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Il congresso Sigo-Agoi Puglia ovvero uomini che spiegano alle donne la maternità – Lettera43

All’appuntamento barese organizzato dalle società italiana di ginecologia e ostetricia e dall’associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani il parterre era composto solo di maschi. Dal ministro Schillaci al governatore Emiliano, fino a rettori e assessori. L’unica signora? Quella stampata sulla locandina.

Il congresso Sigo-Agoi Puglia ovvero uomini che spiegano alle donne la maternità

Il 14 e il 15 marzo nell’elegante cornice dell’hotel Villa Romanazzi Carducci di Bari si è tenuto il congresso regionale di Sigo-Agoi Puglia. Sigo è l’acronimo della società italiana di ginecologia e ostetricia, Agoi è l’associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani. Il titolo del congresso sta sospeso tra l’idea magica della donna come madre figlia di una madre e poi nonna di una nipote femmina: “Donna: nascita di una madre”. La dorsale femminile del Paese è la cura individuata da quest’epoca per risolvere il grave problema della denatalità in Italia. Il governo dio, patria e famiglia si ritrova con un amministratore delegato – dio – politicamente distonico con le scelte dell’esecutivo, con una patria ininfluente sullo scacchiere internazionale e con famiglie come rami secchi che con il loro smettere di fare figli fanno male al re. «Se vogliamo che le donne ottemperino al dovere di fare le madri», devono avere pensato, «bisogna schiacciare sul pedale della divulgazione scientifica e della divulgazione politica».

Il parterre del congresso è composto solo da uomini

Torniamo al nostro congresso pugliese. Giovedì 14 marzo il parterre era così composto: c’era il ministro alla Salute Orazio Schillaci, il vice ministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, il presidente Fnomceo (la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) Filippo Anelli, il Rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini, il preside della facoltà di Medicina della suddetta università Alessandro Dell’Erba, l’assessore alla Sanità della Regione Puglia Rocco Palese, il direttore dell’AReSS Puglia Giovanni Migliore e il direttore generale del Policlinico di Bari Antonio Sanguedolce. Notate qualcosa? Tutti maschi. L’ha sottolineato sul suo account X Mila Spicola chiedendosi e chiedendo: «Cosa volete ne sappiano, le donne, di donne e di maternità?». Manca solo la valletta travestita da conduttrice (o più elegantemente relatrice) che di solito viene infilata all’ultimo per salvare la faccia.

L’unica donna presente è quella stampata sulla locandina

L’elenco di uomini che discettano di donne che nascono madri rimanda alla celebre scena del Mistero Buffo in cui il giullare che recita il personaggio di Papa Bonifacio VIII viene accusato da Jesus di avere ammazzato dei frati e si difende: «Jesus Jesus vardame nei ogi, che mite vojo ben… che ai fraite? Ma no, che ghe vojo ben mi go sempre vorsudo ben ai fraiti», piagnucolando. A quel punto il Papa nella scena si rivolge a un chierico immaginario. «Manda a torme un fraite, svelto!», dice. Vammi a prendere un frate. Immagino i convegni di tutti maschi che discutono di questioni di donne. Maschi tronfi concentrati sull’ordine degli interventi e sugli aggettivi di usare nella cartella stampa. Solo di fronte alla bozza della locandina si accorgono che manca una donna, almeno un cenno di simulata inclusività, Ci sarà qualcuno di loro che si alza, presumibilmente il più altro in grado quindi il più maschio dei maschi, che scatta in piedi e chiede a qualche assistente lì intorno (ecco, quella potrebbe essere donna, pensandoci bene): «Manda a torme una femena, svelto!».

Il congresso Sigo-Agoi Puglia ovvero uomini che spiegano alle donne la maternità
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica).

A spiegare alle donne come fare le donne ci pensa una ciurma di uomini: tutto chiaro no?

