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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Sostiene Landini (da sostenere)

Il lavoro, l’articolo 18, l’Unità “espulsa” dalle Magneti Marelli di Bologna e Bari, Marchionne, il futuro della Fiat e più in generale quello degli operai e dei precari. I temi su cui la Fiom da mesi è impegnata sono tanti. Perché i diritti del lavoro sono il nodo centrale di un Paese che impunemente sta diventando diseguale, perché non è possibile ripensare la politica senza passare dal cuore dei lavoratori e delle imprese. Per questo il 9 marzo si va in piazza a Roma. George Orwell scriveva come schiavi lavorarono gli animali per tutto quell’intero anno. Ma nel loro lavoro erano felici: non si lamentavano né di sforzi né di sacrifici, ben sapendo che quanto facevano era fatto a loro beneficio e a beneficio di quelli della loro specie che sarebbero venuti dopo di loro, e non per l’uomo infingardo e ladro. E sulla ricaduta reale dei benefici del lavoro la riflessione è urgente e non mediabile. Ed è anche per questo che l’intervento No Tav mi sembra perfettamente in linea con il resto, in un giorno di analisi dei reali benefici e delle loro ricadute.

Le priorità (armate) di spesa italiana

L’Italia vuole comprare un satellite spia da Israele, un gadget satellitare che costerà oltre 200 milioni di euro. E’ questo uno degli aspetti più inquietanti dell’accordo militare che sta venendo discusso tra i due Paesi. E che rischia di venire pagato molto caro dai contribuenti. Oltre al satellite spione, il ministero della Difesa dovrebbe acquistare anche due aerei radar israeliani ancora più costosi: 760 miliioni di euro. Israele è disposto ad acquistare 30 Alenia-Aermacchi 346 solo a patto che Roma investa la stessa cifra nelle industrie militari locali. Se l’Italia vuole piazzare gli addestratori a reazione costruiti nel Varesotto, allora deve mettere sul piatto un miliardo di euro. Alla faccia della crisi. Le trattative – descritte in un lungo report della rivista specializzata ‘Defensenews’ – prevedono che i nostri generali firmino il contratto per i due radar volanti, un progetto che da almeno cinque anni è in cima alla lista dei desideri dello Stato maggiore.  Si tratta di jet Gulfstream riempiti di sistemi elettronici avanzatissimi, in grado di controllare tutto: cielo, terra, mare, comunicazioni radio e telefoniche. Aerei che batteranno ogni record nelle spese militari: ognuno verrà 380 milioni di euro. Ma per pareggiare il conto con Israele, il governo Monti dovrà fare ancora di più: comprare un satellite spia Ofeq, da mandare in orbita nel 2014. Il mese di febbraio era il mese in cui tutti ci siamo messi in movimento per il disarmo ma ancora una volta i movimenti su questo capitolo sono sempre sotterranei. E viene difficile capire perché qualcosa debba rimanere poco trasparente mentre si parla di partecipazione e trasparenza come bene comune. L’articolo dell’Espresso grida vendetta. Democratica e disarmata, si intende.

Boni, leghisti, Lombardia e timidezze

È un avviso di garanzia, è vero: non un avviso di colpevolezza. Ma la garanzia della credibilità di Regione Lombardia è andata a farsi fottere da un bel pezzo, e Davide Boni, presidente del Consiglio Regionale in quota Lega indagato per corruzione, è solo l’ultimo pezzo. Ieri è stato reso pubblico il carteggio tra Formigoni e Don Verzè sui salvataggi “spericolati” del San Raffele, quattro membri su cinque dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale sono stati toccati da arresti e indagini (una percentuale da Bronx), il candidato del centrosinistra Filippo Penati (che, da sconfitto, avrebbe dovuto essere la bandiera dell’opposizione) è isolato e intento a difendersi (avendo promesso di rinunciare alla prescrizione, vedremo) e il numero di persone coinvolte in procedimenti diversi è in continuo e costante aumento.
Il problema non è giudiziario, il problema è di opportunità generale nel tenere in piedi una Regione che rappresenta il concentrato dei vizi peggiori dei cittadini che invece dovrebbe riflettere nelle eccellenze.
Oggi mentre come opposizione ci siamo riuniti per decidere il da farsi ho ascoltato parole incredibili: chi chiedeva a Boni da dimettersi dall’Ufficio di Presidenza (e non da consigliere, sia mai che si debba dimettere anche Penati), chi diceva che la legislatura deve continuare perché ha da ripianare ancora i debiti della campagna elettorale, chi ammoniva che abbandonare l’aula potesse essere un segnale di disagio nostro (!) e chi da buon pompiere ci invitava a comunicare una posizione unica anche se discordi (come nelle migliori famiglie).
Ora l’Aula continua a discutere del famelico Piano Casa voluto da Formigoni (tutto condoni, deregulation e cemento come unico ingrediente dello sviluppo) come se niente fosse. Quando ho proposto (e non ero solo, ma comunque in pochi) di dare segnali più forti mi è stato detto che esagerare nelle reazioni o nelle richieste era un atteggiamento disfattista.
È che su Regione Lombardia io (e credo non solo io) sono sinceramente e serenamente disfattista: il disfacimento di questi eletti è l’unico impegno etico che mi sento di sostenere.
Perché a continuare a nuotarci, nel guano, finisci che magari prima o poi ti abitui.

