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Ansa su “I mangiafemmine”

Un decreto per regolamentare “l’attività venatoria del femminicidio”, firmato, appena vinte le lezioni, da Marzia Rizzo dei Conservatori assieme al leader del partito Valerio Corti, è l’estrema provocazione che segna il ritorno di Giulio Cavalli alla narrativa con la sua satira nutrita da uno humour grottesco e noir che scardina e mette a nudo la paradossale ferocia quotidiana della nostra realtà, da cui erano nate nel 2019 le visioni macabre sui flussi migratori di ‘Carnaio’ (finalista al Premio Campiello).

    Il libro alterna cronache di una sempre più affannata campagna elettorale dei Conservatori con racconti di donne uccise dai propri uomini, in carica o ex, a cominciare da quella di Frida Novelli, moglie di Tullio Ravasi, che in ufficio ricatta in modo vile per sesso una povera stagista e a casa è violento e insofferente, sino a esplodere e ammazzare non sopportando che lei sia sempre più ansiosa e impaurita. Un racconto in cui si succedono il modo di vivere il rapporto di Lui e di Lei. 
    È questo solo il primo fatto a coinvolgere direttamente, durante una incontro stampa tv, il povero Corti con la sua bieca, elementare cultura maschilista, che replica insinuando che forse era colpa di lei, visto che il marito la manteneva da signora permettendole di non lavorare. E dopo, a Marco Fumagalli, responsabile della comunicazione dei Conservatori, chiede di sapere, per il futuro, quanti uomini siano stati ammazzati recentemente da una donna, per poter “riequilibrare la narrazione” relativamente ai vari uxoricidi, come – dice – si sono sempre chiamati questi omicidi. 
    Il problema è che Corti, dato per vincitore scontato, avendo 13 punti percentuale in più del suo avversario Luigi Posso dei Democratici, non è amato dai moderati, di cui invece dovrebbe assolutamente conquistare i voti, e, con i suoi interventi fuori luogo mentre gli ammazzamenti di donne si susseguono a ritmo incalzante e la gente chiede chiarezza, peggiora sempre più la sua situazione, finché si decide che se il problema che mette in forse la sua vittoria sono le donne, allora si faccia da parte e si candidi alla presidenza una donna, la Rizzo appunto. 
    Ecco poi il decreto del governo che autorizza il femminicidio come se fosse caccia e la battaglia che contro tutto ciò ingaggia la giornalista Clementina Merlin, ritrovandosi però praticamente sola, coi suoi capi e i democratici che ritengono di lasciar perdere, non accettare la provocazione e affrontano la questione solo contestando le incongruenze giuridiche del decreto. Eppure si annuncia che nel primo giorno di caccia “le femmine abbattute sono ottocentocinquantaquattro. La soppressione è avvenuta regolarmente, rispettando le norme igieniche” previste dal decreto. 
    Il paese DF, in cui tutto è ambientato, assomiglia sempre più alla nostra realtà e, in questo gioco, le varie giustificazioni, le spiegazioni patriarcali, i riferimenti alla natura dell’uomo cacciatore e della donna che si fa preda, “perché non ci sono notizie di donne stuprate mentre stanno a casa” prese dai lavori domestici, diventano automaticamente non meno paradossali del resto e di citazioni che hanno creato nel tempo gli schemi sul ruolo o carattere della donna, che vanno da Aristotele a San Paolo, da Ambrose Bierce a Flaubert, e sono il vero senso del libro, la sua denuncia dark e impietosa. 
    Cavalli, giornalista che vive sotto scorta dal 2007 per il suo impegno contro le mafie, sappiamo che sa essere realista e preciso, come qui dimostra con la bella resa narrativa delle pagine sui vari racconti di femminicidi di Clara, Sonia, Frida, Alissa e i loro uomini, ma sa che la letteratura è visionaria, è metafora, e che la verità della sua denuncia, se è questo che vuol fare, nasce proprio dal presentarsi nella sua alterità e utilizzare libertà e stravolgimenti esemplari, che alla fine hanno una natura iperrealista come Kafka insegna e dimostra un maestro quale Swift, in particolare, col discorso sul come affrontare la fame nel mondo.    

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/unlibroalgiorno/2024/04/02/giulio-cavalli-e-i-mangiafemmine_177aa244-f4a3-439c-ad3f-1d674c0779e2.html

Altro che antisemitismo, è la distorsione del dibattito a fare spavento

La ministra all’Università Anna Maria Bernini riemerge dall’oblio per dirci che la decisione “della Normale di Pisa è “profondamente sbagliata perché le università non si schierano con una parte o con l’altra, le università non entrano in guerra. L’università ha un’arma potentissima, la ricerca scientifica, la formazione, che è un’importante e potente arma di pace”.

