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Sul caso Navalny Salvini è indifendibile

Dice il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo che “in Italia c’è un’ossessione nei confronti di Salvini per cui tutto quello che succede bisogna puntare l’indice e la colpa nei confronti di Salvini e della Lega”. Romeo, ospite della trasmissione Agorà su Rai3, stava rispondendo alle accuse di ambiguità contro la Lega per le sue posizioni passate e presenti su Putin e sulla Russia.

Salvini ha detto che sul caso Navalny “bisogna fare chiarezza” ma “la fanno i medici, i giudici, non la facciamo noi”

Romeo dice anche che “su Putin ha sbagliato tutto l’Occidente” e precisa che il suo partito ha preso le distanze dal presidente russo “il giorno stesso in cui ha invaso l’Ucraina”. Il vittimismo e il diritto al condono sono due costanti dei partiti del governo. Arrogarsi del diritto all’oblio in politica è una pretesa cretina e irricevibile. Il giudizio su un leader politico si basa inevitabilmente sul suo passato, sul presente e sulla sua idea di futuro. Solo così se ne può testare l’affidabilità e la coerenza.

A rovinare i piani del senatore Romeo comunque ci ha pensato Salvini in persona che ieri in un’interista a Rtl 102.5 ha detto: “Capisco la posizione della moglie di Navalny, bisogna fare chiarezza. È chiaro che c’è un morto e quindi bisogna fare assolutamente chiarezza. Ma la fanno i medici, i giudici, non la facciamo noi”.

Affidarsi alla giustizia di una tirannia e ai medici di un Paese in cui molti degli oppositori politici sono certificati accidentalmente morti significa dare credito a Putin e al suo governo. Si potrebbe dire che Salvini ancora oggi ritiene Putin credibile. Spiace per il suo capogruppo Romeo. Su Putin avranno sbagliato in molti ma a continuare a sbagliare su Putin ormai sembra essere rimasto solo il suo segretario di partito.

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Respingimenti illegali. L’ex capo di Frontex Leggeri candidato dalla Le Pen

Che l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera Frontex facesse tutt’altro che preoccuparsi del rispetto dei diritti umani era chiaro da tempo, ma la lista delle prossime candidature alle elezioni europee ce ne dà conferma: Fabrice Leggeri, ex capo dell’agenzia di frontiera dell’Ue Frontex, ha annunciato sabato di aver aderito al partito di estrema destra di Marine Le Pen per candidarsi alle prossime elezioni europee. Sarà il terzo in lista.

Fabrice Leggeri, ex capo di Frontex, ha annunciato di aver aderito al partito di estrema destra di Marine Le Pen per candidarsi alle europee

“Il nostro obiettivo è chiaro: riprendere il controllo dei confini dell’Unione europea e della Francia”, ha pubblicato sabato sul suo profilo X. Per Leggeri il partito di Le Pen “ha un piano concreto e la determinazione per renderlo realtà”, ha detto. Secondo i nuovi dati del sondaggio pubblicati la scorsa settimana, si prevede che l’estrema destra francese registrerà il suo risultato più alto di sempre nelle prossime elezioni del Parlamento europeo. Il National Rally, guidato dal membro del Parlamento europeo Jordan Bardella, potrebbe ottenere il 33 per cento dei voti, mentre il partito di estrema destra Reconquête sarebbe al 6%, secondo un sondaggio della società di consulenza Portland Communications condiviso con Politico.

Leggeri aveva presentato le sue dimissioni da Frontex a fine aprile del 2022. Già da anni l’agenzia europea era accusata di compiere personalmente e con l’aiuto delle polizie locali respingimenti di massa di richiedenti asilo, vietati dalle norme europee e dal diritto internazionale. Leggeri da capo dell’agenzia ha sempre negato con forza quelle accuse. Le sue dimissioni arrivarono nel giorno in cui il board di Frontex doveva discutere alcune azioni disciplinari per lo staff dell’agenzia in seguito a un rapporto compilato dall’Olaf, l’ufficio europeo per la lotta antifrode, che aveva individuato comportamenti irregolari di vari dirigenti di Frontex nella gestione dei flussi migratori verso l’Europa. Quel rapporto individuava “precise responsabilità dell’agenzia e di Leggeri per alcuni respingimenti avvenuti in Grecia”.

