Vai al contenuto

Blog

Maxi-sequestro a Dell’Utri. Nel mirino dei pm di Firenze i soldi per il silenzio su Berlusconi

Per ora sono più o meno 10 milioni. A tanto ammonta la cifra che ieri è stata sequestrata a Marcello Dell’Utri e alla moglie Miranda Anna Ratti nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Firenze sui presunti mandanti esterni delle stragi mafiose del 1993 a Roma, Milano e Firenze, dove l’ex senatore di Forza Italia risulta ancora indagato. La Direzione investigativa antimafia di Firenze ha eseguito il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, emesso dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Firenze.

Per la Dda di Firenze il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e sodale di Berlusconi avrebbe nascosto al fisco oltre 42 milioni euro

Per la Dia fiorentina il fondatore di Forza Italia e sodale di Silvio Berlusconi avrebbe nascosto al fisco 42.679.200 euro come variazione del reddito violando la legge Rognoni-La Torre sulle misure antimafia. Secondo la Procura quei soldi arriverebbero dai conti di Berlusconi a partire dalla sentenza passata in giudicato nel 2014 con cui Dell’Utri è stato condannato per concorso esterno nel delitto di associazione di tipo mafioso.

Secondo il procuratore Filippo Spiezia Dell’Utri avrebbe omesso di “comunicare, entro i termini stabiliti dalla legge, le variazioni patrimoniali. La misura cautelare è stata richiesta e ottenuta poiché Marcello Dell’Utri “con più azioni e omissioni, in tempi diversi, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, pur essendovi tenuto, in quanto condannato con decisione passata in giudicato”, ha omesso di “comunicare le variazioni patrimoniali”. Con il provvedimento del Gip è stato disposto “il sequestro preventivo in forma diretta, sino alla concorrenza della somma di 10.840.451,72 euro riconducibile a Marcello Dell’Utri, nonché, per la quota parte di 8.250.000,00 euro della somma complessivamente suindicata (42.679.200 euro, ndr), anche indirettamente riconducibile al predetto, per il tramite di Miranda Anna Ratti, ovvero per equivalente sui beni nella disponibilità diretta e indiretta di Marcello Dell’Utri”.

L’indagine, spiega la Dda fiorentina, “si inserisce nel quadro di procedimento penale oggetto di un più ampio coordinamento investigativo, portato avanti, in ambito nazionale, dalla Direzione Nazionale Antimafia, finalizzato all’individuazione dei mandanti esterni delle stragi continentali del 1993-1994”. Fino alla sua scomparsa, anche Berlusconi risultava indagato con l’ex senatore di Forza Italia.

Per la Dda la continuità di flussi di denaro è “sicuramente connessa a un riconoscimento anche morale, l’assolvimento di un debito non scritto, la riconoscenza, per quanto riguarda l’ultimo periodo”, dovuta all’ex senatore “per aver pagato un prezzo connesso alla carcerazione, senza lasciarsi andare a coinvolgimenti di terzi”. Il sospetto su cui indagano i magistrati è che quel denaro sia il premio per il silenzio di Dell’Utri durante il processo per mafia che ha subito. Dai bonifici emerge anche che le spese legali di Dell’Utri siano state interamente sostenute dall’ex presidente del Consiglio.

Berlusconi ha lasciato a Dell’Utri 30 milioni dopo la sua morte, come da volontà testamentaria

I magistrati ritengono che le modalità delle richieste di denaro da parte di Dell’Utri e della moglie “fanno ben considerare che alla base vi sia effettivamente una sorta di ricatto non espresso, ma ben conosciuto da tutti, e idoneo al persistere delle dazioni”. La moglie di Dell’Utri, Miranda Ratti, intercettata, secondo la Procura “ritiene di essere portatrice, e titolare, di veri e propri diritti economici verso Berlusconi” in base alla “consapevolezza che tutte le loro richieste, assecondate da Berlusconi, trovano fondamento in una sorta di risarcimento di quanto hanno patito nel tempo per colpa sua, per averlo, probabilmente, coperto”. Silvio Berlusconi ha lasciato a Dell’Utri 30 milioni dopo la sua morte, come da volontà testamentaria.