Agli organizzatori del congresso non è venuto nemmeno quel dubbio. Niente di niente. Hanno stampato la locandina, l’hanno pubblicizzata nel mare mosso dei comunicati stampa e dei social e probabilmente quando Mila Spicola gliel’ha fatto notare qualcuno si sarà schioccato la mano sulla fronte esclamando un «ma che caz». Attenzione, si potrebbe dire che quell’incontro comprende titolari di ruoli istituzionali. Qualcuno potrebbe dirci che non è mica colpa loro se ministri, vice ministri, assessori, presidenti, rettori, presidi e primari che si occupano del tema sono tutti maschi. Qui si aprirebbe un bel dirupo: siamo un Paese che vuole risolvere il problema della denatalità spedendo in tour una ciurma di uomini che insegnino alle donne come debbano fare le donne. E questo pensandoci bene sarebbe il tema per un congresso strepitoso che è quello che si celebra nelle piazze quando le donne alzano la voce e i maschi cercano di zittirle con un mazzo di mimose.

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L’ultima follia di Orbán: marciare su Bruxelles

Sentite qua l’amico di Giorgia Meloni, Viktor Orbán, il presidente sovranista ungherese: “Una marcia su Bruxelles” contro l’Unione europea, che “vuole costringere ad accogliere migranti e a rieducare i bambini ad accettare l’omosessualità”. La frase è stata pronunciata nel discorso in occasione della giornata nazionale del 15 marzo, anniversario della sollevazione del 1848 contro l’impero asburgico, in cui il presidente ungherese ha sottolineato la differenza tra Budapest e i “governi occidentali”.

“Bruxelles non è il primo impero che ha messo gli occhi sull’Ungheria”, ha detto Orbán, accusando l’Unione di voler portare il Paese “per forza in guerra contro la Russia. I popoli europei oggi hanno paura che Bruxelles porti via la loro libertà. Se vogliamo preservare la libertà e la sovranità dell’Ungheria, non abbiamo scelta: dobbiamo occupare Bruxelles”, ha aggiunto. Come ungheresi “siamo stati fregati, è tempo della rivolta”, ha spiegato il presidente ungherese. Da qui l’idea di “una marcia su Bruxelles per realizzare un cambiamento”.

Orbán ha promesso che non permetterà all’Unione europea di “intaccare la libertà: l’Ungheria rimarrà libera e sovrana. Le nazioni dell’Europa oggi temono per la loro libertà” minacciata “da Bruxelles. L’Ungheria rifiuta la guerra, è impegnata per la pace” ma “dall’Ue riceviamo guerra, invece della pace”. È la fotografia di quello che ci aspetta nei prossimi mesi: una campagna elettorale per le elezioni europee in cui distruggere l’Europa per accaparrarsi un seggio in Europa. Sembra una contraddizione, è vero, ma è il sale della propaganda sovranista. Come Meloni, del resto.

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Caos Centrosinistra in Basilicata, a rischio la candidatura di Lacerenza

La cosa certa è che la preparazione delle prossime elezioni regionali in Basilicata per il centrosinistra – che sia un campo largo, un campo giusto o un qualsiasi altro campo – è un pessimo spettacolo. A poco più di 24 ore dalla sua designazione come candidato del centrosinistra (Pd più M5S) per le regionali in Basilicata, il nome di Domenico Lacerenza viene messo in discussione all’interno della coalizione.

“Ritirare la candidatura di Lacerenza o promuoviamo il polo dell’orgoglio lucano”, chiedono attivisti, sindaci, amministratori, sindacalisti e dirigenti del Pd e del centrosinistra lucano in un documento diffuso da Giovanni Petruzzi, all’epoca coordinatore della mozione Cuperlo. Petruzzi ha definito anche “quanto mai opportuno ed urgentissimo” che sia convocata la direzione regionale del Pd, “che non ha mai discusso né deliberato la candidatura a presidente di Lacerenza”.

