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Cosa succede a Bari?

A Bari il ministro Piantedosi ha deciso di avviare l’iter di scioglimento del Comune guidato dal sindaco dem Antonio Decaro per infiltrazioni mafiose. La mossa ha tempistiche elettoralmente perfette, cade esattamente nell’accelerazione per la campagna elettorale delle elezioni europee e colpisce uno tra i primi cittadini più noti tra i partiti dell’opposizione. 

Come nasce l’azione del Viminale? L’impulso è stato dato da un gruppo di parlamentari pugliesi di centrodestra, tra cui due vice ministri di governo, e fa riferimento alla recente operazione antimafia che ha portato all’arresto dell’avvocato Giacomo Olivieri e la moglie Maria Carmen Lorusso nonché il padre di quest’ultima, l’oncologo Vito Lorusso. 

Su alcuni furbeschi giornali di oggi leggerete che Maria Carmen Lorusso sta nella maggioranza di Decaro. Non è un’informazione sbagliata ma è incompleta. La consigliera comunale è stata eletta nel 2019 tra le liste che sostenevano il candidato sindaco del centrodestra, Di Rella, ed è poi transitata nel movimento Sud al centro, partito coordinato da Sandro Cataldo, marito di Anita Maurodinoia, assessora regionale ai Trasporti, che in comune sostiene Decaro. 

Secondo gli investigatori la consigliera comunale avrebbe sfruttato rapporti con il clan Parisi-Palermiti per farsi eleggere nel 2019.

Quindi, ricapitolando, un ministro di centrodestra su impulso di parlamentari del centrodestra ha decapitato un sindaco di centrosinistra per una consigliera comunale di centrodestra che avrebbe stretto patti con i boss. Non male. 

Buon mercoledì. 

 

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Democrazia minacciata. Libertà e diritti nel mirino. Nel 2023 peggiorate le condizioni in 52 Paesi

A proposito di democrazie, di elezioni e di libertà vale la pena segnalare che il rapporto Freedom in the World 2024 rileva che la libertà globale è diminuita per il 18° anno consecutivo nel 2023. L’ampiezza e la profondità del deterioramento sono state estese: i diritti politici e le libertà civili sono diminuiti in 52 paesi e sono migliorati solo in 21.

Il rapporto Freedom in the World 2024 rileva che la libertà globale è diminuita per il 18° anno consecutivo nel 2023

Della questione russa e del conflitto in Medio Oriente ne leggiamo tutti i giorni ma problemi diffusi in tempo di elezioni, tra cui la violenza e la manipolazione, hanno portato a un netto deterioramento dei diritti e delle libertà nel mondo. L’Ecuador è stato declassato dallo status di libero a parzialmente libero perché le sue elezioni sono state interrotte da organizzazioni criminali violente, che hanno ucciso diversi funzionari statali e candidati politici. In Cambogia, Guatemala, Polonia, Turchia e Zimbabwe, i governanti storici hanno cercato di controllare la concorrenza elettorale, di ostacolare i loro avversari politici o di impedire loro di prendere il potere dopo il giorno delle elezioni.

I colpi di stato hanno continuato a cancellare le istituzioni democratiche e a togliere il diritto delle persone di scegliere i loro leader. A luglio, il Niger è diventato il sesto paese della regione africana del Sahel, dopo Burkina Faso, Ciad, Guinea, Mali e Sudan, a subire un colpo di stato dal 2020. Le libertà hanno continuato a deteriorarsi anche in Burkina Faso, che ha subito due colpi di stato nel 2022. Nel rapporto si sottolinea anche che Regno Unito e Ue hanno firmato accordi con due autocrati il presidente tunisino Kaïs Saïed e il presidente ruandese Paul Kagame. Il tema della mancanza di democrazia è molto più vasto di quel che sembra.

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I 33 italiani morti in Ucraina di cui nessuno parla

C’è un dato sulla guerra in Ucraina che non merita una sola parola dal ministro alla Difesa Guido Crosetto e dai media nazionali: le forze russe hanno ucciso 5.962 “mercenari” stranieri sui 13.287 arrivati in Ucraina, inclusi 147 dei 356 francesi e 33 dei 90 italiani secondo i dati diffusi su Telegram da Mosca.

