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Manganellate selvagge agli studenti, la polizia a Pisa perde la testa. Brutalità inaudita al corteo pro Palestina, protestano i docenti. Chiesta la rimozione del questore

In Italia spira vento di cariche e manganellate delle forze dell’ordine sugli studenti che manifestano per la Palestina. A Firenze gli studenti con i sindacati di base e comunità palestinese hanno provato a raggiungere il consolato americano e sono stati caricati. Momenti di tensione anche a Catania. Ma è a Pisa che la reazione dei poliziotti in tenuta antisommossa ha acceso le proteste dell’opposizione. Il corteo di studenti (giovanissimi e pochi) voleva raggiungere piazza dei Cavalieri ma gli agenti hanno caricato e manganellato. I video dell’eccesso di forza dei poliziotti ieri è rimbalzato sui social, provocando una diffusa indignazione. Sono quattro gli studenti fermati.

Nelle immagini si vedono due di loro sbattuti con la faccia a terra per essere ammanettati. Una settimana fa tensione, manganellate di polizia e carabinieri e lancio di oggetti da parte dei manifestanti a Bologna, nei pressi della sede Rai regionale dove era in corso la manifestazione dei Giovani palestinesi. La prima fila del presidio si è avvicinata agli agenti schierati, sono partite manganellate e colpi di scudo. Dieci giorni fa sette manifestanti feriti (crani, palpebre e zigomi rotti ricuciti con i punti) e il presidio disperso a manganellate a Napoli. Si manifestava contro l’ad Rai Roberto Sergio per le polemiche su Sanremo. A Firenze il 21 novembre scorso poliziotti in assetto anti sommossa manganellavano i ragazzi che sfilavano in una manifestazione autorizzata in forma di presidio proprio nel giorno della seduta del Senato accademico dove gli studenti avrebbero voluto mettere ai voti una mozione che impegnava l’ateneo a “congelare” i rapporti accademici con le università israeliane finché fossero proseguiti i bombardamenti a Gaza.

A ottobre dell’anno scorso a Torino erano chiare ed evidenti le immagini di poliziotti che caricano con violenza ragazze e ragazzi che manifestavano pacificamente contro le politiche dell’esecutivo e per sensibilizzare la premier perché siano messe in campo azioni concrete a favore del diritto allo studio e del lavoro dei giovani. I manganelli stanno diventando un’odiosa abitudine.

Ieri a Pisa il consigliere comunale di Unione popolare Ciccio Auletta ha chiesto che il questore Sebastiano Salvo venga “rimosso subito” sottolineando che “l’episodio si inserisce in un quadro più ampio di repressione”. La Questura si è difesa sostenendo che “il corteo non era autorizzato” e che “è mancata l’interlocuzione con i rappresentanti dei promotori”: ”la carica è stata determinata – dice il questore – da un momento di tensione scaturito da un contatto fisico tra alcuni manifestanti e i poliziotti che impedivano l’accesso alla piazza dei Cavalieri”. Ma le parole più dure arrivano da un gruppo di docenti del liceo artistico Russoli che si dicono “sconcertati” per “minorenni manganellati senza motivo, perché il corteo che chiedeva il cessate il fuoco in Palestina era assolutamente pacifico”. “Senza neanche trattare con gli studenti o provare a dialogare, – spiegano i docenti – abbiamo assistito a scene di inaudita violenza.

Come educatori siamo allibiti: riteniamo che qualcuno debba rispondere dell’inaudita e ingiustificabile violenza”. Anche l’Università di Pisa ha espresso “profonda preoccupazione e sconcerto” per gli scontri e chiesto “chiarimenti sull’accaduto e sull’operato delle forze dell’ordine”, auspicando che “tutte le autorità competenti intervengano per garantire la corretta e pacifica dialettica democratica, tutelando la sicurezza della popolazione e della comunità studentesca”, dice il rettore Riccardo Zucchi La repressione da sempre è il miele degli incapaci e questo tempo ne è golosissimo.