Tante le prove che accusano l’ex numero dell’Agenzia Ue. Ma per Marine fanno curriculum

Nell’inchiesta curata dallo Spiegel e da Le Monde uscita pochi giorni prima si leggeva che Frontex fosse direttamente coinvolta nel respingimento di circa un migliaio di richiedenti asilo nel tratto di mare fra Grecia e Turchia fra marzo 2020 e settembre 2021, anche se “il vero numero dei respingimenti compiuti con l’assistenza di Frontex è plausibilmente ancora più alto”. Frontex e Leggeri hanno sempre respinto qualsiasi accusa, anche quando sono stati messi di fronte all’evidenza e a prove schiaccianti della propria responsabilità. Alla fine del 2020 una lunga inchiesta del sito di giornalismo investigativo Bellingcat in collaborazione con altri giornali europei fra cui lo Spiegel documentò molto dettagliatamente che l’8 giugno una nave di Frontex aveva fisicamente impedito a un gommone pieno di richiedenti asilo di entrare nelle acque greche.

Più di un’inchiesta giornalistica chiama in causa la gestione dell’agenzia di frontiera da parte francese

Un rapporto compilato nell’estate del 2021 dal Parlamento Europeo sul lavoro di Frontex ha concluso che “nonostante diversi soggetti credibili abbiano sistematicamente raccontato di violazioni di diritti umani alle frontiere di diversi stati membri, Frontex ha generalmente ignorato queste segnalazioni”. Molti osservatori hanno attribuito l’approccio disumano allo stesso Leggeri, arrivato a capo di Frontex dopo una carriera nel ministero dell’Interno francese senza nessuna competenza nella gestione dei flussi migratori o competenze specifiche sul rispetto dei diritti umani.

Da qualche giorno grazie a un’inchiesta del collegio di giornalisti Lighthouse Reports sappiamo che l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera ha spinto i migranti tra le braccia delle motovedette libiche perché potessero essere più facilmente accalappiati e portati all’inferno. A partire dal gennaio 2021 Frontex ha inviato oltre 2.200 email con le posizioni di barche di rifugiati alla cosiddetta guardia costiera libica. Ora, alla luce della candidatura come uomo di punta nelle file del partito di Le Pen, possiamo senza dubbio scrivere che la parabola di Leggeri tenda verso la peggiore destra europea.

Leggi anche: Collaborazionisti dei libici. Le mail accusano Frontex

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Migranti consegnati alla Libia. Class action contro il governo

C’è da capirli. Dalle parti del governo l’ultima sentenza della Cassazione che sancisce il reato “dell’abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone” ogni volta che i migranti vengono affidati alla cosiddetta Guardia costiera libica disturba il sonno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del ministro all’Interno Matteo Piantedosi e del vice premier e ministro Matteo Salvini. Ci vuole un po’ di comprensione: tutti e tre hanno costruito la propria credibilità sullo stop all’immigrazione e non solo i numeri sono esponenzialmente aumentati dimostrando che i porti chiusi sono una panzana buona solo per concimare la propaganda, ma ora anche la Cassazione stabilisce che l’intero impianto su cui si basa la politica nel Mediterraneo del governo è carta straccia.

