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La Rai vuole tagliare le repliche di Report per “punire” Ranucci

Pur di punire Sigfrido Ranucci la Rai decide di cancellare le repliche estive della sua trasmissione Report, perdendo soldi e opportunità. Il consigliere d’amministrazione Davide Di Pietro ha chiesto “chiarimenti riguardo la ventilata cancellazione delle repliche di #Report nei palinsesti estivi” sottolineando che “la circostanza per altro si porrebbe in contrasto con i doveri inseriti nel recente contratto di servizio”. La decisione ufficiale ancora non c’è ma l’aria che tira nell’azienda indica una precisa scelta politica che non avrebbe nessuna giustificazione editoriale o aziendale.

Nonostante gli ottimi risultati le repliche estive di Report potrebbero essere cancellate

Il programma di Sigfrido Ranucci ora è in pausa ma riprenderà il 21 aprile per terminare la stagione il 23 giugno, per un totale di 28 puntate, la cui media di share finora è tra l’8-9%, con punte del 12 (2,5 milioni di spettatori). Successi ottenuti nonostante il cambio di serata deciso all’inizio della stagione dai vertici aziendali. Le repliche estive segnano uno share del 7% anche alla terza o quarta volta in cui vanno in onda. Le puntate da ritrasmettere vengono scelte come da mandato aziendale tra quelle che hanno fatto più ascolti. Sono a costo zero e guadagnano (bene) con i blocchi di pubblicità oltre a garantire all’azienda uno spazio informativo importante.  

I prodotti Report Cult sono stati premiati come migliori prodotti informativi della Rai perché “incarnano alla perfezione il senso del contratto del servizio pubblico” che è stato firmato dal ministro alle Imprese e al Made in Italy Adolfo Urso dopo la battaglia dell’ex consigliere Riccardo Laganà che volle mantenere il giornalismo d’inchiesta nel contratto di servizio. Report fa molto bene anche ai social. Anche quelli della Rai – che fanno capo a Rai digital – guadagnano (bene) dai blocchi pubblicitari inseriti nei video della trasmissione. 

Dal ministro Urso a La Russa, Gasparri, Santanchè e Giorgetti sono in molti ad attaccare la trasmissione condotta da Ranucci

Quindi a chi conviene cancellare le repliche estive di Report? Sicuramente la decisione favorisce i competitor, La7 in particolare ma non si intravedono né motivi manageriali né motivi editoriali per sospendere le repliche. La scelta di sospendere le repliche estive sarebbe di Stefano Coletta, responsabile della produzione e dei palinsesti ma qualcuno suggerisce che le impronte digitali siano del direttore generale Rossi e del responsabile delle risorse umane Angelo Mellone. 

Che Report non piaccia ai partiti di governo non è un mistero. Solo quest’anno Report ha preso tre annunci di querela dal ministro Urso, dai figli di La Russa, da Gasparri, da Sgarbi. Una citazione in sede civile è stata depositata dal ministro Giorgetti con la moglie e la cognata. Una causa è stata intentata anche dal presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana e sua figlia. Tra le querele finora solo annunciate ci sono quella di Santanchè, della famiglia Berlusconi e dell’ex compagno della Santanchè.  

 

A completare il paradosso c’è il fatto che il “censore” Coletta sia lo stesso che ha “inventato” l’utilizzo delle repliche di Report qualche anno fa. Ora potrebbe essere sua la firma che le cancella. Rimane quindi il dubbio: c’è qualche suggeritore dietro a questa decisione? Proprio oggi il senatore di Forza Italia e membro della Vigilanza Rai Maurizio Gasparri si è fotografato sui social mentre firma sorridente l’ennesima denuncia contro la squadra di Ranucci. Questa è l’aria che tira. 

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Nato, 75 anni di pace ma a che costo?

Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto celebrare i 75 anni della Nato “che ha consentito ai suoi membri di prosperare nella concordia”. Ma alla ricorrenza della firma del Trattato dell’Atlantico del Nord di un gruppo di Paesi reduci – a vario titolo – dalla tragedia della Seconda Guerra mondiale le ombre delle guerre si addensano. 

