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Sull’Ucraina abbiamo scherzato. Pure l’atlantista Rampini in ritirata

La traiettoria della difficile guerra in Ucraina dopo l’invasione russa partorisce stelle cadenti, commentatori convinti di un’idea che ora predicano l’opposto senza nemmeno un plissé. Nell’orda si riconoscono le bretelle del giornalista del Corriere della Sera Federico Rampini. In un video all’interno della sua rubrica Rampini ci spiega che “bisogna parlare del futuro dell’Ucraina in termini realistici che significa anche crudeli”. “Nei vertici militari americani – spiega Rampini – pochi si illudono che sia possibile liberare tutta l’Ucraina dalla Russia”.

Rampini teorizzava la completa vittoria sul campo dell’Ucraina. Ora ammette: impossibile liberare i territori occupati

Qui allo spettatore sorge il primo velenoso dubbio. Ma come? Ma non era lo stesso Rampini un’esponente di quella folta schiera che fin dalle prime ore dell’invasione russa ci ha spiegato urbi et orbi che la completa vittoria militare dell’Ucraina era l’unica soluzione possibile? E poi: ma non c’era anche Rampini tra coloro che accusavano di filoputinismo chiunque si sforzasse di raccontare la realtà sul campo al di là dell’epica bellicista Deve avere cambiato idea, mica una cambiamento da poco. Ha tutta l’aria di essere un’inversione.

“Probabilmente, dopo le elezioni americane bisognerà trattare con Putin e, alla fine, lasciargli il territorio dell’Ucraina che ha occupato”, scrive il giornalista del Corriere. Dell’esigenza di una trattativa politica che non passasse dalle armi e che prevedesse una mediazione (la più giusta possibile) scrivono le associazioni pacifiste di tutto il mondo fin dall’inizio del conflitto. Non si tratta di “buonismo dei pacifinti”, come sprezzantemente dicono i sodali di Rampini: si tratta di realismo. È la famosa complessità che in Italia si dileggiava. Ora Rampini è diventato pacifinto e consapevole della complessità.

Il nuovo Rampini ora si domanda: “cosa si può dare all’Ucraina in cambio di questo grandissimo sacrificio? La certezza di entrare a far parte dell’Unione Europea al più presto e quindi dell’Occidente, cosa che desidera. E inoltre è necessario stabilire dei patti bilaterali di difesa con la Francia, con la Germania, con la Gran Bretagna, visto che non si potrà accelerare più di tanto il suo ingresso nella Nato”. In un aspetto l’atteggiamento è sempre lo stesso: come per la guerra anche per la pace si dà per scontato che siano altri Paesi a dover decidere le sorti dell’Ucraina.

Il giornalista attaccò su Repubblica il direttore di Avvenire per aver detto ciò che lui stesso sostiene ora

Rampini uno punto zero – vale la pena ricordarlo – era quello che due anni fa apostrofò come amico di Putin il mansueto ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio che si era permesso durante una trasmissione televisiva di contestare che 330 miliardi di dollari (la prima spesa complessiva per armi degli Stati europei della Nato) fossero “pochi” e che provò a spiegare come “le sanzioni non piegano i regimi” ma molto spesso “piegano i popoli”. Rampini si infuriò: “Ma stiamo scherzando? – sbottò in diretta televisiva – Questa è un’offesa vergognosa alle madri dei bambini uccisi. Questa è una cosa ignobile che si è permesso di dire e che rivela da che parte sta lei. È uno dei tanti che lavorano per Putin. Questo è il suicidio dell’Occidente: siamo pieni di gente che non vuole aprire gli occhi davanti al vero pericolo”. L’allora direttore di Avvenire non si scompose per “non abbassarsi agli insulti” ma fece notare che “evidentemente Rampini è uno che scrive, ma non legge”.

Ora la penna del Corriere della Sera deve avere trovato qualche minuto per leggere altre opinioni al di là della sua e ha scoperto che la complessità non si cancella deridendola. Chissà che delusione tra i suoi fiancheggiatori bellicisti. Resta solo un ultimo dubbio: non è che le opinioni cambiano in previsione delle nuove opinioni del nuovo potere che avanza negli Usa dove Rampini vive?