Trentatré italiani morti in Ucraina non sono considerati degni di una notizia o di un comunicato ufficiale di rammarico

Il bilancio aggiornato, ripreso dall’agenzia Tass riferisce che le Forze Armate della Federazione Russa hanno ucciso anche 1.497 polacchi su 2.960, il contingente più numeroso di combattenti stranieri. Seguono i georgiani con 561 caduti su 1.042, 491 statunitensi su 1.113 mercenari, 422 dei 1.005 combattenti canadesi e 360 degli 822 britannici. Dalla Romania sono arrivati in Ucraina 784 “mercenari” di cui 349 sono stati uccisi, dalla Croazia 335 arrivati e 152 uccisi, dalla Germania 88 caduti su 235, dalla Colombia 217 morti su 430 volontari mentre dal Brasile sono giunti 268 combattenti di cui 136 caduti.

Come scrive il sito Analisi difesa è “superfluo sottolineare che tali numeri non sono verificabili da fonti neutrali e quasi nessuna nazione occidentale ha fornito informazioni circa i propri “volontari” recatisi a combattere in Ucraina (ne hanno riferito sporadicamente fonti in Polonia e Repubblica Ceca) così come nessun dato ufficiale è mai emerso in Occidente circa i caduti tra le file dei volontari”. Nessuna fonte ufficiale del governo italiano ha mai commentato le indiscrezioni giornalistiche e le rare interviste ad alcuni volontari sul campo.

Il conto dei caduti europei a Kiev è di quasi 6mila mercenari su oltre 13mila

Numerosi sono anche i mercenari arruolati nelle file dell’esercito russo, anche se non risultano disponibili dati precisi e complessivi. Ci sono riscontri sull’arruolamento di volontari siriani, cubani, di diverse repubbliche ex sovietiche, africani (qualcuno catturato dagli ucraini) e asiatici. Tra questi anche molti nepalesi. l Nepal vieta ai propri cittadini l’arruolamento in forze armate straniere, salvo quelle britanniche e indiane con cui ci sono accordi in tal senso, ma in migliaia hanno raggiunto la Russia per arruolarsi nonostante le pressioni del governo nepalese su Mosca per evitarlo.

Tra le notizie ufficiali nelle ultime settimane si trova solo un lancio dell’agenzia di stampa Reuters che parla di “combattenti stranieri” reclutati nell’esercito ucraino uccisi da un attacco russo a Kharkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina in cui sono state uccise sessanta persone per lo più mercenari francesi. Anche in quel caso l’agenzia non ha avuto modo di verificare la notizia. I mercenari non esistono nei comunicati stampa e nelle preoccupazioni dei governi.

Di fatto molti Stati europei sono già coinvolti direttamente nella guerra contro la Russia

Trentatré italiani caduti in Ucraina non sono considerati degni di una notizia o di un comunicato ufficiale di rammarico. Mentre si parla della possibilità di inviare soldati Nato in sostegno di Kiev non hanno fatto notizia nemmeno le parole del ministro degli Esteri polacco Radosław Tomasz Sikorski che in un’intervista a Sky News ha testualmente detto: “In Ucraina sono già presenti militari della Nato. Vorrei ringraziare gli ambasciatori di quei Paesi che hanno corso questo rischio. Questi Paesi sanno chi sono, ma non posso rivelarli. Contrariamente ad altri politici, non li elencherò”.

È passato sotto traccia anche l’audio intercettato in Germania in cui citano la presenza di soldati britannici, statunitensi e francesi in Ucraina – ufficialmente negata da Londra, Washington e Parigi – per supportare le forze di Kiev nell’utilizzo dei sistemi d’arma occidentali.