Mattarella ha ricordato oggi il 75° anniversario della firma del Trattato dell’Atlantico del Nord

“Oggi, con il ritorno della guerra nel continente europeo, e di fronte a una diffusa instabilità nelle regioni a noi più prossime, si comprende appieno la lungimiranza di quella scelta. La recente adesione di Finlandia e Svezia alla Nato conferma che permane intatto l’anelito alla libertà, all’indipendenza, alla pace e alla sicurezza”, dice il presidente della Repubblica. “Per settantacinque anni l’Alleanza ha consentito ai suoi membri di prosperare e crescere nella concordia, consolidandosi quale pilastro essenziale dell’architettura di sicurezza europea. Essa si è dimostrata all’altezza delle sfide che ha dovuto affrontare; ha mostrato capacità di adattamento al mutare dei tempi e delle minacce; ha saputo ampliare il ventaglio delle collaborazioni con un numero crescente di Paesi e di Organizzazioni multilaterali; ha svolto un ruolo di stabilità nelle relazioni internazionali”, prosegue il capo dello Stato.

Il ruolo degli Usa nella Nato solleva molti dubbi

Il ruolo degli Usa all’interno del trattato atlantico ha però sollevato dei dubbi in questi anni. Dalla fine della Seconda guerra mondiale in tutto il mondo la guerra è interdetta. Esistono solo due eccezioni a tale divieto: il diritto all’autodifesa e la possibilità di condurre una guerra su esplicito mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il professore universitario svizzero Daniele Ganser nel suo libro Le guerre illegali della Nato (edito da Fazi) elenca e analizza una serie di conflitti avviati dalla Nato: la guerra illegale contro l’Iran (1953); la guerra illegale contro l’Egitto (1956); la guerra illegale contro Cuba (1961): dopo la rivoluzione nei Caraibi – scrive Ganser – “alcuni aerei statunitensi sganciarono su Cuba le prime bombe incendiarie che appiccarono il fuoco ai campi di canna da zucchero e alle fabbriche annesse. Si trattava di un’azione illegale, ma questo non importava alla Cia” (pp.128-129). Interessanti le pagine sull’operazione “Mangusta”, che sabota l’economia di Cuba (pp. 163-168), e quelle sull’embargo economico degli Usa che viene condannato dall’Onu. 

Vietnam, Cuba, Iraq, Libia: l’elenco delle guerre illegali è lungo

Tre anni dopo Cuba, ecco la guerra illegale contro il Vietnam (1964), con la menzogna sul golfo del Tonchino e la manipolazione dei media: “Chi leggeva The New York Times non aveva la minima idea che gli articoli avevano origine sulle scrivanie della Cia” (scrive Ganser p. 222). Già negli anni Sessanta si capì – dice l’autore – che “gli Stati Uniti avviavano guerre illegali per ampliare il predominio dell’impero americano”. Come ricorda il professore svizzero non avevano nessun avvallo dell’Onu anche la guerra illegale contro il Nicaragua (1981); la guerra illegale contro la Serbia (1999); la guerra illegale contro l’Iraq (2003): l’autore analizza la prima guerra del Golfo (1980) e la seconda (1990), fino all’aggressione di Bush e Blair del 2003 (di nuovo senza mandato dell’Onu), giustificata con la lotta alle armi di distruzione di massa (atomiche, chimiche, batteriologiche), che si rivelerà una menzogna (pp. 350-364); la guerra illegale contro la Libia (2011), guerra imperialista, col tragico bombardamento del 19 maggio e l’ipocrita dottrina della “responsabilità di proteggere”. 

75 anni di pace, sì, ma a che costo?

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I “ribelli” della Lega contro Salvini dicono quello che pensano tutti

La rivolta nella Lega contro Salvini continua. Gli ex parlamentari ribelli della Lega che inveiscono contro Matteo Salvini dicono quello che nella Lega pensano tutti anche se non hanno (per ora) il coraggio di ammetterlo pubblicamente. Ieri una ventina tra ex e attuali parlamentari, dirigenti e amministratori locali della Lega hanno scritto una lettera aperta al segretario del partito, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, in cui hanno espresso una serie di critiche e preoccupazioni sulla linea da tenere in vista delle elezioni europee. 

