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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Legge elettorale: la preservazione della specie

Riprendo due opinioni del dibattito in corso sull’intesa Alfano, Bersani, Casini per una riforma della legge elettorale. Il solito Matteo Pucciarelli su Micromega che scrive:

C’è un’intera classe dirigente che ha pensato e pensa di far politica grazie alle alchimie elettoralistiche, suprema sintesi del dalemismo più spinto, a sua volta originato dal migliorismo di maniera: quello dei tecnicismi, dell’ingegneria istituzionale, strategie e giuristi al lavoro ma non si capisce mai per fare cosa e in nome di quale idea di società.

Il sottoscritto, e con me quasi tre milioni di italiani (un milione e centomila di voti per la Sinistra Arcobaleno; ottocentottantamila voti alla Destra; trecentocinquantamila voti socialisti; quasi quattrocentomila tra Sinistra Critica e comunisti di Ferrando, e mi fermo qui), da circa quattro anni non è (e non siamo) rappresentati in Parlamento. E c’è il rischio di non esserlo anche da dopo il 2013. I nostri voti valgono meno? Le nostre teste non hanno diritto d’asilo? È questa una democrazia reale e compiuta?

Claudio Tito su Repubblica scrive:

La paura di perdere le prossime elezioni. Sembra questo l´architrave su cui poggia l’accordo trovato ieri dai tre partiti della maggioranza che sostiene il governo “tecnico”. Sull’idea che nessuna forza politica – a cominciare da Pdl, Pd e Udc – sia in grado di scommettere sul risultato delle prossime elezioni politiche. Tutti sperano di tenersi le mani libere e ognuno punta a limitare i danni. Lasciando aperta la porta ad ogni soluzione per il dopo-voto. L’intesa preparata da Alfano, Bersani e Casini è soprattutto il frutto di una convergenza di interessi.

E lo dimostra l’idea di tornare a un sistema sostanzialmente proporzionale, cancellando il vincolo di coalizione e assegnando un premio che non determina la maggioranza. Di fronte ad una instabilità, tipica degli ordinamenti e dei sistemi politici transitori, i tre principali partiti si adattano alla “corsa solitaria” e mirano a rimettere tutti ai nastri di partenza nella previsione che nessuno potrà vincere da solo. Proprio come accadde nel 1946 con la legge elettorale per l´Assemblea Costituente e nel 1948 per la prima tornata parlamentare dopo la caduta del fascismo e l´entrata in vigore della Costituzione.

Una convergenza di interessi che consente al Pdl di limitare la probabile – almeno al momento – sconfitta senza precludere la possibilità di ricomporre l´alleanza con la Lega dopo il voto. Nella consapevolezza, peraltro, di non avere un candidato premier sufficientemente forte e autorevole.

Al Pd di mettere definitivamente in soffitta la cosiddetta “foto di Vasto” e l’alleanza con Vendola e Di Pietro. Bersani spera così di contare sulla chance di presentarsi per la presidenza del consiglio senza dover trattare con nessuno la sua premiership e predisponendo un patto successivo con il Centro di Casini.

I centristi, invece, non saranno obbligati ad una scelta di campo preventiva, potranno confidare nel ruolo di ago della bilancia che i sondaggi gli assegnano sempre più e di coltivare il progetto di mantenere Mario Monti a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura (l’indicazione del premier non è prevista in Costituzione e quindi non sarà obbligatorio rispettare le designazioni dei partiti).

Giulio Andreotti l’aveva chiamata “strategia dei due forni” (potete cercarla qui) e quando mi è capitato di leggerne ne ero rimasto basito. Mi chiedevo come potessero essere stati così democraticamente assenti i nostri padri. Oggi quella disastrosa tesi torna e credo che con la riforma del lavoro sia il bivio che debba per forza dividere chi ci sta e chi no. Senza le solite noiose mediazioni per preservarsi e per non disturbare. Perché in una nuova Balena Bianca tinta di arancione passa la voglia di starci e di impegnarsi. Sul serio.

(il titolo è ispirato ad una citazione rubata a Barbara Collevecchio)

Decidiamolo: favoreggiamento culturale alla mafia

scritto per Il Fatto Quotidiano

«Gaetano Badalamenti, celeberrimo boss della mafia siciliana, si distinse per essere stato il capo di un giro di traffico di eroina internazionale multimiliardario che andava da Brooklyn alla Sicilia».E’ la scritta che si legge sulla targa «commemorativa» che il Mob Museum di Los Angeles, il primo museo tematico sulla criminalità organizzata, ha dedicato al capomafia originario di Cinisi. «Lo abbiamo collocato al terzo piano del museo», ha spiegato il portavoce della struttura, Mike Doria.

