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La guerra presenta il conto. Buttati in due anni mille miliardi in armi

La guerra Più di 959 miliardi di dollari vengono spesi dalle istituzioni finanziarie nel mondo per sostenere la produzione e il commercio di armi. Di questi quasi mezzo trilione di dollari – più della metà dell’investimento totale stimato nel settore – sono forniti dagli Usa mentre 79 miliardi provengono dai primi 10 investitori europei.

L’anno scorso il volume d’affari del settore delle armi da guerra è stato di 2,2 miliardi, pari al 2,2% del Pil mondiale

E le banche? Le 15 maggiori banche europee investono in aziende produttrici di armi per un importo pari a 87,72 miliardi di euro. Sono i numeri del rapporto “Finanza di pace. Finanza di guerra” commissionato da Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e dalla Global Alliance for Banking on Values (Gabv), realizzato dalla Merian Research, società di consulenza specializzata in tematiche sociali e ambientali. Si scopre così che l’anno scorso, nel 2023, la difesa è cresciuta del 9%, per raggiungere la cifra record di 2,2 trilioni di dollari. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), le risorse stanziate dai governi, a livello globale, per le forze armate ammontano a 2.240 miliardi di dollari, pari al 2,2% del PIL mondiale.

Le banche, come tutto il settore finanziario, la fanno da padrone sostenendo l’industria della difesa con almeno 1 trilione di dollari, cifra probabilmente sottostimata rispetto alla realtà, perché non esiste un database ufficiale che raccolga tutti gli investimenti, i prestiti e i servizi di tutte le istituzioni bancarie e finanziarie del mondo nel settore degli armamenti. “Nonostante gli scarsi dati disponibili e la scarsa trasparenza in questo campo, appare chiaro che il settore finanziario globale è fondamentale nel sostenere la produzione e il commercio di armi, facilitando, per estensione, i conflitti militari”, spiega Mauro Meggiolaro di Merian Research che ha curato il rapporto.

Lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022 e in Palestina nel 2023 ha fatto salire alle stelle il valore delle azioni delle imprese produttrici di armi. Un’analisi del Financial Times ha mostrato che il portafoglio ordini per nuovi armamenti ha raggiunto livelli record nel 2022 e nella prima metà del 2023. La spesa pubblica sostenuta ha stimolato l’interesse degli investitori nel settore: il benchmark globale di Msci (società Usa che fornisce servizi finanziari) per i titoli del settore è aumentato del 25% nel 2023, mentre l’indice azionario europeo del settore aerospaziale e della difesa, Stoxx, è aumentato di oltre il 50% nello stesso periodo.

Un F-35 costa come 3.244 posti in terapia intensiva. E un sottomarino quanto 9.180 ambulanze

Per avere idea delle proporzioni dei costi delle guerre l’International Peace Bureau ha ridotto il costo di specifici armamenti in beni e servizi sanitari: una fregata multiruolo europea (Fremm) vale lo stipendio di 10.662 medici all’anno (media dei paesi Ocse), un aereo da caccia F-35 equivale a 3.244 posti letto di terapia intensiva e un sottomarino nucleare di classe Virginia costa quanto 9.180 ambulanze. La metà dei fondi stanziati dai governi a livello globale per le forze armate (oltre 2 miliardi) sarebbe sufficiente per fornire assistenza sanitaria di base a tutti gli abitanti del pianeta e per ridurre significativamente le emissioni di gas serra.

Durante l’incontro della Global Alliance for Banking on Values è stato presentato il Manifesto per una finanza di pace. “Condanniamo – scrivono le 71 banche aderenti – fermamente ogni tipo di violenza, combattimento o guerra, in qualsiasi circostanza e ovunque avvenga. La risoluzione duratura dei conflitti può avvenire solo attraverso un dialogo aperto e una collaborazione sincera, come mezzi per costruire la fiducia che sottende alla pace. Per questo, invitiamo l’industria finanziaria a smettere di finanziare la produzione e il commercio di armi, incoraggiamo le istituzioni a introdurre o ampliare politiche esistenti che limitino il finanziamento all’industria delle armi e chiediamo di divulgarle in modo trasparente”.