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Batosta sul terzo mandato. Ora Salvini rischia la segreteria

La Lega si schianta in Commissione sul terzo mandato. Matteo Salvini ha deciso di ignorare il pallottoliere che indicava chiaramente che Fratelli d’Italia, Forza Italia e Udc avrebbero votato contro, appoggiati da un’opposizione che ha deciso di lasciare macerare la maggioranza nelle sue divisioni interne. Unico appoggio prevedibile è stato quello di Italia Viva. Il risultato finale è stato: 4 sì, 16 No, un astenuto (della Südtiroler Volkspartei) e l’esponente di Azione che non ha partecipato al voto.

Il vicepremier Matteo Salvini è andato a sbattere sul terzo mandato, una norma che invece in passato aveva osteggiato

La senatrice di Italia viva Dafne Musolino ha spiegato il voto a favore della proposta leghista come un’occasione “per far emergere la divisione all’interno della maggioranza, e denunciare lo scontro muscolare, politico, tra Meloni e Salvini” mentre la Lega per bocca del vicepresidente Paolo Tosato lascia intendere che “la partita non è chiusa”: “continuiamo a ritenere che la scelta o la bocciatura di un rappresentante del popolo – dice Tosaro- , ad ogni livello, debba passare dal voto dei cittadini e non da una decisione dei partiti. Uno, due, tre, quattro mandati.

Qual è il criterio oggettivo per stabilire quale sia la scelta giusta Nessuno. Noi ci fidiamo dell’unico giudizio che conta in democrazia: il voto popolare”. Le voci da Palazzo Chigi ieri confermano che la questione per la presidente del Consiglio non è nemmeno in discussione. La Lega si è schiantata e probabilmente si schianterà ancora, dicono. Ma Matteo Salvini insisterà, questo è sicuro, perché sul terzo mandato dei presidenti di Regione non c’è in ballo solo la credibilità di un leader di partito che sembra pesare ogni giorno un po’ meno.

Al di là del contentino del Ponte sullo Stretto – su cui anche nella maggioranza molti avanzano seri dubbi – Salvini ha ottenuto pochissimo e i sondaggi del suo partito prevedono a oggi un possibile tracollo per le prossime elezioni europee. Il malcontento interno per una linea politica sempre più a destra che nei fatti si sovrappone a quella di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia diventano sempre più insistenti e la richiesta di un congresso – soprattutto se le indicazioni delle elezioni europee saranno deludenti – diventa ogni giorno più pressante. Il Carroccio secondo l’ultimo sondaggio Agi/Youtrend perde tre decimali in due settimane e tocca l’8,3% con Forza Italia che lo tallona a poco più di mezzo punto.

Il leader della Lega ha bisogno del terzo mandato per tranquillizzare il presidente della Regione Veneto Luca Zaia che nel partito appare come il suo successore più credibile. Anche per questo lasciarlo a piedi (Zaia ha più volte detto di non essere interessato a una candidatura in Europa) potrebbe diventare un problema serissimo. Forse è anche per questo che sul terzo mandato del decreto Elezioni il leader della Lega e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture ha cambiamo velocemente idea. Il limite del terzo mandato “come limitazione della democrazia” smentisce le parole dello stesso Salvini di qualche anno fa. Il 18 settembre 2016, durante l’annuale raduno della Lega Nord a Pontida, in provincia di Bergamo, Salvini aveva difeso con forza la necessità di limitare a due mandati tutti gli incarichi politici degli esponenti del suo partito.

Se la Lega stecca alle Europee, parte la corsa alla successione. E la base gli contesta pure il Ponte di Messina

“Dobbiamo tutti noi essere consapevoli che siamo al servizio del movimento, non in eterno. Ho sentito ieri che i “Giovani Padani” hanno approvato una mozione che chiedeva di portare al congresso perché ci sia un limite, come c’è per i sindaci, per ogni carica elettiva di due mandati anche dentro alla Lega. Secondo me sarà cosa buona e giusta, perché dopo dieci anni penso che si possa lasciare spazio a qualcun altro che potrà prendere il nostro posto a Bruxelles, a Roma o in regione, come fanno i sindaci”, aveva dichiarato Salvini dal palco di Pontida, nel suo discorso finale della manifestazione.