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Assange nel sacco dell’umido

Finalmente s’ode una parola per la tutela di Julian Assange dall’Europa che si è fatta unione per proporsi come culla del diritto e della libertà al resto del mondo. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ieri ha detto che «sarebbe bene che i tribunali britannici gli garantissero la necessaria protezione, perché deve effettivamente aspettarsi persecuzioni negli Stati Uniti, in considerazione del fatto che ha tradito segreti di Stato americani». 

Non è un caso che la domanda gli sia stata posta da uno studente durante un incontro in un centro formativo professionale a Sindelfingen. I grandi media, soprattutto quelli che si definiscono più progressisti, perdono la lingua ogni volta che si pronuncia il nome dell’attivista statunitense che rischierebbe 175 anni di carcere se estradato negli Usa. 

Tra i vari sconcerti di questa storia magnificamente silenziata c’è anche la cupidigia con cui gli stessi giornali che oggi si scordano di parlarne quando Assange era fonte autorevole per riempire le prime pagine dei giornali. È qualcosa che ha a che vedere con il giornalismo e con la lealtà. Giornalisticamente è obbligo per ogni testata custodire e proteggere la propria fonte, ancora di più se ha permesso di svelare vergognosi crimini di guerra compiuti in nome dell’esportazione di democrazia. Dal lato della lealtà (meglio, della slealtà) c’è la tranquillità con cui si è buttato nel sacco dell’umido un personaggio che anche dalle nostre parti qualche anno fa era un eroe. Tra il prima e il dopo è cambiata semplicemente l’ossessiva rabbia degli Usa. 

Buon martedì. 

Per approfondire Patrick Boylan Julian Assange la posta in gioco è la sua stessa vita 

Il libro di Left su free Julian Assange

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Il senso delle istituzioni. E le parole a caso di Donzelli

L’indebolimento di una democrazia comincia con l’abuso delle parole e dei dettami costituzionali. Accade così, in qualsiasi parte del mondo. Quando il linguaggio si svuota di significato per diventare solo luogo di propaganda si sedimenta una pericolosa abitudine a soprassedere le gravità e le falsità che vi sono contenute.

Donzelli dice di non ritenere “democratica” l’opposizione al governo. Siamo sicuri che si tratti solo di uso spregiudicato delle parole?

Mai stanco di difendere la sua capa Giorgia Meloni il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli è intervenuto sulle parole della presidente del Consiglio che quasi tutti hanno inteso come un attacco frontale nei confronti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in merito alle note manganellate contro gli studenti che manifestavano a Pisa.

Donzelli non è un parlamentare qualsiasi, è responsabile nazionale dell’organizzazione del suo partito e ne è stato per tre anni coordinatore nazionale, fino al 2017. Spiega Donzelli che quando Giorgia Meloni ha parlato di ”istituzioni”, che “tolgono il sostegno alle forze dell’ordine”, si riferiva alle forze di opposizione in Parlamento, “perché noi speriamo sempre – dice Donzelli – di avere di fronte un’opposizione istituzionale e democratica, ma purtroppo non è cosi”.

Come ha spiegato la giurista Vitalba Azzolini il singolo parlamentare non può essere definito come istituzione, perché non rappresenta l’istituzione Parlamento, la cui volontà si esprime solo attraverso il voto collegiale, né fa istituzione a sé. Sono concetti che si studiano al primo anno di giurisprudenza che evidentemente sfuggono a influenti dirigenti politici nazionali. C’è anche altro. Donzelli dice di non ritenere “democratica” l’opposizione al governo. Siamo sicuri che si tratti solo di uso spregiudicato delle parole?

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Per questo di Gaza va scritto tutti i giorni, tutto il giorno

“Le morti di bambini che temevamo sono arrivate, mentre la malnutrizione devasta la Striscia di Gaza. Secondo le notizie, almeno dieci bambini sono morti per disidratazione e malnutrizione nell’ospedale di Kamal Adwan, nel nord della Striscia di Gaza, negli ultimi giorni. È probabile che altri bambini stiano lottando per la vita da qualche parte in uno dei pochi ospedali rimasti a Gaza e che un numero ancora maggiore di bambini nel nord non possa ricevere alcuna cura. Queste morti tragiche e orribili sono causate dall’uomo, prevedibili e del tutto evitabili”. Lo scrive l’Unicef in un comunicato di ieri a tarda sera. 