Lacerenza candidato in Basilicata, strada subito in salita

Lacerenza il giorno dopo la sua designazione avvenuta di corsa per trovare un sostituto al precedente candidato Angelo Chiorazzo si è confrontato sul programma con la segreteria dem, Elly Schlein, e con il presidente pentastellato, Giuseppe Conte. Ma quasi subito è salita la tensione con l’ex Terzo Polo e si erano soprattutto rincorse le voci su un nuovo, clamoroso colpo di scena: pur di allargare il perimetro della coalizione, si punterebbe su un nome nuovo al posto dell’oculista. “Se volete vincere dovete mettervi d’accordo, se volete perdere continuate così”, sono state le parole rivolte da Romano Prodi a Conte durante la presentazione del libro Capocrazia di Michele Ainis, a Roma.

Bastian contrari

Carlo Calenda attacca il Pd: “Ma vi rendete conto dello scempio che state facendo per andare dietro a Conte”, chiede su X. Il suo uomo forte sul territorio, l’ex presidente Marcello Pittella, lascia intendere che le trattative con il candidato di centrodestra Bardi siano più che possibili sottolineando come Lacerenza “non è caduto ma per molti del tavolo e per molti aspetti non ha una vocazione politica particolarmente spiccata”.

Attacca inevitabilmente anche Matteo Renzi: se insegue Giuseppe Conte il centrosinistra è finito. Prima o poi lo capirà anche il Pd, non dispero che questo avvenga il prima possibile”. “Mi colpisce molto questa involuzione del centrosinistra. Quando c’ero io si facevano le primarie, adesso chiamano il primario. Questo primario di oculistica che è talmente una situazione incredibile che potremmo dire che hanno scelto un oculista perché non li hanno visti arrivare”, ha detto a margine della fiera LetExpo a Verona.

Ieri il tavolo del centrosinistra si è protratto per ore. Sul piatto, al momento, c’è la blindatura “romana” di Domenico Lacerenza, che alla luce del sostegno di Pd, M5s, Avs, e +Europa, ha definito prive di fondamento le voci di un suo ritiro. Nella sede del Pd lucano, i dirigenti dei partiti della coalizione hanno continuato tuttavia a esprimere alcune perplessità sul nome di Lacerenza. Nel corso della discussione sarebbe stata infatti esaminata anche la possibilità di scegliere un candidato governatore diverso (tra una rosa di nomi fatti al tavolo) che permetterebbe di allargare il perimetro della coalizione.

Oggi il leader di Azione Carlo Calenda sarà a Matera e il nodo potrebbe sciogliersi con l’uscita di Azione dalla coalizione. Comunque vada a finire il vento che tira da queste parti è ben diverso da quello vittorioso in Sardegna e da quello carico di speranza in Abruzzo. Il “campo largo” ha bisogno di partiti che siano capaci di stare stretti e per il Pd la missione è molto più difficile del previsto.

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Centro rimpatri in Albania. L’Ue rovina i piani della Meloni

Brutte notizie per Giorgia Meloni dalla Corte europea chiamata a pronunciarsi dal Viminale dopo che la Cassazione aveva rinviato tutto a Strasburgo a proposito di un ricorso sulle procedure accelerate di frontiera compresa la cauzione da 5mila euro che l’Italia vorrebbe applicare anche nei rapporti con l’Albania. Ora il memorandum firmato dalla presidente del Consiglio con il presidente albanese Edi Rama è a rischio. Per il verdetto potrebbero servire diversi mesi dopo che da Strasburgo è arrivato il rifiuto di trattare la questione con urgenza.

La Corte europea boccia la procedura accelerata di frontiera. Ora è a rischio pure il memorandum per i rimpatri in Albania

La Cassazione chiedeva “se la direttiva “2013/33/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”, ostino “a una normativa di diritto interno che contempli quale misura alternativa al trattenimento del richiedente (il quale non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente), la prestazione di una garanzia finanziaria il cui ammontare è stabilito in misura fissa anziché in misura variabile, senza consentire alcun adattamento dell’importo alla situazione individuale del richiedente, né la possibilità di costituire la garanzia stessa mediante l’intervento di terzi, sia pure nell’ambito di forme di solidarietà familiare, così imponendo modalità suscettibili di ostacolare la fruizione della misura alternativa da parte di chi non disponga di risorse adeguate, nonché precludendo la adozione di una decisione motivata che esamini e valuti caso per caso la ragionevolezza e la proporzionalità di una siffatta misura in relazione alla situazione del richiedente medesimo”. Il quesito è però arrivato ben dopo i tempi stabiliti.