Come ricorda Pagella politica il giorno prima dell’intervento di Salvini, a Pontida si era tenuto il congresso federale del “Movimento Giovani Padani”, la formazione giovanile della Lega Nord. Durante l’evento, l’esponente del movimento Giacomo Perocchio aveva proposto di presentare al congresso federale del partito una mozione per adottare un codice etico e introdurre il limite dei due mandati per tutti gli esponenti della Lega. Al termine del congresso del movimento giovanile della Lega era poi intervenuto Andrea Crippa, all’epoca coordinatore federale del “Movimento Giovani Padani” e oggi deputato e vicesegretario della Lega. “Accolgo con piacere e la faccio mia la mozione presentata prima, durante questo da congresso, dal fratello Giacomo Perocchio, cioè la mozione sul limite di mandato a dieci anni per tutte le cariche istituzionali della Lega”, diceva Crippa.

Alcuni osservatori sottolineano come la presidenza della regione Veneto sia un obbiettivo di Fratelli d’Italia alla luce dei risultati delle elezioni politiche del 2022, quando il partito della presidente del Consiglio Meloni raccolse più del doppio dei voti della Lega. Difendere Zaia per Salvini è una questione di credibilità politica a livello nazionale ed è un’urgenza per puntellare la propria segreteria. Passati i fasti della Lega al 30% oggi il partito rischia di scendere sotto un misero 8% e Zaia – ancor di più se rimarrà libero da impegni politici – potrebbe puntare a rovesciare la segreteria di Salvini.

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Altro che ministero della Natalità

All’ispettorato del lavoro, all’Asl e all’Inps di Nuoro stanno vagliando una vicenda spiacevole ma significativa. La racconta il giornalista Giorgio Sbordoni sul sito della Cgil Collettiva e racconta di una ragazza ventenne licenziata dopo essere rimasta incinta. Fin qui, purtroppo, nulla di nuovo rispetto a un Paese che spende grandi parole sulla denatalità ma poi fa scontare alle donne ogni gravidanza. 

In questo caso però alla malcapitata lavoratrice è successo che la sua datrice di lavoro (donna) le abbia consegnato un test di gravidanza a fine turno chiedendole di usarlo nei bagni della ditta, con la stessa maldicenza di un test antidoping dopo una gara olimpica. Ad aggiungere disagio sarebbero stati anche due colleghi maschi che hanno assistito all’illegale ordine impartito.

In quel caso il test fu negativo. Volere disporre dei corpi dei propri lavoratori e esercitare un controllo di quel tipo con quelle modalità è un episodio che sembra uscito da un capitolo di Margaret Atwood.

Quando in seguito la ventenne scopre di essere incinta è facilmente immaginabile come si concluda la storia: la ginecologa dispone l’astensione anticipata dal lavoro per gravidanza a rischio per un mese, dal 18 gennaio al 25 febbraio. Il 25 gennaio la giovane si rivolge al patronato Inca Cgil per inviare la comunicazione telematica dello stato di gravidanza all’Inps e alla datrice di lavoro. Il 16 febbraio la lavoratrice segnala al sindacato di non aver ricevuto la mensilità di gennaio. Sollecita il pagamento alla datrice di lavoro che, invece, le comunica, via whatsapp, di averla licenziata per giusta causa, inviandole la comunicazione Unilav.

Secondo gli ultimi dati del Censis l’Italia continua ad essere ultima in classifica per occupazione femminile in Europa: “Il tasso di occupazione dei maschi con figli è pari all’89,3%, quello dei maschi senza figli al 76,7%”, mentre “per le donne senza figli è pari al 66,3% e per quelle con figli al 58,6%. Il divario tra il tasso di occupazione delle donne con figli e quello degli uomini con figli in termini di punti percentuali è pari in Italia a -30,7”.

Chissà che ne pensano al ministero per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità.

Buon venerdì. 

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Un Piano Mattei sui diritti. Dall’Africa all’Occidente

In Zimbabwe siamo a un passo dalla cancellazione della pena di morte. Il disegno di legge per abolirla è stato promosso dal parlamentare Edwin Mushoriwa e la consultazione nelle dieci provincie del Paese ha dimostrato che “la maggior parte delle persone desidera la cancellazione della pena capitale”.