La disparità di condizioni tra nord e sud è la prova evidente che le restrizioni agli aiuti nel nord stanno costando vite umane. Gli screening sulla malnutrizione effettuati dall’Unicef e dal Wfp nel nord del Paese a gennaio hanno rilevato che quasi il 16% – ovvero 1 bambino su 6 sotto i 2 anni – è gravemente malnutrito. Esami simili sono stati condotti nel sud, a Rafah, dove gli aiuti sono stati più disponibili, e hanno rilevato che il 5% dei bambini sotto i 2 anni è gravemente malnutrito.

La diffusa mancanza di cibo nutriente, di acqua sicura e di servizi medici, conseguenza diretta degli ostacoli all’accesso e dei molteplici pericoli che le operazioni umanitarie delle Nazioni Unite devono affrontare, si ripercuote sui bambini e sulle madri, ostacolando la loro capacità di allattare i propri figli, soprattutto nel nord della Striscia di Gaza. Le persone sono affamate, esauste e traumatizzate. Molti si aggrappano alla vita. L’arma più feroce usata su Gaza è il senso di impotenza iniettato tra la gente che può solo osservare attonita. Per questo va scritto tutti i giorni, tutto il giorno. 

Buon lunedì. 

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Giorgia Meloni maestra dell’argomento fantoccio

”Diciamolo agli italiani: si sta cercando di mettere in piedi uno scontro con il presidente della Repubblica perché la sinistra non sa come spiegare che non vogliono che i cittadini scelgano da chi farsi rappresentare. Cercano di schermarsi dietro al Capo dello Stato. Non mi pare corretto e per questo rinnovo la mia stima al presidente e anche la mia solidarietà per questi tentativi di strumentalizzarlo”. Parole, opere e omissione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, maestra di quello che tecnicamente viene chiamato “argomento fantoccio”.

La presidente del Consiglio Meloni è maestra di quello che tecnicamente viene chiamato “argomento fantoccio”

La fallacia logica consiste nel rappresentare scorrettamente l’argomentazione dell’avversario esagerandola, travisandola, in modo da spostare il focus dall’argomentazione reale proposta ad un’argomentazione fittizia, con lo scopo di confutarla più facilmente.

L’argomento può essere costruito – lo spiega molto bene qualsiasi manuale – estremizzando l’argomento iniziale; citando fuori contesto parti dell’argomento iniziale; inserendo nella discussione una persona che difenda debolmente l’argomento iniziale e confutando la difesa più debole dando l’impressione che anche l’argomento iniziale sia stato confutato. citando casi-limite dal forte impatto emotivo; citando eventi avvenuti sporadicamente e/o accidentalmente e presentandoli come se fossero la prassi; forzando analogie fra argomenti solo apparentemente collegati tra loro; semplificando eccessivamente l’argomento iniziale; inventando una persona fittizia che abbia idee o convinzioni facilmente criticabili facendo credere che il difensore dell’argomento iniziale condivida le opinioni della persona fittizia.
Giorgia Meloni dice che non ce l’aveva con Mattarella quando tuonò contro i manganelli usati sugli studenti inermi. E oltre alla fallacia logica si intravede anche un po’ di vigliaccheria.

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“Dall’Ucraina alla Palestina, subito il cessate il fuoco. La pace non si costruisce con la guerra”: parla Vignarca

Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo, cosa ci dice l’enorme partecipazione in Russia ai funerali di Navalny?
“Dimostra quello che sottolineano da tempo. Anche se non lo può esprimere, la maggioranza dei russi è contro questa guerra. Non lo dice perché c’è repressione e autoritarismo e perché c’è la difficoltà di capire che c’è una guerra in corso. La possibilità per loro di attingere a informazioni non è semplice. C’è una censura di base anche se dopo due anni la consapevolezza è maggiore. Per questo noi abbiamo lavorato per favorire gli obiettori di coscienza in Russia, sia dall’esterno passando informazioni sia con chi è all’interno e lavora con i gruppi locali. Lavoriamo con le madri dei soldati, con le associazioni della società civile. C’è bisogno della stessa cosa anche in Bielorussia e in Ucraina. C’è bisogno di ragionare sul fatto che la guerra si inizia a fermare quando non la fai fare alla gente”.

