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Snaporaz su i Mangiafemmine

Nell’immaginario paese di DF, l’onda dei femminicidi si sta alzando a livelli di guardia. Le polemiche rischiano di travolgere il candidato al governo Valerio Corti, politico di estrema destra indifferente alla questione, mascherato da padre di famiglia centrista e guidato dal “buon senso. Di comune accordo col suo spin doctor Marco Fumagalli decide di ritirare la candidatura: al suo posto, una donna-parafulmine, Marzia Rizzo. Dopo aver vinto le elezioni sarà lei, manovrata dal partito di Corti, ad affrontare il problema con una modesta proposta di legge “per la regolamentazione temporanea dell’attività venatoria speciale/straordinaria del femminicidio”: in base al decreto, l’uccisione delle donne viene regolata secondo precise norme igienico-sanitarie e con obiettivi di riequilibrio numerico e sostenibilità. Fra qualche mugugno di un’opposizione spompata e la protesta di un paio di voci della stampa, la caccia, nel rispetto di tutti, può avere inizio.

I mangiafemmine di Giulio Cavalli (uscito per Fandango nel 2023) appartiene a una tradizione premoderna e quasi completamente perduta: la satira letteraria 

I mangiafemmine di Giulio Cavalli (uscito per Fandango nel 2023) appartiene a una tradizione premoderna e quasi completamente perduta: la satira letteraria. A quel genere riporta anzitutto un principio di trasparenza, che non maschera nomi, luoghi e fatti per renderli universali, ma insegue l’attacco frontale: Valerio Corti, con eleganza, buon senso e un dichiarato sorriso, occhieggia platealmente a Matteo Salvini (si provi a leggere con la sua voce questo stralcio di messaggio di Corti alle associazioni femministe: «A quelle donne non dico niente perché non ho niente da dire. Gli posso solo inviare il mio augurio, con il sorriso, di trovare cose più interessanti in cui affaccendarsi. Altri motivi per cui sudare»); lo spin doctor Marco Fumagalli, sessualmente irrisolto, ostaggio di una madre iperprotettiva e ricattatoria e quindi, per reazione, artefice di una campagna d’immagine ultra-aggressiva, corrisponde all’ormai eclissato Luca Morisi; e basta fare mente locale per capire a chi Cavalli alluda raccontando l’ascesa eterodiretta di una donna “moderata” al governo, per spazzare via sospetti di maschilismo con una mano e con l’altra offrire una politica ancora più repressiva e indifferente alle questioni di genere. 

Pacifista e complottista. Autogol di Santoro sulla candidatura di Nicolai Lilin

L’attentato a Mosca Per lo scrittore Nicolai Lilin si trattava di “un’operazione d’assalto urgente, non preparata e non pianificata, per cui loro hanno deciso di entrare subito perché non c’era tempo da perdere”. Lo scrittore riconosce che “le ambasciate statunitense e britannica l’otto marzo hanno condiviso un avvertimento ai loro cittadini che si trovavano in Russia, dicendo di non frequentare luoghi pubblici per probabile pericolo di terrorismo” quindi per lui c’è di mezzo un “probabile coinvolgimento della Cia, di oligarchia anglosassone e per questo attentato terroristico si dice che è molto probabile che dietro ci siano le solite forze che cercano di mettere in difficoltà la Russia”.

Lo scrittore italo-russo Nicolai Lilin la spara grossa sull’attentato a Mosca. Sente puzza della Cia nella strage di Mosca

In un’epoca difficile in cui la propaganda sostituisce la verità sia da un parte che dall’altra dopo l’attentato alla Crocus City Hall nella periferia di Mosca il 22 marzo anche in Italia si fanno largo coloro che posseggono la risposta prima ancora che siano chiare le domande. C’è Amedeo Avondet, 23 anni, leader del movimento politico Italia Unita e considerato tra le principali voci della propaganda russa in Italia che nel giro di pochi minuti ci fa sapere che “tutte le piste portano a Kiev”. Prove? Nessuna. Così bellicisti e pro Putin si sfidano a colpi di propaganda, come se la guerra sulla pelle delle persone fosse solo un palcoscenico in cui ritagliarsi la propria tifoseria.