La ministra all’Università Anna Maria Bernini riemerge dall’oblio per dirci che la decisione della Normale di Pisa è “profondamente sbagliata”

Bernini si riferisce alla notizia strombazzata da molta infervorata stampa secondo cui l’università di Pisa avrebbe “interrotto la collaborazione in atto in atto con gli atenei israeliani”. Molti quotidiano l’hanno scritto esattamente così, con queste precise parole. Da lì in poi anche alla Normale ovviamente sono diventati antisemiti, con il solito misero trucco di identificare tutti gli ebrei con il governo di Israele, fottendosene del fatto che gli israeliani in massa siano per le strade a manifestare anche loro l’orrore per il proprio governo.

Solo che basterebbe andare sul sito dell’università per rendersi conto che il Senato accademico dell’università ha scritto tutt’altro. Basta Google, non serve essere giornalisti d’inchiesta. Si legge che l’università “si impegna, in coerenza con il dettato costituzionale, a esercitare la massima cautela e diligenza nel valutare accordi istituzionali e proposte di collaborazione scientifica che possano attenere allo sviluppo di tecnologie utilizzabili per scopi militari e alla messa in atto di forme di oppressione, discriminazione o aggressione a danno della popolazione civile, come avviene in questo momento nella striscia di Gaza”.

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Foglie di fico dal cielo su Gaza

Non è cambiato niente. Sono passati giorni dalla risoluzione Onu per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas ma si continua a morire. Come spiega Ispi a cinque mesi dall’inizio del conflitto, il deficit tra il volume dei rifornimenti che sarebbero entrati nella Striscia se non fosse stato per la guerra e ciò che è stato effettivamente ricevuto ha superato il mezzo milione di tonnellate. Secondo l’Integrated food security phase classification (Ipc) delle Nazioni Unite nessuno degli abitanti dell’enclave è ormai più al sicuro dal punto di vista alimentare. Da quando è stato istituito, 20 anni fa, l’Ipc ha dichiarato solo due carestie: in Somalia nel 2011 e in Sud Sudan nel 2017. A meno che non sia ripristinata la fornitura di aiuti, hanno fatto sapere, gli esperti dovranno dichiararne una terza.

Agenzie e organizzazioni umanitarie continuano a ripetere che gli aiuti aerei sono il metodo meno efficace per distribuire rifornimenti umanitari. Da allora diversi palestinesi sono annegati mentre cercavano di raggiungere a nuoto alcune casse che erano cadute in mare, o sono rimasti schiacciati quando i paracaduti non si sono aperti correttamente. L’alto funzionario per i diritti umani, Volker Türk  ha ripetutamente denunciato alla Bbc che l’ipotesi secondo cui Israele sta usando la fame come arma di guerra a Gaza è “plausibile”. Se l’intento fosse dimostrato, ha spiegato, equivarrebbe a un crimine di guerra. Accuse che il governo di Benjamin Netanyahu definisce come “una totale assurdità”. I camion intanto restano bloccati a Rafah. 

Buon martedì. 

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Militarizzare gli atenei, l’ultima frontiera del bavaglio al dissenso. Dilaga la protesta pro-Palestina, per il governo è allarme terrorismo

Due settimane fa all’università della Columbia un professore ha sollevato la questione di un’emoji della bandiera palestinese che una studentessa aveva messo accanto al suo nome durante le riunioni di Zoom. Per il professore quella minuscola bandiera avrebbe “causato reazioni traumatiche” tra gli studenti che non si sentirebbero sicuri. Qui da noi tre giorni fa la ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha afferrato il telefono per chiamare il capo della Polizia Vittorio Pisani per confrontarsi “sulla situazione degli atenei”.

Allarmismo

Ad allarmare la ministra e il suo governo sono le contestazioni al direttore di Repubblica Maurizio Molinari da parte degli studenti dell’Università di Napoli, poi le contestazioni al giornalista David Parenzo e infine le istanze contro la guerra che, dopo Napoli e Torino, hanno occupato nei giorni scorsi La Sapienza e manifestato a Genova per chiedere l’interruzione del bando di collaborazione tra Italia e Israele (Maeci) e dei rapporti con Leonardo e Fondazione Med-or, presieduta da Marco Minniti.

Al Viminale il ministro Matteo Piantedosi ha pronto il suo fantomatico piano che prevede accessi “limitati e controllati” agli atenei e di porre le forze dell’ordine all’ingresso delle aule dove si tengono convegni e appuntamenti per bloccare le contestazioni. Il ministro dell’Interno si è mosso dopo che il ministro dell’Agricoltura, nonché cognato di Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida, ha sentenziato sul “pericolo terrorismo” nelle università in caso di un “eccesso di tolleranza”.