In Zimbabwe siamo a un passo dalla cancellazione della pena di morte. Il disegno di legge per abolirla è stato promosso dal parlamentare Edwin Mushoriwa

Le ultime esecuzioni nel paese africano risalgono al 2005 anche se i tribunali continuano a infliggere l’esecuzione e al momento ci sono 63 prigionieri nel cosiddetto braccio della morte. La Costituzione dello Zimbabwe protegge il diritto alla vita. Tuttavia, autorizza i tribunali in circostanze limitate a imporre la pena di morte per omicidio aggravato. La legge proposta proibirebbe a qualsiasi tribunale di imporre la pena di morte e di eseguire una condanna capitale precedentemente emessa.

Nel 2022, la Commissione africana per i diritti dell’uomo e dei popoli ha invitato tutti i paesi membri della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli a “prendere provvedimenti verso l’abolizione della pena di morte”. Ad oggi, circa 170 paesi hanno abolito o introdotto una moratoria sulla pena di morte sia per legge che per pratica. Nell’Africa meridionale, approvando il disegno di legge sull’abolizione della pena di morte, lo Zimbabwe si unirà ad Angola, Madagascar, Mauritius, Mozambico, Namibia, Seychelles, Sudafrica e Zambia.

Mentre in Italia aumenta il numero di persone che vorrebbe la pena di morte anche solo per il furto come dicono gli ultimi sondaggi e mentre gli Usa continuano con le loro esecuzioni viene da dire che se uscissimo dalla logica colonialista e assistenziale che vede l’Africa come retrograda in tema di diritti forse sarebbe il caso che un “piano Mattei” dei diritti venisse esportato al contrario, nell’Occidente che scodinzola una superiorità che evidentemente su molti temi non esiste.

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C’è un giudice in Puglia. La Ocean Viking torna a salvare vite

Il tribunale di Brindisi assesta un altro colpo all’illegittimità sistemica del cosiddetto decreto Piantedosi sostenendo che le Ong hanno “l’irreversibile diritto di esercitare la propria attività di soccorso in mare in cui di realizzano le loro finalità sociali” e cancellando il fermo amministrativo della Ocean Viking bloccata lo scorso 9 febbraio. Sono quindi illegittimi i fermi amministrativi con cui il decreto Piantedosi boicotta i salvataggi in mare. “Il perdurare della misura del fermo amministrativo”, si legge nel testo, “è suscettibile di pregiudicare in modo irreversibile il diritto da parte della Sos Méditerranée Ocean Viking di esercitare la propria attività di soccorso in mare, in cui si realizzano le sue finalità sociali, come evincibile dall’accordo di partenariato con la Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa”.

Il tribunale di Brindisi assesta un altro colpo all’illegittimità sistemica del decreto Piantedosi cancellando il fermo della Ocean Viking

Tra le finalità, scrive il tribunale, ci sono quelle di “prevenire la perdita di vite umane”, “migliorare la sicurezza in mare”, “rafforzare la cooperazione operativa”, “condividere e scambiare informazioni”. Per i magistrati “tali attività”, quelle della Ong, “implicano il perseguimento di obiettivi di indubbio valore”. L’Ocean Viking era stata fermata in porto con l’accusa di “non aver rispettato le indicazioni fornite dal Centro libico di coordinamento del soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si era svolto il soccorso”. Nel decreto si accusava la nave di non avere permesso l’intervento della cosiddetta Guardia costiera libica che stava intervenendo nei pressi di un gommone in difficoltà. Quel salvataggio, tra le altre cose, è di fatto un respingimento illegittimo che la Corte di Cassazione ha definito un crimine “dell’abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone”.

Per il Tribunale di Brindisi: il fermo ostacola i soccorsi

Dal punto di vista giuridico Ocean Viking era sottoposta a fermo amministrativo per non avere agevolato un atto delittuoso. Secondo Sos Mediterranée “il 6 febbraio abbiamo assistito a una serie di azioni pericolose della Guardia costiera libica finanziata dalla Ue. Abbiamo assistito a ben tre respingimenti di persone che cercavano di fuggire dalla Libia, abbiamo visto la guardia costiera libica eseguire manovre aggressive e pericolose sia vicino alle imbarcazioni in pericolo che vicino alla Ocean Viking. La guardia costiera libica – spiega l’Ong – prima ci ha dato istruzioni di soccorrere una barca in legno in condizioni precarie ma subito dopo ci ha ordinato di lasciare l’area nonostante ci fossero persone ancora in pericolo. Nonostante metta spesso in pericolo la vita delle persone, la Guardia costiera libica è ascoltata, sostenuta e informata dalle istituzioni europee. Le loro bugie ci sono costate il terzo fermo”.