Nicolai Lili, russo naturalizzato italiano, pubblica sul suo canale Telegram un video manipolato nel quale il segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina ammette il coinvolgimento di Kiev nell’attacco terroristico al Crocus City Hall. Solo che il video, diffuso inizialmente via Telegram dal programma russo 60 Minut e dalla conduttrice Olga Skabeeva, risulta essere stato creato ad arte grazie ad alcune clip messe insieme e a un deepfake generato con l’Intelligenza Artificiale.

Oleksiy Danilov, il segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell’Ucraina, non ha infatti mai rilasciato una intervista o dichiarazione parlando del coinvolgimento del suo Paese nella sparatoria del 22 marzo. È sempre Lilin a rilanciare la bufala russa secondo cui uno dei terroristi sarebbe Rustam Azhiyev, cittadino ucraino che ha combattuto nelle Forze Armate dell’Ucraina. Peccato che i sospettati, di nazionalità tagika – Dalerdzhon Mirzoyev, Saidakrami Murodali Rachabalizoda, Shamsidin Fariduni e Muhammadsobir Fayzov, li abbiamo potuti vedere in viso in tribunale. Falso anche questo.

Di errori Lilin ne ha collezionato parecchi

Di errori Nicolai Lilin ne ha collezionato parecchi. Nel 2014 aveva pubblicato un lungo articolo che partiva dalla fotografia di una bandiera ucraina con a fianco una bandiera nazista. In breve tempo si scoprì che quell’immagine era un frame di un film. Sempre nel 2014 lo scrittore era convinto di avere trovato una confessione eccezionale: un pilota ucraino avrebbe dichiarato di avere sparato sul Boeing della Malaysia Airlines abbattuto sull’Ucraina. Solo che la fonte di Lilin era un articolo di un giornale satirico. Nelle ultime settimane Lilin ha scritto molto anche sulla vedova dell’oppositore di Putin, Navalny, lasciando intendere una vedovanza “allegra” sulla linea della propaganda di Putin.

Lo scrittore è candidato alle Europee 2024 nella lista Pace Terra Dignità di Michele Santoro

Lilin però non è solo uno scrittore. Nicolai Lilin, infatti, è candidato alle Europee 2024 nella lista Pace Terra Dignità di Michele Santoro. Forse questo è il danno più grave: prestare il fianco con falsità a chi da tempo si sforza di tratteggiare come macchiettistici coloro che credono nella pace come obiettivo politico. Così Lilin alla fine riesce a essere il migliore alleato di coloro che Santoro vorrebbe (politicamente) combattere.

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La prima mezza verità sull’omicidio di Marielle Franco

Dopo sei anni e dieci giorni sono stati arrestati in Brasile i tre presunti mandanti dell’omicidio di Marielle Franco. Sono Domingos Brazão, consigliere della Corte dei conti dello stato di Rio de Janeiro; suo fratello Chiquinho Brazão, eletto al parlamento federale; e Rivaldo Barbosa, all’epoca capo della Polizia civile di Rio de Janeiro. 

Le vedove di Marielle Franco, Monica Benicio, e di Anderson Gomes, Agatha Arnaus in una nota parla di “un grande giorno dopo 2.202 giorni di attesa”, dicendosi sorprese del coinvolgimento del capo della Polizia Barbosa che poco dopo l’omicidio le aveva ricevute per assicurare giustizia. 

È lo stesso Barbosa che, preoccupato di vedersi sfilare il caso dalla Polizia federale nel caso in cui si fosse intravisto un movente politico, aveva suggerito ai suoi complici di “stare alla larga” durante le indagini. 

La chiave della svolta nelle indagini è stato l’ex poliziotto poliziotto Ronnie Lessa, in carcere dal 2019 come esecutore dell’omicidio, che aveva raccontato ai magistrati dell’avversione dei fratelli Brazão fin dal 2017 nei confronti di Marielle Franco, vissuta come ostacolo alle loro mire immobiliari su San Paolo. 