 

Leggi anche: Meloni chiude alle trattative con Putin: “Non ha mai rispettato gli accordi”. E si allinea alla deriva bellicistica di Usa e Ue. “Navalny non sarà dimenticato”

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Salvini come Lukashenko. Destre a pezzi sugli elogi a Putin

Eccolo qui Matteo Salvini, vice presidente del Consiglio e ministro dei Trasporti nonché leader di una Lega in declino. Eccolo mentre arranca in cerca di qualche voto per rallentare il dissanguamento elettorale, disposto anche a mettere in crisi gli equilibri della maggioranza di cui fa parte. “Quando un popolo vota ha sempre sempre ragione”, ha detto Salvini in merito alle elezioni farsa che si sono svolte in Russia, dove Vladimir Putin ha messo in scena elezioni né libere né democratiche con un controllo totale sulle urne. Ci sarebbe da tenere in considerazione anche che gli oppositori del regime russo – per ultimo Navalny – sono stati ammazzati o si ritrovano reclusi.

“Quando un popolo vota ha sempre sempre ragione”, ha detto Salvini in merito alle elezioni farsa che si sono svolte in Russia

Ma a Salvini tutto questo non basta e il leader della Lega non riesce a trattenere un moto sotterraneo di giubilo. Così il ministro del governo italiano si accoda a Lukashenko, Xi Jinping e Raisi, presidenti di Bielorussia e Cina e Iran, nella legittimazione di Putin. A parlare per il governo sobbalzato dalla sedia dopo le parole del ministro leghista ci ha pensato il ministro agli Esteri Antonio Tajani: “Le elezioni sono state caratterizzate da pressioni forti e anche violente – ha detto il ministro degli Esteri – Navalny è stato escluso da queste elezioni con un omicidio, abbiamo visto le immagini dei soldati nelle urne, non mi sembra che sia un’elezione che rispetta i criteri che rispettiamo noi”, ha detto Tajani visibilmente contrariato per l’improvvida uscita dell’alleato sempre più scomodo.

Il vice premier: “Il popolo che vota ha sempre ragione”. Tajani furibondo corre a mettere una pezza

Le fibrillazioni però sono arrivate fino a Palazzo Chigi e poco dopo la Lega scrive una nota ufficiale per correggere il tiro: “In Russia hanno votato, – scrive il Carroccio – non diamo un giudizio positivo o negativo del risultato, ne prendiamo atto e lavoriamo (spero tutti insieme) per la fine della guerra ed il ritorno alla pace. Con una guerra in corso non c’è niente da festeggiare”. Dall’opposizione Giuseppe Provenzano (Pd) esprime ironicamente “solidarietà al vicepresidente e ministro Antonio Tajani”. “Non dev’essere facile – scrive Provenzano su X – avere un omologo vicepresidente Salvini che non condanna i crimini di Putin e vede in queste elezioni russe una grande affermazione del popolo. Ma con queste posizioni il Governo può mai essere credibile? E Meloni tace…”.

Carlo Calenda attacca: “Salvini, ti suggerisco di ripassare le basi. Quando un popolo vota nel contesto di una democrazia liberale – libertà di espressione, associazione, stampa e magistratura indipendente – il risultato va riconosciuto. La democrazia senza stato di diritto non esiste. La Russia è una dittatura e le elezioni sono una farsa. Punto”. Il capogruppo dei senatori dem Francesco Boccia chiede al leghista se “va bene quindi votare con le urne trasparenti e i militari che controllano il voto nei seggi? Sono curioso di conoscere la sua risposta e di sapere se i suoi alleati di governo la pensano alla stessa maniera”.

Critico anche Maurizio Lupi, leader di Noi moderati: “Noi un giudizio lo esprimiamo e affermiamo che una democrazia senza un’opposizione reale non esiste, che il plebiscito a favore di Putin è stato espresso sotto la minaccia delle armi, in un clima di repressione e arresti”, spiega. Una ricerca realizzata per Adnkronos da Vis Factor, società leader a livello nazionale nel posizionamento strategico, segnala che sui social network si registra un sentiment negativo dell’84% da parte degli italiani in merito alle dichiarazioni di Matteo Salvini sul voto in Russia. Le emozioni più associate alle dichiarazioni del leader della Lega sono rabbia al 52%, indignazione 20% e tristezza 10% con un picco del 32% di commenti offensivi sui profili del ministro. Un successo, insomma.