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Giorgia si inventa tre zeri per attaccare il Superbonus

L’altro ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ospite al Tg2 Post su Rai 2, ha detto che grazie al Superbonus 110 per cento sono stati ristrutturati sei castelli “per un costo totale di un miliardo” di euro. Travolta dalla foga di opporsi all’opposizione – che è l’unica forma di governo che conosce – Meloni ha ribadito per due volte il concetto aggiungendo che un miliardo di euro “è tutto quello” che è stato stanziato dal governo nell’ultima legge di Bilancio per “aiutare le mamme” e le famiglie, e per “incentivare la nascita dei figli”.

Il premier Meloni parlato in tv dei castelli ristrutturati con il Superbonus 110% ha compiuto un errore moltiplicato per mille

Quegli antipatici di Pagella politica che hanno il brutto vizio di verificare i dati che i politici usano come roncole nell’arena politica sono andati a recuperare la tabella dell’Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) che riportano effettivamente i lavori di efficientamento energetico di quei castelli. Peccato che il costo complessivo dei lavori ammonti a un milione di euro totale per gli investimenti ammessi a detrazione.

L’idea del castello è ottima per raccontare una favola nera ma stiamo parlando di un costo non dissimile a quello di molti palazzi sparsi in Italia. A colpire della fallacia della presidente del Consiglio è l’enorme differenza di cifre: si parla di tre zeri in meno, Meloni ha compiuto un errore moltiplicato per mille. Il che dice molto di come la presidente del Consiglio memorizzi i concetti utili per la propaganda senza avere nessuna contezza delle proporzioni, delle spese e dei bilanci dello Stato. Meloni si atteggia da statista ma comprereste mai anche solo una bicicletta usata da una così?

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«Erano una minaccia»: le parole della vergogna del governo di Israele

«Erano una minaccia». Chissà per quanto ancora la comunità internazionale potrà sopportare questa risposta falsa, stupida e disumana da parte dello Stato di Israele ogni volta che il sangue cola sulle coscienze dell’Occidente. 

Sono almeno 112 i morti e centinaia i feriti tra le persone che nella notte si sono accalcate spinte dalla disperazione della fame intorno a un camion nella speranza di ricevere aiuti alimentari. Testimoni e il corrispondente di Al Jazeera sul posto hanno riportato che le persone sono state attaccate con proiettili di artiglieria, missili di droni e colpi di arma da fuoco.

L’esercito israeliano si difende dicendo che i morti sarebbero dovuti «alla calca». Nella stessa notte alcuni raid aerei hanno colpito il campo di Nuseirat e altri centri urbani di Gaza. Vista la difficoltà nel far accedere gli aiuti umanitari nella Striscia, Stati Uniti e Canada stanno pensando di eseguire una serie di lanci aerei.

Sparare sui civili che si accalcano per strappare un pezzo di pane è l’ultimo stadio di un diritto a difendersi che ormai indigna anche i difensori più strenui. Sono almeno 13.230 i bambini rimasti uccisi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, lo scorso ottobre, tra cui sette morti negli ultimi giorni per fame. Le vittime sono più di 30mila. Tra questi ci sono 8.860 donne, 340 operatori sanitari, 132 giornalisti e 47 operatori di protezione civile. I registri ufficiali dei morti non comprendono le circa 7.000 persone che risultano disperse, ha precisato l’ufficio media citato da Al Jazeera. Chissà se erano tutti «una minaccia». 

Buon venerdì.

 

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“Giustizia a orologeria”. Salvini sta col generale Vannacci ma sbaglia bersaglio

Povero Matteo Salvini. Affonda lui e nel frattempo affonda anche il suo fedele generale Vannacci, l’uomo scelto dal capo della Lega per risollevare le sorti di un partito tramortito dal crollo elettorale e dalle pedate della presidente del Consiglio alleata poco amichevole Giorgia Meloni. Dopo la sanzione applicata dalla Difesa al generale con il procedimento disciplinare di Stato di sospensione per 11 mesi, avviato lo scorso 30 ottobre dopo la pubblicazione di Il mondo al contrario, Salvini impugna il suo telefono e strepita sui social: “Un’inchiesta al giorno, siamo al ridicolo, quanta paura fa il Generale? Viva la libertà di pensiero e di parola, viva le Forze Armate e le forze dell’ordine, viva uomini e donne che ogni giorno difendono l’onore, la libertà e la sicurezza degli Italiani”, scrive il vice premier e ministro alle Infrastrutture.