Per la giudice “l’opposizione” di Sos Mediterranée “appare sostenuta da un fumus di fondatezza in ordine alla possibile carenza di competenza di accertamento e sanzionatoria in campo all’autorità amministrativa italiana”. Inoltre, si legge nel provvedimento “la ricostruzione dei fatti fornita da parte del ricorrente non risulta, allo stato, essere stata verificata dall’autorità italiana prima dell’emissione del provvedimento sanzionatorio”.

Il Giornale in un articolo in cui parla di “un altro caso Apostolico, collega del tribunale di Catania”

Prevedibile la reazione a destra di cui detta la linea il quotidiano Il Giornale in un articolo in cui parla di “un altro caso Apostolico, collega del tribunale di Catania, che non aveva avallato il trattenimento di migranti illegali tunisini”. Inevitabile per il quotidiano diretto da Sallusti l’ora del complotto: “Sarà un caso, – si legge – ma il giorno di San Valentino si erano mobilitati con un sit-in a favore della “liberazione” della Ocean Viking i soliti supporter dei talebani dell’accoglienza. Dall’Anpi di Brindisi e Puglia, alla Cgil oltre alla sezione locale di Emergency, la Comunità Africana della provincia e la Collettiva TransFemministaQueer Brindisi, che non si capisce bene cosa abbia a che fare con Ong e migranti. Puntuale, meno di una settimana dopo, arriva l’implacabile sentenza che punta da affondare il decreto Piantedosi”.

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Piantedosi gioca coi numeri. E rigira la frittata sugli sbarchi

Nei paesi asiatici gira questa storia che racconta di un ministro che allarga le strade da due a tre corsie. Poco dopo riduce la carreggiata di una corsia e si presenta ai suoi elettori dicendo che il suo mandato di governo si chiude con un saldo positivo: “Il passaggio da due a tre corsie – spiega – è un incremento del 50% mentre quello da tre a due è una riduzione del 33% per cui si può dire che il bilancio finale segna un più 17%”.

Il ministro dell’Interno Piantedosi gongola per gli sbarchi in calo. Ma fare peggio dei 153mila del 2023 non è facile

Ai cittadini spaesati non resta che stringersi. Ieri il ministro all’Interno Matteo Piantedosi ha utilizzato lo stesso trucco quando stentoreo alla Camera ha annunciato che “dall’inizio dell’anno al 19 febbraio scorso in Italia si registra una netta riduzione del numero dei migranti sbarcati, pari a circa il 65%, rispetto all’analogo periodo dello scorso anno e con un calo anche rispetto ai numeri registrati nel 2022”. Per il ministro questi numeri indurrebbero a “ritenere che siamo in presenza di un oggettivo segnale positivo, se si considera che quello in corso è il quinto mese consecutivo in cui si registra una sensibile riduzione degli sbarchi rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente”.

I numeri “positivi” a cui si riferisce Piantedosi si inseriscono dopo un 2023 in cui secondo i dati del Viminale sono arrivati in Italia 153 mila profughi e migranti di cui metà in autonomia e il resto soccorsi dalle motovedette italiane. Meno di seimila dalle temutissime navi umanitarie. La maggior parte degli approdi autonomi, detti anche “sbarchi fantasma”, si sono registrati a Lampedusa. Quasi duemila barche hanno attraversato il Mediterraneo centrale puntando sulla frontiera più a sud d’Europa, l’isola più vicina all’Africa che all’Italia. Quelle più piccole, la maggior parte, salpate dalle coste della Tunisia, di gran lunga meno numerosi i grossi e fatiscenti pescherecci partiti dalla Libia. 112mila arrivi sull’isola da inizio 2023, erano stati 40mila nel 2023. Non solo. Secondo il Progetto Missing Migrants (MMP) dell’OIM 28.320 uomini, donne e bambini sono morti o scomparsi nel Mar Mediterraneo dal 2014. Quasi il 90% (2.271) delle persone morte o scomparse nel 2023 – il numero più alto registrato dal 2017 – stava attraversando la rotta del Mediterraneo centrale.