Lo scontro nel Centrodestra congela pure la corsa alle nomine. FdI punta a fare l’asso pigliatutto

Si allarga così sempre di più il solco tra il leader della Lega e gli altri partiti della maggioranza. Differenze che rischiano di allargarsi ogni giorno di più con l’avvicinarsi delle Europee che vedranno Salvini e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni su fronti contrapposti difficilmente coincidenti. Il gruppo europeo Identità e Democrazia di cui fa parte la Lega preme sull’antieuropeismo sfrenato con la francese Marine Le Pen nel ruolo di ariete. I Conservatori europei, di cui è presidente Meloni, continuano la loro marcia di avvicinamento a Ursula von der Leyen appoggiandone per ora la riconferma.

Ma i problemi a Bruxelles per Meloni non riguardano solo l’alleato scomodo in patria. A elezioni politiche appena vinte l’ideologo del melonismo Giovanbattista Fazzolari sognava di fare dell’Italia l’avamposto atlantico dell’Europa occidentale, la Polonia del quadrante Ovest del Continente. Le cose non stanno andando proprio così. Nel ruolo della Polonia sembra esserci ben salda la Polonia di Donald Tusk e il triangolo Varsavia-Parigi-Berlino sembra più saldo che mai con l’Italia esclusa. “Continuare in un momento così difficile a suddividere le coalizioni che hanno aiutato l’Ucraina in tanti pezzetti mi pare poco pratico”, ha detto tre giorni fa in un’intervista a Repubblica il ministro Crosetto. Il triangolo di Weimar rischia per Meloni di diventare un problema ben più serio del filoputinismo della suo alleato Salvini.

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Pezzo dopo pezzo se ne va la propaganda del Piano Mattei

Mentre Giorgia Meloni faceva la chierichetta a Ursula von der Leyen che in pompa magna staccava l’assegno al presidente egiziano al-Sisi per fare ancora di più e meglio il lavoro sporco da tappo dei migranti, il Tribunale de L’Aquila scriveva nero su bianco che la Tunisia non è un Paese sicuro riconoscendo la protezione speciale a un richiedente asilo. 

Il tribunale certifica che a Tunisi vi siano situazioni oggettivamente registrate: deterioramento del tasso di democraticità; violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali; magistratura non indipendente; arresti di massa; assenza di tutele per migranti, richiedenti asilo e rifugiati; seria crisi economica in atto; emergenza climatica ed ambientale in atto. 

“In primo luogo il ricorrente, – scrivono i giudici – in disparte il profilo della documentazione lavorativa prodotta (…), proviene dalla Tunisia, Paese che solo formalmente è inserito nella lista del Paesi c.d. di origine sicura. Invero nel recente periodo, si sono verificati in Tunisia eventi che hanno deteriorato il tasso di democraticità del Paese e una palese violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali”. 

I grandi accordi del governo italiano e di quello europeo si smontano pezzo dopo pezzo. Nel frattempo Italia e Ue firmavano accordi con al-Sisi, uno che da oltre 10 anni detiene il potere vincendo elezioni farsa con oltre il 90 per cento dei voti, arrestando, torturando, incidentalmente ammazzando migliaia di oppositori. Vale la pena di ricordare che al-Sisi è l’artefice del colpo di stato del 2013, fece arrestare almeno 40mila persone, condannare a morte centinaia di oppositori compreso l’ex presidente eletto Morsi e prese il potere grazie a elezioni farsa nel 2014 col 96% dei voti.

Buon martedì. 

Nella foto: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente egiziano al-Sisi, Il Cairo, 17 marzo 2024 (governo.it)

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Fascisti, comunisti, populisti. Calenda alleato con tutti

In Sardegna il partito Azione guidato da Carlo Calenda era alleato con Progetto Sardegna, +Europa, Rifondazione Comunista, Unione Popolare Cristiana, Indipendenza Repubblica Sardegna, ProgRes, Liberu. In Abruzzo nelle ultime elezioni era alleato con PD, Movimento 5 Stelle, Italia Viva, Sinistra Italiana, Europa Verde, +Europa, DemoS, Psi. Per le prossime elezioni in Basilicata sarà alleato con Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Italia Viva, Noi Moderati, UdC, Dc (di Rotondi).