Per il ministro Piantedosi, l’Italia non consegna migranti alla Libia. In compenso finanzia gli aguzzini della Guardia costiera

La Libia non è un porto sicuro, dice la Cassazione. A ben vedere ce lo dicono anche le centinaia di migliaia di migranti illegalmente trattenuti nelle prigioni libiche (legali e illegali) quotidianamente sottoposti a violenze e torture. Che la Libia non fosse un porto sicuro lo spiega dettagliatamente la Convenzione europea per i diritti umani. Che la Libia non fosse un porto sicuro è scritto nero su bianco nel report dell’Onu in cui gli investigatori incaricati dal Consiglio di sicurezza a ottobre dell’ano scorso hanno spiegato che l’ufficiale della sedicente Guardia costiera libica Bija insieme ai cugini Kashlaf e Osama Al-Kuni viene indicato come il “peggiore dei carcerieri”. Che la Libia non sia un porto sicuro ce lo dicono i corpi che sbucano da vivi e da morti sulle nostre spiagge.

Scrivono i giornali vicini al governo che quella della Cassazione è una sentenza politica. Non hanno torto. La sentenza della Corte di Cassazione che ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale e li riportò in Libia consegnandoli alla Guardia costiera di Tripoli condanna chiunque faciliti i respingimenti illegali in Libia. Si tratta di più di 80mila persone riportati nell’inferno dei centri di detenzione dalla cosiddetta Guardia Costiera libica. Ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha spiegato che “la sentenza della Cassazione va letta bene, non con una lettura di tipo politico o ideologico”.

L’Italia è il principale finanziatore nonché addestratore dei criminali della Guardia costiera libica

“L’Italia non ha mai coordinato e mai consegnato in Libia migranti raccolti in operazioni di soccorso coordinate o direttamente effettuate dall’Italia”, ci ha tenuto a sottolineare il titolare del Viminale garantendo che il suo governo si è sempre attenuto alla legge. Ci spiace contraddirlo: l’Italia è il principale finanziatore nonché addestratore dei criminali della Guardia costiera libica. Perché siamo d’accordo che sono criminali coloro che perpetuano un reato, vero ministro? Ma la sentenza è politica, eccome. Come spiega Luca Casarini della ong Mediterranea Saving Humans “con la sentenza della Corte di Cassazione, che ha chiarito in maniera definitiva che la cosiddetta ‘guardia costiera libica’ non può ‘coordinare’ nessun soccorso, perché non è in grado di garantire il rispetto dei diritti umani dei naufraghi, diventa un reato grave anche ordinarci di farlo, come succede adesso”.

Casarini: “Ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, ma anche una grande class action contro il governo, il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia”

Per questo, dice Casarini, “ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, che blocca per questo le navi del soccorso civile, ma anche una grande class action contro il governo e il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia”. “Dovranno rispondere in tribunale delle loro azioni di finanziamento e complicità nelle catture e deportazioni che avvengono in mare ad opera di una “sedicente” guardia costiera – aggiunge Casarini -, che altro non è che una formazione militare che ha come compito quello di catturare e deportare, non di “mettere in salvo” le donne, gli uomini e i bambini che cercano aiuto. La Suprema Corte definisce giustamente una gravissima violazione della Convenzione di Ginevra, la deportazione in Libia di migranti e profughi che sono in mare per tentare di fuggire da quell’inferno”.

Casarini ricorda, inoltre, che la nave Mare Jonio di Mediterranea “di recente è stata colpita dal fermo amministrativo del governo per non aver chiesto alla Libia il porto sicuro. Proporremo a migliaia di cittadini italiani, ad associazioni e ong, di sottoscrivere la “class action”, e chiederemo ad un tribunale della Repubblica di portare in giudizio i responsabili politici di questi gravi crimini. Stiamo parlando di decine di migliaia di esseri umani catturati in mare e deportati in Libia, ogni anno, coordinati di fatto da Roma e dall’agenzia europea Frontex”. C’è da comprendere l’agitazione al Viminale e a Palazzo Chigi.

 

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La Verità… fa male. Specie se è al contrario

Caro Francesco Borgonovo, anche ieri dalle vostre parti nella redazione de La Verità siete riusciti nella mirabile impresa di sciacallare sulle vittime sepolte nel cantiere di Firenze spiegandoci come “le morti del lavoro siano colpa dell’immigrazione selvaggia” perché – dici – i subappalti con condizioni di lavoro mortali sarebbero impossibili senza “manodopera illegale e quindi sfruttabile”.

