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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Sui forconi siciliani

L’amico Pietro propone una lettura non convenzionaleRivolta di popolo? In parte certamente si, vista l’evidente saldatura scattata in Sicilia fra ogni emergenza e categoria sociale e i due filoni portanti della “rivoluzione dei forconi”, coltivatori e camionisti. Contro il potere della Regione Sicilia (che ricordo essere una delle autonomie più forti del Belpaese)? Neanche per sogno. Contro i partiti che hanno sostenuto la disastrosa gestione del governo di Berlusconi? Ma non scherziamo. Tutti, e ripetiamo tutti, contro il governo Monti e le sue liberalizzazioni. E basta.

La bulimia verbale della Lega

E’ la prima cosa che mi è venuta in mente quando Anna Cirillo di Repubblica mi ha chiesto un commento per il suo pezzo sulla manifestazione della Lega di ieri a Milano. Perché ci farebbe un gran piacere vedere le manine alzate dei leghisti che buttino giù l’impero Formigoni e saremmo pronti a riconoscerne la coerenza. Ma parlare dei buoni propositi (sempre traditi) di leghisti sparsi sta diventando noioso e imbarazzante. Uno stomaco che riesce a digerire Cosentino (all’opposizione) non ha problemi nel digerire un Ponzoni mentre condivide le poltrone. Al massimo ci si mette a gestire la gastrite con una pillola e quattro urla in piazza il giorno successivo.

Mal’aria di città 2012

La cronica malattia di cui soffrono le città italiane, ovvero la pessima qualità dell’aria, non accenna a placarsi. Se da una parte aumentano le città che rispettano i limiti per l’ozono, peggiorano quelle che sono oltre i valori di legge per il biossido di azoto e i superamenti del PM10.
Nel 2011, secondo la classifica di Legambiente “PM10 ti tengo d’occhio”, sono state 55 (sulle 82 monitorate) le città che hanno esaurito i 35 superamenti all’anno del limite di legge giornaliero per la protezione umana del PM10. Torino, Milano e Verona sono le prime tre città in classifica, rispettivamente con 158, 131 e 130 superamenti registrati nella centralina peggiore della città. Il numero dei capoluoghi fuorilegge è aumentato rispetto allo scorso anno (erano 47 su 86), ma quello che più preoccupa è l’entità del fenomeno e il numero impressionante di superamenti annuali del limite giornaliero di protezione della salute umana per molte di queste 55 città. Se per ipotesi le città potessero accumulare dei “debiti di emissione”, ovvero utilizzare in anticipo i 35 superamenti concessi ogni anno, Torino non potrebbe più andare oltre i 50 μg/m3 per almeno tre anni e mezzo, Milano e Verona per 2 anni e otto mesi, Alessandria e Monza per 2 anni e mezzo, altre 6 città per oltre due anni. Per non parlare poi delle preoccupanti variazioni da un anno all’altro. In alcune città lo smog ha tolto ai cittadini fino a due mesi di aria respirabile rispetto al 2010, come è successo a Cremona e Verona, casualmente due città dell’area della Pianura Padana, che si conferma ancora una volta l’area più critica, un’area dove solo sei città si salvano dalle polveri fini.

E se diminuiscono le città che hanno superato più di 25 volte il valore giornaliero dell’ozono, ci sono 18 città in cui i superamenti sono stati più del doppio di quelli concessi, e, tra questi, a Lecco, Mantova e Novara addirittura più di tre volte. È in leggera crescita anche il numero di città che non rispettano i limiti del biossido di azoto.

Sarà stata forse colpa del clima meno piovoso rispetto all’anno precedente, ma sicuramente la mancanza di misure strutturali per combattere l’inquinamento e l’assenza del tanto sospirato Piano nazionale di risanamento dell’aria, ovvero la mancanza di una reale terapia di cura, non hanno contribuito a guarire la situazione. Non è servito nemmeno il processo di revisione della rete di monitoraggio previsto dal Decreto 155/2010 (rispetto al quale molte regioni si trovano decisamente indietro), che prevede di considerare solo centraline di fondo e porterebbe in molti casi a ridurre il numero delle centraline, a ridimensionare i numeri dell’inquinamento registrati.