Intanto sembra esserci stata una reazione internazionale dopo l’eccidio, ribattezzato degli affamati, a Gaza…
“Ti dico la verità, forse la gravità estrema di quello che è successo ieri (giovedì, ndr) ha smosso oltre ogni ipotesi che si poteva fare. Delle persone che vengono uccise mentre provano a recuperare cibo perché tutto è bloccato da tempo, hanno svegliato le coscienze. Non ho mai visto certe reazioni di politici italiani che per tanto tempo non hanno detto niente e hanno sostenuto in maniera acritica le posizioni di Israele. Ieri hanno detto ‘forse siamo a un livello impossibile’. Spero che ci si renda conto di qualcosa di cui bisognava accorgersi prima: bisogna arrivare a un cessate il fuoco perché la situazione è impossibile”.

Intanto l’Europa si prepara a un’economia di guerra e vota per una vittoria bellica del’Ucraina…
“Questa guerra viene utilizzata dalla retorica per aumentare la spesa militare. È inutile pensare che con le armi e gli eserciti si possa raggiungere la pace. È impossibile da pensare e da realizzare. Quello che sta succedendo in questi mesi è che la disgrazia che si è abbattuta sull’Ucraina è diventata giustificazione di affari sulla pelle della gente e non si capisce che è impossibile raggiungere la pace in questa maniera”.

È stupito che tra i partiti italiani solo il Movimento 5 Stelle abbia votato contro?
“No, perché purtroppo c’è un’assuefazione a queste posizioni. Non è facile perché la pressione fin dall’inizio è stata fortissima. Qui nessuno assolve Putin, sia chiaro. C’è veramente una forte pressione all’omologazione, quasi rendendo la guerra naturale. Altrimenti se ti opponi sei putiniano, non hai più visibilità, non vieni eletto. C’è una difficoltà estrema e quindi una politica che su questi temi non è preparata – quella italiana è molto italocentrica e riporta le questioni alle beghe di casa nostra – non riesce ad andare oltre. È faticoso. Queste pressioni destabilizzano chi non è attrezzato a subirle. Io spero che si faccia largo la consapevolezza che due anni di guerra senza altre strade non hanno portato a nulla. Serve trovarne altre che non portano subito a una pace vera fino in fondo, ovviamente. Ma bisogna andare a ragionare con Putin, la pace si costruisce a pezzi. Il primo passo è provarci. La pace giusta perfetta non esiste. Nessuno ammette che se vogliamo togliere Putin di mezzo bisogna distruggerlo ma così significa avere una guerra diretta e una possibile catastrofe nucleare. La politica non può diventare bianco e nero banalizzante. È la stessa cosa su Israele con Hamas che va eradicato: che fai? Esacerbi la situazione? Per eliminarlo devi fare un percorso. Una politica debole ha paura di schierarsi. Io vorrei vedere un percorso, una prospettiva”.

L’elezione di Trump potrebbe essere un ulteriore rischio?
“Sicuramente sì. C’è ovviamente differenza tra chi ha fomentato una rivoluzione, che è circondato da gente fuori di testa, rispetto a un Biden che ha altre provenienze. È vero che purtroppo sui temi specifici della guerra non c’è molta differenza tra le due posizioni. La posizione di Biden non è da pacifista. È ovvio che dall’altra parte però hai uno imprevedibile che non ha un criterio leggibile. Questo in una situazione di volatilità e di grossa incapacità di decisione inserisce un’imprevedibilità che non ci possiamo permettere. Sarebbe un’ulteriore fragilità pericolosa”.

Stupito dal silenzio su Assange?
“Questo silenzio è una cosa grave che serve a preparare quell’ambiente ostile bloccato con pressione estrema su coloro che non vogliono rassegnarsi a un sistema di guerra. Le spese militari sono raddoppiate in un mondo sempre in conflitto. Assange ha chiarito come questo sistema non funziona, non solo per la violazione dei diritti umani e per gli interessi sotterranei alle guerre. Ha mostrato che non funziona e che c’è gente che non ha rispettato democrazia e diritti per di più senza nessun risultato”.

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Triplicate le insubordinazioni, le Forze armate alle prese con la grana della disciplina

Forse il governo con i militari ha un problema più serio della ribellione di qualche manipolo di studenti inermi che manifestano con la pace. Ieri il presidente della Corte militare di appello Giuseppe Mazzi in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario militare ha detto che sono triplicati i delitti di insubordinazione con minaccia o ingiuria (11,02% rispetto al precedente anno, attestato a 4,46%).

