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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Un regalo per Peppino Impastato

L’avevamo scritto: un Paese civile non può lasciare marcire i luoghi della memoria dei propri uomini lasciati soli già una volta; per questo abbiamo preparato una sottoscrizione per inviare una mail (tecnicamente: mailbombing) al sindaco di Cinisi ed esprimere il nostro sdegno. Cinisi non è lontana da nessun posto del mondo. E le idee di Peppino Impastato sono le idee di tante Cinisi nel mondo. Il nostro appello aveva raccolto quasi 4000 firme. E il risultato è raggiunto: oggi l’assessore regionale della Regione Sicilia Gaetano Armao ha dichiarato che “La Regione, nella ricorrenza del 34° anniversario della tragica morte di Peppino Impastato, ha gia’ avviato le procedure per l’espropriazione per pubblica utilita’, sulla base di un progetto di realizzazione di un sito della memoria, del casolare e del terreno circostante a Cinisi ove egli fu ucciso. Contiamo in tal modo di poter celermente avviare i lavori per trasformare questo luogo simbolo dell’efferata violenza mafiosa in un museo della memoria e della testimonianza della resistenza che ad essa ha condotto Impastato, intendendone cosi’ ricordare e commemorare l’impegno civile e giornalistico”.
Il casolare è salvo, la memoria almeno un poco più pulita.

Buon 2012, Peppino.

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Gli astenuti che vorrebbero la rivoluzione

Leggete l’analisi di Leonardo. Ne vale la pena:

Credo di poterlo anticipare, visto che in altre nazioni è già successo: quando l’Astensione sarà il primo partito in Italia, non succederà un bel niente. Ci sarà qualche editoriale in più sulla Disaffezione della Gente, qualche dibattito televisivo con ospiti molto accigliati… e dal giorno seguente chi ha vinto le elezioni governerà, chi le ha perse starà all’opposizione, come sempre. Come è successo in altri Paesi, di più antica tradizione democratica, che siamo abituati a ritenere più politicamente evoluti del nostro. Per dire, nel ’96 Clinton fu rieletto Presidente con un’affluenza alle urne del 49%, che non fece certo di lui un’anatra zoppa – perlomeno finché non scoppiò il caso Lewinsky. Per contro un’alta affluenza (come quella di cui noi italiani eravamo orgogliosi ai tempi della Prima Repubblica) in generale nel mondo non è ben vista, spesso è un indizio di scarsa democrazia: è ai tiranni che piace far sfilare compatto alle urne il 99% degli aventi diritto.

Forse dietro al movimento astensionista militante c’è un equivoco, nato con la deriva dei referendum abrogativi: quando, a partire dagli anni ’90, l’astensionismo è diventato così importante che accanto ai comitati per i Sì e per i No sono nati veri e propri comitati per l’Astensione (come quello dei vescovi al tempo del referendum per la fecondazione assistita), che per 15 anni hanno vinto a man bassa tutte le consultazioni referendarie. Ma astenersi dalle elezioni non ha lo stesso peso politico: chi non si reca alle urne, semplicemente, si chiama fuori. Governeranno gli altri, e lo faranno anche in nome suo. Meglio spargere l’idea, perché in giro c’è chi davvero non lo sa, chi è convinto che si possano invalidare anche le elezioni politiche.

L’astensionismo, in effetti, ha un che di diabolico. È riuscito a spacciarsi per rivoluzionario, quando alla fine è una resa bella e buona alla famigerata Casta, che con una riduzione dell’elettorato avrà anche meno spese da affrontare per campagne e voti di scambio. E mentre lorsignori si votano e si governano da soli, all’Astensionista resterà la gran consolazione di poter urlare “non nel mio nome”. Come se davvero gli importasse qualcosa, a chi ti frega il futuro, di come ti chiami.

Continua qui.

Spending review? I CIE (scusate se insisto)

Il presidente del Consiglio Monti invita i cittadini italiani a segnalare via web gli sprechi che potrebbero essere eliminati. Insieme al taglio della spesa per gli F35 e alla cancellazione della parata militare del 2 giugno, suggeriamo un altro capitolo di bilancio della spesa pubblica che potrebbe essere utilmente tagliato per finanziare invece le politiche di welfare e di inclusione sociale. Si tratta degli stanziamenti previsti per i Centri di identificazione ed espulsione (CIE).

Nel pieno di una crisi economica che non ha precedenti nel secondo dopoguerra, la legge di bilancio 2012 ha previsto un aumento delle risorse destinate alla attivazione, alla locazione e alla gestione dei centri di identificazione e espulsione per stranieri irregolari.