La sospensione di 11 mesi per Vannacci arriva dal ministero guidato da Crosetto. Che risponde per le rime al collega Salvini

Il problema è che in questo caso al leader della Lega non funziona accusare presunti magistrati rossi perché a sospendere Vannacci è stato lo Stato in cui è al governo. Lo sottolinea con sarcasmo Alessandro Zan, deputato e responsabile Diritti della segreteria nazionale del Pd: “Salvini è piombato nell’ennesimo cortocircuito. La sanzione arriva dal ministero della Difesa, guidato dal suo collega Guido Crosetto. Se non ci sta, invece di frignare sui social, prenda il telefono, o ha perso il numero di Crosetto?”, scrive Zan. “Con chi ce l’ha il partito di Salvini quando parla di inchiesta a orologeria Con il ministro della Difesa Crosetto di Fratelli d’Italia e quindi con la premier Meloni?”, chiede il co-portavoce nazionale di Europa Verde Angelo Bonelli, che sottolinea come con le sue parole Salvini metta “in discussione l’autonomia dello Stato Maggiore dell’Esercito, che, insieme alla Procura militare, ha avviato indagini per peculato e sanzioni disciplinari”.

Nel pomeriggio di ieri ha perso la pazienza anche il ministro della Difesa Crosetto. “Uscirà una nota della Difesa sul caso Vannacci che spiega ai non pratici in materia che parliamo di procedimenti partiti mesi fa, e che avvengono in modo automatico e che sono totalmente esterni dall’input dell’autorità politica perché partono da un’autorità tecnica. Una volta che tutte le informazioni saranno disponibili magari i commenti saranno più appropriati. Per quanto mi riguarda tra un po’ finirò le guance da porgere”, scrive risentito il ministro.

Per il vicepremier l’iter disciplinare e le inchieste a carico del generale sono medaglie di cui andare fiero

Due giorni fa la Lega in una nota aveva già strenuamente difeso il generale (che potrebbe essere uno dei suoi candidati di punta alle prossime elezioni europee) dopo l’indagine per istigazione all’odio razziale: “Indagini che sono medaglie. Vecchi metodi del vecchio sistema. Avanti generale, avanti insieme, avanti Italia!”, aveva scritto in una nota il partito di Salvini. Per il ministro alle Infrastrutture è una medaglia essere indagato per odio razziale, è un trionfo della libertà di espressione essere sospeso dal proprio incarico ed è un complotto politico se la Procura militare indaga sui rimborsi gonfiati. Il Salvini che metterebbe in galera e butterebbe via la chiave i suoi nemici anche per il più lieve dei reati diventa garantista quando si tratta degli amici.

Anzi, riesce a fare ancora peggio: per Salvini è un onore essere indagati perfino da pezzi di Stato, perfino dagli organi militari che celebra con qualche patacca sulle sue felpe. Del resto per Salvini è una medaglia anche essere sotto processo per sequestro di persona per avere fatto bollire in mezzo al mare gente disperata che provava a salvarsi. Ma se per il capo della Lega il numero di processi e di indagini è direttamente proporzionale alla credibilità di qualcuno non osiamo immaginare chi siano i suoi punti di riferimento. O forse possiamo immaginarlo.