Non possiamo però dare solo la colpa all’assenza di pioggia o al numero ridotto di centraline. Le cause dell’inquinamento atmosferico sono chiare e conosciute da tempo. Sono i processi industriali e di produzione di energia, e in città prevalentemente il traffico veicolare e i riscaldamenti, le principali fonti di emissione di polveri fini, ossidi di azoto, dei precursori dell’ozono e degli altri inquinanti come gli idrocarburi policiclici aromatici o il monossido di carbonio. Ed è su questi settori che bisogna intervenire. Analizzando il dettaglio cittadino delle fonti di emissione, si vede come il contributo del traffico veicolare sia rilevante per le polveri fini (come a Roma, Milano, Palermo e Aosta) e decisamente più netto per gli ossidi di azoto. Un’altra fonte sempre più influente in città è quella dei riscaldamenti, che in alcuni casi supera anche il contributo delle automobili, come ad esempio a Bolzano, Trento, Cagliari. E scendendo nel dettaglio delle emissioni che provengono dalle diverse categorie di veicoli, sono sempre le automobili le peggiori “inquinatrici”, e sebbene sul mercato compaiano modelli di auto sempre più efficienti e alcuni progressi siano stati fatti sulla riduzione degli inquinanti che escono dai tubi di scappamento, non vanno sottovalutate quelle 9mila tonnellate di polveri a livello nazionale che derivano dall’usura degli pneumatici, dei freni e del manto stradale, che in buona parte finiscono nei nostri polmoni.

Se poi consideriamo che le automobili e in generale il trasporto su gomma (che comprende anche veicoli commerciali leggeri e pesanti, autobus, motocicli) sono responsabili del 26% delle emissioni di CO2 in atmosfera in Italia, capiamo quanto sia sempre più importante scegliere modelli il più possibile “eco” (ovvero meno inquinanti) o, ancora meglio, ridurre il numero di veicoli in circolazione.

Per limitare le auto in città servono serie politiche di mobilità sostenibile e di potenziamento del trasporto pubblico locale, ma si deve pensare più seriamente anche al modo di ridurre il flusso del traffico pendolare in entrata. Sono circa 11milioni le persone che ogni giorno si spostano per recarsi al lavoro o ai luoghi di studio, e di questi solo 2,8milioni sceglie il treno. Le pessime condizioni del servizio ferroviario e dei treni sono continuamente peggiorate dai continui tagli delle risorse e dei collegamenti, a cui si aggiungono le difficoltà di muoversi in città una volta usciti dalla stazione, rendono il treno decisamente poco appetibile come mezzo di trasporto. Eppure aumentare di 1000 unità i treni in circolazione, o investire a lungo termine per portare i passeggeri ad almeno 4milioni, porterebbe benefici non solo alla qualità della vita, ridurrebbe anche le congestioni da traffico, e comporterebbe un certo risparmio di emissioni in atmosfera, stimate da Legambiente in una riduzione dal 3,3% al 5,5% di PM10.