Anche ieri dalle parti della redazione de La Verità sono riusciti nella mirabile impresa di sciacallare sulle vittime sepolte nel cantiere di Firenze

È il solito trucco di dipingere gli oppressi come oppressori. Niente di nuovo, niente di fantasioso. Gli ultimi numeri a disposizione pubblicati dall’Istat nel 2021, che per fortuna non sono opinioni, dicono che in Italia il lavoro sommerso vale qualcosa come 174 miliardi. Per fare un paragone, il Pnrr italiano vale 191,5 miliardi, ripartiti in più anni. I soldi del lavoro irregolare sono 17,4 miliardi in più rispetto all’anno precedente (il 10% in più) e coinvolgono quasi tre milioni di lavoratori (2 milioni 990mila, per la precisione).

Il settore con più sommerso è quello di “altri servizi alle persone” che comprende un’ampia gamma di codici ateco (dalle scommesse all’intrattenimento, fino alle attivitа sportive), dove il sommerso costituisce il 34,6% del valore aggiunto del comparto. Poi c’è il commercio, trasporti, alloggio e ristorazione con il 20,9% e le costruzioni con il 18,2%. In agricoltura siamo al 15,7%.

Credo che nemmeno una penna spericolata come la tua possa credere che quei 3 milioni siano tutti stranieri colpevoli di trasformare gli irreprensibili imprenditori italiani in evasori. Mi spiace quindi farti notare che no, i morti sul lavoro non sono colpa dei morti ma dei vivi che li sfruttano, del caporalato dei viventi, dei subappalti a cascata autorizzati da italianissimi governanti e degli italici controlli che mancano. Cordialità. Ci risentiamo alla prossima tragedia trasformata in farsa.

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A Rafah si paga per scappare

A Rafah un milione e mezzo di persone cercano rifugio aspettando di morire nella prossima operazione di terra che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso per il 10 marzo nel caso in cui non venissero rilasciati gli ostaggi. Cinquecentomila disperati morituri sono bambini. 

Oltre il 70 per cento delle infrastrutture civili è gravemente danneggiato, molte zone di Gaza sono ridotte in macerie e inabitabili. La maggior parte degli ospedali non è operativa o lo è solo parzialmente, in condizioni di totale sovraffollamento. C’è penuria di cibo, acqua pulita, rifugi e prodotti sanitari. Le persone stanno vivendo nelle più inumane delle condizioni, molte di loro all’aperto. Come sottolinea Amnesty International è «inconcepibile» che Israele, dopo aver sfollato con la forza la maggior parte della popolazione di Gaza verso Rafah – dove la popolazione è ora sei volte superiore rispetto al passato – annunci ora l’intenzione di attaccare la zona.

Come si esce da Rafah per cercare riparo in Egitto? Solo pagando. In una sua inchiesta Organized Crime and Corruption Reporting Project racconta un innalzamento dei costi corruttivi da parte della rapace guardia egiziana al confine. Se hai 5mila dollari puoi schivare le bombe, altrimenti ti rimane solo il riparo delle macerie. La più importante società che gestisce i passaggi illegali è di proprietà dell’importante uomo d’affari egiziano Ibrahim Al-Organi, che dirige la tribù Tarabin nel deserto del Sinai al confine con Israele e ha altre partnership commerciali con lo stato egiziano. 

Maher Mahmoud, un palestinese di 23 anni che vive al Cairo e vende telefoni cellulari ha spiegato a OCCRP: «I broker con cui abbiamo parlato hanno chiesto 9.500 dollari per portare fuori mia moglie e 7.000 dollari ciascuno per le mie due nipoti, Farah e Riham, che hanno subito gravi ferite durante la guerra e sono legati alle sedie a rotelle», ha detto a OCCRP. L’Ue seduta a guardare. 