Un 8 marzo di cambiamento

Dedicare l’8 marzo Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo, come propone il Quotidiano la Calabria e riprende Vera Lamonica oggi su L’Unità, è un pensiero di lotta e di cambiamento. Perché la Storia ci ha insegnato che pretendere la normalità di una vita da madre e moglie diventa insostenibile in un sistema criminale che prevede l’assoggettamento e l’umiliazione delle donne come metodo di controllo delle relazioni. Dedicare una giornata nazionale a loro significa che il Paese chiarisce di essere intollerante al welfare mafioso. Non è una rivoluzione, ma ricordarlo non fa male. (E sui balconi ricordatevi lo striscione per Rossella Urru. Chiedetelo ai vostri sindaci)

Lucio Dalla e il funerale (con compagno)

Comunque – e tutto sommato è il classico lieto fine – il breve monito di monsignor Cavina a tutela dell’eucaristia e contro gli “stati di vita che contraddicono quel sacramento” (?!) è passato quasi inosservato e inascoltato. Come un dettaglio burocratico. Marco Alemanno ha incarnato in una chiesa, e in una cerimonia che più pubblica non si sarebbe potuto, tutta la dignità di un amore tra uomini. Semmai, c’è da domandarsi quanti omosessuali cattolici meno famosi, e meno protetti dal carisma dell’arte, abbiano potuto sentirsi allo stesso modo membri della loro comunità. L’augurio è che la breve orazione di Marco per Lucio costituisca un precedente. Per gli omosessuali non cattolici, il dettato clericale in materia non costituisce il benché minimo problema: francamente se ne infischiano. Ma per gli omosessuali cattolici lo costituisce, eccome. Ed è a loro, vedendo Marco Alemanno pregare per il suo uomo accanto all’altare, che corre il pensiero di tutte le persone di buona volontà. Michele Serra sul vedovo Marco Alemanno e qualcosa che pochi hanno detto.

La multiutility del Nord non convince

Nella nostra prima agorà di Milano di Non Mi Fermo Diego Parassole e Emilio Molinari ci hanno raccontato dei dubbi sulla ‘multiutility del nord’ che fonderebbe tutte le società per azioni private con la partecipazione dei comuni di Genova, Milano, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Mantova, Padova, Trieste, Brescia che si occupano di acqua, energia e rifiuti.

Una riflessione sulle parole di Molinari è dovuta. L’appello (che personalmente ho sottoscritto) è chiaro nelle richieste:

Facciamo parte dei 27 milioni di cittadine e cittadini che si sono espressi contro la privatizzazione dell’acqua e per la difesa dei beni comuni. Viviamo con forte preoccupazione i ripetuti tentativi di cancellazione del risultato referendario, che colpiscono al cuore la partecipazione democratica e la credibilità delle istituzioni. 

Con l’abrogazione dell’art. 23 bis, il referendum ha restituito alla sfera pubblica non solo l’acqua, ma anche gli altri servizi pubblici, compresi i rifiuti e il trasporto pubblico locale. Decenni di liberalizzazioni e privatizzazioni mostrano oggi il fallimento di questo disegno che ha visto il pubblico ritirarsi dai propri compiti e i Comuni trasformarsi da aranti dei servizi pubblici in azionisti. Ci lasciano aziende con miliardi di debito, aumento dei costi dei servizi per i cittadini, peggioramento delle condizione dei lavoratori del settore, azzeramento degli  investimenti in nuove reti, impianti e tecnologie, spreco di ingenti risorse naturali, finite e irriproducibili, e una drastica riduzione degli spazi di democrazia, di partecipazione e di trasparenza. 

La proposta di creare una grande multiutility del nord si inserisce in questo quadro desolante. Ripercorre la strada dei fallimenti testimoniati dai bilanci in debito di A2A, Iren, Hera, ecc.; ci ripropone l’idea di vendere servizi essenziali per coprire buchi di bilancio; punta a superare i debiti delle aziende attraverso economie di scala. E’ un’operazione lobbistica e verticistica di istituzioni, managers e correnti di partiti, estranea alle città interessate, che espropria i consigli comunali dei loro poteri e allontana le decisioni dal controllo democratico. Oggi serve una gestione dell’acqua, dei rifiuti, del TPL, dell’energia, prossima ai cittadini e alle amministrazioni locali, per garantirne la trasparenza e la partecipazione nella gestione dei servizi.