Esulta, per ora, il figlio dell’ex presidente Bolsonaro, che secondo diverse testimonianze sarebbe stato in collegamento con gli uomini del clan. «Bolsonaro non ha alcuna relazione con il crimine», ha detto ai giornalisti. Le relazioni pericolose però sono scritte nero su bianco e corroborate dalla testimonianza – poi ritirata – del portiere di un condominio. 

Marielle Franco, all’epoca consigliera comunale di Rio de Janeiro, era stata nominata relatrice di una commissione speciale, creata dal consiglio comunale, per monitorare la progressiva militarizzazione della sicurezza e l’impiego di forze di sicurezza federali nella città. 

Buon martedì.  

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Lo Stato non bussa alla porta. Specie a quella dei boss

Che l’ispezione voluta dal ministro all’Interno Matteo Piantedosi al Comune di Bari sia infondata dal punto di vista giuridico e sia utilissima per sferrare un attacco politico per le prossime elezioni europee è cristallino. Dalle parti del governo le mafie sono un tema anche politico solo se possono essere usate come roncole.

Emiliano ha raccontato una scena da prefetto di ferro, con lui che bussa alla porta della famiglia del boss per alzare la voce

Del resto è scomparso il dibattito sulle protezioni di Matteo Messina Denaro, è raro trovare sui giornali le evidenze che escono dalle indagini in corso a Firenze sulle stragi del ‘93 e perfino i bonifici di Silvio Berlusconi a Marcello Dell’Utri vengono derubricati come buon cuore dell’ex presidente di Forza Italia nei confronti di un vecchio amico. La vicinanza e la solidarietà nei confronti del sindaco di Bari Antonio Decaro erano fino a qualche giorno fa un boomerang contro la guerriglia politica del governo. All’opposizione sarebbe bastato sottolineare ciò che dice la legge sugli scioglimenti per mafia smentendo Piantedosi e sottolineare come gli elementi indichino che i mafiosi baresi interloquivano con personaggi della stessa destra di governo.

A rovinare tutto ci ha pensato invece Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia nonché ex magistrato incline alla posa da sceriffo. Emiliano ha raccontato una scena da prefetto di ferro, con lui che bussa alla porta della famiglia del boss (che aveva fatto arrestare da pm) per alzare la voce. Vera o no la storiella evidenzia l’idea di un carisma buono contro un carisma cattivo, lì invece dove dovrebbe vigere e vincere la legge. Lo Stato non bussa ai mafiosi. Altrimenti accade che le pulci che difendono coloro che ci hanno trattato improvvisamente abbiano la tosse.

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Puntare all’abitudine all’orrore

Il capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) Philippe Lazzarini scrive su X che Israele ha informato le Nazioni Unite che non approverà più i convogli alimentari dell’Unrwa verso il nord di Gaza. “Nonostante la tragedia che si sta consumando sotto i nostri occhi, le autorità israeliane hanno comunicato all’Onu che non approveranno più alcun convoglio alimentari Unrwa verso il nord. Questo è oltraggioso e rende intenzionale ostacolare l’assistenza salvavita durante una carestia provocata dall’uomo“.

Per avere un’idea delle proporzioni del disastro occorre ricordare che sabato il portavoce dell’Unicef James Elder ha affermato che “Mai prima d’ora così tanti bambini di Gaza avevano avuto bisogno di cure mediche. Nel nord della Striscia un bambino su tre sotto i due anni soffre di malnutrizione acuta”. Come spesso si sente ripetere “un cessate il fuoco umanitario immediato offre la migliore possibilità di salvare vite umane, porre fine alla sofferenza e consentire la consegna urgente di aiuti salvavita”, spiega Elder. 

Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale per la Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus spiega che “bloccare la consegna del cibo significa negare alle persone la possibilità di sopravvivere. Questa decisione deve essere urgentemente revocata. I livelli di fame sono acuti. Tutti gli sforzi per consegnare il cibo non solo dovrebbero essere consentiti, ma ci dovrebbe essere un’immediata accelerazione”.

Il governo di Israele si è limitato ad accusare di antisemitismo l’Onu perché il segretario Gutierrez ha sottolineato la drammatica situazione dei civili a Gaza. Sembrano ogni giorno le stesse notizia e invece è lo sviluppo di una tragedia che si accumula mentre all’orizzonte si addensa la possibilità di abituarsi all’orrore. Forse il governo israeliano punta proprio a questo poiché ha sempre funzionato negli ultimi decenni. 