Raddoppiata anche la percentuale dei reati di disobbedienza (14,41%). Il procuratore generale militare Marco De Paolis ha spiegato anche che il numero di appartenenti alle Forze Armate iscritti nel registro delle notizie di reato è leggermente aumentato, “giacché dalla cifra di 1.749 unità registrate nel 2022 si è passati a quello di 1.830 militari iscritti nel 2023. Rispetto al quinquennio, tuttavia, si registra però un significativo aumento: dalle 1.563 unità del 2018, alle 1.830 nel 2023, con una percentuale in aumento pari al 17% rispetto, appunto al 2018”.

Reati con le stellette

I reati contro il servizio e contro la disciplina militare sono il 69% del totale cui fanno seguito i reati contro il patrimonio o l’amministrazione militare (circa 18,5%) e quelli contro la persona (circa 11,5%). De Paolis ha spiegato che “i primi sono ancora in aumento rispetto al passato, giacché per essi si registra un aumento pari circa al 4% rispetto scai valori dell’anno 2022 e di circa il 23% rispetto al 2019). Esaminando più nel dettaglio le statistiche, è possibile rilevare come (analogamente all’anno precedente), al primo posto fra i reati iscritti più frequentemente figurino le fattispecie di distruzione o deterioramento di cose mobili militari (722), seguite da quelle di truffa (191), di violata consegna (96) e di diffamazione (89).

Ad essi, quest’anno si è aggiunta la fattispecie del furto militare (con 123 episodi)”, ha aggiunto il procuratore generale. Come per la giustizia penale e civile sono in diminuzione i procedimenti arrivati in definizione, sintomo di un’evidente carenza di risorse e di organico. Negli ultimi dodici mesi sono stati 100 rispetto ai 133 del 2022 e 150 del 2021. Aumentano leggermente, invece, i procedimenti sopravvenuti: 128 nel 2023, 114 nel 2022 e 140 nel 2021. I procedimenti pendenti a fine anno sono risultati 51, contro i 23 del 2022 e i 42 del 2021.

In merito ai tempi di definizione dei procedimenti si è registrato un aumento: 123 giorni nell’ultimo anno, rispetto a 114 nel 2022 e 182 giorni nel 2021. ‘’Presso i tre Tribunali militari, di Roma, Verona e Napoli, risultano sopravvenuti 217 procedimenti (nello specifico, 95 a Roma, 55 a Verona e 67 a Napoli) e ne sono stati definiti 185, con una pendenza totale, al termine dell’anno, di 206 procedimenti – si legge nella relazione -. I giudici per le indagini preliminari hanno registrato la sopravvenienza di 1553 procedimenti (in linea sostanzialmente con l’anno precedente, quando il dato si attestava a 1.549 sopravvenuti; ne hanno esauriti 1.663, con una pendenza finale di 203 procedimenti”.

Le Forze armate e gli abusi in caserma

Per il procuratore generale De Paolis il nonnismo, assai diffuso negli anni ottanta e novanta nelle caserme italiane, “ha cessato ormai da tempo, fortunatamente, di interessare le nostre Forze Armate”. Rimane invece il problema delle molestie sessuali: “Il comportamento di molestia sessuale, – ha spiegato De Paolis – che non sempre si esaurisce in un atto che si perfeziona istantaneamente, ma che invece spesso perdura nel tempo ripetendosi più volte finisce anche per turbare ed alterare i rapporti all’interno di un reparto e a incidere sulla corretta funzionalità dei servizi”.

Per questo il procuratore chiede “non solo di sanzionare adeguatamente le condotte illecite, ma anche di prevenirle attraverso una efficace attività di formazione del personale militare compresi i comandanti di corpo”. Forse il governo con i militari ha un problema più serio della ribellione di qualche manipolo di studenti inermi che manifestano per la pace.

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Femminicidi, dopo Giulia Cecchettin le donne ammazzate tornano a essere dimenticate – Lettera43

Nicoletta Zomparelli, Renée Amato, Maria Battista Ferreira e Sara Buratin. Sono le quattro vittime solo di febbraio. Casi che non risvegliano l’indignazione popolare e scomparsi perfino dalla strumentalizzazione politica. Ma non doveva essere il tempo di una rivoluzione?