Una lettera aperta di parlamentari, dirigenti e amministratori della Lega contesta la linea politica di Salvini

I firmatari contestano la collocazione europea della Lega nel gruppo Identità e Democrazia che riunisce i partiti sovranisti e xenofobi dell’Unione. “Ti chiediamo – scrivono i firmatari dell’appello –  inoltre dove sia finita, caro segretario, la tradizionale e giusta distanza che abbiamo sempre mantenuto da tutti gli opposti estremismi», si legge nella lettera. «La scelta per alcuni aspetti anche condivisibile, di non aderire ad una delle grandi famiglie politiche europee non può comunque portare la Lega a condividere un cammino con partiti e movimenti che NULLA HANNO A CHE FARE con la nostra storia culturale e politica. Ci e ti chiediamo: perché abbiamo smesso di dialogare con forze autonomiste e federaliste, per accordarci con chi non ha la nostra naturale repulsione nei confronti di fasci e svastiche?”  

I leghisti firmatari contestano la condivisione di posizioni di Salvini con “fasci e svastiche”

Tra le contestazioni anche le possibili candidature per la prossima tornata elettorale a Bruxelles. “Siamo convinti che, se le indiscrezioni sulla candidatura nelle nostre liste di personaggi con forte marcatura nazionalista, totalmente estranei al nostro movimento, fossero veritiere renderebbero ancor più difficile il perseguimento degli obiettivi storici del partito”, si legge nella lettera. Il riferimento nemmeno troppo velato è soprattutto all’ipotesi di candidatura del generale Roberto Vannacci, considerato all’interno della Lega come troppo estremista nelle sue posizioni sfacciatamente razziste e omofobe. 

Nel mirino della contestazione anche la possibile candidatura del generale Vannacci

Dal quartier generale della Lega minimizzano parlando di “qualche ex risentito”. Il ministro Salvini intervistato ieri da Francesca Fagnani nella trasmissione “Belve” ha preso le distanze da Vannacci dicendo di stimarlo “come persona”. “Ne condivido una buona parte di idee, non tutte”, ha detto il leader della Lega specificando di condividere “le sue battaglie sulla libertà di pensiero” ma di essere per la libertà di “essere omosessuale, eterosessuale, transessuale, bisessuale, polisessuale. L’ultima delle mie intenzioni è entrare nella vita privata di qualcuno”, ha spiegato. 

Salvini minimizza ma sa che le critiche sono condivise nel partito e nella base

L’insofferenza dei sottoscrittori dell’appello però è la stessa che affligge gran parte dei parlamentari leghisti, dei dirigenti e della base. Bollare la protesta come il gesto di una rumorosa minoranza può funzionare sul breve termine per sopire la polemica sui giornali ma non risolve l’insofferenza generale nei confronti del segretario. Salvini può tranquillamente appuntarsi le critiche e tenerle da parte: saranno le stesse che gli muoveranno quasi tutti all’interno del suo partito appena perderà la guida del carro del vincitore. 

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Sfiducia Salvini-Santanchè. Lega e FdI salveranno ognuno il ministro dell’altro

Le due mozioni di sfiducia che oggi si votano alla Camera nei confronti della ministra al Turismo Daniela Santanchè e del ministro alle Infrastrutture nonché vice presidente del Consiglio nonché leader della Lega Matteo Salvini dicono chiaramente una cosa: nessuno dei due si fida dell’altro. Stamattina a Montecitorio si inizia con la discussione generale sulla ministra di Fratelli d’Italia indagata per truffa allo stato per aver usufruito da imprenditrice, con la sua società Visibilia, della Cassa Covid.