Il Viminale aveva chiesto alla Cedu di pronunciarsi dopo che la Cassazione aveva rinviato tutto a Strasburgo a proposito di un ricorso sulle procedure accelerate di frontiera

“Per la Corte di Giustizia non si tratta quindi di una questione da affrontare con procedura di urgenza – dice all’Agi l’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro, che difende i migranti nei due casi portati all’attenzione della Corte di giustizia europea -, ma da affrontare con procedura ordinaria. Due visioni della fattispecie che differisce tra i due massimi organismi, uno nazionale e l’altro europeo”. La legale dei migranti che hanno presentato il ricorso spiega di “avere ricevuto soltanto la comunicazione sintetica che non è stata approvata la procedura d’urgenza, ma non ne conosco le motivazione”. Ritengo probabile che i giudici hanno ritenuto non sussistere l’urgenza perché i destinatari del provvedimento sono liberi”, dice l’avvocata Lo Faro che rappresenta i migranti al centro della decisione.

“La palla è stata rimessa al centro – aggiunge – e la decisione credo impatti anche sul protocollo siglato tra Italia e Albania che prevede vengano applicate le procedure accelerate di frontiera, compresa la cauzione da 5.000 euro”. “C’è stato – osserva l’avvocata Lo Faro – un rimpallo tra le varie istituzioni, e adesso la palla torna al centro e ci vorrà del tempo per le decisioni, in attesa delle quali tutto resta fermo, compresa l’applicazione del decreto Cutro, e non solo in Italia perché le procedure accelerate, con il pagamento della cauzione di 5.000 euro, sono previste anche nel protocollo firmato con l’Albania”. “Per la Corte di giustizia europea – aggiunge la legale – il tema non è da affrontare con procedura di urgenza, ma, secondo il presidente che tratta il caso, da affrontare con la procedura ordinaria. Due visioni contrapposte quelle di due Istituzioni, che ha portato per il momento allo stallo, con la palla che torna al centro”.

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Dopo i manganelli di Stato. I carabinieri picchiatori

Dunque a Modena un carabiniere nel tentativo di fare salire in auto un arrestato lo prende a pugni in faccia, prima fuori e poi dentro l’auto di servizio. Il video è stato girato da un passante ieri mattina in pieno centro storico, lungo Largo Garibaldi, a due passi dal teatro Storchi. La giustificazioni degli uomini dell’arma sono che il tizio fosse sospetto. Un altro piccolo particolare, è nero.

A Modena un carabiniere nel tentativo di fare salire in auto un migrante arrestato lo prende a pugni in faccia

Eppure dopo essere arrivato con un barcone in Italia lo sventurato non ha mai commesso reati (con grande scorno per leghisti, razzisti e fascisti) e soprattutto è molto apprezzato dal titolare del ristorante in cui lavora come lavapiatti. “Hanno preso un granchio, la persona sbagliata. Sono sei anni che lavora per questo locale, non ha mai fatto nessun errore. Non ha ancora capito cosa gli è successo” dice Mario Campo, il titolare del Ristorante Pasticceria Siciliano “Cirisiamo” di Modena dove da sei anni lavora il 23enne.

L’avvocata Barbara Bettelli, che difende il 23enne guineano, ha la pazienza di spiegare che “a Modena non si è mai vista una cosa del genere, finora cose così le avevo viste solo nei filmati americani. Si sono accaniti con una violenza non necessaria. Se una persona si oppone a un controllo legittimo va contenuta, non picchiata”. Lui all’Ansa ha raccontato di essere stato in attesa dell’autobus e di non avere i documenti con sé.

“Ho spiegato che potevo chiamare un mio amico che me li avrebbe portati. Ma loro volevano buttarmi in macchina. Io lavoro, non ho mai fatto nulla di male”. I carabinieri, fa sapere l’Arma, sono stati assegnati a altro incarico. Chissà, forse meriterebbero di essere candidati alle elezioni europee.