Ha ragione il magistrato Vincenzo Macrì, che la definisce «Una scelta squallida e oscena. Raccontino le vittime della mafia, non la storia dei boss. Cosi si applicano dinamiche revisionistiche – ha aggiunto – e si tenta di storicizzare un fenomeno tutt’altro che finito. Sul piano culturale è pericoloso perché si tenta di circoscrivere la mafia in modo che la gente possa dire “è roba da museo” ed è finalizzata a creare un alone leggendario attorno a squallidi criminali».

La notizia fa il paio con lo studente italiano che, in Erasmus a Madrid, scopre con ribrezzo che ilmarchio ‘mafia’ è florido anche all’estero. Scrivendo a Nando dalla Chiesa (che racconta la vicenda sul suo blog) scrive: “navigando nella rete mi sono imbattuto in un sito di una catena di ristoranti italiani in Spagna, dal nome ‘La Mafia’, sono rimasto scioccato da come viene utilizzata questa parola, diventata addirittura un marchio per contraddistinguere la cucina italiana e noi italiani”. Una disinvoltura che non tiene conto di centinaia di vittime, che continua a passare inosservata alle istituzioni e che sembra abbia concimato una malata abitudine alla notizia. Si chiede Nando dalla Chiesa: “davvero nessuno ha notato questo oltraggio permanente alla storia dell’Italia migliore? Nessun funzionario si è indignato per questo sconcio, ha pensato a qualche centinaio di vittime dello Stato che pure rappresenta, ha forcato e brigato con le autorità spagnole, ha posto un problema diplomatico? Quali licenze? Quali titolari veri e con quali investimenti? Se è avvenuto, noi non l’abbiamo mai saputo. Noi abbiamo solo saputo che la nostra immagine era rovinata all’estero dalla “Piovra” e da“Gomorra”. Meno male che c’è l’Erasmus. Meno male che ci sono gli studenti.”

Forse non siamo riusciti a raccontare con abbastanza forza come il potere della mafia stia fuori dalla mafia, come la collusione inconsapevole (che sia indifferenza o peggio sublimazione) sia la sponda più difficile da leggere ma comunque fondamentale e come il gioco degli eroismi (anche negativi) abbia forgiato questo continuo senso di delega sul tema che riduce lo scontro universale atlante piccole faccende personali.

Il giorno che finalmente riusciremo a scrivere e sancire il reato di favoreggiamento culturale alla mafia forse ci sentiremo tutti più civili.

Spese militari: il grande imbroglio del Governo

Ne scrive Flavio Lotti (Coordinatore Nazionale della Tavola della pace) sull’Unità. E credo non ci sarebbero parole migliori da scrivere.