Nel giro di qualche mese il partito di Calenda si è attaccato ai pantaloni di partiti che giudica comunisti, fascisti, populisti

Nel giro di qualche mese il partito di Calenda che si propone come antipopulista, anticomunista, antifascista e che fin dalla nascita vuole testimoniare l’inderogabile urgenza di avere uno spazio politico al centro indipendente si è attaccato ai pantaloni di partiti che giudica comunisti, fascisti, populisti. Anche all’osservatore più superficiale appare chiaro che per ora la missione di aprire uno spazio nuovo al centro si riduce ad attaccarsi allo spazio utile per incassare un piccolo spazio di trattativa. Non è niente di nuovo.

Dopo la Democrazia cristiana i tanti centri che si sono succeduti sono stati cespugli furbi impegnati nella politica dei due forni, balzando talvolta di qua e talvolta di là in base alle convenienze elettorali, raramente in base a questioni politiche nel senso nobile del termine. Calenda legittimamente deciderà come muovere il proprio partito, se spostarsi più a destra, se spostarsi più a sinistra, se davvero e sul serio essere un terzo polo. La domanda sarebbe da porre piuttosto a certi commentatori e politici del cosiddetto campo largo: come si può definire imprescindibile un partito così?

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Campo largo, non così

Il primo risultato delle elezioni regionali non ancora svolte in Basilicata consiste nella dispersione di quel precedente mucchietto di speranza. Non era molto, certo, ma dopo le elezioni vinte in Sardegna e perfino dopo le elezioni perse in Abruzzo quel barlume di possibile futuro era l’unico capitale iniziale di una bozza di alleanza credibile. Questione di aritmetica, almeno. 

Il comunicato serale in cui Pd, M5s, Si, Ev, Psi, +Europa annunciano di avere estratto dal cilindro il nome di Piero Marrese, sindaco dem di Montalbano Jonico e presidente della Provincia di Matera, non basterà a risollevare l’elettorato locale sfibrato dal susseguirsi incerto e nevrotico di nomi, dal re delle cooperativa bianche Angelo Chiorazzo impallinato dal M5s, al chirurgo Domenico Lacerenza con il triste record di essere stato candidato nel giro di 72 ore fino alla ridda di veti, subbugli locali e rivendicazioni nazionali. 

Il campo largo (o giusto o stretto o come diavolo si voglia chiamare) non può essere uno stiracchiato incastro di veti con l’aria ogni volta di avere avuto fortuna. Il campo largo (o giusto o stretto o come diavolo si voglia chiamare) non può apparire agli elettori un affannarsi alla ricerca di un nome a poche ore dalla presentazione delle liste. Il campo largo (o giusto o stretto o come diavolo si voglia chiamare) non può essere un balletto orribile con i centristi che pregano la cenere per poterci ballare sopra. 

L’alleanza è necessaria ma lo stare insieme deve essere la maturazione di ragioni limpide. Il caso della Basilicata è un ingarbugliato bugiardino leggibile solo dalle segreterie, roba da caminetto. Veramente troppo poco per spingere fuori casa i possibili elettori. 

Buon lunedì. 

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Chi paga la costosissima ignoranza del Governo?

Quindi siamo di fronte all’ennesima grande idea che si è rivelata piccola, vigliacca e illegittima. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sottovoce lascia intendere che la cauzione di 4.938 euro prevista da un decreto del ministero dell’Interno, attuativo del decreto legge Cutro (n. 20/2023), per i richiedenti asilo che arrivano da Paesi sicuri e non vogliono essere trattenuti in centri per il rimpatrio (Cpr) o comunque in centri per le procedure accelerate di frontiera sarà cancellata.