Predicare bene…

Pensare che al suo insediamento, solo alcuni mesi fa, la sorella di sua moglie nonché presidente del Consiglio nel suo discorso di insediamento invitava i giovani a “essere folli e liberi”. “Contestatemi”, disse la leader di Fratelli d’Italia con una certa sicumera.

Chissà se aveva già in tasca la carta del pericolo del terrorismo. Lollobrigida ci ha spiegato che non prendere provvedimenti contro gli universitari “in passato ha poi portato al terrorismo e al suo rafforzamento fino all’episodio di Aldo Moro, che, con il suo sacrificio, creò un allarme democratico talmente ampio che ci permise di sconfiggere quel fenomeno brutale che è l’eversione”. Riuscire a mettere insieme la difesa dei diritti umani a Gaza con l’uccisione del segretario della Democrazia cristiana è un capolavoro di allarmismo sconclusionato.

Essere “pro Palestina” quindi diventa un’etichetta che vorrebbe ridurre – come al solito – a un tema di ordine pubblico un tema squisitamente politico. La narrazione degli scapestrati studenti polemici serve a tacere sui 1.300 accademici che hanno firmato una lettera indirizzata al ministro agli Esteri Antonio Tajani con cui si chiede un completo stop agli accordi di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica in vigore con Israele “con lo scopo di esercitare pressione sullo stato di Israele affinché si impegni al rispetto del diritto internazionale tutto, come è giustamente richiesto a tutti gli stati del mondo”.

Strani intrecci

Il Movimento No Muos siciliano in un dossier su Università e Guerra, spiega l’intreccio di interessi: “Quello meramente economico e remunerativo: le aziende belliche che finanziano la ricerca non lo fanno in maniera disinteressata ma creano profitto e possono attingere a un bacino ampio di stagisti/e e tirocinanti da impiegare presso le proprie strutture; un altro fine è politico e propagandistico, con una università che si presta da un lato a legittimare le aggressioni imperialiste e, dall’altro, a diffondere la cultura della difesa e della sicurezza nei territori, che serve a normalizzare la guerra e le sue conseguenze”.

È tutt’altro che una questione di studenti indisciplinati.

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Genova crocevia tra Usa e Arabia, ecco la nuova rotta delle armi. La nave saudita Bahri Abha ha attraccato in Liguria con un carico di mezzi leggeri per l’esercito americano

La denuncia arriva da The weapon watch, l’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei: la cavalcata dell’economia di guerra lascia tracce al porto di Genova. La Bahri Abha, una delle navi della compagnia nazionale saudita Bahri che, a volte, oltre alle classiche merci trasportano armamenti diretti nei teatri di guerra del mondo, ha scaricato nel porto di Genova una decina di mezzi militari, che non sono destinati a ripartire.

Si tratta – per l’osservatorio – probabilmente dell’Oshkosh L-ATV (la sigla sta per Light Combat Tactical All-Terrain Vehicle), il veicolo 4×4 tattico leggero dell’esercito americano che in parte sta sostituendo gli HMMWV. È la prima volta che questi arsenali galleggianti portano armi nel nostro paese. Lo fanno come una routine commerciale, evidentemente c’è una “domanda” nuova a cui rispondere. Infatti i mezzi scaricati sono destinati alla base americana di Camp Darby. Camp Darby è il più grande deposito di materiale bellico al di fuori degli Stati Uniti, che occupa ben 2.000 ettari nella pineta tra Pisa e Livorno. Ha avuto origine da un accordo segreto Italia-Stati Uniti firmato nel 1951.

Aveva un carattere temporaneo (quarant’anni) in seguito divenuto permanente. È formalmente una base italiana con un comandante italiano, ma di fatto è il fulcro del dispositivo militare Usa nell’Europa meridionale. Ha servito di supporto a tutte le guerre condotte dagli Stati Uniti negli ultimi decenni, in particolare per le spedizioni militari nei Balcani e in Medio Oriente. Per The weapon watch si tratta di “una base militare “italiana” che è servita e serve a condurre guerre, in aperta contraddizione con l’articolo 11 (“L’Italia ripudia la guerra…”) e l’articolo 87 (“il presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere”) della Costituzione.

“Questo passaggio della Bahri Abha che consegna armi alle basi militari Usa sul territorio italiano – scrivono gli osservatori di armi nei porti europei – è un altro passo della militarizzazione globale. Infatti sinora nella catena logistica che rifornisce le installazioni militari Usa in Europa sono state impiegate solo navi con bandiera Usa, come quelle che toccano regolarmente il porto di Livorno. L’impiego anche della flotta Bahri, sotto bandiera saudita, nella logistica militare Usa sancisce che l’alleanza di interessi tra gli Stati Uniti e la monarchia di Riyad è ormai un’alleanza militare attiva, non più una mera fornitura di materiale per la difesa, il che si constata anche nel Mar Rosso occupato dalle cannoniere occidentali in funzione anti-houthi. Com’è noto, gli alleati dei nostri alleati diventano nostri alleati”.