Meno auto in città significherebbe anche meno inquinamento acustico. In Europa più di 200milioni di persone sono esposte a livelli gravi o inaccettabili di rumore. Difficile essere più precisi, visto che le attività di valutazione della popolazione esposta sono state fatte in modo praticamente occasionale e non si investe in campagne di monitoraggio continuo, se non relative a problemi localizzati e stagionali, spesso solo in seguito agli esposti dei cittadini esasperati. In Italia infatti le informazioni sull’inquinamento acustico continuano ad essere frammentarie, e questo rende difficile fare una valutazione complessiva. Se si pensa poi che tra i capoluoghi di provincia solo 10 hanno installato centraline fisse per il monitoraggio dell’inquinamento atmosferico in città, e che la percentuale di popolazione che ricade sotto un piano di zonizzazione acustica (lo strumento di base per individuare le aree a rischio e gli interventi) non arriva nemmeno al 50%, pari al 42,9% dei comuni e al 37% del territorio nazionale, abbiamo un quadro decisamente sconfortante di quanto questo problema sia ancora purtroppo molto sottovalutato. Eppure gli impatti sanitari causati da alti livelli di rumore sono ben noti, i cittadini stessi indicano il rumore tra le principali preoccupazioni, e Legambiente ogni anno registra valori di rumore preoccupanti in ogni tappa in cui si ferma con la campagna Treno Verde. Ma a quanto pare tutto questo non basta a far salire l’attenzione e a velocizzare l’adozione degli strumenti legislativi previsti e degli interventi necessari a mitigarne gli effetti da parte delle amministrazioni competenti.

Eppure non c’è sindaco, non c’è amministrazione locale, che non abbia messo ai primi punti del suo programma di governo urbano la gestione e la risoluzione dei problemi legati al traffico. Qualcosa è successo, oggi ogni cittadino ha a disposizione 0,34 metri quadrati di isole pedonali e 3,28 metri quadrati di zone a traffico limitato, numeri pari a zero solo 30 anni fa. Ma sono numeri insufficienti, se poi parallelamente non si investe sui mezzi pubblici, se raddoppia il tasso di motorizzazione e gli abitanti delle città sono cresciuti del 15%.

Al traffico si risponde troppo spesso con interventi occasionali di emergenza, come blocchi del traffico o targhe alterne, che, se portano benefici un giorno, risultano già annullati il giorno dopo. Il blocco del traffico può servire a qualcosa solo se programmato in modo continuo nel tempo, e associato a provvedimenti quali il pedaggio urbano (come la recente introduzione a Milano dell’Area C), l’estensione delle zone 30, delle zone a traffico limitato, delle aree pedonali, delle corsie preferenziali per i mezzi pubblici fino al 75%. Il tutto coordinato a livello nazionale da un Piano di risanamento della qualità dell’aria, che ancora si fa attendere nonostante le dichiarazioni del nuovo Ministero dell’Ambiente. È fondamentale poi intervenire in modo più deciso anche per far rispettare il codice della strada, oggi ampiamente disatteso e ampiamente perdonato, se pensiamo che ogni patentato paga in media solo 33 euro di contravvenzioni l’anno. A questo si devono associare altre misure come ad esempio quelle relative al riscaldamento, che, come abbiamo visto in molte città, contribuisce in maniera sostanziale all’aumento dell’inquinamento dell’aria. Solo in questo modo si possono ottenere reali riduzioni del traffico, delle emissioni d’inquinanti, del rumore, e un parallelo miglioramento della qualità della vita in città. La soluzione è possibile, richiede solo più coraggio da parte degli amministratori, e più responsabilità da parte dei cittadini.

(Premessa del rapporto MAL’ARIA DI CITTA’ 2012 DI LEGAMBIENTE che trovate qui)

SEL molla Renzi

Perché questo nostro tempo è il tempo delle differenze che devono essere issate con la barra dritta in questo clima di grigi. Perché tutti vogliono rinnovare ed essere riconosciuti rinnovatori ma alla fine stanno tutti aspettando di vedere come si muovono gli altri. E, a me, quelli che si muovono per primi confesso che mi hanno sempre provocato simpatia.“La decisione è stata assunta dopo l’approvazione della delibera sulla privatizzazione di ATAF da parte del Consiglio comunale ma arriva a compimento di un percorso che ha visto le nostre posizioni sempre più divergenti su molti aspetti rispetto al governo di Renzi: dalla vicenda dell’apertura dei negozi il 1° maggio, alle vicende del Maggio Musicale Fiorentino, ai rapporti sempre più conflittuali con parti importanti della Città come sindacati e associazioni, sul versante sociale, per non parlare di una politica che favorisce solo la mobilità privata automobilistica, cancellando ogni politica sulla ciclabilità, di una pianificazione territoriale che è deludente dal punto di vista urbanistico e dell’impatto ambientale, della cancellazione del ruolo dei quartieri, dello snaturamento della coalizione, facendosi sostenere sistematicamente da Udc, Fli e Lega Nord.” Per leggere il comunicato qui.