Buon martedì. 

L’immagine di apertura è di Action Aid ed è stata scattata a Gaza

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È Cassazione: la politica con la Libia è feccia

Dice la Corte di Cassazione che consegnare i migranti alle motovedette della cosiddetta Guardia costiera libica è un reato di “abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone”. La Corte ribadisce quello che chiunque mastichi un po’ di diritto internazionale (no, non è questione di buonismo) sa da tempo: la Libia non è un porto sicuro. 

La sentenza si riferisce alla condanna ora definitiva del comandante del rimorchiatore Asso 28 che a luglio del 2018 accalappiò 101 migranti su un gommone nei pressi di una piattaforma petrolifera e li consegnò ai criminali della cosiddetta Guardia costiera libica.

Quella sentenza sancisce de relato anche fondamentali giudizi politici: gli accordi con la Libia sono criminali, illegali, contro il diritto del nostro Paese. Accordi criminali firmati dall’ex ministro dem Marco Minniti il 2 febbraio 2017 sotto il governo Gentiloni e poi attraversati da compiacenti governi di tutte le parti politiche (primo governo Conte e poi governo Meloni) con particolare solluchero dei leader di destra. 

Quella sentenza dice che devono essere risarcite le Ong multate in questi anni per avere disobbedito agli ordini dei criminali libici. Quella sentenza dice che i governi ne devono rispondere. Quella sentenza soprattutto dice che la politica sul Mediterraneo dal 2017 non è solo mortifera: è spazzatura giuridica. Inutile dire che è spazzatura l’impianto su cui poggia anche il cosiddetto piano Mattei. 

È una notizia che dovrebbe stare sulle prime pagine dei giornali. Invece no. 

Buon lunedì.

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Slittano gli acquisti per la diagnostica. Dai tagli al Pnrr altra beffa alla Sanità

Con la rimodulazione del Pnrr, l’acquisto di oltre 3.100 apparecchiature moderne come Tac, risonanze magnetiche, radiografie che andranno a sostituire quelle datate attualmente utilizzate negli ospedali italiani, slitta da dicembre 2024 a giugno 2026.

Con la rimodulazione del Pnrr, l’acquisto di oltre 3.100 apparecchiature moderne come Tac, risonanze magnetiche, radiografie

Per il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, “il differimento della scadenza massima prudenziale del Target M6C2-6” che riguarda la sostituzione delle apparecchiature ospedaliere “è reso necessario per rispondere ad alcune esigenze sollevate dalle Regioni/Province autonome. Il cronoprogramma del sub-investimento in questione, infatti, era stato costruito, in fase di prima programmazione, sulla base delle sole tempistiche dettate dall’adesione a convenzioni Consip per l’affidamento delle apparecchiature, senza tener conto dei lavori, in taluni casi necessari, per l’installazione delle grandi apparecchiature oggetto dell’obiettivo europeo”, ha spiegato Gemmato in commissione Affari sociali alla Camera rispondendo all’interrogazione presentata da Simona Bonafè (Pd) sul tema.

Quasi l’intero fabbisogno (3.133 su 3162) per la sostituzione dei macchinari ospedalieri indicato dalle Regioni avrebbe dovuto essere sostituito per metà settembre 2023 e per il resto entro la fine di quest’anno. Non è un problema da poco. All’ultimo rapporto del ministero della Salute (nel lontano 2017) risulta che in Italia in media negli ospedali pubblici e privati convenzionati il 36% dei macchinari ha più di 5 anni e il 32% oltre 10. Le ragioni sono note: attrezzature obsolete espongono il paziente a più radiazioni e a diagnosi meno precise. L’obsolescenza incide anche sui tempi di indisponibilità delle apparecchiature per l’aumento dell’incidenza dei guasti e malfunzionamenti con tac, risonanze e mammografi: ambulatori che si fermano e costi di manutenzione che crescono.