Traffici armati

Per The weapon watch è anche “il caso di Israele, con cui i governi italiani hanno stretto patti militari importanti, anch’essi rimasti largamente segreti. Ed è ora il caso della sanguinaria e per nulla democratica monarchia assoluta araba saudita. Del resto i portuali genovesi lo stanno provando direttamente da anni sulla propria pelle: ogni arrivo delle navi Bahri in porto è preceduto e accompagnato – racconta The weapon watch – da un incredibile spiegamento di forze di polizia dentro l’area portuale, anche dove normalmente operano i mezzi e i lavoratori portuali.

Quello che è un transito di armamenti in violazione di leggi nazionali e trattati internazionali è da tempo presentato come prioritario interesse per la sicurezza del nostro paese. È invece un altro tassello della pratica partecipazione dell’Italia alle guerre in corso e, temiamo, a quelle che si stanno preparando”. Le attività delle navi della compagnia Bahri sono attentamente monitorate dal Calp, che in diverse occasioni ha lanciato mobilitazioni per bloccare i varchi portuali e impedire che queste potessero ripartire. L’osservazione di navi militari nei porti italiani si è intensificata negli ultimi anni.

Nel marzo 2017 creò polemiche l’attività della nave statunitense Liberty Passion, lunga 200 metri e progettata per il trasporto veicoli e carichi su ruote, che stabilì un collegamento regolare tra Livorno e i porti di Aqaba in Giordania e Gedda in Arabia Saudita, con rotte mensili insieme ad altri due mercantili, Liberty Pride e Liberty Promise. In questo caso fu proprio l’Amministrazione marittima Usa che le tre navi facevano parte del “Programma di sicurezza marittima” necessario per fornire al Dipartimento della difesa americano “la capacità di trasportare centinaia di veicoli da combattimento e da appoggio, tra cui carriarmati, veicoli per il trasporto truppe, elicotteri ed equipaggiamenti per le unità militari”. Nel maggio 2019 era esplosa la polemica legata alla sbarco del cargo saudita Bahri Yanbu al porto di Genova.

Una nave, anche in quel caso, carica di armi battente bandiera saudita, come avevano denunciato una serie di associazioni, dalla Rete per il disarmo fino ad Amnesty. Il cargo, per quanto se ne seppe, trasportava bombe destinate alle forze armate della monarchia saudita e che rischiavano di essere utilizzate anche nella guerra in Yemen. Stesso discorso nel maggio 2021, quando la nave Asiatic Island, portacontainer arrivata in porto a Livorno e ripartita nel giro di poche ore, carica di armi ed esplosivi diretti al porto israeliano di Ashdod. Movimenti di armi e mezzi che interessano i porti di Genova e Livorno da anni, prima e dopo ogni grande conflitto. Come nel caso della prima guerra del Golfo.

Il caso Moby Prince

Traffici militari che, si sospetta, senza però averne mai ottenuto la conferma, neanche in sede giudiziaria, abbiano avuto un ruolo anche nella tragedia del traghetto Moby Prince del 10 aprile 1991, 140 le vittime arse vive dopo l’impatto con a petroliera Agip Abruzzo. Il più grave incidente della marineria italiane sui cui pesa da anni il sospetto del coinvolgimento di mezzi militari americani e navi militarizzate che movimentavano armi e logistica verso a base di Camp Derby al termine della prima guerra nel Golfo.

È stato accertato, come ricostruì il Fatto Quotidiano, che da febbraio a giugno 1991 gli Stati Uniti spesero circa 10,5 milioni di dollari per tenere in rada a Livorno sei navi militarizzate cariche di armi ed esplosivi di ritorno dal Golfo, ufficialmente per riportarle nella base di Camp Darby. Ma dall’inchiesta condotta sul disastro del traghetto Moby Prince è emerso che il traffico tracciato da queste navi alla base militare Usa in Toscana fu circa lo 0,2 per mille del carico complessivo delle navi militarizzate americane.

Secondo le conclusioni di una delle inchieste sulla tragedia del 10 aprile 1991 è che la collisione tra il traghetto e la petroliera sarebbe avvenuto in seguito a una manovra evasiva volontaria del Moby Prince per evitare un terzo natante non identificato che si trovava vicino alla petroliera Agip Abruzzo ma anche ad alcune navi militarizzate americane.

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L’isola di Calipso recensisce I mangiafemmine

(L’isola di Calipso recensisce “I mangiafemmine”)

“I Mangiafemmine di Giulio Cavalli è un libro da leggere, un libro da riprendere in mano a giorni alterni e su cui riflettere, perché quello che racconta con più di una punta di sarcasmo non è poi così lontano dalla realtà.