I 103 milioni di euro stanziati nelle previsioni assestate per il 2011 sono diventati più di 174 nel 2012 (cap.2351) e oltre 216 per il 2013 e per il 2014. Del resto il prolungamento del periodo massimo di trattenimento dei migranti in queste strutture da 6 a 18 (diciotto) mesi introdotto dalla legge 129/2011 ha aumentato ulteriormente i costi medi della detenzione.

Quello che solo in pochi ricordano è che i Cie (come prima i CPTA) non rispondono assolutamente alla funzione che è stata loro affidata dal legislatore. Meno della metà delle persone in essi trattenute viene effettivamente espulsa. L’inefficienza di queste strutture è dunque una motivazione che va ad aggiungersi a quella (ben più rilevante dal nostro punto di vista) della loro disumanità per sollecitare una loro chiusura.

Segnaliamo dunque al Governo che il sistema dei Cie rappresenta uno “degli sprechi da eliminare al più presto” e proponiamo di utilizzare le risorse per essi stanziate in modo migliore. Qualche suggerimento?

Ecco quelli di Lunaria e della campagna Sbilanciamoci!

Settimana in giro. Dove sono, cosa faccio.

Questa sera a Meda alle 21, all’oratorio Santo Crocifisso di Meda, in via General Cantore 2 (piazza del Lavoratore 1).Usa la testa, scegli la vita coinvolge 70 ragazzi come ideatori e realizzatori di un intervento di educazione tra pari per sensibilizzare sulle dipendenze.  I ragazzi realizzeranno a Meda delle campagne di guerrilla marketing. Ne hanno ideate 7 su diverse dipendenze.

Mercoledì 9 maggio, a Pavia, ore 21  Presentazione del libro di Giulio Cavalli “L’innocenza di Giulio”, Ed. Chiarelettere. Ne discute con me: Cristina Barbieri, Università di Trieste Modera: Claudio Bellinzona, Non Mi Fermo Collegio Ghislieri Aula Goldoniana Piazza Collegio Ghislieri, 4. Organizza Libertà e Giustizia.

Venerdì 11 maggio alle ore 14.30 presso il Politecnico di Milano, piazza Leonardo da Vinci 32, Aula Osvaldo de Donato: “Io non bacio le mani” con me Pino Masciari e Anna Canepa.

Sabato 12 maggio non potete mancare. Alle 14.30 Non mi fermo: Amo le differenze- inte(g)razione contro il razzismo. Intervengono:  GIULIO CAVALLI, EDDA PANDO, LUCIANO SCAGLIOTTI, PINO PETRUZZELLI, FILIPPO FOSSATI, MAURIZIO MARTINA, BRUNO GOISIS, MANILA FILELLA, HENRI OLAMA, ENRICO BALLARDINI, CLAUDIO BELLINZONA, ROMANA VITTORIA GRANDOSSI, UISP – UNIONE ITALIANA SPORT PER TUTTI, ENAR – EUROPEAN NETWORK AGAINST RACISM, UNIVERSITA’ MIGRANTES, IMMIGRATI AUTORGANIZZATI. Auditorium San Sisto via della Vittoria, 1 Bergamo.

Qualsiasi novità la trovate alla pagina degli appuntamenti.

Andreotti: le bugie non muoiono mai

Mi sono imbattuto per caso nella bella intervista di Paolo De Chiara a Mario BaroneMario Barone. Siciliano, collaboratore stretto di Andreotti, ex ufficiale di marina, ex amministratore delegato del Banco di Roma. Si conoscono dal dopoguerra, precisamente dal 1946. “Subito dopo la sua nomina – si legge nel saggio ‘Il Caffè di Sindona’ – Barone come responsabile del settore esteri del Banco appose la sua firma a un prestito di 100 milioni di dollari che l’Istituto erogò a Sindona attraverso la filiale di Nassau”. Con Barone, che ha confermato il prestito, abbiamo affrontato anche questi argomenti. “Sono il custode dell’archivio di Andreotti” ha tenuto a precisare, sottolineando che oggi ricopre anche il ruolo di presidente del Comitato Andreotti.

Nell’esercizio malato de L’Innocenza di Giulio si raggiungono vette vertiginose:

Andreotti per 10 anni è stato fuori dalla vita politica, assorbito completamente da processi che per fortuna si sono risolti in maniera positiva. Lui ha avuto il coraggio, a differenza di altri, di affrontarli a viso aperto. Lui fu tradito dal suo stesso partito al momento delle elezioni della Presidenza della Repubblica, quando venne fuori Scalfaro. Si eliminarono a vicenda lui e Forlani. Da allora è rimasto un pò fuori, meno interessato a quello che succedeva.