I 3.100 macchinari previsti avrebbero dovuto rimpiazzare quelli ormai obsoleti ancora in uso

Il ministero della Salute aveva chiesto alle Regioni quanti e quali macchinari con oltre 5 anni d’età hanno bisogno di sostituire negli ospedali pubblici. La risposta sono complessivamente 3.162 fra tac, risonanze magnetiche, angiografi, macchinari per scintigrafie, radiografie, ecografie e mammografi. L’Associazione italiana degli ingegneri clinici interpellata da Milena Gabanelli per Dataroom ha spiegato che non esiste un riferimento univoco su quella che dovrebbe essere l’età di riferimento dei macchinari e che, per ciascuna tipologia, occorre fare valutazioni specifiche ma di certo la differenza di radiazioni fra una Tac con meno di 10 anni di vita e una di ultima generazione arriva fino all’80%, una risonanza magnetica all’avanguardia dà una migliore qualità di immagini in tempi inferiori e un maggiore comfort, un mammografo con meno di 5 anni permette di effettuare biopsie in 3D più precise perché l’immagine viene ottenuta con la tomosintesi e i nuovi acceleratori lineari per la radioterapia irradiano la parte malata con più precisione salvando i tessuti sani.

La rimodulazione del Piano presenta il conto. Per le nuove Tac e risonanze se ne riparla nel 2026

Tutto rimandato Rimangono alcune certezze: il mancato acquisto dei macchinari intaserà per altri due anni le liste d’attesa già ingolfate, aumenterà sensibilmente i costi per manutenzioni e riparazioni e soprattutto aumenterà il divario tra i servizi offerti dalle cliniche private rispetto a quelle pubbliche. Il sottosegretario Gemmato promette la possibilità di un ‘upgrade tecnologico’ elle apparecchiature acquistate, ad invarianza del finanziamento complessivo concesso. Dimentica un piccolo particolare: tra due anni saranno “vecchie” esattamente come quelle che però avremmo potuto avere subito.

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Matrimoni e diritti gay. L’Italia sempre più isolata

Perfino la Grecia di tradizione cristiano-ortodossa in 48 ore ha approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso e le adozioni. La nuova legge, sostenuta dal primo ministro di centrodestra Kyriakos Mitsotakis, è stata approvata a larga maggioranza con voti dei partiti di opposizione, mentre 51 deputati del partito di governo, Nuova democrazia, si sono opposti.

La destra in molti paesi democratici ha già considerato il matrimonio tra persone dello stesso sesso come cardine dell’uguaglianza necessaria alla democrazia

“La storica riforma che abbiamo approvato oggi renderà migliore la vita di alcuni nostri concittadini”, ha detto Mitsotakis in una dichiarazione riportata dal Guardian. Oltre al matrimonio egualitario, la legge permette alle coppie omosessuali di poter adottare dei figli, equiparando i loro diritti a quelli delle coppie eterosessuali. Gli ellenici vanno ad aggiungersi a Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia che hanno legalizzato il matrimonio tra coppie dello stesso sesso e, escluse Estonia e Slovenia, le adozioni per le famiglie.

L’Italia rimane sola con il Vaticano e San Marino nel ruolo di monumento all’arretratezza insieme a Croazia, Bulgaria, Ungheria, Cipro, Romania, Slovacchia, Repubblica ceca, Polonia, Lituania, Lettonia. Il governo greco, occorre sottolinearlo, è guidato dal partito conservatore Nuova Democrazia, una compagine di destra.

La stessa destra che in molti paesi democratici ha già considerato il matrimonio tra persone dello stesso sesso come cardine dell’uguaglianza necessaria alla democrazia. In Italia il ministro Piantedosi invece ha attivato le Procure perché togliessero diritti e doveri ai figli e ai genitori delle famiglie arcobaleno. Trovate le differenze.

