovo». Anni 90: «Ciò che distingue davvero questa generazione dalle precedenti è che è la prima generazione della storia americana a vivere così bene e a lamentarsi con tanta amarezza». Anni 2000: «Hanno difficoltà a prendere decisioni. Preferiscono scalare l’Himalaya piuttosto che salire una scala aziendale. Hanno pochi eroi, niente inni, nessuno stile. Desiderano l’intrattenimento, ma la loro capacità di attenzione è pari a uno zapping tv». Fino ai giorni nostri.

Tutta colpa dei giovani: riecco il giochetto sporco della vecchia politica
Scontri alla Sapienza di Roma (Ansa).

Una scuola punitiva, il carcere come metodo educativo, nuovi reati: così l’appello di Mattarella è stato ignorato

«Facciamo sì», ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «che il futuro delle giovani generazioni non sia soltanto quel che resta del presente ma sia il frutto di un esercizio di coscienza da parte nostra. Sfuggendo la pretesa di scegliere per loro, di condizionarne il percorso». Missione fallita. I giovani sono lo strumento utile per il lamento degli anziani. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara studia riforme per nuove punizioni. Con il decreto Caivano il governo aumenta sensibilmente l’uso del carcere come metodo educativo. Gli ambientalisti si sono meritai una legge ad hoc per il reato di attivismo ambientale. La gioventù sventolata come simbolo della bancarotta morale è un giochetto infame che non si può fare a meno di denunciare.

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Da Vespa a parlare d’aborto mancava solo il prete

Quel furbacchione di Bruno Vespa ha deciso di regalarci un colpo d’occhio che conferma come in Italia siano gli uomini a decidere sui corpi delle donne invitando nella sua trasmissione a Porta a Porta ben sette uomini (7!) e zero donne (0!) per discutere di aborto. I maschietti presenti (invitati probabilmente per le loro considerevoli esperienze con il proprio utero) hanno amabilmente discusso dei recenti attacchi alla legge 194 da parte della maggioranza di governo.

La redazione di Porta a Porta ha spiegato di aver invitato tre donne del Pd (sostituite poi dal deputato Zan per loro indisponibilità) e una direttrice di giornale anch’essa indisponibile (leggi articolo a pagina 5). Ma che ne è stato dei protocolli circa il “No women no panel”, che impongono la presenza femminile nei parterre televisivi, che la presidente della Rai Marinella Soldi (che incidentalmente è anche una donna e che ieri ha richiamato Vespa con una lettera) ha firmato più volte? Le donne che non si occupano di donne e pretendono di rappresentarle semplicemente con il loro genere senza disturbarsi a proteggerne i diritti sono l’emblema di questo governo.

Giorgia Meloni è l’esempio della donna più maschilista che potesse capitare. A differenza di altre non è una donna eterodiretta da uomini messa lì per evitare problemi: è una donna eterodiretta dalla proiezione del maschio che avrebbe voluto essere. Inevitabile che un governo guidato da una donna maschilista sdogani maschi (intesi naturalmente come classe dirigente) a discutere di temi che non conoscono. A pensarci bene forse ci mancava un bel cardinale per completare il quadretto.

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Per i Cpr italiani in Albania 138mila euro al giorno solo di trasferte

Ma quanto costa lo spot dell’accoglienza dei migranti in Albania fortemente voluto e rivendicato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni? Solo un esempio: tra le spese che non sarebbero state sostenute se i centri fossero stati costruiti in Italia si trovano 252 milioni di euro per le trasferte dei funzionari ministeriali.

Il protocollo firmato tra Roma e Tirana per la costruzione di centri in Albania ha costi enormi per i viaggi del personale

Openpolis ha scufrugliato tra i numeri del protocollo Italia-Albania firmato a Roma il 6 novembre 2023 per il “rafforzamento della collaborazione in materia migratoria“, ratificato poi dal parlamento italiano lo scorso febbraio. L’accordo prevede l’istituzione di due centri in Albania, uno per la primissima accoglienza (nella località di Shengjin) e l’altro con funzioni di Hotspot e centro di permanenza e rimpatrio (Cpr), a Gjader. I centri si trovano a circa 20 chilometri l’uno dall’altro, nel nord del paese. Secondo le promesse del governo i due centri dovrebbero essere operativi, seppur in modalità ridotta, tra un mese circa. Una relazione tecnica ricostruisce le spese a preventivo ipotizzando un costo di circa 650 milioni di euro in 5 anni, di cui solo una piccola parte riguarda però la gestione dei centri. È evidente – sottolinea Openpolis –  che si tratti di una spesa considerevole che tuttavia non sembra utile né per favorire i rimpatri, né per migliorare la logistica dell’accoglienza o l’integrazione di coloro che vedranno riconosciuta la loro richiesta di protezione internazionale.