Non è solo una questione di disumanità, qui siamo di fronte a una costosissima ignoranza

Un mese fa la Corte di Cassazione ha chiesto in via d’urgenza alla Corte di Giustizia dell’UE di valutare tale norma. Nei giorni scorsi la Corte UE ha rigettato la richiesta dell’urgenza: deciderà nel merito nei tempi ordinari. Ora il rischio per il governo è che un giudizio di illegittimità della Corte renderebbe illegittimo anche il trattenimento dei migranti in Albania, bloccando il relativo Protocollo celebrato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Che quella cauzione fosse al di fuori del diritto internazionale lo sottolineavano in molti, tra cui anche la giurista Vitalba Azzolini che ora sottolinea come il Protocollo ci costerà molti e molti soldi, e avrà solo l’effetto di tenere fuori dall’Italia poche migliaia di migranti e solo per qualche mese. Poi torneranno comunque in Italia, sia che vadano rimpatriati sia che abbiano diritto all’asilo. “Quando qualcuno chiederà a certi ministri/governi di restituire ai cittadini i soldi che hanno letteralmente buttato?”, chiede Azzolini. Ed è proprio questo il punto: non è solo una questione di disumanità, qui siamo di fronte a una costosissima ignoranza.

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Gasparri all’Antimafia: il revisionismo irrompe in Commissione

Il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri ha annunciato che entrerà a far parte della commissione Giustizia al Senato e della commissione Antimafia. Mentre il revisionismo storico sugli ultimi anni di mafia sta galoppando con ampie falcate la commissione Antimafia che dovrebbe fare luce sulla strage di via D’Amelio si ingrassa con la presenza di un senatore ex MSI, ex An e ora capogruppo in un partito fondato da un uomo in pieno collegamento con Cosa nostra (Marcello Dell’Utri) che ha speso i suoi ultimi anni a infangare chiunque abbia provato a fare luce sui primi anni ’90.

Antimafia in buone mani con Gasparri

Il senatore Gasparri al grido di “Viva ai Carabinieri, viva il Ros, viva Subranni, viva Mori” è colui che sembra non avere letto la sentenza di Cassazione che riconosce che mentre l’Italia aveva le strade sporche di sangue una parte significativa dello Stato tramite il sindaco di Palermo Vito Ciancimino, un condannato mafioso all’epoca agli arresti domiciliari, aveva contatto Riina e chiesto ai vertici dell’organizzazione mafiosa “cosa volete per fare cessare le stragi?”.

Il senatore Gasparri è lo stesso che ripete che “Silvio Berlusconi è colui che ha combattuto la mafia più di tutti” e che chiede “un contributo di verità” non solo per Berlusconi ma perfino per Dell’Utri. Il senatore Gasparri ha presto dimenticato la sentenza di Cassazione che ha condannato Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa: “La pluralità dell’attività posta in essere da Dell’Utri – scrivono i giudici -, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l’altro offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici”. Gasparri finge di essersene scordato.

Il senatore Gasparri è lo stesso che il 18 gennaio 2015 tre giorni dopo la liberazione delle cooperanti Vanessa Marzullo e Greta Ramelli imprigionate in Siria impugnò il telefono per twittare “Vanessa e Greta, sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo! @ForzaItalia”. Ovviamente si trattava di una diffamazione in piena regola ma Gasparri ci spiegò che si trattava di un’attività parlamentare e si nascose dietro l’immunità parlamentare concessa dai suoi amorevoli colleghi in Parlamento.

Il senatore Gasparri è colui che si è dimenticato di comunicare al Senato di essere presidente di una società di cyber security, la Cyberealm, e all’uscita della notizia promise querele a tutti. Alla fine si è dovuto arrendere dimettendosi dalla società con il capo chino. Sempre a proposito di mafia il senatore Gasparri è colui che a gennaio di quest’anno ha utilizzato la solita farsa del dossier “processo Mafia e appalti” come causa della morte di Paolo Borsellino per spazzare dal campo le altre ipotesi su cui si sta indagando nell’epoca stragista.

Cognac e carota

Peccato che quell’indagine non sia finita con l’eliminazione del magistrato. Questo Gasparri (insieme a Mori e De Donno) finge di dimenticarselo. Maurizio Gasparri è quel senatore che pochi mesi fa, il giorno dell’audizione del conduttore di Report Sigfrido Ranucci, in Vigilanza Rai metteva sul proprio banco una bottiglia di cognac e sfoderava dalla tasca una carota. Il senatore Gasparri che da anni attacca ignobilmente chiunque provi a fare luce sugli anni delle stragi ora è componente della commissione Antimafia.