Buon lunedì. 

foto:Di Palestinian News & Information Agency (Wafa) in contract with APAimages, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=141020707

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I fascisti che Meloni non riesce a pronunciare

È accaduto ancora. Ottant’anni fa, il 24 marzo del 1944, le truppe nazifasciste hanno ucciso 335 uomini buttando i loro corpi nelle cave di tufo lungo via Ardeatina, come rappresaglia per l’azione del giorno precedente condotta dai partigiani in via Rasella.

La premier Giorgia Meloni non riesce a pronunciare il nome dei responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine: i fascisti

Giorgia Meloni in qualità di presidente del Consiglio non può esimersi dal partecipare alla commemorazione ma come è accaduto l’anno scorso proprio non riesce a pronunciare il nome dei responsabili dell’eccidio: i fascisti. Per l’Associazione nazionale partigiani italiani la premier “ancora una volta […] omette e confonde”, dice il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, perché “non parla della responsabilità dei fascisti italiani, a cominciare dal questore Caruso che fu condannato a morte per aver approntato la lista di 50 persone da sopprimere alle Ardeatine”.

Pagliarulo sottolinea inoltre che Meloni “non dice che le vittime furono in grande maggioranza antifascisti ed ebrei”, definendola “la solita rilettura capziosa della storia che tende sempre a coprire le responsabilità dei fascisti e a negare il valore dell’antifascismo”. Il presidente dell’Anpi la considera “un’altra occasione perduta”. Ora accadrà ancora una volta che qualcuno dirà che no, non sono queste le cose importanti. Finché un giorno ci si accorgerà che le parole generano realtà, così come le omissioni.

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Dilaga il disagio giovanile ma il Bonus psicologo copre un richiedente su 11

Una ragazza accoltella una coetanea all’uscita da scuola a Salò e ricomincia la ridda di analisi, di paternalismi e di dibattiti sul bullismo e sulla violenza. Molto meno spazio nei salotti televisivi trova invece quel 40% di giovani studenti (lo dice uno studio condotto dall’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana) che ha manifestato sintomi di disagio psicologico e che ha moltiplicato gli ingressi al pronto soccorso psichiatrico.

Nel frattempo si scopre che su 175 mila domande del Bonus ne saranno soddisfatte solo 20 mila. “È sorprendente come l’opinione pubblica abbia finalmente riconosciuto l’importanza della Psicologia solo dopo l’assalto al “Bonus psicologico”. Con ben 175 mila domande in pochissimi giorni, e solo 20 mila che potrebbero ricevere una risposta, a causa delle limitate risorse finanziarie, siamo di fronte a una situazione critica”.

Bonus psicologo, allarme rosso

L’allarme è stato lanciato ieri da Ivan Iacob, segretario generale nazionale dell’Aupi, il sindacato degli Psicologi italiani che spiega come professionisti sanitari, psicologi, associazioni e neuropsichiatri siano tutti d’accordo: il bisogno di supporto psicologico è diventato cruciale dopo la pandemia.

Per Iacob è evidente che la società soffre, e il bisogno di aiuto è molto più diffuso di quanto inizialmente stimato. Si ipotizzava che potesse superare il 30%, ma le evidenze e proiezioni attuali ci forniscono una crescita ben più significativa. “Sapevamo – dice Iacob – che l’effetto a lungo termine della pandemia sarebbe stato massiccio, generando un aumento delle richieste di assistenza”.

Per il sindacato il “Bonus psicologico” è sicuramente un passo nella giusta direzione ma, come previsto, “ciò che potrebbero sembrare piccoli disagi oggi rischiano di evolversi in veri e propri disturbi senza una risposta sistemica del Sistema Sanitario Nazionale”. Per questo gli psicologi ritengono urgente attivare interventi di prima risposta, come lo psicologo di base, per identificare e trattare le fragilità prima che si trasformino in patologie più serie.