Femminicidi, dopo Giulia Cecchettin le donne ammazzate tornano a essere dimenticate

Ripercorriamo solo febbraio. Il 13 Nicoletta Zomparelli, 46 anni, e la figlia Renée Amato, 19 anni, sono state uccise nel tardo pomeriggio nella loro abitazione del quartiere di San Valentino a Cisterna di Latina. A compiere il duplice omicidio è stato un maresciallo della Guardia di Finanza, Christian Sodano, 27 anni, ex compagno di Desyrée Amato, 22 anni. A pomeriggio inoltrato Sodano e la sua ex compagna Desyrée hanno cominciato a discutere animatamente e lui ha estratto la sua pistola d’ordinanza mentre lei terrorizzata si è chiusa in bagno. La mamma e la sorella sentendo le urla sono accorse e Sodano ha sparato a entrambe. Il finanziere avrebbe anche tentato di sfondare la porta del bagno, ma Desyrée è riuscita a scappare dalla villetta rifugiandosi in un piazzola di un distributore di benzina e mettendosi in salvo. Christian Sodano ha confessato, raccontando di volersi suicidare perché Desyrée aveva intenzione di lasciarlo. Come riporta il sito femminicidioitalia.info l’attività investigativa condotta dalla Procura di Latina ha fatto emergere una serie di atti persecutori posti in essere dal finanziere ai danni dell’ex compagna nei giorni precedenti al duplice omicidio.

Femminicidi, dopo Giulia Cecchettin le donne ammazzate tornano a essere dimenticate
Il Wall of Dolls contro i femminicidi a Milano (Imagoeconomica).

I femminicidi di Maria Battista Ferreira e Sara Buratin

Il 26 febbraio Maria Battista Ferreira, 51 anni, è stata uccisa dall’ex compagno Vittorio Pescaglini, 57 anni, a Fornaci di Barga, una frazione del comune di Barga in provincia di Lucca. I due erano sposati ma si stavano separando. Lui l’ha seguita con in tasca un coltello con una lama di 18 centimetri. Hanno discusso e poi l’ha colpita. Il fendente che le ha forato il polmone è stato la causa della sua morte. Il giorno dopo i due avevano un appuntamento all’ufficio anagrafe del Comune di Fabbriche di Vergemoli per firmare alcuni documenti e definire gli ultimi dettagli del divorzio. Il giorno successivo, il 27 febbraio, Sara Buratin, 41 anni, è stata uccisa a coltellate dall’ex compagno Alberto Pittarello, 39 anni, a Bovolenta in provincia di Padova.‍ Secondo le ricostruzioni, la coppia si era separata da circa due settimane. Sara Buratin aveva infatti lasciato la casa dove conviveva con il marito, ormai divenuto ex compagno, e insieme alla figlia adolescente si era trasferita nell’abitazione della madre in viale Italia a Bovolenta.‍ Secondo le ricostruzioni si erano separati da due settimane. Pittarello aveva chiesto un giorno di ferie all’azienda in cui lavorava e aveva chiesto un’incontro alla sua compagna dicendo anche aveva un regalo da consegnare alla figlia.

Femminicidi, dopo Giulia Cecchettin le donne ammazzate tornano a essere dimenticate
Manifestazione contro i femminicidi dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin a Milano (Getty Images).

Altro che rivoluzione, le donne ammazzate dopo Giulia Cecchettin sono scomparse perfino dalla strumentalizzazione politica

Sono quattro le vittime di femminicidio nel mese di febbraio, che si aggiungono alle cinque avvenute nel mese di gennaio. Come tocca fare ogni volta che si scrive un articolo sul tema bisogna precisare che questo pezzo è stato scritto di venerdì. La frequenza dei femminicidio è tale che il rischio che un articolo invecchi prima ancora di essere pubblicato è molto alta. Dopo la fiammata per la morte di Giulia Cecchettin l’opinione pubblica italiana e la stampa si sono ripiegate sulla solita resilienza alle notizie di femminicidio. Anche il femminicidio – come molti altri casi di cronaca – subisce il processo di normalizzazione che lo rende una notizia breve, un cenno nei discorsi, una statistica da aggiornare. Sarebbe facile e consolatorio credere che la distrazione sui femminicidi sia solo colpa della stampa. È vero che per meritare una posizione di primo piano un femminicidio deve rispondere ad alcune caratteristiche come la bellezza e la giovane età della vittima (che non deve però essere troppo provocante perché altrimenti “se l’è cercata”), l’alone angelico dell’assassino che fino a un minuto prima era un ragazzo modello, la suspense del mancato ritrovamento di lui e di lei che consenta una ferale romanticizzazione immaginando una fuga d’amore oppure le caratteristiche tipiche del delitto morboso su cui sbizzarrirsi con ricostruzioni e macabri particolari. Le donne ammazzate dopo Giulia Cecchettin sono scomparse anche dall’indignazione popolare, dai cosiddetti influencer che in quel caso si erano esposti. Le donne ammazzate dopo Giulia Cecchettin sono scomparse dalla politica e perfino dalla strumentalizzazione politica. Quanto interessano i femminicidi al di là dell’uso strumentale per farsi notare nel dibattito, per attaccare un avversario o per guadagnare qualche clic? Forse molto meno di quello che si sperava nei tempi in cui alcuni troppo facilmente dissero che dopo Giulia Cecchettin sarebbe stato il tempo di una rivoluzione.