 

 

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L’Ungheria che confessa parlando di Ilaria Salis

Gli schizzinosi ungheresi – pur abituati alle maniere forti dell’autocrate Orbàn – sono sorpresi che l’Italia si occupi del rispetto dei diritti umani nell’ambito di un processo in cui è coinvolto un suo cittadino. “È sorprendente che stanno cercando di interferire con un caso di tribunale ungherese dall’Italia”, dice il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó. “Questa signora presentata come una martire in Italia, è venuta in Ungheria con un chiaro piano di attaccare persone innocenti nelle strade come parte di un’organizzazione estremista di sinistra”, ha detto ancora il ministro ungherese che, secondo quanto rende noto il portavoce del governo ungherese Zoltan Kovacs, in visita a Roma “ha enfatizzato l’importanza della cooperazione italo-ungherese, specialmente in sicurezza ed economia, con l’Italia seconda destinazione dell’export ungherese, e sottolineando la crescente partnership tra le due nazioni”.

Il comunicato è da custodire perché è una perfetta ammissione di colpa del governo ungherese. C’è dentro il sovranismo dei diritti umani, lo stesso che sogna il nostro ministro Piantedosi quando vorrebbe applicarne di inapplicabili e così scrive decreti come il cosiddetto Cutro che si smontano cammin facendo. C’è l’idea giustizialista del processo come inizio della vendetta di Stato. Se un criminale è pericoloso merita un processo iniquo e violento, come sogna il capo della Lega Salvini, soprattutto contro coloro che non hanno colletti bianchi. E soprattutto c’è l’amicizia e l’affinità politica dichiarata con il governo Meloni, nonostante la fatica della presidente del Consiglio di recitare la parte della moderna europeista. 

Buon giovedì. 

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Terroristi sui barchini. Smontata la balla leghista

La deputata europea leghista Silvia Sardone, solo per citare un esempio, sull’equazione “migranti uguale terroristi” ci ha costruito una carriera politica. “È del tutto evidente che l’immigrazione senza freni e i ‘porti aperti’ favoriscono l’ingresso di migranti che giungono in Europa anche con finalità di terrorismo”, scriveva in una sua interrogazione a Bruxelles quattro anni fa.

La deputata europea leghista Silvia Sardone, solo per citare un esempio, sull’equazione “migranti uguale terroristi” ci ha costruito una carriera politica

Il suo capo Matteo Salvini da anni fruga nei cassonetti della cronaca nera per soffiare sul pericolo percepito. La politica dovrebbe costruire il reale senza preoccuparsi di manipolare la realtà ma ai parlamentari della Lega risulta sempre molto complicato. Il ministro dell’Interno Piantedosi, epigone di Salvini sul tema, ogni volta che scoppia una guerra racconta fiero di avere “intensificato i controlli” come se i terroristi fossero sui barchini che affondano (e vengono fatti affondare) nel Mediterraneo.

I migranti, ancora di più quando le guerre fanno tuonare i cannoni, sono un’efficacissima minaccia comunicativa nonostante non siano una minaccia concreta. Il professore di sociologia della Statale di Milano Maurizio Ambrosini scrive spesso dell’infondatezza della giustificazione securitaria delle chiusure basata sulle minacce terroriste: “Gli immigrati diventano i capri espiatori delle angosce, spesso motivate, delle società occidentali”, scrisse in un suo studio del 2016. Ieri lo schiaffone è arrivato direttamente dall’intelligence italiana.

Gli analisti del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica nella nuova “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza” spiegano che “non sono emerse evidenze di un utilizzo strutturato” dei flussi migratori “per finalità di terrorismo”. Un altro grande insuccesso della propaganda.

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Dall’Italia armi ad Israele a guerra già iniziata

Torniamo indietro di qualche mese. La segretaria del Partito democratico Elly Schlein – eravamo all’inizio del conflitto in Medio oriente tra Israele e Hamas – chiese che l’Italia non si rendesse compartecipe del conflitto fornendo armi. I titoli dei giornali cosiddetti progressisti e centristi ironizzarono sulla richiesta di Schlein. “Noi non forniamo nessuna arma all’Italia”, dissero in coro. Da quelle parti funziona così: sono populisti tutti coloro che non sono d’accordo con loro. Eppure, ora si scopre che Elly Schlein aveva ragione.