L’articolo Maxi-sequestro a Dell’Utri. Nel mirino dei pm di Firenze i soldi per il silenzio su Berlusconi sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Guerra di successione nella Lega. Salvini rischia la fine di Renzi

Ogni giorno una sberla. Ieri è stato il presidente del Partito popolare europeo (Ppe) a suonarle al leader della Lega Matto Salvini. “Non dobbiamo riconoscere le elezioni russe, e non dobbiamo riconoscere questo regime”, ha detto Weber, sottolineando come “dopo le elezioni tutti hanno visto la dittatura autocratica del Paese”. Tutti tranne Salvini. E infatti il presidente del Ppe, ricorda come in questo conflitto con la Russia “noi siamo con l’Ucraina, e dobbiamo essere tutti uniti” nel sostegno a Kiev.

Acque agitate sulle candidature al Consiglio federale della Lega. E la convention di domani a Roma va verso il flop

In Italia non va meglio. Ieri il presidente della Regione Veneto Luca Zaia rispondendo ai giornalisti sulla kermesse di ultranazionalisti convocata dal suo segretario domani a Roma dice che non potrà essere presente perché “da tempo” aveva “programmato una serie di inaugurazioni”. Zaia che taglia il nastro in qualche paese di provincia in contemporanea a Salvini che avrebbe voluto essere il leader del gruppo europeo Identità e democrazia è un’immagine che vale più di mille parole.

“Non aggiungo altro – ha detto Zaia – ogni altra domanda sarebbe come chiedermi ‘vuoi più bene alla mamma o al papà’?…”. Intorno al leader leghista I fedelissimi ormai si contano sulle dita di una mano. Dove prima spingevano tutti per riuscire a entrare nelle grazie del leader ora sono rimasti Claudio Durigon, Andrea Crippa, Luca Toccalini, Andrea Paganella, Roberto Marti, Susanna Ceccardi e Andrea Cecchetti. Troppo poco per costruire entusiasmo intorno a una manifestazione che in molti danno già per fallita. Su La Stampa si racconta di uno strappo più rumoroso dei soliti anche con il ministro alle Finanze Giancarlo Giorgetti.

Mentre il ministro dei Trasporti cavalcava la protesta degli agricoltori il governo di cui fa parte (e da cui ogni giorno si allontana) aveva deciso di ripristinare l’esenzione dell’Irpef agricola con un tetto. Per Salvini la misura sarebbe stata insufficiente per calmare gli animi e quindi avrebbe chiesto che a firmare il provvedimento non fosse il “suo” ministro a Palazzo delle Finanze ma il cognato della Meloni, Lollobrigida. Giorgetti sconfessa per l’ennesima volta il suo segretario e firma di suo pugno. Nel tentativo di rivitalizzare il partito in previsione dell’evento di domani l’ufficio stampa della Lega ha scritto una nota in cui dice che sono tutti occupati i i 1.500 posti disponibili allo studio 7 dei Roma Studios in via Tiburtina. Nella nota si parla di delegazioni da Portogallo, Austria, Fiandre, Francia.

Sale la tensione con Giorgetti per il via libera sull’Irpef agricola contro il parere del segretario Salvini

Non c’è traccia, per ora, di Alternative für Deutschland che in Germania sono la seconda forza politica. È certo che non ci sarà Marine Le Pen. I nomi annunciati per ora si limitano al portoghese André Ventura, il belga Gerolf Annemans e l’austriaco Harald Vilimsky. In mezzo ai forfait e alle incertezze Matteo Salvini alla fine ha richiamato “tutti gli eletti” nei collegi del centro Italia con un messaggio per precettarli. Intanto nel partito si discute molto più di quel che si vorrebbe fare vedere della voce che insistentemente circola sull’ottimo rapporto politico che la presidente del Consiglio sta seminando con il presidente del Friuli Venezia-Giulia Massimiliano Fedriga, già da mesi individuato come possibile successore di Matteo Salvini alla guida del partito.

Qualcuno ipotizza che dopo le Europee potrebbe avvenire il ribaltone che è nell’aria. La buona Lega uscirebbe dall’angolo dell’ultradestra europea per tornare a difendere i territori e per farsi portavoce delle amministrazioni locali. Salvini a quel punto potrebbe decidere di galleggiare con un suo piccolo partito personale. Esattamente come l’altro Matteo.