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Esseri precari

Qui intorno una volta era tutto un filosofare sulla precarietà poi improvvisamente abbiamo smesso. Solo che i precari sono aumentati, eccome, e il processo di normalizzazione sembra essere perfettamente riuscito. 

Dice l’Istat che sono 3 milioni gli occupati a termine in Italia e sono impiegati in tutti i settori, nel privato come nel pubblico, al Nord come al Sud e al Centro. Secondo le rilevazioni Inps per il settore privato, la retribuzione media annua di una persone con contratto a tempo determinato è di 10.400 euro, il numero di giornate retribuite 155, pari a circa 6 mesi. Sono soprattutto giovani under 35 (il 48,9 per cento), più uomini che donne (52,4 contro 47,6), tra i settori spiccano noleggio, agenzie di viaggio, supporto alle imprese (21 per cento) e alloggio e ristorazione (15 per cento).

Nel settore pubblico i numeri sono spaventosi. 500 mila dipendenti a termine, di cui più di 100 mila nella pubblica amministrazione, dalla sanità alle funzioni locali, 205 mila docenti nella scuola, altri 200 mila lavoratori del settore della conoscenza (scuola, ricerca, università alta formazione). I numeri sono la faccia del disinvestimento nel settore pubblico a discapito dei servizi che andrebbero offerti. 

In cambio ci offrono un’ampia letteratura secondo cui essere precari significherebbe essere smart, imprenditori di sé stessi, perennemente in sfida. La precarietà è bella – vorrebbero convincerci – perché ci permette di rimanere vigili. Così accade che la sanità pubblica preconizzata non riesca a offrire servizi stabili a lavoratori precari che non hanno comunque soldi per affidarsi alle cure private. Bello, no?

Buon venerdì. 

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Altro muro Ue all’immigrazione. La nuova Libia è la Mauritania

L’Unione europea ha scelto il prossimo tappo per fermare con le buone o con le cattive le migrazioni di disperati: la Mauritania, paese del Sahel occidentale da cui passa la rotta che porta decine di migliaia di sub-sahariani a tentare la traversata per raggiungere le Isole Canarie, e quindi la Spagna. In ballo ci sono 210 milioni di euro che verranno riversati nel casse del paese africano per fare il lavoro sporco, come già avviene per la Libia, la Tunisia e i paesi a cui l’Ue ha subappaltato i confini. La commissaria Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson, ne ha parlato con grande soddisfazione da Nouakchott, insieme al ministro dell’Interno e della Mauritania, Mohamed Ahmed Ould Mohamed Lemine.

L’Unione europea ha scelto il prossimo tappo per fermare con le buone o con le cattive le migrazioni di disperati: la Mauritania

Il terreno era stato concimato da tempo dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che in Mauritania c’era stata giusto un mese fa accompagnata proprio dal primo ministro spagnolo Pedro Sanchez. Von der Leyen aveva annunciato che la cooperazione sarà “basata sulla solidarietà, sulla responsabilità condivisa e sul rispetto dei diritti umani e fondamentali“. Le promesse sono sempre le stesse. Si parla di sostegno alle iniziative del Global Gateway come investimenti, infrastrutture e creazione di posti di lavoro, soprattutto nel settore dell’energia. In realtà il punto fondamentale è la gestione della migrazione, “con l’imperativo della lotta a quella irregolare e al traffico di migranti”.

E con la promozione di una mobilità qualificata di studenti, ricercatori e imprenditori. “Anche l’Europa ha bisogno della migrazione – ha dichiarato Johansson in conferenza stampa da Nouakchott -, ma di una migrazione regolare”. Il sottotetto è chiaro anche per i più distratti: le competenze sono ben accette, con la soddisfazione di svuotarne il continente, ma i fragili e i disperati verranno respinti. Una colonizzazione per estrarre talenti con l’aiuto ben pagato di uno Stato che accetta di essere muro. La commissaria Ue, che nel 2020 aveva visitato Nouadhibou, uno dei punti di partenza per le Canarie, ha sottolineato che quel tratto di 800 chilometri di mare “è quello che registra il maggior numero di vittime e di tragedie”.