Tutte le storie che Cavalli inserisce nella trama del suo romanzo per descrivere vari femminicidi, quasi tutti avvenuti all’interno della famiglia, sono totalmente plausibili. Sono quelli che leggiamo distrattamente sui giornali, quelli che ormai albergano a giorni alterni sui nostri quotidiani. Sono fedeli estratti delle cronache giudiziarie.

Frida uccisa e decapitata dal marito frustrato perché sospeso dal lavoro a causa delle molestie fatte ad una tirocinante in cambio di un assunzione.

Sonia decisa a vivere dopo anni di botte, che lascia il marito quando i figli ormai grandi vanno vai di casa, freddata da due colpi di fucile per la strada perché lui non lo accetta.

Clara che dopo aver tentato di spiegare al compagno che non lo ama più e non intende rimanere ancora in quella relazione, viene pugnalata dall’uomo nella sua stanza da letto dove lui si era introdotto perché possedeva ancora le chiavi di casa.

Donne che hanno pagato con la vita la scelta dell’uomo sbagliato, che sono state lo sfogo dell’insoddisfazione, della frustrazione, della piega che aveva preso la loro vita, incapaci di accettare la fine di una relazione o l’autonomia della propria compagna. Perché la costante è sempre il senso di possesso. La donna vista non come persona, come soggetto autonomo, capace di scelte, di sogni, di desideri propri, ma solo come oggetto del desiderio maschile, emanazione della sua volontà, prolungamento del proprio ego.

E in questo contesto Cavalli immagina una nazione, DF, alle porte di un’elezione politica, alle prese con un incremento di femminicidi. Il candidato premier a cui la cosa non importa, ma anche anzi disturba non poco – infondo le donne non sono sempre state uccise? Cosa è mai ora questa necessità di descriverla come un’emergenza da risolvere al più presto? – commette una gaffe dietro l’altra e viene sostituito in corsa da una donna. E’ il modo più veloce ed indolore per mettere a tacere le polemiche e chiudere la questione.

Ed è la presidente del Consiglio donna a firmare un decreto che inserisce la piena legittimità e legalità all’uccisione delle donne, assimilate ad animali su cui è consentita la caccia, rispettando, ovviamente, le quote stabilite, le regole imposte dai regolamenti d’attuazione (non donne incinte, non in presenza di minori, non in modo cruento, senza utilizzare termini dispregiativi e ingiuriosi mentre si commette l’uccisione e così via). Un’operazione pulita e indolore che tutto sommato non suscita grandi reazioni nell’opinione pubblica, solo un gruppo delle “solite e facinorose” femministe cerca di protestare e attirare l’attenzione sull’orrore della legge.

Decreto Legge n. 55/4231 Misure straordinarie per la regolamentazione temporanea dell’attività venatoria speciale/straordinaria del femminicidioIL PRESIDENTEVisti gli articoli 77 e 87 della Costituzione, […] Decreta:Articolo 1 – FinalitàIl presente Decreto Legge stabilisce misure straordinarie per la regolamentazione della caccia al fine di preservare l’ordine pubblico e i principi etico-sociali, nel rispetto delle nome igienico-sanitarie.Articolo 2 – autorizzazione all’attività venatoria specialeè consentita la pratica venatoria volta all’equilibrio dei generi, secondo i protocolli e le modalità stabilite nel presente Decreto Legge. L’autorizzazione alla caccia è subordinata al possesso di una licenza rilasciata dalle autorità competenti, previo superamento di un esame attestante la conoscenza delle norme igienico-sanitarie e delle regole di sicurezza.

Leggendo il nuovo romanzo di Giulio Cavalli, ci si rende tremendamente conto di quanto la realtà distopica che lui costruisce sia l’immaginate fedele di quello che viviamo. Esagerata? Sì. Portata all’eccesso? Anche. Ma purtroppo non falsa.

I politici che descrive sono inventati ma non è difficile vedervi riflessi atteggiamenti, posizioni, dichiarazioni di cui leggiamo o assistiamo in televisione. Dibattiti imbarazzanti, ipocrisie, scontri verbali che gettano spesso fumo negli occhi, distolgono l’attenzione dai veri problemi, creano polemica sterile ed inutile pur di alzare un polverone teso a coprire altro.

E l’imperante maschilismo, il patriarcato non sono ipotesi fantasiose di povere femministe (e mi viene in mente quanto dice Chimamanda Ngozi Adichie nel suo brevissimo Dovremmo essere tutti femministi, di quanto la parola “femminista” si porti dietro un notevole bagaglio negativo).

I Mangiafemmine è una potente critica alla nostra società e a tutti quei retaggi culturali che la permeano. Cavalli con uno stile scevro da qualsivoglia orpello stilistico, in modo a volte persino freddo, ribalta la posizione di partenza, dando per assodato e addirittura legalizzato il femminicidio, portando a galla l’atteggiamento sotto traccia che infondo le donne se la cercano, che sono i loro atteggiamenti a farle diventare terreno di caccia, che gli uomini “poverini” sono stati “costretti” a difendersi dalle pazze, aggressive, incontrollate femmine che li circondano.