L’articolo Guerra di successione nella Lega. Salvini rischia la fine di Renzi sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Vi ricordate i trenta all’ora a Bologna

Poiché i numeri hanno l’enorme pregio di essere limpidi nella loro compostezza ecco quelli dati dal Comune di Bologna dopo l’introduzione del limite di trenta chilometri all’ora che ha così infastidito il ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Secondo quanto registrato dalla polizia locale nel periodo 15 gennaio-10 marzo ci sono state 73 persone ferite in meno rispetto al 2023, con un calo del 19,4 per cento. Per quanto riguarda le multe per gli eccessi di velocità su 4.500 controlli sono state eseguite 61 multe per il superamento dei 30 km/h e 119 per i 50 km/h.

Nel dettaglio, spiega l’amministrazione, nelle prime otto settimane dall’avvio del progetto sulle strade urbane si sono verificati in totale 377 incidenti, di cui uno mortale; 252 incidenti con feriti – che hanno provocato 304 persone ferite – nessuno con feriti in prognosi riservata e 124 incidenti senza feriti. Nelle stesse settimane del 2023 – dal 16 gennaio al 12 marzo – gli incidenti erano stati in totale 452, di cui 3 mortali, 296 incidenti con feriti – che avevano provocato 377 persone ferite – uno con un ferito in prognosi riservata e 152 senza feriti.

Guardando alle percentuali, si registra un calo del 16,6 per cento degli incidenti totali, un calo del 14,9 per cento di incidenti con feriti, un calo del 19,4 per cento delle persone ferite (che corrisponde a 73 persone in meno rispetto allo scorso anno), un calo del 18,4 per cento di incidenti senza feriti, due incidenti mortali in meno (1 nel 2024 mentre erano stati 3 nel 2023) e un incidente con ferito in prognosi riservata in meno (0 nel 2024, 1 nel 2023). Il calo di pedoni coinvolti in incidenti è del 5,8 per cento (69 erano quelli coinvolti nel 2023, 65 nel 2024). Quanti ai controlli, i veicoli controllati sono stati 4.578: 61 i verbali elevati per superamento del limite dei 30 km/h e 119 quelli per superamento dei 50 km/h (con 2 patenti ritirate).

Il nuovo codice della strada voluto da Salvini va esattamente nella direzione opposta. 

Buon venerdì. 

L’articolo proviene da Left.it qui

Non basta commemorare. Ai clan va scassata la m…

Ieri a Roma in occasione della 29esima giornata dela memoria e dell’impegno per le vittime innocenti di mafia sono stati ricordati i nomi delle vittime della criminalità organizzata in Italia, alla presenza di una mare di persone che ogni anno decidono di stare accanto ai famigliari.

Perché abbiano giustizia le vittime di mafia e le loro famiglie bisogna spezzare la saldatura tra mafiosi, colletti bianchi e i loro protettori che stanno nelle istituzioni

L’80% di loro in questo Paese non ha avuto giustizia. Otto volte su dieci lo Stato non è riuscito a dare risposte al dolore e soprattutto alla sete di verità. Come accade ogni anno la politica ha sfornato una quantità industriale di comunicati stampa simili a pensierini scartati dentro un cioccolatino contribuendo a rappresentare le mafie come un fenomeno passato o comunque laterale. Non è un caso che degli importanti arresti che hanno coinvolto i clan baresi si parli solo per i risvolti politici, come se fossero una bega da lasciare a magistratura e forza dell’ordine.

Durante la 29esima giornata del ricordo e dell’impegno al fondatore di un partito che sta al governo sono stati trovate decine di milioni di euro regalati da un ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Quell’uomo, Marcello Dell’Utri (articolo a pagina 6), è indagato dalla Procura di Firenze per le bombe posate dalla mafia nel 1993. Quell’uomo tace, anche dopo la condanna a 7 anni per mafia, perché il suo silenzio è d’oro.

Perché abbiano giustizia le vittime di mafia e le loro famiglie bisogna spezzare la saldatura tra mafiosi, colletti bianchi e i loro protettori che stanno nelle istituzioni. Ieri il Presidente della Repubblica Mattarella ha ricordato che la lotta alle mafie è compito e dovere di tutti coloro che amano la Repubblica e intendono renderne migliore il futuro, istituzioni e cittadini. Scassare la minchia è l’azione necessaria, non solo commemorare.

L’articolo Non basta commemorare. Ai clan va scassata la m… sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Perché la possibile cessione di Agi dice molto di quello che siamo

I colleghi dell’Agi, la seconda agenzia di stampa più importante in Italia, hanno proclamato due giorni di sciopero contro la possibile cessione della testata al gruppo del deputato leghista e ras delle cliniche nel Lazio Antonio Angelucci. L’Eni, proprietaria dell’agenzia, ha provato a calmare gli animi con un comunicato che nega le trattative. 