Andreotti con il suo partito non ha mai avuto un incarico. Era l’uomo più potente, ma non faceva parte del gruppo che comandava il partito. E il partito, quando Andreotti era il candidato naturale, gli mise tra i piedi Forlani, che si fece prendere da questa idea. Poi venne fuori il compromesso e presero Scalfaro. In Italia c’è l’abitudine che qualunque cosa succede è colpa della mafia. Io non lo so se la mafia era tanto potente. Io sono siciliano e faccio parte della Sicilia buona e non di quella cattiva. Credo che fu una lotta interna al partito. La politica, i giornali vivono di queste voci, io non lo credo. Certamente alcuni uomini del partito democristiano avevano legami con la mafia in Sicilia.

[Su Sindona] Una persona di grande genialità finanziaria. Poi, probabilmente, si fece prendere la mano dall’ambizione. Sindona era socio di Cuccia, aveva una società insieme a Cuccia. Era uno dei protetti di Cuccia, forse un giorno verrà fuori un pò di verità. Non posso parlarne né bene né male. Il suo fu un peccato d’orgoglio e si mise in un sentiero sbagliato.

A volte mi prende la paura che ce lo meritiamo, questo Paese.

Hollande e la strada da seguire per SEL

Il vento che parte da Milano, Cagliari, spira dalla Francia fino alle amministrative che saranno è un programma politico. E mentre continuiamo a non riuscire ad aprire un dibattito serio sui farfuglianti di chi vede antipolitica dappertutto la richiesta che arriva dall’Europa è chiara almeno in un punto: l’identità. Identità chiara, punti definiti e consapevolezza della propria posizione. Per questo oggi SEL ha un invito che non può non ascoltare: tenere la posizione, rivendicare le proprie diversità, non diluirsi negli alleati medioideologici o postideologici (brutti tempi, eh?).

Marco Damilano propone un’analisi interessante:

Seconda lezione: l’identità. Ancora ieri, in piazza della Bastiglia, Hollande ringraziava dichiaratamente la Gauche. E a sfogliare il suo programma c’è da restare allibiti: assunzioni nella pubblica amministrazione, aliquota del settantacinque per cento per i redditi sopra il milione di euro, abbassamento dell’età pensionabile, tassazione delle rendite finanziarie e soprattutto rimessa in discussione del fiscal compact. Insomma, il capovolgimento della vulgata corrente anche in Italia, per cui essere riformisti ha significato essere la sinistra della destra o, se vogliamo, un altro modo di essere di destra. Amore per la ricchezza, per i capitani coraggiosi, per i cuochi di grido, per le belle barche e per le belle scarpe. Hollande dice qualcosa di sinistra, qui da noi si fatica perfino a balbettare la parola patrimoniale. Il Pd ha votato appena una settimana fa per l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. E fa fatica a darsi un progetto di sinistra, tanto più che appoggia un governo la cui filosofia è esattamente all’opposto. Anni Novanta: tagli alla spesa pubblica, innalzamento dell’età pensionabile, liberalizzazioni, allentamento delle tutele nel mercato del lavoro… Tutte cose che avrebbe dovuto fare il centrodestra italiano, se fosse mai esistito. Invece nel Pd c’è chi pensa che debba farle la sinistra: i tardo-blairiani, molto agguerriti, che ancora qualche mese fa chiesero le dimissioni del responsabile economia Stefano Fassina. Da oggi la sfida è aperta: l’Europa non è un dogma, non ci sono soluzioni tecniche indiscutibili. Adieu alle politics, si torna alla politica.

La pazza gioia

In Francia come vedono la questione dei rimborsi elettorali (che doveva essere ridefinita in poche settimane, dicevano AlfanoBersaniCasini scrittituttiattaccati):

Mani Pulite è durata poco
Nel 1981 si verificano le prime modifiche in seguito allo scandalo Caltagirone (bustarelle di un grande costruttore): l’importo dei finanziamenti pubblici è raddoppiato e i partiti sono nuovamente autorizzati a ricevere sovvenzioni. Non vi è alcun obbligo di controllo sulla loro contabilità.

Nell’aprile 1993 inizia la battaglia. Su iniziativa dei radicali, guidati da Marco Pannella e Emma Bonino, con un referendum si mette fine al finanziamento dei partiti. Sull’onda di Mani Pulite il 90,3% degli italiani approva l’abrogazione. Eppure non ci vuole molto tempo –  otto mesi – prima che il Parlamento, nel mese di dicembre, corregga il tiro consentendo ai contribuenti di versare lo 0,4% del proprio reddito ad un partito politico con un discreto beneficio fiscale.
Il totale di queste donazioni ai partiti è inizialmente assestato a 56 milioni poi a 82 milioni.
Nel 1997, i legislatori obbligano i partiti a tenere un bilancio, ma la Corte dei Conti può solo verificare l’esattezza delle spese elettorali.