Le carte sbugiardano il governo Meloni. L’export di armi verso Israele è proseguito anche dopo il 7 ottobre

Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, ieri in un’inchiesta ha raccontato che “tra ottobre e novembre del 2023 l’Italia ha esportato “Armi e munizioni” verso Israele per un valore di 817.536 euro: in particolare 233.025 euro a ottobre e 584.511 a novembre”. A certificare l’export sono le statistiche del commercio estero periodicamente aggiornate dall’Istat, da ultimo a metà febbraio di quest’anno. Il punto è sostanziale: il governo guidato da Giorgia Meloni in più occasioni ha dichiarato di fronte agli elettori e alla stampa che il “governo non fornisce armi a Israele” ed era falso, falsissimo. “L’Italia ha interrotto dall’inizio della guerra di Gaza l’invio di qualsiasi tipo di armi a Israele. È tutto bloccato”, disse Tajani in un’intervista a Il Giorno lo scorso 20 gennaio.

“Da quando sono iniziate le ostilità abbiamo sospeso tutti gli invii di sistemi d’arma o materiale militare di qualsiasi tipo”, disse Tajani esibendo una certa sicumera. Tutto falso, falsissimo. Come racconta Altreconomia i dati dell’Istat sconfessano la prima affermazione del ministro sull’aver bloccato “qualsiasi tipo di armi a Israele”: materiale corrispondente alla categoria merceologica “Armi e munizioni” – ai sensi della classificazione Ateco 2007 – è stato invece esportato anche dopo il 7 ottobre. “Pure ipotizzando che i 230mila euro di ottobre siano partiti prima del giorno 7, i dati di novembre coprono un periodo in cui i bombardamenti sulla Striscia di Gaza erano già pesantemente iniziati”, scrive Facchini.

L’Istat informa che circa 7mila euro sono riferibili a “Fucili, carabine e pistole a molla, ad aria compressa o a gas, sfollagente ed altre armi simili” mentre 430mila per “Parti e accessori” di oggetti che vanno da “Armi da guerra, incluse pistole mitragliatrici” a “Rivoltelle e pistole”, da “Armi da fuoco e congegni simili che utilizzano la deflagrazione della polvere” a “carabine e pistole a molla, ad aria compressa o a gas, sfollagente”. Restano invece “oscurati” e perciò senza descrizione specifica 147.126 euro.

Dai fucili alle pistole agli sfollagenti. Un’inchiesta di Altreconomia smaschera l’ultima bugia di Stato

Giorgio Beretta, analista esperto dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere a Altreconomia osserva che “proprio questi 147.126 euro oscurati certificano che si tratta di armi e munizioni ad uso militare – spiega Beretta -: nei sottocapitoli l’Istat oscura infatti tutti e solo i dati che riguardano le armi ad uso militare. Non va dimenticato, inoltre, che qui si sono considerate solo le ‘Armi e munizioni’: ma che da ottobre potrebbero essere stati esportati a Israele anche altri materiali e strumenti per uso militare tra cui componenti per velivoli e mezzi terrestri, sistemi elettronici, laminati e miscelatori per prodotti chimici, etc. che è impossibile rintracciare nel database dell’Istat”.

Ora siamo sicuri che un governo che ha pubblicamente sostenuto una tesi falsa si assumerà le sue responsabilità. O no? No, no, purtroppo no.

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Salvini tramonta con i suoi idoli

Matteo Salvini è politicamente finito. Resta da capire tra quanto tempo il segretario della Lega e ministro alle Infrastrutture verrà esautorato all’interno del suo partito e nell’alleanza del governo ma la fine è già scritta in quell’impietoso 3,7% che affonda il partito. Lui, Matteo, ieri ha provato a difendersi. Sulla sua dipartita dal Consiglio dei ministri dell’altro ieri (i retroscena raccontano di un litigio con il ministro Fitto per la ripartizione del Pnrr) dice che aveva “due appuntamenti ieri alle 6. Mi occupo di ferrovie e quindi sono andato via perché avevo due appuntamenti in ufficio”.