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Vannacci e la democrazia raddrizzata con la dittatura

La ricerca disperata del dibattito – seppur greve – che possa alimentare le vendite ha portato il Corriere della sera a intervistare per l’ennesima volta il generale Roberto Vannacci. Il militare ha potuto così per l’ennesima volta coronare la proiezione di sé stesso povero censurato in un Paese che tratta i suoi rigurgiti scritti come libri, le sue idee primitive come vangeli apocrifi e i suoi desideri come destini di una nazione.

In quell’intervista non c’è nulla di diverso dal vannaccismo che ci frantuma da mesi: un tizio dice cose cretine per diventare popolare, la popolarità delle sue cose cretine lo mette di fronte alle sue responsabilità, quello frigna urlando alla censura (e invece è solo gente che sottolinea la cretineria delle sue affermazioni) e infine un partito cretino gli offre una candidatura e un costume di scena per la parte del martire.

In mezzo a tutto questo il giornalista del Corriere chiede al generale se la democrazia in Italia sia un pericolo e Vannacci risponde che “la democrazia deve rispondere ai bisogni dei cittadini. Gli antichi romani in tempo di crisi trasformavano i consoli in dittatori, sino al ripristino della normalità. Nelle crisi le dittature tendono a essere più efficienti. Per questo – dice – dobbiamo dare alla democrazia gli strumenti per affrontare le emergenze”.

L’idea della dittatura come elemento per il ripristino della normalità nella bocca di un militare è di una gravità enorme e aggiunge al prossimo candidato della Lega anche la medaglia della pericolosità oltre a quella della cretineria. L’episodio è anche la fotografia dello sbilanciamento istituzionale a cui stiamo assistendo.

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Diritto all’aborto in Costituzione. La batosta francese agli oscurantisti di casa nostra

In Francia il diritto all’aborto sta entrando nella Costituzione. Mercoledì il Senato francese ha votato per inserire nella Carta la libertà delle donne di abortire con 267 voti a favore e 50 contrari. La prossima settimana ci sarà l’ultimo passaggio con le Camere riunite a cui toccherà dare il via libera. Un’indagine condotta dalla società di sondaggi francese Ifop nel novembre 2022 aveva rilevato che l’86% dei francesi era favorevole a rendere l’aborto un diritto costituzionale.

In Francia il diritto all’aborto entrerà nella Costituzione. Il Senato ha votato per inserire nella Carta la libertà delle donne di abortire con 267 voti a favore e 50 contrari

L’urgenza di inserire la misura all’interno della Costituzione francese per i legislatori nasce dalla piena protezione costituzionale di un diritto che è minacciato negli Stati Uniti dove nel 2022 la Corte Suprema ha annullato la sentenza Roe vs Wade del 1973 che garantiva l’accesso alla procedura a livello nazionale e in altri Paesi europei, inclusa l’Italia. “Quando i diritti delle donne vengono attaccati nel mondo, la Francia si alza e si pone all’avanguardia”, ha spiegato il primo ministro francese Gabriel Attal dopo il lungo dibattito al Senato. La proposta francese si inserirebbe nell’articolo 34 della Costituzione “la libertà garantita alla donna all’interruzione di gravidanza” ed era già stata approvata dall’Assemblea nazionale francese, la camera bassa del parlamento, lo scorso gennaio.

Il ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti mercoledì dopo il voto in Senato ha commentato la notizia dicendo che “questo voto è storico: dichiara a tutti coloro che ancora non lo sanno che le donne, nel nostro Paese, sono libere, e fino a che punto siamo attaccati a questa libertà”. Anche per Mélanie Vogel, la senatrice che aveva promosso una campagna per il cambiamento costituzionale, si tratta di “una vittoria storica e femminista”.