“I ritardi nei soccorsi operati dagli Stati e il calo delle operazioni delle Ong lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono stati fattori importanti che hanno causato un numero più alto di vittime” fa notare l’Oim che ribadisce il proprio appello agli Stati a ridefinire le priorità e a rafforzare la cooperazione nelle operazioni coordinate di ricerca e soccorso (Sar) e chiede di astenersi dal criminalizzare, ostacolare o scoraggiare gli sforzi di coloro che forniscono assistenza salva vita, comprese le Ong impegnate in operazioni Sar. Insomma, fare meglio del peggiore anno possibile è tutt’altro che una vittoria. Anche perché il ministro non è minimamente sfiorato dall’idea che sia necessario rafforzare i salvataggi in mare.

Confermato l’obiettivo già fallito di fermare le partenze di migranti stipulando accordi con i dittatori del Nord Africa

Per Piantedosi “solo bloccando le partenze gestite dai trafficanti si evitano le tragedie dei naufragi”. È la stessa teoria che aveva accarezzato quando a poche ore dai 94 morti della strage di Steccato di Cutro disse che quei cadaveri erano “colpa di genitori irresponsabili”. Ma anche appoggiando la risibile idea che sia possibile fermare la gente che scappa dalla fame e dal piombo il piano non sembra funzionare benissimo. “Sul piano delle relazioni internazionali – dice il ministro – abbiamo intensificato, sia a livello bilaterale che multilaterale, le iniziative di collaborazione con i paesi di origine e di transito dei flussi migratori, in particolare con Libia e Tunisia, per il rafforzamento delle loro capacità operative di contrasto dell’immigrazione illegale, via terra e via mare. Accanto a tali iniziative di cooperazione tecnica di polizia – aggiunge – stiamo lavorando per potenziare i rimpatri volontari assistiti da Libia e Tunisia verso i Paesi di origine, con la collaborazione delle più importanti organizzazioni umanitarie”.

Peccato che i respingimenti in Libia siano stati bollati come criminali dalla Cassazione e un ex poliziotto tunisino sia tra i presunti trafficanti dell’operazione di ieri a Marsala. Il punto è che il famoso decreto Piantedosi, fermamente soprannominato “Cutro”, si sta smontando pezzo per pezzo. Prima la Cassazione, poi la giudice Apostolico e ieri il tribunale di Brindisi stanno urlando nelle orecchie di Piantedosi che il diritto nazionale e internazionale non può essere calpestato per esigenze di propaganda. C’è infine un altro non trascurabile particolare: a tallonare Piantedosi alla Camera ieri sono stati i suoi alleati della Lega. Chi ha orecchie per intendere intenda.

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Nordio e tortura: il risultato politico è già qui

30 marzo 2023. Rispondendo alla Camera il ministro Carlo Nordio assicurava che «il reato di tortura è un reato odioso e abbiamo tutte le intenzioni di mantenerlo». La curiosità era lecita poiché alla Camera c’è una proposta di legge di Fratelli d’Italia per stravolgere il reato di tortura e incidentalmente FdI è il primo partito jn Parlamento nonché il partito guidato dalla presidente del Consiglio. 

Aspettarsi uno sgambetto sul reato di tortura è corroborato anche dalle campagne elettorali di Salvini e Meloni, quando ancora si assomigliavano moltissimo prima di separarsi in recitazioni diverse. Salvini e Meloni l’abrogazione del reato di tortura l’hanno promesso a più riprese alle frange più estreme delle forze dell’ordine. Hanno incassato quei voti e devono restituire un segnale di gratitudine. 

Ieri in Aula è tornato il ministro Nordio e questa volta ci fa sapere che «il governo è al lavoro per modificare il reato di tortura adeguandolo ai requisiti previsti dalla convenzione di New York». Dice Nordio che si tratta di «un problema solo tecnico», niente di che. Come se non sapessimo che mettere mano a una legge faticosamente ottenuta nel 2017 sia già un messaggio, uno spiraglio di speranza ai torturatori. 

Come fa notare il presidente di Antigone Patrizio Gonnella «modificare l’articolo 613-bis che proibisce la tortura per adeguarla alle norme Onu è una truffa delle etichette» e significa aprire una sequela di richieste di sospensione di processi come quello per i pestaggi e le mattanze di Santa Maria Capua Vetere o di Reggio Emilia. Il risultato politico già c’è. 