Il grande imbroglio. L’Ammiraglio-Ministro tecnico della Difesa, Giampaolo Di Paola, ci sta lavorando incessantemente da parecchi mesi. E oggi, alla Camera dei Deputati, ha uno dei passaggi più delicati. Ad attenderlo ci sono ben otto mozioni sugli F-35 presentate da altrettanti gruppi e sottogruppi parlamentari. Ma andiamo con ordine. Il 14 febbraio l’Ammiraglio Di Paola ha annunciato un progetto di riorganizzazione dello strumento militare italiano che prevede tra l’altro la riduzione degli F-35 (da 131 a 90) e dei soldati (da 180 a 150.000). Dove sta l’imbroglio? Nel dire una cosa e nel farne un’altra. Altro che riduzione delle spese militari. Se venisse approvato il progetto del Ministro produrrebbe un vero e proprio aumento della spesa pubblica. Alla faccia di tutte le manovre rigoriste che stanno mettendo in ginocchio milioni di giovani e meno giovani, famiglie, associazioni, scuole, imprese, Enti Locali e Regioni. La prima parte dell’imbroglio sta nello scaricare una parte del personale e dei suoi costi sulle altre amministrazioni dello stato per poter spendere di più in armi. La seconda, e non meno grave, parte dell’imbroglio sta nel tentativo di modificare radicalmente il profilo delle nostre FFAA senza alcun mandato parlamentare. Il modello del Ministro non ha nulla a che vedere né con il dettato costituzionale né con le “missioni di pace” previste dalla Carta dell’Onu. E’ un modello fortemente aggressivo imperniato sulle portaerei, sui cacciabombardieri e sulla capacità di partecipazione alle guerre ad alta intensità come quella che qualcuno sta progettando in Iran. Ma tutto ciò non si può e non si deve dire. Per questo il Ministro ha messo il veto sul progetto di “Istituzione di una Commissione parlamentare per l’elaborazione di un Libro bianco sulla difesa e sicurezza nazionale” proposto dal Partito Democratico in entrambi i rami del Parlamento. Per questo il Ministro non vuole che si parli di “nuovo modello di difesa” ma solo di “riorganizzazione dello strumento militare”. Per questo il Ministro pretende che il parlamento si affretti ad approvare una “legge delega-in-bianco” che gli lasci il bilancio inalterato e la possibilità di fare quello che vuole. E’ troppo chiedere che qualcuno intervenga? E’ troppo invocare un po’ di ragionevolezza? Può essere che per qualcuno il Parlamento possa costituire un intralcio, ma i parlamentari che ne pensano? Tra le otto mozioni che oggi saranno votate dai nostri deputati ce n’è una dell’IdV che dice di no agli F-35 e a tutto il resto, come la pensano tanti italiani. Ma ce n’è anche un’altra firmata da 22 deputati di diversi partiti (tra cui Pezzotta, Sarubbi, Carra, Giulietti, Castagnetti, Lucà, Bobba) che chiede al governo di “rinviare qualunque decisione relativa all’assunzione di impegni per nuove acquisizioni nel settore dei sistemi d’arma, sino al termine del processo di ridefinizione degli assetti organici, operativi e organizzativi dello strumento militare italiano.” Come a dire: non toglieteci anche la dignità. Prima discutiamo compiti e obiettivi delle nostre forze armate e poi decidiamo gli acquisti di cui abbiamo bisogno. E’ troppo anche questo?

Nella mediocrità non si cresce

Non c’è crescita senza cultura. Una tale affermazione potrà sembrare apodittica o, peggio, intellettualmente disonesta poiché priva di fondamenti razionali. Personalmente ritengo sia questa invece una premessa essenziale a un progetto politico progressista le cui prospettive non siano esclusivamente riconducibili a paradigmi di circostanza, bensì si distinguano per una visione più ampia nel tempo e l’assunzione di responsabilità verso le generazioni future.

Se anche solo ci soffermassimo sul significato etimologico (dal verbo latino còlere, coltivare) o storico del termine, potremmo notare come il minimo comune denominatore di ogni definizione di cultura sia individuabile nel concetto di “conoscenze e cognizioni intellettuali” che costituiscono – attraverso l’educazione (studio, ambiente, esperienze, etc.) – lo spirito di un individuo, e dunque di una società.

Claudio su cultura e politica della cultura.

Hamza Kashgari: morire per un tweet

Lo scorso 4 marzo Hamza Kashgari, editorialista di ventitré anni del quotidiano Al-Bilad, posta una serie di tweets riguardanti immaginarie conversazioni con il profeta Maometto. Nel giorno del compleanno del fondatore dell’Islam, il poeta arabo saudita scrive: nessuna donna saudita andrà all’inferno, perché è impossibile andarci due voltenel tuo compleanno  dirò che ho amato il ribelle che era in te, che sei sempre stato una fonte di ispirazione per me, e che non amo l’alone di divinità che ti circonda. Non pregherò per te. Nel tuo compleanno, ti troverò dovunque mi girerò. Dirò che ho amato aspetti di te, ne ho odiati altri, e che non ne capisco molti altri. Nel tuo compleanno, non mi inchinerò a te. Non bacerò la tua mano. Piuttosto, la stringerò come fanno due uguali, e sorriderò come tu mi sorridi. Ti parlerò come amico, niente più.

Ora rischia la pena di morte. Qual è la posizione dell’intera comunità europea? Ne parla Odetta su Non Mi Fermo.

Il Casalese non ama i libri

Scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

Nicola Cosentino (anzi, i suoi famigliari per la precisione) ha intentato una causa penale e civile agli autori e all’editore del libro Il Casalese – Ascesa e tramonto di un leader politico di Terra di Lavoro. L’accusa è di aver leso l’immagine dell’azienda di famiglia. Si chiede il ritiro del volume dalle librerie e un milione e 200mila euro di risarcimento danni. Quel libro (che oggi ancora di più vale la pena di leggere e comprare) è l’unica biografia non autorizzata dell’ex sottosegretario salvato dal servilismo bipartisan di un parlamento garantista con i potenti e macellaio con i poveri. Quel libro è il simbolo oggi del giornalismo che decide di scrivere il fatto che sarebbe meglio oltrepassare, di fare quel nome che porta solo guai e di non essere compiacente. Mai.