Oggi più che mai una scelta del genere non deve essere perseguita. Al contrario è necessario aprire un ampio dibattito pubblico che coinvolga le amministrazioni locali, le assemblee elettive, coloro che hanno promosso e vinto i referendum, le associazioni, i comitati, tutti coloro che vogliono preservare l’universalità dei diritti fondamentali, come l’acqua, e tutelare i diritti dei lavoratori. Riteniamo indispensabili modalità nuove ed etiche per garantire ai Comuni investimenti pubblici necessari a realizzare politiche ambientali di risparmio idrico ed energetico e di riduzione, recupero e riuso dei rifiuti – obiettivi previsti dalla Direttiva Europea sulla promozione delle fonti rinnovabili. Non accettiamo di farci espropriare delle condizioni minime per esercitare i diritti di cittadinanza, di riproducibilità della nostra vita associata, in armonia con l’ambiente.

Per queste ragioni, pensiamo sia interesse di tutta la società civile fermare questo progetto che si presenta come un ulteriore attacco alla democrazia e ai beni comuni. Chiediamo a tutte le forze politiche, sociali e sindacali, in particolare quelle che hanno sostenuto i referendum, di prendere una posizione chiara opponendosi con decisione a questo progetto e portandolo alla discussione e al pubblico dibattito. Ci impegniamo a favorire tutti i possibili momenti informativi, di dibattito e di sensibilizzazione.

Caro Don Verzè ti scrivo

Le lettere tra Formigoni e Don Verzè sono piene di informazioni utili a capire una rete di relazioni. “Caro Roberto – scrive Don Luigi – come ti affermai anche quest’anno chiudiamo con un passivo di 35 miliardi (di lire) non costringermi a provvedimenti traumatici le cui conseguenze lascio alla tua immaginazione”. La risposta di Formigoni non si fa attendere: “Carissimo don Luigi, ritengo il tuo giudizio… un po’ ingeneroso…”. Segue l’elenco dei favori fatti dalla Regione all’ospedale milanese: accreditamente non regolare di posti letto con il servizio sanitario, rimborsi discutibili, norme e regoamenti convezionati “artorialmente” per fare guadagnare di più il San Raffaele. Ma torniamo al virgolettato, che si riferisce al lotto IV del San Raffaele dedicato alle malattie cardiache: “L’Istituto, pur non autorizzato, ha esercitato attività sanitaria in regime di accreditamente e di solvenza(…) Abitualmente in questi casi, prima si dispone l’interruzione delle attività e poi eventualmente si attiva l’iter per il rilascio dell’autorizzazione”. E ancora: “Nella fase di accreditamento di Ville Turro si è consentita la trasformazione di posti letto di psichiatria in riabilitazione.. per ottimizzare la fatturazione delle prestazioni rese… La tariffa è più remunerativa”. Ultima frase di Formigoni: “E’ stato un susseguirsi di tentativi di trovare soluzioni a problemi, ovviamente nel rispetto delle leggi”. Ovviamente. In commissione d’inchiesta ci sarà da divertirsi.

Un appello di TILT per il voto ai precari

A proposito di riforma del mercato del lavoro la retorica ufficiale, complici i media mainstream, vuole spesso inquadrare alcuni rapporti di forza all’interno di una cornice precisa: quella della contrapposizione fra i lavoratori anziani, i cosiddetti garantiti, e i giovani precari che li individuano come usurpatori di un diritto in quantità limitata, di cui nel corso degli anni è stato abusato e quando siamo arrivati noi era finito. Non è così.

Oltre la lettera dei giovani bocconiani al Corsera c’è  il mondo vero, quello che loro non hanno mai incontrato. In quel mondo i figli del ceto medio, che arrancano ogni giorno per trovare il loro posto in questo paese, non pensano affatto che i loro diritti debbano essere riconosciuti a discapito di quelli dei loro padri. Il welfare, che ha contraddistinto positivamente lo sviluppo della democrazia in Europa, non è in misura limitata ma si caratterizza invece per modalità espansive, inclusive, moltiplicative. Chi reclama oggi diritti non lo fa a discapito di qualcun altro. Lo fa, anzi, cercando alleanze. L’appello qui.

Vizi (e detenuti) privati

Ultimamente avevano privatizzato i reati. Il berlusconismo ci aveva fatto credere che in fondo fosse solo legittima difesa. Ora Monti ha liberalizzato anche le carceri: le imprese le costruiranno e le gestiranno con lo Stato. In teoria potrebbe essere un’idea contro il sovraffollamento. In realtà rischia perfino di peggiorare la vita dei detenuti. I nostri penitenziari ospitano, secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, oltre 68mila persone: 40mila in più della capienza regolamentare. Il personale é sottodimensionato e non riesce a garantire la decenza del servizio. A pochi chilometri da Mantova un edificio penitenziario quasi ultimato è stato abbandonato e colonizzato da animali e vagabondi. Se il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni  ( come scriveva Fëdor Dostoevskij) forse sarebbe il caso di farsi carico (in pubblico più che in privato) della vergogna.