“I servizi psicologici all’interno del Servizio Sanitario sono essenziali per garantire una risposta efficace alle crescenti esigenze della nostra società – ha proseguito il segretario generale Aupi -. Tuttavia, la loro organizzazione attuale potrebbe essere migliorata, costituendo le Strutture di Psicologia, per massimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili”.

Per Iacob le strutture di Psicologia all’interno del Servizio Sanitario potrebbero essere riorganizzate per consentire una distribuzione più efficiente delle risorse già presenti che vengono “deturpate da attività non strettamente legate alla Psicologia”, come i contenziosi per divorzi e affidi, che il sistema giudiziario invia al sistema sanitario. Per il sindacato è preoccupante constatare che quasi l’intera attività dei consultori psicologici è sia oberata da queste problematiche, rappresentando oltre il 60% delle attività complessive”.

Prima la prevenzione

“È necessario liberare le risorse dei consultori da queste incombenze – l’auspicio di Iacob – per poterle dedicare alla prevenzione primaria del malessere psicologico, che emerge chiaramente come una priorità dalla grande richiesta di “Bonus psicologico”.Investire oggi nella prevenzione del malessere psicologico garantirà risparmi significativi per il Sistema sanitario in futuro. È un approccio che non solo migliorerà il benessere individuale e sociale, ma contribuirà anche a ottimizzare le risorse pubbliche a lungo termine. “Scegliere la prevenzione è una scelta saggia e responsabile che possiamo fare per il bene di tutti”, dice il segretario Aupi. Ma di questo difficilmente si parlerà nelle prossime ore.

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Commissariato il segretario: ora la Lega non ha più un comandante

L’ultimo atto dello sgretolamento di Matteo Salvini è l’annuncio che dopo le elezioni europee si terranno i congressi regionali del partito a partire dall’estate per arrivare al congresso federale in autunno. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti non avrebbe mai voluto aprire uno spiraglio sulla stagione congressuale, ancora di più in un momento di enorme difficoltà con i pessimi risultati alle regionali sarde e abruzzesi e con le prossime elezioni europee che rischiano di essere il sasso che scatenerà la frana.

Una brutta piega per Salvini

In una nota il partito specifica che la squadra è compatta al fianco del segretario Salvini: “Tutti i Capigruppo (tra Europa e Italia), un ministro, un governatore e un sindaco lavoreranno insieme per il programma in vista delle europee. Salvini ha ribadito che la Lega è alternativa ai socialisti, sinistre e Ursula von der Leyen”. E poi: “Per un risultato a doppia cifra, il leader desidera liste forti e aperte”.

In realtà il direttorio formato da Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, il ministro Giancarlo Giorgetti e, infine, il governatore del Friuli Venezia-Giulia Massimiliano Fedriga è già un mezzo commissariamento. Tra questi solo Romeo è nel cerchio dei fedelissimi al segretario leghista. Molinari, il capogruppo alla Camera, ultimamente sta prendendo le distanze dal segretario e rientra con Luca Zaia nella schiera dei critici dell’appuntamento di oggi in cui la Lega ospiterà a Roma i partiti dell’ultradestra europea.

Delle frizioni tra il vice premier e il suo ministro Giorgetti si sa ormai da tempo mentre Fedriga viene indicato da più parti come il sostituto naturale di Salvini a capo del partito, gli manca solo il deciso via libera di Zaia. A proposito del governatore veneto l’altro ieri quasi a notte fonda è stato lui a parlare chiaro e tondo con l’ex capitano in caduta libera.

“Eventi come quello di sabato ci fanno solo perdere voti”, ha detto Zaia prendendosi la responsabilità di dire quello che molti pensano pur tacendo. Intanto a un mese dalla presentazione delle liste per le elezioni europee si studia la strategia per l’eventualità di incassare il no del generale Roberto Vannacci. “Tante idee che Vannacci ha espresso non sono condivise da una parte della base – ha spiegato Romeo – e non le condivido neanche io in alcuni contesti. Ma al di là di questo lui ha avuto il coraggio di difendere la libertà di pensiero nel mondo del politicamente corretto. In un partito come la Lega, che difende tutte le libertà, ci può stare la sua candidatura”.