Scrive uno degli autori, Ciro Pellegrino, sul suo blog:

Sostanzialmente Cosentino (il fratello) ritiene che il libro abbia un «intento denigratorio» tale da far affermare coscientemente il falso ai giornalisti che l’hanno scritto. Nella richiesta di distruzione e risarcimento si citano una serie di vicende raccontate ne “Il Casalese”: vicende rispetto alle quali gli autori dei capitoli in questione sono pronti a confrontarsi e lo faranno, pubblicamente.

Due spaventi, dicevo. Ma non ho spiegato perché sono ottimista sulla seconda vicenda: perché l’angoscia che lorsignori possono arrecarci con fiumi d’atti giudiziari e risarcimenti milionari  è in parte compensata dalle tante domande durante le presentazioni, dalle mail dei ragazzi, dall’interesse verso quella che –  dotti medici e sapienti se ne facciano una ragione – è semplicemente un’inchiesta giornalistica.  Spero che quest’interesse cresca.

Già: nessuno di noi ha la presunzione di poter parare tutti i colpi che arrivano (e arriveranno). Per questo motivo mi (ci) scuserete se oggi anziché raccontare la notizia, la notizia siamo noi, i giornalisti autori del Casalese. E ci scuserete se chiediamo attenzione sulla nostra vicenda. Consapevoli del giusto diritto di chiunque a veder rettificati errori lesivi della propria dignità e reputazione, al tempo stesso altrettanto coscienti dell’onesto e diligente lavoro di documentazione e scrittura intorno a questo libro, non certo operazione commerciale né politica, visto che a editarlo è una piccola casa editrice di Villaricca, popoloso comune alla periferia Nord di Napoli, a cavallo fra il capoluogo  e il Casertano.

Ci scuseranno anche gli amanti dell’anticamorra-spettacolo: non siamo abituati, abbiamo fatto solo i giornalisti. Ma in Italia da giornalista a imputato il passo è breve, troppo breve.

Fuori dal Parlamento però, le carte e le ragioni non sono secretati. Per questo gli autori e l’editore hanno deciso di organizzare due eventi per dire a gran voce le proprie ragioni e sostenere le proprie tesi.

– Martedì 27 marzo, alle 9.30, a Napoli presso la sede dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, in via Cappella Vecchia, 8. Oltre all’editore e agli autori, parteciperanno: Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania; Lucia Licciardi, consigliere dell’Associazione napoletana della stampa.

– Giovedì 29 marzo, ore 17, a Roma, presso la FNSI in Corso V. Emanuele II, 349 . Parteciperanno insieme agli autori il presidente della FNSI, Roberto Natale, e il presidente dell’Associazione napoletana della stampa, Enzo Colimoro.

Questa volta il dibattito è pubblico. E da pubblicizzare.

Quando un uomo non ha il coraggio di resistere alla corrente, di bandire apertamente la verità e di sostenere contro tutti, anche contro il proprio interesse, la giustizia, smetta la penna, perocché la audace e tempestosa milizia del giornalismo non è fatta per lui. Quando voi obbliate che lo scrittore, poeta o giornalista, esercita un sacerdozio, non un traffico, che a lui è principalmente affidato l’educazione e il miglioramento della società, che la civiltà d’un popolo sta in diretta ragione della moralità della sua stampa; quando obliate tutto ciò per l’aura d’un giorno, per la limosina d’uno scudo, allora lasciate anche che vi dica che non v’è opera nefanda che uguagli la vostra, e che io, Potere, vi rizzerei tutti quanti sopra una gogna, affinché le moltitudini conoscessero chi ha loro ritardato i giorni della rivendicazione della giustizia. (Giuseppe Guerzoni)

Il PD in Lombardia vuole la TAV

E, per carità, è una posizione legittima (anche se bisognerebbe avere poi la faccia di sostenerla anche in pubblico) ma che in sessione comunitaria del Consiglio Regionale si decida di presentare un emendamento (e uno solo) per la TAV rende bene l’idea del progetto che urge costruire prima di pensare alle facce o ai ticket per le prossime regionali. Perché mentre ci si preoccupa di chi divide la coalizione sui giornali succede che passino sottovoce emendamenti del genere. Vedere per credere.