La ministra Santanchè sotto accusa per avere i soldi della Cassa Covid nella sua società Visibilia

Lei continua a ostentare sfrontata sicumera, dopo avere trascorso le feste pasquali con un passaggio al Twiga (di cui formalmente non è più socia) con il fidato amico presidente del Senato Ignazio La Russa. Santanchè sa bene che non sarà certo il Parlamento a decidere le sue sorti politiche. L’amica Meloni le ha promesso protezione politica almeno fino alla decisione del gup. “Ma se le cose dovessero andare male?”, è la domanda che circola tra i parlamentari. La soluzione è già pronta: se le vicende giudiziarie dovessero peggiorare sarà la stessa Santanchè a fare un passo indietro “per senso di responsabilità” con la solita manfrina dei ministri indagati (se non addirittura condannati) che ci fanno il piacere di farsi da parte. Certo fa sorridere che la stessa Santanchè che negli ultimi anni ha chiesto le dimissioni di Lamorgese, Speranza, Conte, Morra, Tridico, Di Stefano, Bonafede, Terzi, Boschi, Provenzano, Di Maio, Azzolina, Borghetti, Pessina, Fioramonti, Fini ora invochi il garantismo. A proposito di garantismo: alla fine il partito di Calenda, Azione, potrebbe decidere di non votare la sfiducia contro la ministra su indicazione del proprio responsabile alla giustizia Costa che invita il suo leader a “distinguersi”. Ognuno del resto si fa notare come può. 

Il leader della Lega Matteo Salvini sotto pressione per i suoi rapporti con la Russia di Putin

Salvini è accusato dalle opposizioni (Calenda in testa, a proposito di garantismo a corrente alternata) di non aver ancora rescisso il cordone con Mosca – e di non aver formalmente disdetto la collaborazione con Russia unita, il partito di Putin – dopo le dichiarazioni del leader della Lega all’indomani della scontata rielezione del presidente russo. Ieri in una nota la Lega ha precisato che “come già ribadito, i propositi di collaborazione puramente politica del 2017 tra la Lega e Russia Unita non hanno più valore dopo l’invasione dell’Ucraina. Di più. Anche negli anni precedenti non c’erano state iniziative comuni” e che “la linea della Lega è confermata dai voti in Parlamento: dispiace che l’Aula debba perdere tempo per polemiche inutili e strumentali innescate dall’opposizione”.

L’esito della mozione appare scontato ma si è deciso di calendarizzarla nello stesso giorno di Santanchè per evitare sgambetti di qualsiasi tipo. I deputati precettati da Meloni per salvare la ministra si sommano ai deputati precettati per salvare il ministro. Fratelli d’Italia e Lega per diversi motivi avranno il controllo ferreo delle presenza in Aula e delle votazioni. In un momento in cui l’asse Salvini-Le Pen sta sabotando in tutti i modi Meloni-von der Leyen per le prossime elezioni europee mentre in Italia il leader della Lega viene svuotato ogni giorno dalla leadership della presidente del Consiglio. L’armistizio è fragile. In questi giorni nessuno si è sbilanciato sul ministro dell’altro. Fratelli d’Italia è imbarazzata dalla vicinanza di Salvini a Putin e la Lega fatica a tenere buoni i suoi elettori sulla vacanziera Santanchè che fallisce e mente al Parlamento. Per ora il disagio è considerato pari. Per ora. 

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A Bari l’omicidio di Lello Capriati potrebbe riaprire la guerra di mafia

Raffaele Capriati detto Lello stava percorrendo via Bari nel quartiere Torre a Mare ed è stato ucciso con quattro colpi in uno dei pochi punti in cui non ci sono telecamere di sorveglianza. Il suo assassino aveva perfettamente pianificato il delitto. Almeno quattro colpi di arma automatica che hanno mandato in frantumi il finestrino della macchina su cui viaggiava il nipote di Tonino Capriati, lo storico boss della Città vecchia.