La soluzione pensata da Bruxelles è di affidarsi a Frontex, travolta in questi mesi da scandali umanitari e amministrativi. L’accordo ha sollevato polemiche a livello locale. I commentatori mauritani temono che l’obbiettivo non dichiarato sia di insediare i migranti sul territorio mauritano in cambio di un pacchetto di aiuti finanziari. Le autorità, non serve nemmeno scriverlo, negano. Resta da vedere come la Mauritania possa “garantire il rispetto dei diritti umani” senza l’ombra di una legislazione che regoli lo status di rifugiati. Senza un quadro legale chiaro che regoli le procedure di asilo e immigrazione, e garantisca la protezione necessaria, rifugiati e migranti rimangono in una posizione legale precaria, esposti a rischi e senza diritti tangibili.

Come già successo con la Tunisia l’Europa rischia che i flussi migratori siano usati come arma di ricatto

Resta da capire come si possa garantire il rispetto dei trattati internazionali che proibiscono il trasferimento di migranti in paesi dove potrebbero affrontare il rischio di incarcerazione o discriminazione, e subire trattamenti inumani e degradanti. Resta da capire come l’Ue possa ritenere credibile per un memorandum sull’immigrazione uno Stato che non compare nemmeno nella lista dei paesi considerati sicuri stilata proprio dell’Ue. Come andrà a finire si può facilmente immaginare. La Mauritania che già ora fatica a controllare i propri confini potrà riempirsi di migranti da usare come arma di pressione e ricatto nei confronti di Bruxelles, decidendo di aprire o chiudere i rubinetti delle partenze per usare le persone come arma non convenzionale.

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I deliri di una giornata tipo del campo largo tra Calenda e Bonaccini

Una tipica giornata del cosiddetto campo largo dai contorni del campo minato. Ieri mattina il presidente della Regione Emilia Romagna nonché presidente del Partito democratico dopo avere perso le primarie per la segreteria, Stefano Bonaccini, ha rilasciato un’intervista a La Stampa in cui ha affrontato il tema del cosiddetto Terzo polo che non è mai stato terzo e che non è mai stato un polo e che ora chiamano “centristi”.

Il leader di Azione, Carlo Calenda, tratta con Cirio e Bardi. Ma per il governatore è irrinunciabile

“Potrei dire che in Sardegna i centristi non erano con noi – ha spiegato Bonaccini – e la lista dei 5S non è andata bene. Ma per la prima volta quel Movimento ha eletto una presidente alla guida di una Regione. Noi dobbiamo rivolgerci a tutte le forze di opposizione al Governo, che non ha certo bisogno di stampelle. Il Pd deve crescere e allargare la sua base elettorale per essere il perno di un centrosinistra largo e aperto alle migliori esperienze civiche”.

Rapida esegesi dell’intervista: per Bonaccini e per la corrente di minoranza che rappresenta all’interno del Pd inseguire Renzi e Calenda è fondamentale per poter essere credibili. Sanno tutti che il sogno di Base riformista – la corrente che si oppone alla segretaria Elly Schlein – sarebbe un Pd chioccia del Terzo polo senza il M5S ma la vittoria in Sardegna ha smussato i loro sogni. Con il M5S ma assolutamente con i centristi, quindi. Ieri in un’altra intervista ha parlato il leader di Azione Carlo Calenda, politico irraggiungibile nell’arte di distinguersi per i no. Calenda dice che “non esiste il campo largo, ma c’è un bivio: o i riformisti o i 5 Stelle, che tutto sono fuorché di centrosinistra”, di fatto smentendo il progetto politico che sta alla base della segreteria di Elly Schlein.