Anche se da fuori la vicenda sembra roba da giornalisti (e tra giornalisti) l’interlocuzione tra Agi e Angelucci è una questione politica e dice molto del Paese che siamo. Angelucci più che deputato è l’editore di un polo editoriale di destra che a oggi comprende Libero, Il Giornale e Il Tempo. Tra gli azionisti dell’Eni che potrebbe vendere Agi c’è il ministero della Finanze guidato da Giancarlo Giorgetti che è anche compagno di partito del potenziale acquirente Angelucci. Per le leggi vigenti potrebbe aprire un’istruttoria sull’operazione che interesserebbe un ramo strategico anche Palazzo Chigi dove ha lavorato fino a pochi mesi fa come portavoce della presidente del Consiglio Mario Sechi, ex direttore di Agi e oggi direttore di Libero. Era stato Sechi a spingere alla direzione dell’Agi Rita Lofano, che era sua vice, quando lui decise di diventare portavoce di Giorgia Meloni. Rita Lofano proprio oggi partecipa al lancio dell’associazione delle giornaliste di centrodestra fortemente voluta da Giovanna Iannello, storica addetta stampa proprio di Giorgia Meloni. 

Alessandra Costante, segretaria della Fnsi, ieri ha detto che l’informazione non dovrebbe “essere coinvolta in conflitti di interesse”. Pd e M5s hanno presentato due interrogazioni sul caso. È l’editoria italiana, bellezza. 

Buon giovedì. 

L’articolo proviene da Left.it qui

Ucraina, oggi il Consiglio Ue sulle nuove forniture di armi a Kiev

Giorgia Meloni passa dalla Camera prima del Consiglio Ue e va in onda la scena del figliol prodigo. La scena è quasi commovente, il vice presidente del Consiglio Matteo Salvini passa tra i banchi del governo solo per abbracciare la presidente del Consiglio in favore di telecamera. I due sorridono. La foto per i giornali è servita. Come accade dai giorni dell’insediamento questo governo pensa di sciogliere le questioni politiche come certi influencer, con un video veloce da fare ingoiare ai propri sostenitori. Terminata l’esibizione Salvini leva le tende e se ne va a passo svelto.

Oggi il Consiglio Ue per aiutare a oltranza l’Ucraina fornendogli le armi. E portare il continente all’escalation con la Russia

Il punto politico rimane: un vice presidente del Consiglio Ue che non nasconde la propria vicinanza a Putin e che ha accesso alle informative riservate di un Paese Nato. A Bruxelles oggi a Meloni servirà molto di più di qualche moina in favore di telecamera per tranquillizzare i partner europei. “Mi si dice di parlare con Orban e con Salvini per chiarire il sostegno all’Ucraina”, dice la presidente del Consiglio intervenendo alla Camera, “in entrambi i casi contano le decisioni e i voti. Il governo italiano ha una posizione chiara in Ue. Quando io parlo con le persone con cui ho buoni rapporti porto a casa dei risultati”. È un personaggio già visto quello di Meloni che vuole fare credere di essere l’ago delle mediazioni sullo scacchiere internazionale.

La leader di Fratelli d’Italia non viene sfiorata dal dubbio che il suo indaffararsi per appianare sia figlio soprattutto delle sue amicizie sbagliate. Poi, come sempre, arriva il rovesciamento delle accuse: “Mi pare ci sia una questione maggiore nel famoso campo largo. Non parlo solo della posizione molto chiara e cristallina del M5S, ma anche dell’ambiguità di chi spiega a noi cosa dobbiamo fare e poi si astiene sull’invio delle armi all’Ucraina”, dice Meloni al dem Piero De Luca.

Conte a Meloni: “Gli italiani non vogliono la terza guerra mondiale dove lei ci sta portando”

Il leader del M5S Giuseppe Conte ha risposto per le rime, rimettendo al centro il tema della giornata ovvero la possibile decisione dell’Ue di prepararsi a una vera e propria economia di guerra per i prossimi anni. “Lei oggi – ha detto Conte a Meloni – si presenta senza soluzioni, non vuole inviare le truppe in Ucraina, non vuole trattare con Putin, non vuole partecipare a un tavolo di pace, ha messo l’Italia in un vicolo cieco. Negoziare le migliori condizioni per l’Ucraina è l’unico modo per evitare la terza guerra mondiale”. Per Conte “gli italiani non vogliono la terza guerra mondiale dove lei ci sta portando”. E poi: “Che cosa ne è della scommessa che ha fatto sulla vittoria militare contro la Russia Che cosa abbiamo prodotto con questa strategia Morti, distruzione, indebitamento degli italiani. E lei ha guadagnato un bel bacio sulla testa per la fedeltà che ha dimostrato nei confronti di Washington”.