Gli ultimi eroi. Del vuoto.

Il calciatore-eroe che non si fa corrompere. Il marinaio-eroe che non fugge. Ma non esistono eroi, esistono vite degne di essere vissute, e nel caso perdute, ed esiste la nostra ipocrisia, la nostra debolezza. Ci faremmo corrompere, noi? E se sì, per quale cifra? Scapperemmo da una nave, dal senso delle nostre esistenze ammesso che ne abbiano uno, insomma da noi stessi, se avessimo paura di morire non facendolo? Gli eroi sono figure retoriche che riempiono il vuoto, e al limite qualche pagina di giornale. Ma nella disperata assenza di giustizia, di normalità (è normale denunciare una truffa, è normale fare il proprio dovere di marinaio, postino, insegnante, battilastra, giornalista), certi esempi diventano immani. Succede quando uomini piccoli fanno naufragio, e abbandonano le navi di loro stessi. (Maurizio Crosetti, qui)

Il primo polo

Scrivo poco (e qualcuno me lo fa notare) di partito piuttosto che di politica. Sono mesi che ricevo telefonate pronte a lenzuolate giornalistiche per un mezzo scandalo di questo o quel gruppo dirigente di qualche partito. Mi chiedono se non sarebbe bello versare un po’ di bile da spargere a caro prezzo. No, rispondo io, perché non ne ho e non interessa a nessuno. Perché quando ci diciamo che c’è un paese da ascoltare in fondo chiediamo (anche a noi stessi) di smettere di parlarci addosso e provare a sentire le corde che vibrano nel Paese. Un comune sentire, forse si direbbe così, che sposa i bisogni, gli obbiettivi, le modalità.

Se un giorno pensassi che non fosse possibile, rinuncerei per non perderci troppo tempo: non ho mai iniziato uno spettacolo o un libro che non avesse forte nel cuore una pur piccola presunzione di cambiamento. Eppure le riflessioni dopo la tecnicità di questi mesi è quasi sempre una riflessione algebrica, di solito nemmeno troppo articolata, di somme e sottrazioni e il comune sentire rimane solo l’ultimo paragrafo da scrivere per metterci sopra a tutto il resto un pelo di poesia. Si decide dell’UDC, si somma la parte cattolica del PD, si sottrae la parte sinistra dell’IDV insieme alle ancelle di qualche paio di movimenti. Si tira una riga e si prega a mani giunte che faccia cinquanta più uno. Con la boria dei matematici senza dubbi. Ecco, no. Grazie.

Forse abbiamo bisogno di decidere che il sentire comune sia il padre di ogni bene comune. E che sia un padre naturale senza strane adozioni o affidamenti speculativi. E la ricerca si spegne davanti all’ansia matematica. Come scrive bene Gustavo Zagrebelsky la democrazia, come la concepiamo e la desideriamo, in breve, è il regime delle possibilità sempre aperte. Non basandosi su certezze definitive, essa è sempre disposta a correggersi perché – salvi i suoi presupposti procedurali (le deliberazioni popolari e parlamentari) e sostanziali (i diritti di libera, responsabile e uguale partecipazione politica), consacrati in norme intangibili della Costituzione, oggi garantiti da Tribunali costituzionali – tutto può sempre essere rimesso in discussione. In vita democratica è una continua ricerca e un continuo confronto su ciò che, per il consenso comune che di tempo in tempo viene a determinarsi modificandosi, può essere ritenuto prossimo al bene sociale. Il dogma – cioè l’affermazione definitiva e quindi indiscutibile di ciò che è vero, buono e giusto – come pure le decisioni di fatto irreversibili, cioè quelle che per loro natura non possono essere ripensate e modificate (come mettere a morte qualcuno), sono incompatibili con la democrazia.