Si rivedono le ramazze

Chi sta vicino al generale al contrario dice che sarebbe proprio Vannacci a non essere convinto di imbarcarsi in un partito in piena tempesta, per di più malvoluto preventivamente da un pezzo dei suoi dirigenti. “Stiamo compatti ora e arriviamo al 10 per cento”, ha detto Salvini ai suoi ma ormai l’accerchiamento è nei fatti oltre che nelle intenzioni.

Tra le decisioni del consiglio federale c’è anche un direttorio composto dai capigruppo, dal presidente della Camera Lorenzo Fontana e Giorgetti con cui il segretario dovrà condividere le decisioni sul programma per le prossime europee. Anche questo è un segnale che non lascia spazio a troppe interpretazioni: il vice premier non è più l’uomo solo al comando dell’Italia e non lo è nemmeno dentro il suo partito. La “responsabilità collegiale” è il viatico per lo sfratto dalla poltrona di leader. Forse questa volta non ci saranno le ramazze come avvenne con Umberto Bossi ma la smania di cambiare è la stessa.

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Se le Nazioni Unite delegano la tutela dei diritti delle donne all’Arabia Saudita – Lettera43

La prossima Commissione annuale sullo status delle donne dell’Onu sarà presieduta da Riad. Chi meglio del progressista Bin Salman può impegnarsi per l’emancipazione femminile e la parità di genere? Le riforme varate in pompa magna nel 2022 parlano da sole.

Se le Nazioni Unite delegano la tutela dei diritti delle donne all’Arabia Saudita

Un Women è l’organizzazione dell’Onu che si dedica all’uguaglianza di genere e all’emancipazione delle donne. Questa settimana a New York si è tenuta la 68esima Commissione annuale sullo status delle donne (CSW68), il più grande incontro annuale delle Nazioni Unite con un ambizioso obiettivo: “Accelerare il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze affrontando la povertà e rafforzando le istituzioni e i finanziamenti con una prospettiva di genere”. In 11 giorni di incontri al CSW68 governi, organizzazioni della società civile, esperti e attivisti di tutto il mondo si sono riuniti per concordare azioni e investimenti che possano porre fine alla povertà delle donne e promuovere l’uguaglianza di genere.

Se l’unico candidato alla presidenza del CSW69 è l’Arabia Saudita

Ma non è questa la notizia. Alla fine della sessione di incontri di venerdì si è insediato l’ufficio di presidenza per il CSW69 che preparerà l’appuntamento del prossimo anno. L’unico Paese candidato alla presidenza era l’Arabia Saudita, il famelico stato che si affanna sul palcoscenico mondiale per apparire progressista. Di fronte ai dubbi di tale scelta, la delegazione saudita presente all’evento ha spiegato che «il Regno ha compiuto importanti passi e le riforme sono ancora in corso» e a sostegno della propria tesi ha portato un comunicato stampa della Banca Mondiale che plaude le riforme saudite che segnano «progressi senza precedenti» nell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.

Se le Nazioni Unite delegano la tutela dei diritti delle donne all'Arabia Saudita
L’apertura dei lavori del CSW68 (dal sito Un Women).

La riforme progressiste di Bin Salman in realtà discriminano le donne, mogli e madri