La segretaria del Pd Elly Schlein ha voluto consigliare a Meloni “quando va in Egitto” di pretendere “da al Sisi gli indirizzi dei 4 assassini che hanno ucciso un ricercatore italiano, un ricercatore europeo, questo dovrebbe chiedere ad al Sisi”. Sull’Ucraina “abbiamo sempre mantenuto un atteggiamento coerente – ha detto Schlein – al di la delle sue fake news: abbiamo sempre sostenuto che sia doveroso sostenere il popolo ucraino“. E “sostenere l’Ucraina è giusto, ma siamo contrari a mandare militari europei sul campo. Serve uno sforzo in più per una pace giusta e duratura e questo sforzo finora non è stato sufficiente”, bisogna anche fare i conti con chi come “Viktor Orban che pone veti e lei lo sta per accogliere a braccia aperte nel suo gruppo in Europa. Braccia aperte a differenza di quelle di Ilaria Salis che sono in catene”.

Oggi a Bruxelles si riuniscono i capi di stato europei sull’onda delle parole del presidente del Consiglio europeo Charles Michel (“Se vogliamo la pace prepariamoci alla guerra. Serve spendere di più per la difesa e produrre più munizioni”) e quelle del presidente francese Emmanuel Macron (“Non escludo l’invio di truppe in Ucraina, rivendico le mie parole. La Russia non deve vincere”). Ieri il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha chiarito che ciò che serve ora sono soprattutto munizioni. La paura di un’escalation è condivisa anche dall’Italia. Meloni l’ha ripetuto in questi giorni: No all’idea della Francia, nessun dispiegamento di truppe sul suolo ucraino. Il sostegno a Kiev deve andare avanti, ma senza l’intervento diretto.

La Polonia ha deciso di destinare 27 milioni di euro per la costruzione di rifugi anti-bomba

Ma la vera paura è un possibile disimpegno degli Usa in caso di vittoria del repubblicano Donald Trump. Così l’era dell’elmetto contagia un po’ tutti in Europa. Tre giorni fa ministra dell’educazione tedesca Bettina Stark-Watzinger, esponente del liberale Fdp, ha affermato che gli studenti devono imparare come comportarsi nell’evenienza di un conflitto armato. La Polonia ha deciso di destinare 27 milioni di euro per la costruzione di rifugi anti-bomba e il governo nazionale sta studiando un piano per restaurare vecchi bunker e costruirne di nuovi in tutto il paese, e addestrare i cittadini al loro uso. Copenaghen annuncia l’estensione della durata della leva e l’introduzione per le donne dal 2026. “Ci riarmiamo non per fare la guerra ma per evitarla”, ha spiegato la premier socialista Mette Fredriksen. Questa è l’aria che tira.

L’articolo Ucraina, oggi il Consiglio Ue sulle nuove forniture di armi a Kiev sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Lobbysti al ministero. Pichetto Fratin s’è persa l’agenda

La giornalista di lavialibera Natalie Sclippa ci fa sapere che è impossibile sapere chi sia andato a incontrare i ministri e i dirigenti del ministero all’Ambiente dal 2021 a oggi. Come scoperto da lavialibera, “non è stata operata alcuna raccolta dati o informazioni”: i decisori, ossia tutti coloro che dentro il dicastero hanno incontrato i portatori di interessi, non hanno tenuto traccia di chi abbia avanzato richieste, né di quante volte abbiano avuto interlocuzioni e di che tipo.

Alla richiesta di accesso civico della giornalista Sclippa Roberta Spada, a capo della segreteria del ministro, aveva risposto sottolineando la sospensione della pubblicazione e l’impossibilità di soddisfare la loro domanda perché “l’ostensione delle informazioni […] richiederebbe un’attività di elaborazione dei dati” compresi “l’oscuramento dei dati personali”.