Buon giovedì.      

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C’è un Salvini pure negli Usa. E si chiama Donald Trump

Ogni paese ha il suo Salvini e dalle parti degli Stati Uniti il loro Salvini risponde al nome di Donald Trump. Non è un caso infatti che il magnate americano sia uno degli idoli di riferimento del ministro leghista. Intervistato martedì dalla rete amica Fox News l’ex presidente americano – ora in corsa per le prossime elezioni – si è paragonato ad Alexi Navalny dichiarandosi “un perseguitato”. Trump ha definito Navalny “un uomo molto coraggioso” e ha paragonato la multa di 355 milioni di dollari inflittagli per un processo di frode a New York a un’oppressione “esattamente come” per il dissidente russo.

Multato per frode, l’ex presidente americano Donald Trump si paragona ad Alexi Navalny

“È una forma di comunismo, o di fascismo” ha detto Trump, aggiungendo che ciò che è accaduto a Navalny “sta accadendo anche” negli Usa. “Ci stiamo trasformando in un paese comunista in molti modi. Ho otto o nove cause giudiziarie tutte a causa del fatto che… sono in politica”. Anche nell’utilizzo del benaltrismo il magnate americano è molto simile al leader della Lega: parlare di se stesso per Trump è stata una facile via d’uscita per non nominare Putin. Così, nonostante le domande della conduttrice Laura Ingraham, Trump è riuscito a non pronunciare mai il nome del presidente russo, ritenuto dalla comunità internazionale il colpevole della morte di Navalny.

Mentre Salvini in Italia invocava chiarezza dai giudici di un Paese non libero Trump negli Usa paragonava la frode alla dissidenza: un asse politico perfetto di vigliaccheria politica. Nel frattempo ieri Matteo Salvini ha lanciato dal suo Ministero dei trasporti uno spot sulla sicurezza stradale dove gli attori in auto non indossano le cinture di sicurezza. Mi pare che sia la metafora perfetta.

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La droga della ‘Ndrangheta sdoganata a Gioia Tauro

La porta d’accesso della droga è sempre la stessa: il porto di Gioia Tauro. Ieri i Finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria – con il supporto operativo dello Scico e con la collaborazione di Europol e della Dcsa – hanno dato esecuzione ad un provvedimento che dispone la custodia cautelare in carcere nei confronti di due funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in servizio presso l’Ufficio delle Dogane di Gioia Tauro e gli arresti domiciliari nei confronti di una dipendente di una società di spedizione che sarebbero coinvolti in un traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Il destinatario è la ‘Ndrangheta, la più potente organizzazione criminale che gestisce e rifornisce le piazze di spaccio in tutta Europa, secondo i rapporti della Direzione investigativa antimafia.

La porta d’accesso della droga è sempre la stessa: il porto di Gioia Tauro. Nel 2022 sequestrati oltre 16mila chili di stupefacenti

I doganieri, in servizio in punti nevralgici del dispositivo di controllo, quali il controllo scanner e quello “visivo” mediante apertura dei container, avrebbero consentito l’uscita dal porto di ingentissimi quantitativi di cocaina mediante l’alterazione degli esiti delle ispezioni o l’omessa rilevazione di anomalie nei carichi controllati. Tra i documenti sequestrati anche delle accurate istruzioni per i narcos sudamericane per collocare i pacchetti all’interno dei carichi di copertura perché non venissero intercettati. Le indagini hanno consentito di ricostruire il coinvolgimento degli arrestati in 5 importazioni di stupefacente, realizzate tra giugno 2020 e ottobre 2022, per oltre 3 tonnellate di cocaina, delle quali 2,7 intercettate dai finanzieri e sottoposte a sequestro. Il porto di Gioia Tauro è la bocca da cui passa la la maggior parte della cocaina e marijuana. Dopo un paio di anni di delocalizzazione nei porti di Livorno, La Spezia, Genova e del litorale laziale la ‘Ndrangheta è tornata a utilizzare il porto calabrese come punto nevralgico dell’approdo di stupefacenti.