Lello Capriati, nipote dello storico boss di Bari, è stato ucciso dove nessuno poteva vedere

Lello Capriati era da poco in libertà dopo la condanna a 17 anni, ad agosto 2022, e aveva ripreso il suo posto in famiglia. Con la moglie aveva aperto una attività di ristorazione nella Città vecchia, pubblicizzata senza remore. Le indagini coordinate dalla Dda di Bari devono capire, innanzitutto, cosa ci facesse a Torre a Mare nella sera di Pasquetta, fuori dalla zona in cui può sentirsi al sicuro. Anche a suo fratello Mimmo nel 2018 costò essersi allontanato dal suo quartiere: fu ammazzato a Japigia da un killer che voleva mettersi in proprio per fatti di droga.

Fino a ieri a Bari sembrava essere tornata la pax mafiosa tipica dei territori in cui i clan smettono di fare rumore perché convergono negli affari. Le cosche Strisciuglio, Parisi e Capriati avevano scelto di dedicarsi agli affari (che da queste parti sono soprattutto droga e estorsioni) lasciando perdere gli omicidi che a detta die boss “davano troppo nell’occhio”, facendo troppo rumore, evitavano i giornali a scriverne e i magistrati a indagare. È la normalizzazione della mafia di cui parlava già Paolo Borsellino e che Cosa nostra, Ndrangheta e Camorra hanno imparato benissimo: mimetizzarsi come imprenditori tra gli imprenditori è il modo migliore per scomparire senza bisogno di sotterrarsi.

Gli inquirenti temono che sia la fine della pax mafiosa tra i clan Capriati e Strisciuglio

A Bari sembravano passati i terribili anni 80 che avevano insanguinato la città. Lello è figlio di Sabino e soprattutto nipote di quel Tonino Capriati che per decenni ha controllato la zona del centro storico prima che gli scissionisti del clan Strisciuglio decidessero di mettersi in proprio. Quegli anni li ha raccontati un prezioso collaboratore di giustizia, Raffaele Laraspata che dopo avere perso il fratello Franco a 33 anni assassinato sotto casa potrebbe avere ripreso in mano le redini del clan dopo essere uscito dal carcere a gennaio di quest’anno, appena due mesi fa. Lello Capriati era uno dei pochi membri della sua famiglia a essere tornato in libertà. Appena diciottenne c’era anche lui con Leonardo Ungredda che colpì con un proiettile vagante il sedicenne Michele Fazio, un ragazzo innocente morto perché era nel momento sbagliato nel luogo sbagliato in una città infiammata dalla guerra mafiosa.  La faida tra Capriati e Strisciuglio ha ucciso da innocente anche il 15enne Gaetano Marchitelli, finito in mezzo a una sparatoria a Carbonara, periferia della città.

Ora a Bari si teme la faida. “La città non può vivere nel terrore dell’attesa di un regolamento di conti tra clan – ha detto ieri il sindaco di Bari Antonio Decaro – È importante agire subito per bloccare qualsiasi potenziale recrudescenza. Ringrazio il Prefetto che a stretto giro ha convocato per giovedì il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica”. Sulla città scende la paura della mafia che qui tutti conoscono bene. Non è la mafia usata come clava per convenienza politica che ha coinvolto qualche giorno fa il sindaco Decaro e non è nemmeno la mafia che il ministro dell’Interno Piantedosi crede di sconfiggere con qualche operazione che raccatta qualche grammo di droga. A Bari la mafia – quella vera – ha suonato il suo rintocco spaventoso nel giorno di Pasquetta. 

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Terremoto a Taiwan. 4 morti, 50 feriti. Danni a diversi edifici.

Una violenta scossa di terremoto magnitudo 7.4 ha colpito nella notte Taiwan danneggiando gli edifici e provocando almeno 4 morti e 97 feriti. Lo US Geological Survey in una nota registra il sisma  a 18 km a Sud-Sud/Ovest dalla località di Hualien, a una profondità di 34,5 km. A Hualien un edificio di 5 piani ha riportato gravi danni. Il palazzo si è inclinato di 45 gradi e il primo piano è crollato. Nella capitale Taipei i danni hanno colpito diversi edifici. Le scuole sono state evacuate e gli studenti dotati di caschi gialli protettivi. Molti bambini hanno indossato anche caschi da motociclista per proteggersi dalla caduta di oggetti durante le continue scosse. Il servizio ferroviario è stato sospeso in tutta l’isola di 23 milioni di persone, anche le corse della metropolitana di Taipei sono state interrotte. Più di 87mila persone sono attualmente senza elettricità: lo ha reso noto l’operatore elettrico di Taiwan, Taipower.