Strana come risposta visto che la cancellazione dei dati personali è una prassi della pubblica amministrazione che non richiede nessun complicato lavoro ex post. E infatti lavialibera ha scoperto che quell’agenda semplicemente non esiste, come scrive nero su bianco il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza Pietro Cucumile: “Dal giorno dell’effettiva sospensione dell’allora disciplina – scrive Cucumile – i decisori e i portatori di interesse precedentemente tenuti all’obbligo non hanno più comunicato i dati e le informazioni che rappresentano la base per poter garantire la loro pubblicazione”.

Dobbiamo quindi accontentarci delle foto di rito sui social del ministro Gilberto Pichetto Fratin o dei comunicati stampa che escono dal dicastero. Stiamo a posto così.

L’articolo Lobbysti al ministero. Pichetto Fratin s’è persa l’agenda sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Vannacci tentenna e al raduno di sabato a Roma la Lega rischia il flop

Matteo Salvini sperava di salvare la settimana con l’ufficializzazione della candidatura del generale (sospeso) Roberto Vannacci in occasione del raduno del 23 marzo del gruppo europeo Identità e democrazia a Roma. C’è solo un piccolo ma insormontabile problema: il generale non ha ancora sciolto la riserva. Così potrebbe saltare l’annuncio in pompa magna che il segretario della Lega aveva immaginato per rivitalizzare la spenta riunione dei sovranisti europei è rimandato.

Salvini sperava di salvare la settimana con l’ufficializzazione della candidatura di Roberto Vannacci, ma il generale non ha ancora sciolto la riserva

“Se non addirittura cancellato – ci dice un parlamentare della Lega che preferisce rimanere anonimo in questi tempi di burrasca – perché il generale sa bene che qui da noi non lo vuole praticamente nessuno al di là di Matteo e la sua cerchia di fedelissimi”. Il partito in caduta libera e lo stallo con gli altri partiti della maggioranza, in primis Giorgia Meloni, non sono esattamente lo scenario che Vannacci immaginava per il suo battesimo dell’impegno politico. Nei prossimi giorni il segretario leghista proverà a convincere definitivamente il generalone ma l’esito è tutt’altro che scontato.

La Le Pen manderà a Roma il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella

Chi mancherà sicuramente al raduno organizzato dal vice presidente del Consiglio è Marine Le Pen che manderà come sostituto il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella. Troppo poco per scaldare i cuori. “L’unica cosa certa è che ci saranno parecchi defezioni”, spiega il parlamentare leghista. Nella truppa parlamentare hanno confermato la propria partecipazione una sparuta decina di deputati sui 66 totali. Chiunque sembra avere un impegno improrogabile proprio il 23 marzo. C’è chi ha una riunione nel proprio collegio elettorale che “è programmata da tempo”, chi si duole ma deve per forza dedicarsi a un urgente impegno famigliare, chi ha problemi di salute. Come in una classe di studenti svogliati a Salvini è toccato il ruolo del preside severo che ad uno ad uno ha provato a richiamarli all’ordine.

L’effetto sortito è già che deludente se perfino l’organizzatore della kermesse, il senatore Claudio Durigon, ha fatto sapere di non poter proprio mancare a un appuntamento alla scuola politica della Lega. Non formidabile è anche la partecipazione (fisica e ideologica) dei presidenti di Regione. Dalla Lombardia Attilio Fontana fa sapere di avere “impegni istituzionali”, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga hanno ben altro per la testa che mostrarsi al fianco del loro segretario nel momento del crollo e anche i cinque ministri dati per confermati nella nota ufficiale del partito alla fine potrebbero essere almeno quattro visto che il titolare del Mef Giancarlo Giorgetti è tra i più disturbati dalle spericolate uscite di Salvini sulle elezioni russe.

Salvini si mette al sicuro depositando il simbolo di un nuovo partito

L’appoggio a Vladimir Putin del resto è una linea rossa che attraversa tutti i partiti dell’eurogruppo. Nei giorni scorsi Tino Chrupalla, uno dei leader dei tedeschi di Afd, ci ha tenuto a dire che trova “insopportabile” l’accusa a Putin di avere ucciso l’oppositore Navalny. Chrupalla è tra i pochi confermati che sabato sarà sul palco al fianco di Salvini.
“Se verrà giù tutto – ci dice – il parlamentare leghista, Matteo ha pronta l’opzione di emergenza: un suo partito personale in cui portare suoi fedelissimi mentre lascia la Lega alla deriva”. Si discute molto di un simbolo già depositato da un notaio, scovato da Il Foglio. Dopo avere messo “Salvini” nel simbolo ora l’ex capitano decide di virare sull’antico feticcio della sicurezza. Ma alla fine quello che prova a mettersi sempre al sicuro è solo lui.