Per il leader di Azione ciò non preclude certo i furbi accordi sul piano locale, dove “è più facile ritrovarsi attorno a un progetto per il territorio e a un candidato credibile”. Ma di adottare lo stesso schema per la guida del Paese non se ne parla: “Se il Pd vorrà restare insieme al M5S, capitanati da un signore che nega il sostegno all’Ucraina, noi non ci saremo perché se anche dovessimo vincere, poi saremmo incapaci di governare”. Rapida esegesi della sua intervista: mai con il M5S a meno che non si sia condannato all’irrilevanza.

L’ex ministro insiste sul veto a Conte. Ma le Regionali in Abruzzo e Sardegna hanno certificato la sua irrilevanza

Per Calenda il campo largo non è altro che un ventaglio di possibilità per adottare l’antica politica dei due forni di andreottiana memoria. Ci si allea con chi probabilmente vince per pesare molto di più della proprie dote elettorale. Le “intese locali”, come le chiama il leader di Azione, sono la palestra per un’oscillazione nazionale. Non si capisce bene perché gli indigeribili 5S dovrebbero diventare appetitosi sotto un certo numero di abitanti elettori ma la teoria raccoglie consensi. Così dopo Soru in Sardegna e D’Amico in Abruzzo ora Azione potrebbe allearsi con la destra.

Sono ben avviati i contatti per Bardi in occasione delle prossime elezioni in Basilicata e con Cirio per il Piemonte. Una tipica giornata del cosiddetto campo largo. La minoranza del Partito democratico dolcemente schiaffeggia la sua segretaria imponendo il centro come imprescindibile punto di partenza di una coalizione. Il leader M5s non parla e non parla nemmeno la segretaria del Pd. A rispondere all’opposizione interna dem ci pensa un pezzo del centro (che non parla più con l’altro pezzo del centro) per dire che la prima condizione di un qualsiasi dialogo è l’esclusione di altri. La domanda rimane sempre la stessa: come può essere potabile un campo largo così?

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Via libera al Media Freedom Act. Il Parlamento Ue fa a pezzi la riforma Rai di Renzi

Passa al Parlamento europeo il cosiddetto Media Freedom Act pensato da Bruxelles per proteggere giornalisti e testate dalle ingerenze politiche ed economiche e garantire autonomia e trasparenza per le reti pubbliche. Il nuovo regolamento, approvato con 464 voti favorevoli, 92 voti contrari e 65 astensioni, obbliga gli Stati membri a proteggere l’indipendenza dei media e il lavoro dei giornalisti, vietando qualsiasi forma di ingerenza nelle decisioni editoriali. Alle autorità sarà vietato ricorrere ad arresti, sanzioni, perquisizioni, software di sorveglianza intrusivi installati sui dispositivi elettronici e altri metodi coercitivi per fare pressioni su giornalisti e responsabili editoriali e costringerli a rivelare le loro fonti.

Il Media Freedom Act è pensato per proteggere giornalisti e testate dalle ingerenze politiche ed economiche e garantire autonomia e trasparenza

Il Parlamento ha introdotto, durante i negoziati con il Consiglio, forti limitazioni all’uso dei software spia, che sarà consentito soltanto caso per caso e previa autorizzazione di un’autorità giudiziaria nell’ambito di indagini su reati gravi punibili con pene detentive. Anche in queste circostanze, tuttavia, le persone interessate dovranno essere informate dopo che la sorveglianza è stata effettuata e potranno poi contestarla in tribunale. Per evitare che gli organi di informazione pubblici siano strumentalizzati a scopi politici, i loro dirigenti e membri del consiglio di amministrazione andranno selezionati per un mandato sufficientemente lungo sulla base di procedure trasparenti e non discriminatorie.

Il licenziamento prima della scadenza del contratto sarà consentito solo nel caso in cui vengano a mancare i requisiti professionali. I finanziamenti destinati ai media pubblici dovranno essere sostenibili e prevedibili e seguire procedure trasparenti e obiettive. Per consentire al pubblico di sapere chi controlla i singoli media e quali interessi possono celarsi dietro la proprietà, tutte le testate giornalistiche, dalle più gradi alle più piccole, saranno tenute a pubblicare informazioni sui relativi proprietari all’interno di una banca dati nazionale e a indicare se sono direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato.