Per questo penso che l‘Assemblea Generale di Sinistra Ecologia e Libertà di domenica a Roma abbia un buon profumo: perché a Roma con noi ci sono Rita BorsellinoLuigi De MagistrisRossana DettoriMichele EmilianoMaurizio LandiniMimmo PantaleoGiuliano PisapiaMassimo Zedda e molti altri. E sono ospiti dello stesso sentire. Nessun polo da aggiungere. Il primo polo. Il nostro polo.

(Per quelli che amichevolmente mi rimproverano di “indipendentismo”: sì ci sono anch’io. Intervento in tarda mattinata. Fiero di essere nel nostro polo.)

(Foto di Turi Di Domenico)

Tutti a casa (e due!)

L’avevamo già detto come gruppo SEL in occasione dell’arresto di Nicoli Cristiani: il PD chiedeva a Formigoni di riferire e io scrivevo di non dare più fiducia al celeste e andarsene tutti a casa. Poi l’abbiamo ripetuto per la vicenda Ponzoni.  Non si è visto giubilo per la nostra richiesta, anche nel centrosinistra. Ieri Pippo Civati finalmente comincia ad essere della mia stessa idea. Ottimo. Adesso magari sarebbe bello che arrivi anche il PD. O magari che arrivi Pippo, che sarebbe più facile e veloce.

I rigurgiti sul ‘volto di Dio’ di Castellucci

A Milano si muove un dibattito sull’opportunità di uno spettacolo teatrale. Mica 500 anni fa. Oggi. Anche il Vaticano dice la sua definendo l’ospitalità inopportuna. Quel Vaticano che ha tace su Don Verzè (tempestivamente indultato dal Signore), che abbandona i preti antimafia in trincea e che tace sulla moralità della classe dirigente di questo Paese. Quel Vaticano si dedica alla critica teatrale. Ecco l’appello pubblicato da www.ateatro.it

I “se” e i “ma” su uno spettacolo o su un’opera d’arte sono materia del dibattito critico o delle sempre legittime reazioni del pubblico. Ma quando la censura preventiva prende il posto del dissenso e diviene intimidazione, non è più questione di questa o quella interpretazione, è la libertà stessa di interpretare che viene messa in pericolo. E’ quanto sta accadendo con lo spettacolo di Romeo Castellucci “Sul concetto di Volto nel figlio di Dio” in programmazione al Teatro Franco Parenti di Milano: un’orchestrata campagna di minacce e di anatemi lo ha preceduto nel tentativo, sfacciatamente dichiarato, di non farlo andare in scena. Di fronte allo sconfortante avanspettacolo dell’intolleranza che si traveste da diritto di critica e dell’intimidazione che si richiama alla libertà di parola, pensiamo di non potere e di non dovere restare indifferenti. Tanto meno indifferenti nel momento in cui l’offensiva integralista contro lo spettacolo ha rivelato la sua vera natura investendo la persona della direttrice del Franco Parenti André Ruth Shammah  con le espressioni dell’antisemitismo più classico ed abietto.  Non si tratta di scegliere tra chi dice di aver scritto il suo spettacolo come una preghiera e chi, senza averlo visto, lo accusa di essere blasfemo (due cose che in molte opere d’arte del novecento si sono spesso confuse senza che questo generasse guerre di religione). Si tratta semplicemente di garantire a Romeo Castellucci la prima ed essenziale libertà di ogni arte e di ogni artista: quella di essere compreso o frainteso con cognizione di causa, di essere giudicato secondo la sua opera e non secondo il pregiudizio di un manipolo di fondamentalisti che agita la fede in Cristo come una clava identitaria. Chiediamo ai cittadini, agli intellettuali, agli artisti e a chiunque consideri la libertà dell’espressione artistica un cardine irrinunciabile della nostra esistenza civile, di non lasciare Romeo Castellucci e la sua opera nel cerchio di solitudine che l’alleanza tra il fanatismo di pochi e la reticenza di molti rischia di creargli attorno. “Sul concetto di Volto nel figlio di Dio” deve andare in scena. Massimo Marino (critico di teatro), Attilio Scarpellini (critico di teatro), Oliviero Ponte di Pino