L’articolo Vannacci tentenna e al raduno di sabato a Roma la Lega rischia il flop sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Conflitto di interessi sul binario morto. Fratelli d’Italia… Viva blocca tutto

Per ora tutto quello che sono riusciti a fare è partorire un rinvio. La legge del Movimento 5 Stelle sul conflitto di interessi, dove è prevista anche la norma anti-Renzi ieri si è incagliata, di nuovo. Rinviata la prevista riunione della commissione Affari Costituzionali della Camera sulla proposta di legge sul conflitto di interessi del M5s che si sarebbe dovuta tenere dopo l’Aula. La commissione è stata rinviata a oggi e – secondo quanto si apprende – la maggioranza starebbe lavorando su un possibile emendamento del relatore per delegare il governo a legiferare in materia. Cadono nel vuoto per ora le parole del leghista Igor Iezzi che aveva assicurato di non voler “demolire la legge Conte” perché per la Lega non si tratta di “battaglie ecologiche” ma di “modifiche di buon senso”.

La proposta di legge M5S sul conflitto di interessi verso la delega al governo. Obiettivo: allungare i tempi e trascinarla nel dimenticatoio

Il cammino è stato complicato fin dall’inizio. Dopo essere arrivata in commissione Affari istituzionali la maggioranza aveva rinviato tutto ai primi di marzo per dare il tempo di depositare gli emendamenti. Italia Viva per mano di Maria Elena Boschi si era preoccupata di salvare Matteo Renzi, chiedendo che la legge non fosse retroattiva. In commissione sono stati presentati 17 emendamenti unitari firmati da tutti i partiti di maggioranza, 36 proposte di modifica di Italia viva, 15 di Azione, 11 di Alleanza Verdi e Sinistra, 2 della Lega e 1 del Partito democratico. Settimana scorsa però il capogruppo in Senato di Fratelli d’Italia aveva definito la legge “inemendabile”. La maggioranza ritiene inaccettabili gli articoli che riguardano le incompatibilità tra la carica di amministratori e ruoli nel mondo privato.

“Così più nessun imprenditore si avvicinerà alla politica”, ripetono da giorni. La settimana scorsa la maggioranza aveva chiesto di rinviare tutto a fine aprile trovando il muro dei 5S. Conte e i suoi avevano dato comunque ampia disponibilità a trattare per trovare un punto di incontro. Al presidente del M5S interessava che la legge non fosse semplicemente una bandierina ma potesse essere votata in Aula. Niente da fare. Giorgia Meloni è stata chiara: da qui alle elezioni europee qualsiasi possibilità di dialogo con pezzi dell’opposizione è fermamente esclusa. La presidente del Consiglio non vuole concedere vantaggi ai partiti della minoranza e una legge sul conflitto di interessi capace di superare la legge Frattini del 2004 potrebbe essere un trofeo troppo goloso per Conte.

Con la proposta di Conte circa cento parlamentari compreso Renzi sarebbero incompatibili

Pesano anche i 100 tra deputati e senatori, alcuni anche ministri, viceministri e sottosegretari, che hanno partecipazioni o ruoli in imprese e società: “Portatori di interesse” li ha definiti Trasparency Italia, alcuni dei quali in potenziale conflitto di interesse considerando che il nostro Paese non ha alcuna norma in materia. La strategia è chiara. Si delegherà il governo per legiferare in materia annacquando il tempo e lasciando svanire nel nulla la proposta, esattamente come accaduto con il salario minimo. Non sarà difficile per il governo fingere che ci sia sempre qualcosa di più urgente e importante trascinando la questione nel dimenticatoio.

Agli atti rimarranno le eclatanti promesse: quelle di Matteo Renzi che baldanzoso si diceva pronto a votarla sapendo che non sarebbe mai andata al voto; quelle della Lega che prometteva una sanzione ancora più pesante per fugare il dubbio di avere rapporti con la Russia; quelle di Forza Italia che fingeva di appoggiare la proposta a patto che non si trasformasse in una battaglia contro il berlusconismo post mortem. Dopo le promesse immancabile è arrivato lo stop. Il sospiro di sollievo è arrivato fin qui.