Due anni più tardi, la legge 157 crea cinque fondi, alimentati da denaro pubblico, per rimborsare le spese sostenute dai partiti per le elezioni politiche, europee, regionali e anche per i referendum.
Nel 2006, i legislatori vanno anche oltre: questi rimborsi, che si aggirano intorno a 193 milioni di euro e sono versati in rate annuali, sono dovuti ai partiti anche se le elezioni anticipate interrompono la legislatura. Questo caso si è verificato nel 2008. I partiti hanno continuato a raccogliere i soldi spettanti per la precedente legislatura e li hanno sommati a quelli ottenuti in seguito alle elezioni del 2008.

Anche i partiti minori che, pur non avendo superato la soglia del 4% per entrare in Parlamento, hanno raccolto l’1% dei voti, hanno diritto ad un “rimborso elettorale”.
In questo modo la formazione di estrema destra La Destra, con una percentuale di voti pari al 2% aveva il diritto nel 2008 a 6,2 milioni di euro, mentre la sua campagna elettorale era costata solo 2,5 milioni.
La Corte dei Conti non può che essere perplessa. Per i suoi giudici, è difficile parlare di “rimborsi”, quando le somme versate dallo Stato sono tre volte superiori rispetto agli importi effettivamente spesi dai partiti per la propria campagna elettorale. Alle legislative del 2008, che hanno visto il ritorno di Berlusconi al potere, i partiti hanno investito complessivamente 136 milioni di euro in spese elettorali, ma hanno incassato 503 milioni. “Ovvero un guadagno del 270%” osserva Sergio Rizzo.

Nessuno partito fa eccezione

Nel corso degli anni, questi rimborsi sono aumentati sempre più. A ciascun partito toccavano 0,35 euro per elettore e per anno nel 1973. Poi si è passati ad 1 euro nel 2001, 2,47 nel 2006 e 4 euro due anni dopo.
A questo dobbiamo aggiungere i contributi pubblici ai giornali di partito: 4 milioni di euro nel 2008 a La Padania, il giornale della Lega Nord. Quasi altrettanto per il quotidiano comunistaLiberazione. Più di 6,37 milioni per L’ Unità, legato al Partito Democratico, ecc…

“Come moltiplicare per 11 il proprio capitale in cinque anni senza correre alcun rischio? Chiedetelo alla Lega Nord ” aggiunge Sergio Rizzo. Nel 2008, il partito autonomista e xenofobo ha speso 3,746 milioni per le elezioni e ha incassato 41,384 milioni dallo Stato, con un incremento del… 218% all’anno. A quanto pare questo non gli è bastato, come provano i gravi scandali che hanno costretto il suo carismatico leader, Umberto Bossi, a dimettersi.
Nessun partito fa eccezione, nemmeno quelli che si proclamano i più virtuosi e si battono per la moralizzazione della vita pubblica. L’Italia dei Valori (IDV), dell’ex giudice Antonio di Pietro, ha incassato nell’ultima legislatura 21,6 milioni di euro (in cinque anni) rispetto ai 4,4 milioni effettivamente spesi. Il PDL di Silvio Berlusconi 206,5 milioni per 68,5 milioni di spese. Il Partito Democratico, unico partito a presentare bilanci “certificati”, 180,2 milioni per 18,4 milioni di spese elettorali.
Non c’è da stupirsi che alla soglia di una riforma di importanza cruciale per le finanze del Paese, le forze politiche sono riluttanti e si mostrano quanto meno prudenti.

L’articolo de Le Figaro qui.

A mezzanotte una scarpetta a forma di buona notizia. Sarda.

In Sardegna si è raggiunto il quorum per il referendum che chiede l’abrogazione delle quattro Province di recente istituzione (2001), Carbonia Iglesias, Medio Campidano, Olbia Tempio e Ogliastra, e di tagliare le indennità dei consiglieri regionali. Altri cinque quesiti sono invece consultivi: si sondano gli elettori per abolire le altre quattro Province storiche (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano), portare da 80 a 50 il numero dei componenti del Parlamento sardo, cancellare i consigli di amministrazione degli enti regionali, istituire un’Assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto autonomistico, eleggere direttamente il presidente della Regione attraverso le primarie. E il raggiungimento di un quorum è sempre una buona notizia per la politica. Sempre. E i temi sono quelli che sul piano nazionale si continua a bollare come antipolitica. Spesso.

Lo scollegamento, evidentemente, ha raggiunto il quorum.