#salvaiciclisti il nostro ordine del giorno per Regione Lombardia

Non ci fermiamo. E mentre la campagna #salvaiclisti continua noi siamo pronti per farla approdare in Regione Lmbardia. Ecco il nostro ordine del giorno:


Il Consiglio Regionale della Lombardia
A CONOSCENZA CHE:
lo scorso 2 febbraio 2012 il quotidiano londinese “The Times” ha lanciato una campagna denominata “Cities fit for cycling” anche a seguito di un grave incidente subito in novembre da una sua giornalista ora in coma, chiedendo al governo inglese una serie di azioni da porre immediatamente in campo per tentare di fermare una strage che ha fatto registrare, in 10 anni, ben 1.275 vittime;
A CONOSCENZA INOLTRE CHE:
successivamente l’appello che ha lanciato la campagna “Cities fit for cycling” è arrivato anche in Italia, e adattato alla situazione italiano e denominato come appello della campagna “#salvaiciclisti”, rilanciata da decine di blogger e di siti dedicati al mondo della mobilità ciclistica raggiungendo in pochi giorni decine di migliaia di adesioni, che di giorno in giorno stanno aumentando;
VISTO CHE:
in Italia l’appello, tradotto ed adattato, prevede 8 punti programmatici pensati in modo da fare diminuire il numero di incidenti che coinvolgono i ciclisti. Anche perché in Italia il dato inglese drammaticamente raddoppia. In 10 anni in Italia sono stati 2.556 i ciclisti vittime della strada. Nel 2010 il nostro è stato il terzo Paese europeo per numero di morti tra i ciclisti che percorrono le strade, 263 contro i 462 della Germania e i 280 della Polonia;
nel 2010, in base a dati ISTAT, in Lombardia si sono avuti 4138 incidenti stradali che hanno visto coinvolti i ciclisti;
l’indice di gravità degli incidenti rilevati tra veicoli per quanto riguarda le bici è tra i più alti, secondo solo a quello fatto segnare dai motocicli;
POSTO CHE:
in Lombardia la ciclabilità è stata riconosciuta non solo come parte integrante della moderna mobilità quotidiana ma come soluzione efficace e a impatto zero per gli spostamenti cittadini personali su mezzo privato attraverso l’approvazione della legge n.7/2009;
attualmente è stato presentato presso il Senato della Repubblica un disegno di legge sottoscritto da senatori di diverse forze politiche, di maggioranza ed opposizione che riprende i punti elencati nell’appello della campagna “#salvaiciclisti”.
Tale appello, rilanciato e sottoscritto tra gli altri dalla Gazzetta dello Sport ha come contenuto i seguenti otto punti:
1. Gli autoarticolati che entrano in un centro urbano devono, per legge, essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza che evitino ai ciclisti di finire sotto le ruote.
2. Gli incroci più pericolosi devono essere individuati, ripensati e dotati di semafori per i ciclisti e di specchi che permettano ai camionisti di vedere sul lato.
3. Indagine nazionale per determinare quanti vanno in bici e quanti vengono uccisi o feriti.
4. Il 2% del budget dell’ANAS dovrà essere destinato a piste ciclabili di nuova generazione.
5. Migliorare la formazione di ciclisti e autisti e la sicurezza dei ciclisti come parte fondamentale dei test di guida.
6. Limite di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili a 30 km/h.
7. Invitare i privati a sponsorizzare la creare piste ciclabili e superstrade ciclabili prendendo ad esempio lo schema di noleggio bici londinese sponsorizzato.
8. Ogni città nomini un commissario alla ciclabilità per promuovere le riforme.
IMPEGNA IL CONSIGLIO REGIONALE:
ad aderire ufficialmente alla campagna “#salvaiciclisti”;
IMPEGNA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA REGIONALE:
a mettere in essere tutte le iniziative necessarie per arrivare all’inserimento dei punti contenuti nell’appello all’interno della legislazione nazionale.