L’articolo Conflitto di interessi sul binario morto. Fratelli d’Italia… Viva blocca tutto sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui

Sabotata dagli ex renziani. Così è stata affossata l’intesa M5S-Pd in Piemonte

Ci sono storie dietro le storie ufficiali che meritano di essere raccontate. La Basilicata, ad esempio, nelle stanze della segreteria del Pd è tutta roba che attiene all’ex ministro Roberto Speranza. La segreteria del Partito democratico non perdona a Speranza di non averci messo la faccia sciogliendo immediatamente l’ingarbuglio provocato dalla candidatura non condivisa con il M5S di Chiorazzo, poi la candidatura lampo di Lacerenza e infine la convergenza su Marrese.

L’accordo tra il Pd e il M5S appare impossibile. Ma il vero nodo da sciogliere resta tutto interno ai dem

Per la segretaria l’ex ministro alla Salute è responsabile non solo del suo mancato coraggio che ha lasciato il fianco scoperto ai dem ma anche, e soprattutto, è colpevole di avere legittimato la protesta di dirigenti locali che hanno simbolicamente malmenato i due ambasciatori della segreteria scelti per costruire il cosiddetto campo largo con Giuseppe Conte, Igor Taruffi e Davide Baruffi, in tutte le regioni. La missione, manco a dirlo, è miseramente fallita. La prova regina più della Basilicata – ormai data per persa – è il Piemonte dove da mesi la coppia Taruffi-Baruffi (altresì detti “gli uffi” nelle chat interne del partito) ha tentato di risollevare i rapporti con il Movimento 5 stelle ai minimi termini, complice un pessimo rapporto tra l’ex sindaca M5S di Torino, Chiara Appendino, con i dirigenti dem piemontesi.

I sospetti sui riformisti di Bonaccini. Ma Elly insiste per trattare con Conte

Elly Schlein fin dal primo momento ha spinto per riuscire a coltivare il campo largo sotto l’ombrello di Chiara Gribaudo, deputata vice presidente del partito molto vicina alla segretaria, confidando nell’azione dei suoi due emissari. Anche in questo caso la missione è miseramente fallita. Taruffi e Baruffi incarnano infatti le due anime del Pd: da una parte un fedelissimo di Schlein della prima ora che proviene dalla sinistra parlamentare dall’altra un fedelissimo di Stefano Bonaccini che si porta sulle spalle il peso dell’opposizione interna di Base riformista, corrente minoritaria ma maggiormente furba del Pd.

I cosiddetti riformisti della mozione Bonaccini hanno il facile compito di logorare la segretaria simulando collaborazione e in un partito mangia-segretari con il Pd la missione è molto più facile di quello che potrebbe sembrare. Schlein aveva deciso di rinunciare alla candidatura di Gribaudo – e poi del consigliere regionale Daniele Valle – convinta che l’assessora Gianna Pentenero avrebbe permesso la convergenza con i 5S. Essere accusata di avere compiuto “una fuga in avanti” da Conte per Schlein è stata la prova che la trattativa si è svolta in maniera ben diversa da come le era stata raccontata. Dal Nazareno qualcuno spiega che il dubbio di un sabotaggio dolce dei bonacciniani (di cui Baruffi è espressione) sia molto più consistente di quel che pubblicamente si dice.

In Piemonte il Movimento 5 stelle intanto sta cominciando a lavorare a una sua candidatura

Il Movimento 5 stelle sta cominciando a lavorare a una sua candidatura, con il consigliere regionale uscente Ivano Martinetti e l’ex senatrice, già presidente della commissione Lavoro, Susy Matrisciano. Ma il pensiero di Schlein sta nelle parole di Igor Taruffi: “Finché non saranno depositate le liste c’è tempo. Diceva Boskov: rigore è quando arbitro fischia. Siamo al lavoro ovunque per costruire le condizioni più ampie possibili”. La partita per Schlein è tutt’altro che chiusa. La segretaria vuole provare a trattare direttamente con Conte per imbastire un’alleanza che appare quasi impossibile. A sinistra intanto Alleanza verdi e sinistra lamenta di avere appreso della candidatura di Pentenero dai giornali. Solo che alla fine, come spesso accade, la partita sembra prima di tutto interna al Partito democratico.

L’articolo Sabotata dagli ex renziani. Così è stata affossata l’intesa M5S-Pd in Piemonte sembra essere il primo su LA NOTIZIA.

L’articolo proviene da lanotiziagiornale.it qui