In Taiwan il terremoto più grave degli ultimi 25 anni

Il capo dell’ufficio di monitoraggio dei terremoti di Taiwan, Wu Chien-fu, ha affermato che gli effetti sono stati rilevati fino a Kinmen, un’isola controllata da Taiwan al largo delle coste della Cina. Diverse repliche sono state avvertite anche Taipei. Il violento sisma è stato avvertito anche in Cina, fino a Shanghai. Secondo i media statali, la provincia del Fujian, quella dall’altra parte dello Stretto di Taiwan, è stata particolarmente interessata: la scossa, infatti, è stata avvertita anche a Fuzhou, Xiamen, Quanzhou e Ningde. Si tratta della scossa più forte degli ultimi 25 anni.

La Cina offre sostegno

Il governo nazionale cinese si è detto disposto a fornire assistenza alle persone colpite dal forte terremoto che ha scosso oggi l’isola di Taiwan, ha dichiarato il portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di Stato, Zhu Fenglian. “Stiamo monitorando attentamente la situazione e gli ultimi sviluppi, siamo pronti a fornire assistenza e sostegno alle persone colpite da questa emergenza”, ha affermato Zhu. Il funzionario di Pechino ha sottolineato che il governo nazionale è preoccupato per l’emergenza ed esprime solidarietà ai taiwanesi colpiti.

Intanto Tsmc, Foxconn crollano in borsa

Il terremoto in Taiwan ha affondato anche i colossi dei semiconduttori del paese Tsmc e Focxonn che hanno registrato perdite del’1,4 e di oltre il 2 per cento in borsa stamattina. Gli stabilimenti produttivi delle due aziende si trovano nella porzione occidentale di Taiwan, meno interessata dalle scosse, ma Tsmc ha comunque annunciato l’evacuazione di alcune delle sue strutture, precisando che i sistemi di emergenza hanno funzionato a dovere. Un blocco anche parziale delle attività produttive di Tsmc e Foxconn, azienda fornitrice di Apple, causerebbe gravi danni alla catena di fornitura globale dei semiconduttori, e la situazione nell’isola è osservata con apprensione dai mercati e da diverse industrie globali.

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Sempre a proposito di Delmastro e Pozzolo

Ha ragione Matteo Renzi quando dice che la vicenda dello sparo di Capodanno è terribilmente scivolata nelle retrovie, come se si trattasse di un retroscena o peggio, un’invenzione giornalistica. Il deputato di Fratelli d’Italia (ora sospeso) Emanuele Pozzolo aveva giurato di non essere colui che aveva fatto partire il colpo e soprattutto aveva giurato di spiegare tutto ai magistrati.

Non l’ha fatto. Di Pozzolo si conoscono solo i silenzi e l’ostinazione con cui si dichiara innocente. Peccato che la perizia balistica scriva nero su bianco che “il revolver in sequestro era impugnato da Pozzolo Emanuele, che si trovava in posizione eretta sul lato lungo del tavolo rivolto verso il muro”.

Fantasiose e contraddittorie anche le versioni del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, uomo forte del cerchio magico di Giorgia Meloni. In un primo momento Delmastro aveva raccontato che al momento dello sparo si trovava fuori, a 300 metri di distanza, dove si era recato per caricare la macchina con gli avanzi della cena, e di non aver udito il rumore del colpo. Pochi giorni dopo in Procura ha fornito una versione diversa, sostenendo di aver sentito il rumore dello sparo, e di aver pensato fosse un petardo, mentre fumava una sigaretta all’esterno della sala. 

L’uomo colpito dal proiettile vagante – Luca Campana – racconta che Delmastro era presente nella stessa stanza, anche se distante tre metri dal punto in cui è partito lo sparo. Il capo scorta di Delmastro invece riferisce che il suo scortato fosse serenamente fuori dalla stanza con la scorta serenamente all’interno. 