Scene da fine impero per il leader della Lega Matteo Salvini. Inesorabilmente avviato verso il declino politico

Il ministro è fatto così, ritiene che qualche appuntamento amicale in ufficio al ministero sia un motivo valido per convincerci che ormai la sua funzione non si deteriora ogni ora di più. Il leader della Lega finge di non sapere che è un esautorato dal suo stesso partito. “C’e l’occasione di rivincere subito, il 10 marzo in Abruzzo, dove sono assolutamente ottimista sia come centrodestra sia come risultato della lista Lega”, dice ai giornalisti. È finita ma finge di non capirlo. Non gli basterà nemmeno provare a sbloccare il terzo mandato per il suo compagno di partito Luca Zaia in Veneto. Salvini è già finito.

Nel giorno in cui finge di restare in piedi risuonano le parole del suo caro amico Flavio Briatore. Nei giorni scorsi era rimbalzata la frase dell’imprenditore che aveva annunciato di non volere restare in Sardegna nel caso in cui la candidata Alessandra Todde fosse diventata presidente. Ieri la neoeletta presidente ha voluto rispondere direttamente, senza troppi giri di parole: “È un problema suo, noi riusciremo a campare anche senza”. Poco dopo il fulgente Briatore ha voluto precisare: “Leggo su parecchi siti di un mio presunto commento sul risultato delle elezioni in Sardegna. Non ho mai detto la frase che mi è stata attribuita. Mi congratulo con la signora Alessandra Todde per il risultato ottenuto e Le auguro buon lavoro”.

E dopo la disfatta in Sardegna pure l’amico Briatore scarica l’ex “capitano”

E qui dentro c’è tutta la mollezza di un impero che da segni di cedimento. Il Briatore che comandava sulla Sardegna forte dei suoi ombrelloni in società con la ministra Santanchè ora torna mogio sui suoi passi per augurare buon lavoro ai suoi eterni nemici. Flavio Briatore come termometro del disfacimento di Matteo Salvini: presuntuosi per diletto per piacere ai propri seguaci ora indossano le maschere dalle orecchie basse. A proposito di Salvini. Il ministro più manetta della storia recente della repubblica ha sempre voluto puntualizzare che i Verdini suoi quasi parenti sono “brave persone”.

Il leader della Lega che schianta un cittadino qualsiasi sui social per offrirlo alle fauci dei suoi elettori ha difeso la famiglia della sua compagna in ogni occasione. Il Verdini figlio (fratello della sua fidanzata) coinvolto nell’inchiesta sugli appalti Anas è “un bravo ragazzo” e il Verdini padre, quel Denis ispiratore di Salvini e amicone di Renzi, è un quasi suocero di tutto rispetto. Solo che Denis Verdini ieri è tornato in carcere perché il tribunale di sorveglianza di Firenze, dopo qualche chilo di articoli giornalistici, si è accorto che i suoi domiciliari avevano tutta l’aria di sembrare delle vacanze premio.

Verdini rispedito in carcere. Vannacci indagato e Briatore in fuga

L’istanza di revoca era stata presentata dalla Procura generale fiorentina per tre incontri serali avvenuti nella Capitale tra ottobre 2021 e gennaio 2022, alla presenza di politici, imprenditori e dirigenti pubblici. Verdini senior sta scontando una condanna definitiva a sei anni e sei mesi, arrivata al termine del processo per il crac dell’ex Credito Cooperativo Fiorentino. Detenzione iniziata il 3 novembre 2020 quando l’ex senatore si era costituito nel carcere di Rebibbia di Roma, subito dopo la sentenza della Cassazione. A gennaio dell’anno successivo, tuttavia, Verdini aveva ottenuto i domiciliari per motivi di salute legati a un focolaio Covid in carcere, regime detentivo poi confermato a luglio anche per questioni di età (aveva compiuto 70 anni) e di salute.