Più che le dimissioni, lo scioglimento

Sembra passato un secolo da quando il Presidente del Consiglio Regionale Davide Boni minacciava querela nei miei confronti per avere detto in studio da Gad Lerner che alcuni personaggi del Consiglio avevano ricevuto voti dalla ‘ndrangheta. Erano gli stessi giorni in cui Formigoni dava del ‘drogato’ a Vendola che aveva ribadito il concetto e lo stesso tempo in cui Ponzoni mi ha avvicinato per riferirmi che mi “sbagliavo di grosso, le indagini sono state prorogate quindi non hanno trovato nulla di consistente” (ma lo sappiamo, nel PDL più la giustizia si allunga e più intravedono la luce della vittoria).
Oggi Ponzoni è in carcere, la ‘ndrangheta ha perso il proprio “capitale sociale” (ma l’aveva già mollato da tempo, sulla puzza di politicamente morto le mafie hanno sempre avuto l’occhio lungo) e a pensarci bene il ‘drogato’ è sempre da quelle parti.
Oggi i giornali titolano con articoli che sono gli stessi di un’era fa, scrivono di abitudini brianzole che sono state denunciate e raccontate nei circoli, nei libri e tra i comitati; e una Lombardia alle prese con il San Raffaele (e Santa Rita) nella sanità, con l’affare Nicoli Cristiani (dirigente dell’Arpa incluso) nel mondo delle discariche e dell’ambiente, con il caso Minetti nel campo etico della paraprostituzione, con un listino presentato con firme false e il “sistema Sesto” come ombra nel candidato presidente dell’opposizione è una Lombardia che ha svenduto la credibilità arroccata in autodifesa. Formigoni parla di ‘caso personale’. E forse ha ragione. Suo e in ricaduta di ogni cittadino lombardo.
Perché se non è stata la politica a scegliere allora piuttosto che le dimissioni in Regione Lombardia sarebbe il caso di parlare di scioglimento. Per il bene di tutti. Quello comune. Appunto.

Libertà e Giustizia chiede le dimissioni di Formigoni

E forse sarebbe il caso di firmare qui. Noi siamo sulle stesse posizioni.

Già nello scorso dicembre LeG aveva chiesto le dimissioni di Formigoni, della Giunta, del Consiglio a fronte dei gravissimi fatti commessi da esponenti di rilievo.

A partire da Filippo Penati che ancora siede nei banchi del consiglio regionale all’ex vice presidente Nicoli Cristiani sorpreso con la mazzetta in casa per una vicenda legata a cave di amianto e a pezzi di autostrada costruiti con rifiuti proibiti. Per arrivare a Nicole Minetti indagata per induzione alla prostituzione, senza dimenticare le pericolose commistioni nel crack del San Raffaele.

L’ultimo caso dell’ex assessore, membro dell’ufficio di presidenza Massimo Ponzoni, arrestato per bancarotta, corruzione, concussione e finanziamento illecito è la goccia che fa traboccare il vaso. Sullo sfondo legami con la criminalità organizzata, la ‘ndrangheta del nord.

LeG chiede nuovamente, con forza, che si torni alle elezioni, per ridare la parola ai cittadini. Formigoni non può continuare a trincerarsi dietro il “Io non sapevo” gridando al complotto politico. Lui è il responsabile della regione Lombardia e di tutta la ciurma. Si assuma le sue responsabilità invece di cercare una penosa via d’uscita sulla scialuppa di salvataggio.
Twitter #formigonidimettiti

Ti chiediamo di firmare il nostro appello