Contestato il traffico internazionale di stupefacenti. Trovate le istruzioni impartite ai narcos per il confezionamento

Nel dossier annuale della Dcsa (Direzione centrale servizi antidroga) del Viminale dell’anno scorso si attesta la ripresa del narcotraffico ai livelli pre pandemia, con particolare incremento della cocaina. Si legge nel rapporto: “Il volume totale dei sequestri di droga è passato dalle 92,79 tonnellate, rinvenute nel 2021, alle 75,01 tonnellate del 2022, con un decremento percentuale del 19,17%; si può osservare, però, nei risultati, suddivisi per tipo di sostanza, una sensibile crescita dei sequestri di cocaina. Il risultato complessivo, comunque, è il sesto più alto nella serie decennale; se si esclude il quinquennio 2014-2018 e lo scorso 2021, periodi segnati da particolari e contingenti elementi di caratterizzazione, non era mai stato raggiunto un livello di sequestri così consistente, negli ultimi 40 anni”.

Nel 2022 in Calabria sono stati sequestrati oltre 19mila chili di droga

Per la Dcsa in questo scenario “si rafforza il ruolo egemone della ‘ndrangheta calabrese, che continua a rappresentare l’organizzazione mafiosa italiana più insidiosa e pervasiva, caratterizzata da una pronunciata tendenza all’espansione sia su scala nazionale che internazionale”. La disponibilità di ingenti capitali illeciti e una spiccata capacità di gestione dei diversi segmenti del traffico le hanno permesso, nel tempo, di consolidare un ruolo rilevante nel narcotraffico internazionale. Nel 2022 in Calabria sono stati sequestrati 19,459,72 chili di droga di cui 16.110,38 solo a gioia Tauro, pari all’80,35% dei quantitativi rinvenuti presso la frontiera marittima. La cocaina arriva in Calabria soprattutto da Ecuador e Brasile. La lotta alla droga e alle mafie è un processo molto serio che non si ferma all’arresto degli spacciatori minorenni di Caivano. Quelle tasche vengono riempite partendo da qui.

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Ecco il risultato del decreto Caivano

Nelle carceri italiane c’è la fotografia esatta del risultato delle politiche di un governo che incapace di governare decide di comandare con un panpenalismo che dovrebbe essere la soluzione. 

All’inizio del 2024 sono circa 500 i detenuti nelle carceri minorili italiane. Sono oltre dieci anni che non si raggiungeva una simile cifra. Gli ingressi in Ipm sono in netto aumento. Se sono stati 835 nel 2021, ne abbiamo avuti 1.143 nel 2023, la cifra più alta almeno negli ultimi quindici anni. La crescita delle presenze negli ultimi 12 mesi è fatta quasi interamente di ragazze e ragazzi in misura cautelare. Frutto questo del decreto Caivano che ha esteso l’applicazione della custodia cautelare in carcere, stravolgendo l’impianto del codice di procedura penale minorile del 1988. Altra novità, in linea con quanto previsto dal Decreto, laddove prevede di disporre la custodia cautelare anche per i fatti di lieve entità legati alle sostanze stupefacenti è la notevole crescita degli ingressi in Ipm per reati legati alle droghe, con un aumento del 37,4% in un solo anno. Aumenti dei numeri, quindi, che non trovano riscontro nell’aumento dei reati, con il dato più recente che, tra alti e bassi, è in linea con quello registrato 10 anni fa.

Lo spiega bene Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: ”Il modello della giustizia minorile in Italia, fin dal 1988, data in cui entrò in vigore un procedimento penale specifico per i minorenni, è sempre stato un vanto per il Paese. Mettendo al centro il recupero dei ragazzi, in un’età cruciale per il loro sviluppo, nella quale educare è preferibile al punire, ha garantito tassi di detenzione sempre molto bassi, una preferenza per misure alternative alla detenzione in carcere, come ad esempio l’affidamento alle comunità e ottenuto un’adesione al percorso risocializzante ampio da parte dei giovani. Dal decreto Caivano in poi, invece, il rischio che questi 35 anni di lavoro vengano cancellati e i ragazzi persi per strada è una prospettiva drammatica e attuale”.

Buon mercoledì. 

Nella foto: Ipm di Catanzaro, frame del video “Perdere e prendere” feat Kento

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