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Meloni voltagabbana: ora si prepara a ribaciare la pantofola a Trump

Per la cooperazione con l’Africa nell’ambito del Piano Mattei, che interesserà aree di intervento quali “l’istruzione e la formazione, la Sanità, l’acqua e l’igiene, l’agricoltura, l’energia e le infrastrutture, sono nove le nazioni che abbiamo individuato: Algeria, Congo, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Kenya, Marocco, Mozambico e Tunisia”. Lo ha spiegato ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni intervenendo alla cabina di regia sul Piano Mattei  convocata in tarda mattinata a Palazzo Chigi.

Il doppio gioco di Meloni

La premier continua la sua cavalcata tutta retorica sullo schiacciare internazionale. L’impresa politica di trasformarsi in due anni da colei che ammirava il fascismo a quella che riesce a fingere statura internazionale prosegue a gonfie vele. Nemmeno scalfita dalle morti nel Mediterraneo di qualche ora prima Meloni è pronta a volare in Egitto domani per stringere nuovi accordi con il presidente egiziano Al sisi chiedendo sempre la stessa cosa: frenare le partenze con tutti i metodi possibili fregandosene dei diritti umani che sarebbero da rispettare e delle vite umane che andrebbero preservate.

Al suo fianco la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che pur di mantenere lo scettro è pronta a rimangiarsi il suo precedente programma elettorale spostandosi ogni giorno più a destra per plasmarsi agli equilibri del nuovo Parlamento Ue. Con l’Egitto l’accordo sarà di 7,4 miliardi di euro per sostenere le finanze pubbliche e frenare la migrazione (anche se il ministro delle finanze egiziano ha abbassato la cifra – tra 4,6 e 5,5 miliardi di euro).

La giustizia per Regeni e la manutenzione della malridotta democrazia sotto le piramidi possono aspettare. A giugno, gli europei andranno alle urne e il risultato probabilmente si tradurrà in un blocco di destra ampliato in Parlamento. La prima ministra italiana è pronta a diventare la leader spirituale di quel blocco, spingendo Bruxelles a destra su tutto, dalla politica migratoria al Green Deal, l’ambizioso pacchetto di leggi sbriciolato dai nuovi venti che spirano verso Bruxelles.

Poi ci saranno le elezioni in Usa, dove Meloni ha scelto da tempo il suo candidato ideale, Donald Trump. Da Palazzo Chigi la relazione con Trump viene definita “molto positiva”. Di sicuro il governo italiano si ritroverebbe ad essere uno dei più vicini in Europa alle bizze dell’eventuale presidenza trumpiana. Il trucco sarebbe sempre lo stesso, come già accade con Orbàn: appoggiarne gli estremismi in casa per accarezzare i propri elettori e poi fingersi mediatrice sul palcoscenico internazionale per accontentare gli equilibri che Meloni vorrebbe combattere. Un’illusione ottica in cui la presidente del Consiglio appare abile mediatrice mentre mette in atto una politica bifronte che si adatta al contesto.

Il bivio

Ma se Trump diventerà presidente per Meloni si aprirà un bivio difficilmente scavalcabile. Come farà la presidente del Consiglio a rimanere fedele alla linea pro Nato e pro Ucraina mentre Trump rovescerà la situazione? Per ora da un lato sta facendo molto per garantire che le sue credenziali pro-Ucraina e pro-Nato siano in buon ordine, incluso il viaggio a Kiev nel secondo anniversario dell’invasione della Russia a febbraio e l’hosting di un incontro speciale dei paesi del G7 incentrato sull’Ucraina nello stesso mese. D’altra parte sta facendo del suo meglio per corteggiare i repubblicani Maga anti-Ucraina costruendo legami con il campo di Trump grazie ai membri del suo partito, Fratelli d’Italia. Ma se accade davvero quello che spera, che farà poi Meloni?

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