Colpo alla lottizzazione della Rai. Dal M5S al Pd all’Usigrai sale il pressing per sottrarre il Servizio Pubblico dal controllo politico

E in Italia Per la presidente della Vigilanza Rai Barbara Floridia è “il punto di non ritorno” per l’emittente di Stato. “Auspico che le forze politiche – dice Floridia – siano in grado di superare staccati ideologici e interessi di parte e lavorare all’obiettivo condiviso di tutelare l’indipendenza” del servizio pubblico. “Ovviamente è un voto che non ci coglie impreparati“. Per il deputato Pd ed ex Ministro del Lavoro Andrea Orlando “il via libera al Parlamento europeo del Media Freedom Act toglie ogni alibi a tutte le forze politiche per lavorare ad una riforma, non più rinviabile, della governance della Rai in una Fondazione indipendente”.

Riforme richieste anche dal sindacato Usigrai: “Si apre la strada alla protezione dei media dalle ingerenze politiche. Un provvedimento particolarmente importante che dovrebbe essere subito adottato nel nostro Paese per non riproporre in Rai lo schema di occupazione messo in piedi dai partiti che da sempre comandano sull’azienda di servizio pubblico”. Per consigliere del Cda Rai, Davide Di Pietro, “è la pietra angolare per l’indipendenza dei media e per un Servizio pubblico forte e libero dai partiti”.

Il nuovo regolamento europeo introduce anche importanti novità sulla trasparenza dei media privati

Il Media Freedom Act introduce anche importanti novità sulla trasparenza dei media privati. Per consentire al pubblico di sapere chi controlla i singoli media e quali possano essere i conflitti di interesse di tutte le testate giornalistiche, dalle più grandi alle più piccole, saranno tenute a pubblicare informazioni sui relativi proprietari all’interno di una banca dati nazionale e a indicare se sono direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato. I media dovranno anche riferire sui fondi che ricevono dalla pubblicità statale e sul sostegno finanziario dello Stato, anche nel caso in cui questi provengano da Paesi terzi.

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La legge del manganello. By Romano La Russa

Romano La Russa ha come più grande qualità politica quella di essere fortunato fratello di quell’Ignazio Maria Benito che ha trovato molta fortuna sul palcoscenico nazionale. Romano La Russa ha issato il proprio feudo in Lombardia, mai avara quando si tratta di garantire comode carriere al giusto fratello, al giusto parente o al giusto fidato di qualcuno di potente.

Ora Romano si ritrova a essere assessore alla Sicurezza per Regione Lombardia. Il La Russa minore ama considerevolmente quel ruolo perché si tratta di un assessorato omeopatico che si gioca tutto sul percepito: se sembri abbastanza cattivo sei un assessore abbastanza credibile. Durante una discussione della giunta lombarda, guidata dal leghista Attilio Fontana, Romano La Russa ha detto all’opposizione che “i minorenni che difendete li usate come avanguardie delle spranghe che cinquant’anni fa usavano i loro nonni”.

Al centro del dibattito c’era una mozione del leghista Davide Caparini – che incidentalmente è marito dell’eurodeputata leghista Silvia Sardone – per dare “sostegno alle forze dell’ordine e alla libertà di manifestare in modo civile”, e per “esprimere la massima solidarietà a chiunque voglia esprimere le proprie idee con la presentazione di un libro”. Si riferiva proprio alla sua coniuge. A proposito di affari di famiglia.

Per il centrodestra “le manganellate ai manifestanti sono sempre spiacevoli e deprecabili e sarebbe meglio evitarle, ma chi partecipa a un corteo deve sapere che la partecipazione deve sempre implicare senso di responsabilità e non il pensiero che appartenendo ad un gruppo si possano violare le regole”. La risposta migliore a La Russa è della consigliera regionale dem Carmela Rozza: “Non voglio tornare a cinquant’anni fa quando eri il picchiatore di San Babila. La Resistenza l’hanno fatta i partigiani sulle montagne e voi non c’eravate”, ha detto. Amen.

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