Quello che mi piace dei libri di Giulio Cavalli è che la distopia che racconta non è mai così lontana dalla nostra realtà. Come già in Carnaio, in cui rifletteva sui morti che arrivano sulle coste di un immaginario paese e le reazioni inconsulte e disumane che le continue stragi in mare provocano, anche qui l’orrore quotidiano si stempra in un atto di accusa lucido e reale su come i femminicidi vengono raccontati, giustificati e alla fine banalizzati dal sistema politico e dalla società”

Gli effetti della distrazione di massa e l’apocalisse che non vediamo – Lettera43

Ci accapigliamo sulla scuola di Pioltello, i test per i magistrati, le sparate di Salvini contro gli autovelox, la grammatica di Valditara. Peccato che intanto la situazione su Ucraina e Gaza rischi di precipitare e il ministro Giorgetti lanci l’allarme sulla tenuta dei conti pubblici. È vero che distrarre è un ingrediente fondamentale della propaganda, ma non staremo esagerando?

Gli effetti della distrazione di massa e l’apocalisse che non vediamo

Una bella fetta di settimana è passata con il baccano su una scuola (una) a Pioltello in cui il dirigente scolastico, con il voto unanime dell’intero consiglio d’istituto, ha deciso di sfruttare la sua autonomia scolastica per fissare un giorno di vacanza in un giorno in cui la scuola sarebbe stata semi vuota causa fine del Ramadan. L’inezia di provincia è stata trasformata in una crociata contro l’islam in difesa delle radici cattoliche italiane da un caravanserraglio di parlamentari, eurodeputati e politici minori che si sono buttati in picchiata nell’agone sovranista. Sono visibilmente soddisfatti, hanno trovato la leva per una polemica scolastica anche in un periodo in cui i presepi sono inscatolati in soffitta.

Pioltello, i docenti «Offesi e maltrattati, ci sentiamo aggrediti dallo Stato»
Genitori fuori dalla scuola di Pioltello (Ansa).

L’isteria di Berlusconi sui magistrati è diventata riforma

Un’altra fetta di Co2 è stata consumata per ribattere e commentare il test psicoattitudinale che il ministro Carlo Nordio ha voluto rifilare ai magistrati per corroborare l’idea che siano una manica di pericolosi invertiti. Silvio Berlusconi nella tomba starà ridendo come un matto osservando come una sua isteria sia diventata una riforma per di più con l’assenso di pensosi commentatori che da giorni prendono sul serio il quiz che la mia generazione compilava prima del servizio di leva militare. Ai tempi quando si andava in processione all’ospedale militare di Baggio a farsi interrogare per quale sinistro motivo ci piacessero i fiori ma non volessimo fare i fiorai nessuno di noi, nemmeno il più fantasioso, avrebbe mai potuto immaginare che quel test sarebbe stato rivenduto come tassello fondamentale di una desiderata riforma della Giustizia. Il ministro Nordio ripete da giorni che «i test ci sono in tutta Europa». Falso. È vero invece che in Francia sono stati eliminati nel 2017 con imbarazzo e risolini.

Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri: «Test psicoattitudinali per i magistrati? Allora anche per chi governa».
Carlo Nordio (Imagoeconomica).

La battaglia piena di panzane di Salvini sugli autovelox

Il ministro ai Trasporti Matteo Salvini ha invece irrobustito la sua personale battaglia agli autovelox. Come spesso gli capita, il leader della Lega non può dire veramente quello che pensa perché rischierebbe di finire – ancora di più – nel cassetto dei dissennati, quindi si è limitato ad affermare che «in Italia ci sono il 10 per cento degli autovelox installati nel mondo». Ovviamente il dato è una panzana, ma sui social più intestinale ha funzionato benissimo. Migliaia di giga sprecati per faccette che applaudono.

Fleximan colpisce anche nel Milanese quattro autovelox distrutti a Buccinasco
Autovelox (Getty Images).

Valditara e quel tweet incomprensibile

Il ministro all’Istruzione e al merito Giuseppe Valditara occupa i giornali (quindi banda e inchiostro) grazie a un tweet sostanzialmente illeggibile che ha il demerito di essere incomprensibile per forma e infantile nel contenuto. Una nutrita truppa di commentatori politici è stata costretta anche a riportare la stizza del ministro che dice di avere dettato il messaggio al telefono. Da lì via di analisi sui messaggi dettati, sulla presenza di collaboratori per i social del ministro e sulle funzioni di dettatura. Avanti così. Intanto sotto la voce “terrorismo” ci sono finiti gli studenti che legittimamente protestano, chiunque non sia d’accordo con la distruzione di Gaza e l’annientamento dei suoi abitanti e chi approccia di persona salottieri televisivi abituati a interrompersi solo in occasione del blocco pubblicitario.