L’omertà, le contraddizioni, il mancato rispetto dei protocolli, l’avventatezza e la presenza di bambini rendono il tutto piuttosto grottesco.

Buon mercoledì. 

Nella foto (da fb): Andrea Delmastro e Emanuele Pozzolo

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Ansa su “I mangiafemmine”

Un decreto per regolamentare “l’attività venatoria del femminicidio”, firmato, appena vinte le lezioni, da Marzia Rizzo dei Conservatori assieme al leader del partito Valerio Corti, è l’estrema provocazione che segna il ritorno di Giulio Cavalli alla narrativa con la sua satira nutrita da uno humour grottesco e noir che scardina e mette a nudo la paradossale ferocia quotidiana della nostra realtà, da cui erano nate nel 2019 le visioni macabre sui flussi migratori di ‘Carnaio’ (finalista al Premio Campiello).

    Il libro alterna cronache di una sempre più affannata campagna elettorale dei Conservatori con racconti di donne uccise dai propri uomini, in carica o ex, a cominciare da quella di Frida Novelli, moglie di Tullio Ravasi, che in ufficio ricatta in modo vile per sesso una povera stagista e a casa è violento e insofferente, sino a esplodere e ammazzare non sopportando che lei sia sempre più ansiosa e impaurita. Un racconto in cui si succedono il modo di vivere il rapporto di Lui e di Lei. 
    È questo solo il primo fatto a coinvolgere direttamente, durante una incontro stampa tv, il povero Corti con la sua bieca, elementare cultura maschilista, che replica insinuando che forse era colpa di lei, visto che il marito la manteneva da signora permettendole di non lavorare. E dopo, a Marco Fumagalli, responsabile della comunicazione dei Conservatori, chiede di sapere, per il futuro, quanti uomini siano stati ammazzati recentemente da una donna, per poter “riequilibrare la narrazione” relativamente ai vari uxoricidi, come – dice – si sono sempre chiamati questi omicidi. 
    Il problema è che Corti, dato per vincitore scontato, avendo 13 punti percentuale in più del suo avversario Luigi Posso dei Democratici, non è amato dai moderati, di cui invece dovrebbe assolutamente conquistare i voti, e, con i suoi interventi fuori luogo mentre gli ammazzamenti di donne si susseguono a ritmo incalzante e la gente chiede chiarezza, peggiora sempre più la sua situazione, finché si decide che se il problema che mette in forse la sua vittoria sono le donne, allora si faccia da parte e si candidi alla presidenza una donna, la Rizzo appunto. 
    Ecco poi il decreto del governo che autorizza il femminicidio come se fosse caccia e la battaglia che contro tutto ciò ingaggia la giornalista Clementina Merlin, ritrovandosi però praticamente sola, coi suoi capi e i democratici che ritengono di lasciar perdere, non accettare la provocazione e affrontano la questione solo contestando le incongruenze giuridiche del decreto. Eppure si annuncia che nel primo giorno di caccia “le femmine abbattute sono ottocentocinquantaquattro. La soppressione è avvenuta regolarmente, rispettando le norme igieniche” previste dal decreto. 
    Il paese DF, in cui tutto è ambientato, assomiglia sempre più alla nostra realtà e, in questo gioco, le varie giustificazioni, le spiegazioni patriarcali, i riferimenti alla natura dell’uomo cacciatore e della donna che si fa preda, “perché non ci sono notizie di donne stuprate mentre stanno a casa” prese dai lavori domestici, diventano automaticamente non meno paradossali del resto e di citazioni che hanno creato nel tempo gli schemi sul ruolo o carattere della donna, che vanno da Aristotele a San Paolo, da Ambrose Bierce a Flaubert, e sono il vero senso del libro, la sua denuncia dark e impietosa. 
    Cavalli, giornalista che vive sotto scorta dal 2007 per il suo impegno contro le mafie, sappiamo che sa essere realista e preciso, come qui dimostra con la bella resa narrativa delle pagine sui vari racconti di femminicidi di Clara, Sonia, Frida, Alissa e i loro uomini, ma sa che la letteratura è visionaria, è metafora, e che la verità della sua denuncia, se è questo che vuol fare, nasce proprio dal presentarsi nella sua alterità e utilizzare libertà e stravolgimenti esemplari, che alla fine hanno una natura iperrealista come Kafka insegna e dimostra un maestro quale Swift, in particolare, col discorso sul come affrontare la fame nel mondo.    

