La cronica malattia di cui soffrono le città italiane, ovvero la pessima qualità dell’aria, non accenna a placarsi. Se da una parte aumentano le città che rispettano i limiti per l’ozono, peggiorano quelle che sono oltre i valori di legge per il biossido di azoto e i superamenti del PM10.
Nel 2011, secondo la classifica di Legambiente “PM10 ti tengo d’occhio”, sono state 55 (sulle 82 monitorate) le città che hanno esaurito i 35 superamenti all’anno del limite di legge giornaliero per la protezione umana del PM10. Torino, Milano e Verona sono le prime tre città in classifica, rispettivamente con 158, 131 e 130 superamenti registrati nella centralina peggiore della città. Il numero dei capoluoghi fuorilegge è aumentato rispetto allo scorso anno (erano 47 su 86), ma quello che più preoccupa è l’entità del fenomeno e il numero impressionante di superamenti annuali del limite giornaliero di protezione della salute umana per molte di queste 55 città. Se per ipotesi le città potessero accumulare dei “debiti di emissione”, ovvero utilizzare in anticipo i 35 superamenti concessi ogni anno, Torino non potrebbe più andare oltre i 50 μg/m3 per almeno tre anni e mezzo, Milano e Verona per 2 anni e otto mesi, Alessandria e Monza per 2 anni e mezzo, altre 6 città per oltre due anni. Per non parlare poi delle preoccupanti variazioni da un anno all’altro. In alcune città lo smog ha tolto ai cittadini fino a due mesi di aria respirabile rispetto al 2010, come è successo a Cremona e Verona, casualmente due città dell’area della Pianura Padana, che si conferma ancora una volta l’area più critica, un’area dove solo sei città si salvano dalle polveri fini.
E se diminuiscono le città che hanno superato più di 25 volte il valore giornaliero dell’ozono, ci sono 18 città in cui i superamenti sono stati più del doppio di quelli concessi, e, tra questi, a Lecco, Mantova e Novara addirittura più di tre volte. È in leggera crescita anche il numero di città che non rispettano i limiti del biossido di azoto.
Sarà stata forse colpa del clima meno piovoso rispetto all’anno precedente, ma sicuramente la mancanza di misure strutturali per combattere l’inquinamento e l’assenza del tanto sospirato Piano nazionale di risanamento dell’aria, ovvero la mancanza di una reale terapia di cura, non hanno contribuito a guarire la situazione. Non è servito nemmeno il processo di revisione della rete di monitoraggio previsto dal Decreto 155/2010 (rispetto al quale molte regioni si trovano decisamente indietro), che prevede di considerare solo centraline di fondo e porterebbe in molti casi a ridurre il numero delle centraline, a ridimensionare i numeri dell’inquinamento registrati.
Non possiamo però dare solo la colpa all’assenza di pioggia o al numero ridotto di centraline. Le cause dell’inquinamento atmosferico sono chiare e conosciute da tempo. Sono i processi industriali e di produzione di energia, e in città prevalentemente il traffico veicolare e i riscaldamenti, le principali fonti di emissione di polveri fini, ossidi di azoto, dei precursori dell’ozono e degli altri inquinanti come gli idrocarburi policiclici aromatici o il monossido di carbonio. Ed è su questi settori che bisogna intervenire. Analizzando il dettaglio cittadino delle fonti di emissione, si vede come il contributo del traffico veicolare sia rilevante per le polveri fini (come a Roma, Milano, Palermo e Aosta) e decisamente più netto per gli ossidi di azoto. Un’altra fonte sempre più influente in città è quella dei riscaldamenti, che in alcuni casi supera anche il contributo delle automobili, come ad esempio a Bolzano, Trento, Cagliari. E scendendo nel dettaglio delle emissioni che provengono dalle diverse categorie di veicoli, sono sempre le automobili le peggiori “inquinatrici”, e sebbene sul mercato compaiano modelli di auto sempre più efficienti e alcuni progressi siano stati fatti sulla riduzione degli inquinanti che escono dai tubi di scappamento, non vanno sottovalutate quelle 9mila tonnellate di polveri a livello nazionale che derivano dall’usura degli pneumatici, dei freni e del manto stradale, che in buona parte finiscono nei nostri polmoni.
Se poi consideriamo che le automobili e in generale il trasporto su gomma (che comprende anche veicoli commerciali leggeri e pesanti, autobus, motocicli) sono responsabili del 26% delle emissioni di CO2 in atmosfera in Italia, capiamo quanto sia sempre più importante scegliere modelli il più possibile “eco” (ovvero meno inquinanti) o, ancora meglio, ridurre il numero di veicoli in circolazione.