Gattopardo Fornero

Nella riforma del lavoro trionfa lo spirito del Gattopardo: cambiare tutto perché nulla cambi. Dopo tanto discutere al tavolo Governo-parti sociali, le nuove norme rendono ancora più incerto l’esito dei licenziamento dando un forte potere ai giudici, non si allarga la copertura degli ammortizzatori sociali e non si costruisce un nuovo canale d’ingresso che gradualmente stabilizzi i lavoratori precari. Mentre i dati disponibili ci dicono che il dualismo del mercato del lavoro continua ad aumentare e i licenziamenti non accennano a diminuire. Molti gli errori di comunicazione al pubblico sulla riforma. La nuova legge non estende alle imprese con meno di 15 dipendenti la tutela contro il licenziamento discriminatorio: questa c’era già. Svarioni anche sull’articolo 18 nella pubblica amministrazione quando ministri e sindacalisti affermano che in tale settore non è applicabile. Sbagliano, a meno che nelle nuove norme non sia esplicitamente prevista una deroga. Sin qui non c’era nei testi resi disponibili dal Governo. Chiediamo chiarimenti a Fornero e Patroni Griffi.
Ha rimosso lo spettro di una crisi bancaria di proporzioni enormi l’operazione Ltro (longer-term refinancing operation) con cui la Bce di Mario Draghi ha effettuato in due riprese un rifinanziamento eccezionale delle banche. Ma non è ragionevole attendersi che questo faccia ripartire l’economia reale. Né che sciolga i problemi irrisolti della Grecia.
Lo scrive Tito Boeri su LaVoce (mica qualche pericoloso comunista) e sembra che sia così difficile da fare capire. Eppure sul lavoro si romperà più di un equilibrio. C’è da starne certi.

Sit in al Pirellone: l’assemblea condominiale dei lombardi

Mentre dentro tutto tracima e si sbriciola fuori dal Pirellone il mondo sembra tranquillo. Anzi, tutti si sforzano di avere l’espressione rilassata come insegna Formigoni: ci dicono che non è successo poi nulla di così grave, che stiamo parlando di indagini e che bisogna essere garantisti e che è solo strumentalizzazione politica. Eppure il numero impressionante di indagati (oltre agli arresti, oltre ai rinviati a giudizio e a tutte le inopportunità di questi tempi) è riuscito ad accendere uno sdegno che non si potrà lasciare a lungo fuori dall’Aula. E non è questione di partito, il modello Formigoni ha dimostrato tutte le sue lacune morali, amministrative e lobbystiche. Formigoni cade proprio sull’affidabilità della propria cintura di sicurezza rimpolpata di continuo tra fedelissimi servitori che hanno tradito i cittadini oltre che il capo.

E allora ha ragione Pippo Civati quando dice che forse sarebbe ora di pubblicizzare questa Lombardia sempre più privatistica e privatizzata. Portare il Consiglio Regionale e i suoi membri (quelli che hanno il gusto e la dignità di metterci la faccia, almeno) sotto il Pirellone per “mettere in piazza” le idee, le crisi, il nuovo che sotto questa coltre noi ci ostiniamo a volere costruire. Una riunione condominiale (con e seggiole al seguito, mi raccomando) nel cortile del nostro condominio, con la franchezza e lo sdegno delle assemblee cruciali. L’avevo già scritto e oggi vale più che mai: il Consiglio Regionale della Lombardia ha poco meno di due anni ed è in pieno disfacimento morale, etico e rappresentativo. Dopo due anni si ritrova già una credibilità logorata e sconfitta. Formigoni dimostra di avere frequentazioni, amici, assessori, ex assessori e compagni di partito scelti con una chirurgica precisione negativa, il centrosinistra ha il portabandiera della scorsa battaglia elettorale (Filippo Penati) che ha dimostrato predisposizioni “sistemistiche” che non hanno certo avuto il sapore dell’alternativa e che sono finite nello stesso rivolo giudiziario e di inopportunità politiche.

Ci si vede sabato (gli aggiornamenti e le modalità le stiamo definendo in queste ore) per occuparsi di una Lombardia che dovrebbe occuparsi di noi e troppo spesso è stata più latitante di alcuni suoi membri dell’Ufficio di Presidenza. Ci sediamo per ripartire e perché non ci accontentiamo di scrivere la prossima mozione di sfiducia che si spegne in un Consiglio Regionale scollegato dalla Lombardia reale e troppo intento all’autodifesa. Ci ritroviamo perché l’opportunità è un valore da esercitare in piazza. Ci siamo mica per urlare contro Formigoni e la sua Giunta ma perché abbiamo qualcosa da dire ed è arrivato il tempo di prenderci la responsabilità di raccontarlo.

E poi in fondo ci troviamo perché in queste ore ci stanno dicendo che bisognava consultare prima le segreterie, le dirigenze; ci dicono che vorrebbe essere la presentazione di un nuovo ticket elettorale di questo o quel nome e invece a noi interessa un progetto. E quello, spiace per gli strateghi, noi ce l’abbiamo chiaro in testa.