Scuola chiusa per la fine del Ramadan a Pioltello, Valditara chiede verifiche
Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (Imagoeconomica).

Intanto l’Ue corre verso l’economia di guerra

Mentre si bruciavano neuroni su simili bagattelle questa settimana l’Unione europea ha ampliato le sue falcate verso l’economia di guerra pur consapevole di non avere abbastanza soldi per difendere l’Ucraina che promette di difendere. Gli Usa sono appesi a un candidato che vende bibbie personalizzate per pagare i suoi guai giudiziari. Un ministro ha accusato l’autorità nazionale anti corruzione di essere «contro gli interessi di Stato» come se vigilare sia sinonimo di sabotare. I numeri indicano un impoverimento nazionali insieme al disfacimento della sanità pubblica. Il Pnrr continua a essere tutt’altro che trasparente a tre mesi dalla sua modifica. La natalità è al suo minimo storico. Il Tar del Lazio ha dovuto ribadire il diritto di sciopero smentendo il ministro PreCetto Laqualunque.

Giorgetti si sgola per lanciare l’allarme sui conti

La seconda più importante agenzia di stampa del Paese che appartiene anche a un ministero sta per essere ceduta a un parlamentare di maggioranza che è anche un editore all’insaputa del ministro. I conti del bilancio dello Stato tornano sempre meno al ministro Giancarlo Giorgetti che inascoltato si sgola per lanciare l’allarme. I terroristi – quelli veri – si organizzano per sfruttare il disequilibrio dell’Occidente logorato dalle guerre. È vero che distrarre è un ingrediente fondamentale della propaganda, ma non staremo esagerando nel farci distrarre?

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Il senso dello Stato di Salvini, chi disturba rema contro

“Sorprende lo stop dell’Anac: è come se pezzi di Stato remassero contro l’interesse nazionale“. Con il solito trucco di non meglio precisate “fonti” il ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini si scaglia contro l’Autorità nazionale anticorruzione. La colpa dell’Anac per il leader della Lega sarebbe avere fatto ciò per cui è stata inventata ovvero muovere rilievi sulla trasparenza dell’appalto che sta dietro alla diga foranea di Genova, la più importante infrastruttura finanziata dal Pnrr, più precisamente dal fondo nazionale complementare.

Anac ha evidenziato l’“omessa motivazione nell’utilizzo della procedura negoziata senza bando”, il “mancato aggiornamento dei prezzi” e l’“alterazione delle condizioni” tra la prima procedura, andata deserta per i costi troppo alti, e quella successiva. Nei mesi di governo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i suoi ministri hanno vissuto i rilievi delle istituzioni e delle autorità sempre come uno sgarbo alla Patria. È accaduto con la Corte dei conti, è accaduto con l’Ufficio di bilancio del Parlamento, accade con l’Anac e accade con i tribunali che sottolineano l’illegalità dei provvedimenti.

Convinti di essere patria Meloni, Salvini e compagnia cantante sognano pieni poteri in cui i componenti dello Stato siano camerieri e incensatori, con il Parlamento ridotto a pulsantificio e gazzarra per sollazzare il pubblico a casa e con il Presidente della Repubblica limitato agli eventi con prosecco e patatine. Piccolo particolare inquietante: questi sono gli stessi che da mesi ci rassicurano sulla riforma del premierato che – dicono – porterebbe solo benefici. A ciascuno le giuste considerazioni.

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Non solo cognati e sorelle d’Italia. Spunta pure il fratello della Santanchè

Che in Fratelli d’Italia la giusta parentela sia una virtù lo sa un ministro al’Agricoltura e sua moglie nonché sorella e capo dell’organizzazione del partito. Ora all’orizzonte si staglia anche il fratello della ministra la Turismo Daniela Santanchè pronto per entrare nel listino bloccato delle prossime elezioni regionali in Piemonte. Massimo Garnero è fratello della più famosa Daniela già coniugata Santanchè, figli di quel’Ottavio che dalle parti di Cuneo è stato per anni il titolare di un’agenzia di spedizioni, la Unione Corrieri Cuneesi.

Massimo Garnero sgomita per un seggio sicuro in Piemonte. I guai giudiziari della ministra però potrebbero bloccarlo

Diplomato in ragioneria, Massimo ha continuato l’attività del padre fino al 2015 ed è direttore generale della Tomatis autotrasporti srl. Un passione per lo sport (presidente del Busca calcio dal 1998 al 2001 e vice presidente del Country Club di Cuneo dal 2012 al 2018) nel 2022 Garnero si è candidato ed è stato rieletto consigliere comunale a Cuneo, tra i banchi dell’opposizione. Per lui una campagna elettorale altisonante: l’8 giugno del 2022 a sostenerlo c’è stata la sorella insieme all’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa. “Noi siamo Fratelli d’Italia e io qua ho il fratello capolista”, diceva Santanchè in un video elettorale. In Consiglio comunale Garnero si distingue per i temi cari al suo partito.