I costi di gestione dei Cpr si aggirano intorno ai 30 milioni di euro circa in 5 anni

Il governo sostiene che in Albania saranno accolte 3mila persone al mese, per un totale di 36mila persone l’anno. In effetti anche il protocollo fa riferimento a questa cifra, indicandola però come limite massimo e non come la presenza media. Le cifre sollevano dubbi. Nella manifestazione d’interesse pubblicata dal ministero dell’interno per la gestione delle strutture, si parla di una capienza massima poco superiore a mille persone, di cui 880 nell’hotspot e 144 nel Cpr. In quel documento si stima un costo massimo di 34 milioni di euro l’anno per la gestione delle due strutture: una cifra molto alta, anche se distante dai 650 milioni di costi complessivi. Secondo la relazione tecnica però la spesa effettiva, calcolata sui costi storici per la gestione di strutture di questo tipo, dovrebbe aggirarsi interno ai 30 milioni di euro circa in 5 anni (4,4 milioni di euro nel 2024 e 6,5 milioni l’anno tra 2025 e 2028).

252 milioni servono solo per le trasferte dei funzionari dei ministeri coinvolti

Openpolis sottolinea come rimangano oltre 600 milioni di euro che non riguarderebbero spese di gestione. Alcune di queste voci di costo – scrive Openpolis – sarebbero state forse simili se i centri fossero stati costruiti in Italia. Parliamo ad esempio dei costi per la realizzazione e la manutenzione delle strutture. La dislocazione in Albania prevede 95 milioni di euro per il noleggio delle navi, di quasi 8 milioni di euro di assicurazioni sanitarie per operatori italiani in missione all’estero e di ben 252 milioni di costi per le trasferte dei funzionari del ministero dell’interno, della giustizia e della salute. Una cifra enorme, circa 138mila euro al giorno, è infatti necessaria a pagare viaggi, diarie, vitto e alloggio del personale interforze, dei funzionari prefettizi, di quelli del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), del personale sanitario di frontiera (Usmaf) e di quello dell’istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti (Inmp). 

A questo si aggiunge l’illogicità delle identificazioni che dovranno avvenire sulle navi, oltre ai trasbordi tra Albania e Italia nel caso in cui le richieste dei richiedenti asilo vengano accettato. E le complicazioni sugli eventuali rimpatri. 

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In fondo le odiano, le autonomie

Nel turbine delle notizie di giornata colpisce la decisione del governo di Giorgia Meloni di impugnare un provvedimento amministrativo della Regione Emilia Romagna che dava le linee di indirizzo alle Ausl, istruzioni tecniche su come dare seguito alle eventuali richieste di suicidio assistito.

Il ricorso presentato dall’Avvocatura dello Stato si basa sulla “carenza assoluta di potere in capo alla Regione Emilia-Romagna all’adozione dei provvedimenti impugnati”, il fatto che questi provvedimenti siano in contraddizione con le “previsioni statali di legge in materia di programmazione sanitaria” e anche il fatto che la verifica dei requisiti sia in capo al Comitato regionale per l’etica nella clinica e da commissioni di area vasta, enti “diversi da quelli espressamente chiamati dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 2019 ad operare in attesa dell’intervento del legislatore nazionale”.

Più banalmente Meloni e la sua truppa vogliono imporre il loro oscurantismo perché ancora una volta sono incapaci di colmare un vuoto legislativo in Parlamento. Incapaci di inventarsi nuovi diritti distruggono gli esistenti per dare l’impressione di un’azione politica. Un’altra evidenza dell’ipocrisia è il fatto che – come sottolinea l’associazione Luca Coscioni – l’aiuto medico alla morte volontaria – che è un diritto stabilito, a determinate condizioni, dalla Corte costituzionale – la competenza delle Regioni è evidente. Un ulteriore particolare è che un governo che professa l’autonomia sia da mesi impegnato a imporre decisioni all’autonomia scolastica, all’autonomia regionale, all’autonomia delle persone. 

Buon venerdì. 

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La scuola di Valditara, tutta ordine e disciplina

Che il ministro della Scuola Valditara sia interessato più all’ideologia che all’istruzione è evidente fin dal suo insediamento. Nella riforma che ha in mente il ministro scompaiono i temi della precarietà, dell’edilizia scolastica, del supporto ai disabili e ci si concentra nel voto in condotta. Il quadro è chiaro. 

Ma per toccare con mano la scuola che ha in mente Valditara basta ascoltare i racconti di coloro che hanno assistito a una sua visita in una scuola di Potenza, dove a giorni si vota per le elezioni regionali. Il rappresentante del governo è stato accolto nel piazzale d’ingresso alla scuola dagli alunni che sventolavano bandierine tricolore mentre Valditara si è fermato a salutare qualcuno di loro. “Potrebbe sembrare un filmato dell’Istituto Luce, se solo le immagini fossero in bianco e nero”, ha detto Paolo Laguardia della Cgil di Potenza. Dall’Anpi locale scopriamo anche della “presenza di un animatore che, dotato di microfono e altoparlante, ha dapprima presentato il ministro e la delegazione che lo accompagnava e poi ha invitato tutti a cantare ‘Supereroi’”: “sembrava più di assistere a una parata militare, – scrive Anpi – senza però il presentatàrm, piuttosto che all’accoglienza di un servitore dello Stato. Si tratta di una modalità da tempo estranea alle scuole italiane; purtroppo, però, ieri è stata riprodotta a Potenza, tra l’altro in piena campagna elettorale”. 

In Abruzzo il ridimensionamento scolastico taglierà 26 autonomie scolastiche, con una riduzione di quasi il 30%. Ma di questo il ministro non ha parlato. Si è goduto la passerella e siamo sicuri avrebbe dato 10 a tutti per l’ordine e la disciplina. 

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