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Biden piange il dissidente russo Navalny. Ma poi perseguita Assange

Quali siano le cause ufficiali del decesso del dissidente russo Alexei Navalny, il principale oppositore di Vladimir Putin, ci interessa poco. Nell’attuale Russia chiunque si opponga ai voleri del satrapo Putin cade accidentalmente da una finestra, muore in un magico incidente stradale o, come Navalny, averte un malore dopo una passeggiata ma nonostante “tutte le misure di rianimazione necessarie” queste “non hanno dato risultati positivi”.

La principale causa della morte di Navalny è Putin, una delle molte malattie difficili da eradicare in questo tempo

La principale causa della morte di Navalny è Vladimir Putin, una delle molte malattie difficili da eradicare in questo tempo in cui i tiranni usano il carcere come sacco dell’umido dei loro oppositori. Salvatosi dall’avvelenamento Navalny sottoposto al regime di isolamento e a punizioni per la sua condotta e per le sue manifestazioni di protesta. Il carcere in casi come questi è semplicemente il viatico legale alla morte. La cella diventa il luogo in cui il potere può esercitare la propria prepotenza per logoramento, dove può zittire le voci dissonanti e dove può esibire il pugno di ferro perché la lezione disinneschi i Navalny che potrebbero emergere. È comprensibile che il mondo occidentale, auto proclamatosi difensore del diritto, oggi si indigni per un uomo morto ben prima di ieri.

L’indignazione contro l’autoritarismo del Cremlino non si addice a chi vuole seppellire la libertà di stampa

Neutralizzato nella sua funzione politica e isolato dal resto del mondo Navalny era già un cadavere che semplicemente respirava. A ben vedere ce n’è un altro, quasi più scomodo. Fra tre giorni potrebbe essere estradato negli Stati Uniti Julian Assange, fondatore di Wikileaks. Da 5 anni Assange è detenuto nel carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh. Washington accusa il giornalista australiano di aver diffuso migliaia di dossier riservati, reato per cui rischia una reclusione fino a 175 anni. Grazie alla pubblicazione di quei documenti il mondo ha aperto gli occhi sull’orrore delle guerre in Iraq e Afghanistan.

Assange, 52 anni, affronterà la prossima settimana un’udienza dalla quale dipende la sua sorte: due giudici britannici sono chiamati a riesaminare, il 20 e 21 febbraio, la decisione del 6 giugno scorso con cui l’Alta Corte di giustizia di Londra ha affermato che non può ricorrere in appello all’estradizione decisa dal governo britannico nel giugno 2022. La direttrice di Wikileaks, Kristinn Hrafnsson, ha sottolineato che l’estradizione di Assange creerebbe un precedente dalle “implicazioni gravi e buie per la libertà di stampa attraverso il mondo”.

Il fondatore di Wikileaks Julian Assange affronterà la prossima settimana un’udienza dalla quale dipende la sua sorte

Assange era stato arrestato dalla polizia britannica nel 2019 dopo 7 anni di reclusione nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per evitare l’estradizione verso la Svezia nell’ambito di un’imputazione per violenza sessuale, successivamente archiviata. Il cittadino romano Assange – la cittadinanza onoraria è di due giorni fa – viene ritenuto pericoloso dal governo che ha smascherato nei suoi crimini di guerra. I valori di Assange sono gli stessi di chi combatte per la democrazia: Navalny ha denunciato al mondo il regime putiniano che con la violenza disarticola gli oppositori mentre Assange ha denunciato l’ipocrisia militare con cui gli Usa hanno hanno usato l’esportazione di democrazia come coperte di interessi molto più meschini.

Oggi non sentirete un’indignazione all’unisono. Per di più Assange ha la colpa di essere ancora vivo. I due consiglieri comunali a Roma di Italia viva due giorni fa dicevano che “quella di Assange è una vicenda ben diversa, dai contorni opachi” perché “le sue azioni hanno messo a repentaglio la sicurezza e la vita di molti”: sono le stesse parole con cui Putin puntava il dito contro Navalny.

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