Il 5 settembre 2022 firma un’interpellanza a risposta orale per sapere degli “extracomunitari irregolari e come la Giunta intenda far fronte a tale problematica”, poi un’interpellanza sullo spaccio di droghe leggere al Parco Parri e una polemica per il mancato patrocinio al Giorno del ricordo alle iniziativa del Comitato 10 febbraio. Un fratello d’Italia perfetto, con l’aggiunta di essere anche un fratello giusto. Ora Garnero sarebbe pronto per il grande salto in Regione. Lo schema del ricandidato presidente di centrodestra Alberto Cirio prevede il cinque-tre-due: sono questi i posti riservati per Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia nel listino bloccato del presidente che evita ai candidati di doversi procacciare le preferenze.

Tra i cinque posti per i meloniani un posto è riservato proprio al fratello della ministra. Ma il destino del fratello minore dicono dalle parti di Cuneo che sia legato a doppio filo a quello della ministra. Garnero ha pedissequamente sempre seguito le mosse della sorella (è passato a Fratelli d’Italia da Forza Italia nel 2018 due mesi dopo la Santanchè) e l’indagine aperta dopo lo scoop di Report ora rischia di essere un incidente di percorso anche per lui. Così la candidatura alle regionali data per scontata fino a pochi giorni fa ora sembra essere in bilico. Lui per ora non si esprime, accontentandosi di essere ancora (per ora) il fratello giusto al posto giusto.

Il consigliere comunale di Cuneo punta ad un posto nel listino bloccato del presidente uscente Cirio

Non è un caso che quando il 22 febbraio scorso il capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Piemonte Paolo Bongioanni è partito per Roma per incontrare alcuni esponenti del governo e delle istituzioni abbia deciso di portarsi dietro il fratello della ministra Santanchè come passe-partout. Nel listino di Cirio a oggi ci sarebbe Gabusi per Forza Italia l’assessora comunale di Valenza Alessia Renza Zaio e la presidente del consiglio comunale di Borgomanero Annalisa Beccaria, coordinatrice provinciale di Azzurro Donna e molto vicina al coordinatore regionale Paolo Zangrillo.

Per la Lega l’attuale capogruppo Alberto Preioni, l’attuale vicepresidente della Regione Fabio Carosso e l’europarlamentare Gianna Gancia. Nei posti riservati al partito di Giorgia Meloni il vercellese Carlo Riva Vercellotti, la biellese, attuale assessore regionale, Elena Chiorino, Valerio Cattaneo, Matteo Marcovicchio e un punto di domanda sul “fratello d’Italia” Garnero.

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Scuola Pioltello. E anche questa settimana siamo riusciti a sprecarla parlando di niente

«Ma perché mai imparare l’italiano, se un analfabeta di ritorno riesce comunque a fare il ministro?». Il sunto di questi ultimi giorni intrisi di ignorante propaganda l’ha scritto Tomaso Montanari dopo avere letto il ministro all’Istruzione Valditara mentre sputava uno sconclusionato messaggio sui social. 

Il ministro incapace di imbroccare la consecutio ci ha voluto fare sapere, tentando di farsi capire, che nelle scuole bisognerebbe insegnare un “italiano potenziato” per facilitare l’integrazione. Ci sono due problemi di fondo, i soliti di questi squinternati al governo: l’integrazione per loro consiste nella reductio delle altre culture (fondamento di ogni xenofobia) e la loro cultura è troppo bassa per essere in grado di gestire la cultura degli altri. 

Ripercorriamo questi ultimi giorni. Una scuola a Pioltello decide di gestire i giorni di chiusura com’è nelle facoltà della sua autonomia. Non è una questione religiosa: i dirigenti scolastici sanno meglio dei ministri che conviene chiudere quando le troppe assenze potrebbero minare il percorso didattico. Il ministro Salvini assetato di propaganda per oliare il suo sprofondamento politico ulula sulla pelle dei ragazzi, come al solito, senza sapere che in realtà un limite per il numero degli alunni stranieri a scuola è in vigore già dal 2010. Accortisi dell’enorme figura di palta al governo decidono di mandare avanti il ministro Valditara per dire «è vero, c’è già il limite, ma forse potremmo abbassarlo». Pochissimi giornalisti fanno notare che gli «stranieri» di cui si parla sono ragazzi nati in Italia. E anche questa settimana siamo riusciti a sprecarla parlando di niente. 

Buon venerdì. 

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