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/unlibroalgiorno/2024/04/02/giulio-cavalli-e-i-mangiafemmine_177aa244-f4a3-439c-ad3f-1d674c0779e2.html

Altro che antisemitismo, è la distorsione del dibattito a fare spavento

La ministra all’Università Anna Maria Bernini riemerge dall’oblio per dirci che la decisione “della Normale di Pisa è “profondamente sbagliata perché le università non si schierano con una parte o con l’altra, le università non entrano in guerra. L’università ha un’arma potentissima, la ricerca scientifica, la formazione, che è un’importante e potente arma di pace”.

La ministra all’Università Anna Maria Bernini riemerge dall’oblio per dirci che la decisione della Normale di Pisa è “profondamente sbagliata”

Bernini si riferisce alla notizia strombazzata da molta infervorata stampa secondo cui l’università di Pisa avrebbe “interrotto la collaborazione in atto in atto con gli atenei israeliani”. Molti quotidiano l’hanno scritto esattamente così, con queste precise parole. Da lì in poi anche alla Normale ovviamente sono diventati antisemiti, con il solito misero trucco di identificare tutti gli ebrei con il governo di Israele, fottendosene del fatto che gli israeliani in massa siano per le strade a manifestare anche loro l’orrore per il proprio governo.

Solo che basterebbe andare sul sito dell’università per rendersi conto che il Senato accademico dell’università ha scritto tutt’altro. Basta Google, non serve essere giornalisti d’inchiesta. Si legge che l’università “si impegna, in coerenza con il dettato costituzionale, a esercitare la massima cautela e diligenza nel valutare accordi istituzionali e proposte di collaborazione scientifica che possano attenere allo sviluppo di tecnologie utilizzabili per scopi militari e alla messa in atto di forme di oppressione, discriminazione o aggressione a danno della popolazione civile, come avviene in questo momento nella striscia di Gaza”.

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Foglie di fico dal cielo su Gaza

Non è cambiato niente. Sono passati giorni dalla risoluzione Onu per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas ma si continua a morire. Come spiega Ispi a cinque mesi dall’inizio del conflitto, il deficit tra il volume dei rifornimenti che sarebbero entrati nella Striscia se non fosse stato per la guerra e ciò che è stato effettivamente ricevuto ha superato il mezzo milione di tonnellate. Secondo l’Integrated food security phase classification (Ipc) delle Nazioni Unite nessuno degli abitanti dell’enclave è ormai più al sicuro dal punto di vista alimentare. Da quando è stato istituito, 20 anni fa, l’Ipc ha dichiarato solo due carestie: in Somalia nel 2011 e in Sud Sudan nel 2017. A meno che non sia ripristinata la fornitura di aiuti, hanno fatto sapere, gli esperti dovranno dichiararne una terza.

Agenzie e organizzazioni umanitarie continuano a ripetere che gli aiuti aerei sono il metodo meno efficace per distribuire rifornimenti umanitari. Da allora diversi palestinesi sono annegati mentre cercavano di raggiungere a nuoto alcune casse che erano cadute in mare, o sono rimasti schiacciati quando i paracaduti non si sono aperti correttamente. L’alto funzionario per i diritti umani, Volker Türk  ha ripetutamente denunciato alla Bbc che l’ipotesi secondo cui Israele sta usando la fame come arma di guerra a Gaza è “plausibile”. Se l’intento fosse dimostrato, ha spiegato, equivarrebbe a un crimine di guerra. Accuse che il governo di Benjamin Netanyahu definisce come “una totale assurdità”. I camion intanto restano bloccati a Rafah. 

Buon martedì. 

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