Solo che Verdini fingeva di andare a Roma dal dentista – secondo il tribunale di sorveglianza – per farsi i suoi porci comodi. Per il tribunale “non poteva incontrare persone diverse dai suoi familiari stretti” ma non è andata esattamente così. Per Matteo Salvini il Papeete nel 2024 ha la forma insulare della Sardegna. L’accelerazione della sua decadenza potrà durare al massimo fino alle prossime elezioni europee e nemmeno blindare Zaia gli potrà bastare. Salvini è politicamente morto. Gli resta qualche conato sui suoi social prima che diventino abituali e qualche ultima pretesa nei confronti di Giorgia Meloni.

Leggi anche: Vannacci sospeso dal servizio per 11 mesi. Lo ha deciso Crosetto al termine del procedimento disciplinare avviato nei confronti del generale per il suo libro

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Il “potere forte” è l’iniquità

Nei Paesi del G20, in media, per ogni dollaro di gettito fiscale, meno di 8 centesimi provengono oggi dalle imposte sul patrimonio, mentre più di 32 centesimi (oltre quattro volte tanto) arrivano dalle imposte su beni e servizi che gravano in modo sproporzionato sulle famiglie a basso reddito.

Lo scrive Oxfam, alla vigilia della prima riunione dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali del G20 a San Paolo, in Brasile. I dati mostrano come nel 2022 l’1% più ricco, in termini reddituali, nei Paesi del G20 ha percepito 18mila miliardi di dollari. Un ammontare superiore al Pil della Cina. Negli ultimi quattro decenni, la quota di reddito (al netto delle imposte) detenuta dall’1% dei più facoltosi nel G20 è aumentata in media del 45%, mentre nello stesso periodo l’aliquota massima dell’imposta sui redditi personali è diminuita di circa un terzo, passando da quasi il 60% nel 1980 al 40% nel 2022. 

La ridotta tassazione della ricchezza e un prelievo più blando sui redditi da capitale hanno esasperato ulteriormente l’iniquità dei sistemi fiscali. Oxfam osserva infatti che, considerando il complesso delle imposte dirette, indirette e dei contributi sociali nei Paesi del G20 – come Brasile, Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti – chi guadagna di più, versi in proporzione al reddito, minori imposte di chi percepisce entrate inferiori. Nei Paesi del G20 risiedono inoltre quasi quattro su cinque dei miliardari globali.

Buon mercoledì. 

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Greenwashing sulla plastica. L’Ue alza bandiera bianca

Andremo al supermercato sotto casa e convinti di aiutare il pianeta acquisteremo una bottiglia con la dicitura “plastica riciclata al 100%” convinti che sia al 100% di plastica riciclata. In un documento della Commissione europea datato 13 febbraio l’esecutivo Ue spinto dalle industrie della chimica e della plastico si propone un approccio più lassista.

Andremo al supermercato sotto casa e convinti di aiutare il pianeta acquisteremo una bottiglia con la dicitura “plastica riciclata al 100%” convinti che sia al 100% di plastica riciclata

L’industria chimica ha spinto per un metodo di calcolo che consenta loro di spostare i cosiddetti crediti di contenuto riciclato da un prodotto all’altro (a parte il carburante) e trasferire tali crediti a prodotti in cui un’affermazione “riciclato al 100%” sarebbe commercialmente più preziosa. Per gli industriali il nuovo metodo permetterebbe di utilizzare meno rifiuti di plastica – che sono costosi da raccogliere e smistare – come materia prima. “Questo è, per me, un rischio davvero elevato di greenwashing”, ha detto Lauriane Veillard, responsabile della politica di Zero Waste Europe mentre la Environmental Coalition on Standards avvisa che con le nuove regole i protocolli di riciclaggio rischiano di diventare un “esercizio di contabilità senza significato”.

In una nota ottenuta da Politico l’anno scorso, la Commissione ha avvertito che se le nuove regole che disciplinano la tecnologia sono “troppo restrittive, i riciclatori chimici potrebbero astenersi dagli investimenti pianificati, il che potrebbe bloccare lo sviluppo del settore”. Se una bottiglia viene etichettata come fatta all’80% di plastica riciclata dovrebbe essere così. Solo così potremmo avere contezza di cosa stiano facendo le aziende per il pianeta. Ora il rischio è che sia solo fumo.

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