L’esito del voto del Senato era considerato incerto dai commentatori politici francesi poiché la maggioranza dei rappresentanti è detenuta dal partito dei Repubblicani, di destra e particolarmente conservatori. Ai senatori repubblicani il partito aveva lasciato piena libertà di voto. Il presidente Emmanuel Macron si è detto fin da subito favorevole promettendo di rendere “irreversibile” la libertà delle donne di scegliere l’aborto. Inserire il diritto all’interruzione di gravidanza in Costituzione per il governo è un modo per proteggere la legge che ha depenalizzato l’aborto in Francia nel 1975.

Nel 2022, il parlamento francese ha anche votato per estendere il limite legale francese per l’interruzione di gravidanza da 12 a 14 settimane, e l’assistenza medica all’aborto è interamente rimborsata. La legge francese consente l’aborto farmacologico entro le prime nove settimane di gravidanza. La Francia sarebbe il primo Paese in Europa, ma anche nel mondo, a sancire il diritto all’aborto nella Costituzione. Macron ha annunciato che riunirà parlamentari, deputati e senatori del Congresso per il voto finale di lunedì 4 marzo. È necessaria una maggioranza di tre quinti, ma non c’è dubbio sull’esito delle prossime votazioni all’Assemblea nazionale e al Senato.

Plebiscito bipartisan all’Assemblea nazionale. Mentre in Italia la Legge 194 è di nuovo sotto attacco

“Sebbene l’aborto sia legale in quasi tutti i Paesi europei, permangono restrizioni e barriere legali, e c’è spazio per miglioramenti in tutto il continente, anche in Francia”, ha dichiarato in un comunicato stampa Leah Hoctor, direttore regionale senior per l’Europa del Center for Reproductive Rights. “Il voto di oggi è una pietra miliare importante che speriamo galvanizzi i decisori in Francia e in tutta la regione a prendere i provvedimenti necessari”, ha concluso.

Durante la seduta di mercoledì è stato anche bocciato un emendamento che avrebbe inserito nella Costituzione il diritto all’obiezione di coscienza sull’aborto per i medici, che è già legale in Francia. A protestare contro il voto del Senato è stata la Conferenza episcopale di Francia che lamentano come “nel dibattito non sia entrato il tema delle leggi a sostegno di chi vorrebbe tenere il proprio bambino”. “L’aborto – si legge in un comunicato dei vescovi – resta un’offesa alla vita al suo inizio, e non può essere visto soltanto nella prospettiva del diritto delle donne”.

Immancabili anche le lagne dell’Italia associazione Pro vita: “Lo chiamano diritto delle donne – scrive l’associazione” e invece è il diritto della società ad abbandonare una donna e suo figlio quando in difficoltà; anzi, lo chiamano diritto delle donne e invece è il diritto di indicare come problema da eliminare i nostri figli anziché gli impedimenti che ci rendono difficile il tratto di vita che dobbiamo affrontare”. In Italia il 22 maggio 1978 la Legge 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione di gravidanza) è stata pubblicata sulla gazzetta ufficiale diventando così a tutti gli effetti legge dello Stato.

I movimenti Pro-Vita e le destre vogliono cancellare una conquista storica delle donne

Nella legge viene sancito il diritto all’aborto pubblico, gratuito e regolato da norme che rispettano la dignità e libertà della donna e nel contempo rispondono anche al diritto civile di non essere lasciate sole in circostanze sicuramente difficili. Ma la legge del 1978 (confermata ampiamente dal referendum del 1981) subisce un boicottaggio continuo e sistematico con il suo svuotamento attraverso i consultori, e con a percentuale dei medici obiettori di coscienza negli ospedali – 7 ginecologi su 10 – ben oltre quella consentita. Mentre in Francia l’interruzione di gravidanza diventa un diritto sancito dalla Costituzione qui da noi l’anno scorso sono state raccolte 200mila firme in calce a una petizione presentata dal VI Municipio di Roma guidato da Nicola Franco di Fratelli d’Italia per introdurre nell’articolo 14 della Legge 194 il comma 1-bis, una prassi che Amnesty International ha definito paragonabile a una tortura: tramite esami strumentali, obbligare le donne a vedere il feto che portano in grembo e ascoltare il suo battito cardiaco onde dissuaderle.

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