Bene, viene da pensare, è una buona notizia. La legge cardine delle riforme saudite è stata proclamata l’8 marzo del 2022. Il principe bin Salman è sempre attento a fare coincidere le date per agevolare la simbologia e quell’8 marzo sembrava perfetto per un ulteriore mattoncino da aggiungere al progressismo percepito del suo Paese nel mondo. Promulgare una legge del resto costa molto meno che acquistare una stella mondiale di calcio e può allo stesso modo portare un benefico ritorno di immagine. Ma com’è quindi la legge del Rinascimento saudita? Rothna Begum, ricercatrice senior sui diritti delle donne presso Human Rights Watch nel 2023 disse: «Nella Giornata internazionale della donna l’anno scorso, le autorità saudite hanno proclamato di aver approvato una legge sullo status personale “progressista”, ma invece hanno semplicemente sancito la discriminazione contro le donne nel codice legale». Non benissimo, a ben vedere. Che dice quella legge? Richiede alle donne di ottenere il permesso di un tutore maschile per sposarsi, codificando la pratica di lunga data del Paese. Le donne sposate sono tenute a obbedire ai loro mariti in modo «ragionevole». Il sostegno finanziario di un marito dipende specificamente dall’«obbedienza» di una moglie che può perdere il diritto a tale sostegno se si rifiuta senza una «scusa legittima» di fare sesso con lui, di trasferirsi o di vivere nella casa coniugale o di viaggiare con lui. La legge afferma inoltre che nessuno dei due coniugi può astenersi dalle relazioni sessuali o dalla convivenza senza il consenso dell’altro coniuge, di fatto è un diritto coniugale ai rapporti sessuali. Ma non finisce qui. Mentre un marito può divorziare unilateralmente, una donna può solo chiedere a un tribunale di sciogliere il loro contratto di matrimonio per motivi limitati e deve «dimostrare il danno» che rende «impossibile» la continuazione del matrimonio. La legge però non specifica cosa costituisca «danno» o quali prove possano essere presentate a sostegno di un caso, lasciando ai giudici un’ampia discrezionalità nell’interpretazione e nell’applicazione per mantenere lo status quo.

Se le Nazioni Unite delegano la tutela dei diritti delle donne all'Arabia Saudita
Una famiglia. Riad (Getty Images).

Anche sui diritti vale la regola del business 

E ancora. I padri rimangono i tutori predefiniti dei loro figli, limitando la capacità di una madre di partecipare pienamente alle decisioni relative al benessere sociale e finanziario dei figli. Una madre non può agire come tutore di suo figlio a meno che un tribunale non la nomini, altrimenti avrà un’autorità limitata per prendere decisioni per il suo benessere, anche nei casi in cui i genitori non vivono insieme e le autorità giudiziarie decidono che il bambino dovrebbe vivere con la madre. I padri possono nominare tutori alternativi per i loro figli, ma la legge non dà alle madri la stessa facoltà. Infine un padre può chiedere di porre fine alla custodia del proprio figlio per «incompetenza» della madre. A New York, nei corridoi del CSW68 i diplomatici occidentali hanno riconosciuto informalmente, solo in privato, i problemi legati alla presidenza saudita per il prossimo CSW69. Ma business is business, anche sui diritti. In fondo basta poco di questi tempi per sembrare progressisti.

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Vittime del lavoro, l’ecatombe non si ferma

L’altro ieri a Valdidentro, in provincia di Sondrio, un operaio di 51 anni ha perso la vita dopo essere stato schiacciato da 300 kg di pannelli di legno. Inutili i soccorsi. A Genova Pegli un operaio è caduto da oltre tre metri e non ce l’ha fatta. Inutili soccorsi anche qui. Poco prima, nella notte, tre operai erano feriti gravemente – due di 48 anni sono in terapia intensiva con prognosi riservata, un altro di 38 anni in gravi condizioni – dopo un incidente nel cantiere per la realizzazione della galleria passo San Giovanni-Cretaccio, in Trentino. Sono precipitati forse a causa di un cedimento del carrello elevatore da un cestello all’altezza di 5 metri.

Per l’Osservatorio nazionale morti sul lavoro al 21 marzo sono morte 220 persone sul luogo di lavoro che diventano 285 se si aggiungono i morti in itinere. Ieri Cgil e Uil hanno annunciato una manifestazione per il 20 aprile “per dare un segnale al governo e chiedere risultati”. “Il governo ha trovato solo 12 milioni per nuovi ispettori del lavoro, ma 600 milioni per gli agricoltori”, spiega il segretario della Uil Bombardieri.

Sciopero di quattro ore annunciato per l’11 aprile. Tra le richieste dei sindacati un nuovo Durc dove viene riportata anche “l’assenza di denunce di infortuni gravi e mortali negli ultimi cinque anni”. Altre richieste: stop ai fondi pubblici alle imprese senza requisiti di regolarità e legalità e che non applicano i contratti nazionali sottoscritti dai sindacati più rappresentativi. L’applicazione del codice degli appalti pubblici anche in quelli privati. Il divieto di subappalti a cascata, sia nel pubblico che nel privato. E poi più controlli e più ispezioni.

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