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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Occhio, tra poco tutti invocheranno l’amnesia etica

amnesiaetica

Secondo uno studio della National Academy of Sciences, pubblicato il 16 maggio e riportato da Quartz, esiste una relazione tra etica e memoria: quando i nostri comportamenti non sono etici, dicono gli esperti, tendiamo a dimenticarli più in fretta.

I duemila volontari che si sono sottoposti ai test hanno dimostrato di ricordare molto più chiaramente le volte che hanno agito secondo etica piuttosto a comportamenti come non pagare il biglietto dell’autobus o evadere le tasse. In pratica hanno scoperto che ci si dimentica delle cose che conviene dimenticare. Si sapeva, forse, ma ora anche la scienza lo conferma. Secondo gli scienziati questo atteggiamento sarebbe dovuto al bisogno naturale di ridurre lo stress emotivo. Accipicchia.

E improvvisamente, sarà per la mia deviazione professionale di chi inscena farse per mestiere, mi è venuto in mente come qualcuno abbia faticato anni, scomodato avvocati, comprato parlamentari per scrivere leggi quando un fondo bastava la ricetta di un medico illuminato. Quanti anni avremmo risparmiato.

Frane, alluvioni: 7 milioni di italiani a rischio

Alluvione

La norma sul consumo di suolo deve ancora diventare legge e nel frattempo si va avanti asfaltando 7 metri quadrati di terreno al secondo. L’effetto serra avanza e con l’aumento di concentrazione di CO2 aumentano le alluvioni lampo. In questo contesto, che dovrebbe obbligare alla prudenza, negli ultimi 10 anni si è continuato a costruire in zone a rischio. Solo il 4% delle amministrazioni ha deciso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e la percentuale scende all’1% per gli insediamenti industriali. Così
Sono i dati contenuti nel rapporto Ecosistema Rischio 2016, l’indagine realizzata da Legambiente sulla base delle risposte fornite dai 1.444 Comuni che hanno risposto al questionario. A costruire dove non si dovrebbe non sono solo gli abusivi. Nell’88% dei casi (128 Comuni su 146) sono state urbanizzate aree a rischio di esondazione o a rischio di frana e in 20 Comuni (14%) non si è trattato di qualche casa ma di interi quartieri. Nel 38% dei casi si è pensato bene di tirar su fabbricati industriali, nel 12% (17 Comuni) scuole e ospedali, nel 18% (26 Comuni) strutture ricettive e nel 23% (33 Comuni) strutture commerciali.

IL RAPPORTO DI LEGAMBIENTE (Pdf)

Questo solo per le attività dell’ultimo decennio. I numeri complessivi sono ben più alti. In 1.074 Comuni (il 77% del totale delle amministrazioni che hanno risposto al questionario) ci sono case in aree a rischio. Nel 31% interi quartieri, nel 51% impianti industriali, nel 18% scuole o ospedali, nel 25% strutture commerciali.

Qualcosa comunque sta cambiando. Alcuni interventi aumentano ma il loro senso è spesso discutibile. Tra i 982 Comuni in cui è stata segnalata la realizzazione di interventi e opere di messa in sicurezza il 42% ha optato per nuovi argini (una scelta che in alcuni casi si limita a spostare il problema anziché risolverlo) e solo 12% ha ripristinato aree di espansione naturale dei corsi d’acqua. Nel 45% delle amministrazioni (439 Comuni fra i 982 dove sono stati realizzati interventi) sono state realizzate opere di consolidamento dei versanti montuosi instabili, ma solo 47 Comuni hanno previsto il rimboschimento dei versanti più fragili. Inoltre in 118 Comuni (8% del campione) sono stati realizzati interventi di tombamento e copertura dei corsi d’acqua: altro asfalto in superficie.

Due Comuni su 3 hanno dichiarato di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e 4 Comuni su 5 hanno preparato piani urbanistici con la perimetrazione delle zone a rischio idrogeologico e hanno un piano di emergenza, ma solo il 46% lo ha aggiornato e solo il 30% ha svolto attività di informazione e di esercitazione rivolte ai cittadini. “Ci vuole un’inversione di tendenza: occorre fermare il consumo di suolo, programmare azioni che favoriscano l’adattamento ai mutamenti climatici e operare per la diffusione di una cultura di convivenza con il rischio”, propone il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti.

(fonte)

«I voucher non funzionano»: lo dice anche Boeri

precarietà

Quello che si dice da tempo da queste parti ora lo ripete a chiare lettere anche Tito Boeri e forse sarebbe il caso di riflettere, senza fare gli offesi:

“I voucher sono nati per regolarizzare il lavoro accessorio, creare opportunità di lavoro e integrazione per le fasce più marginali del mercato del lavoro, ma hanno avuto uno sviluppo diverso: in alcuni casi abbiamo una precarizzazione evidente, con lavoratori a tempo indeterminato o determinato che adesso hanno i voucher, e in questo senso sono anche controproducenti”.

Lo afferma Tito Boeri, presidente dell’Inps, in un’intervista al Tg Zero di Radio Capital. “L’altro grande obiettivo – prosegue Boeri – era quello dell’emersione del nero, e per il momento non sembra esserci grande evidenza: quello che viene fuori è che non sono tanti i lavoratori nelle fasce centrali d’età, si vedono poche persone che prima non lavoravano che di colpo prendono voucher. Il livello dei contributi che raccogliamo è basso, circa 150 milioni, lo 0.2% dei contributi totali dei lavoratori dipendenti, mentre i lavoratori che percepiscono voucher sono l’8%: è molto meno di quello che si potrebbe pensare alla luce del numero delle persone coinvolte”

(fonte)

Il raglio del dissociato

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Dice Matteo Renzi che i suoi avversari (che nei suoi incubi peggiori sono tutti quelli non iscritti al PD, non renziani e senza accento toscano) vogliono personalizzare il referendum. Giuro. Dice così. Lui che ha presentato il referendum dicendo “se perdo vado a casa”. Lui che ha diffamato chiunque non fosse d’accordo con lui. Lo stesso Renzi che ha trasformato il PD in un fan club. Ecco. Ne scrive anche Repubblica qui:

«”Personalizzare lo scontro” sul referendum costituzionale di ottobre “non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del no che, comprensibilmente, sui contenuti si trova un po’ a disagio”. Lo scrive il presidente del Consiglio Matteo Renzi,in un passaggio della sua e-news. “Ma davvero – scrive Renzi – vogliono mantenere tutte queste poltrone? Questo bicameralismo che non volevano nemmeno i costituenti e che furono costretti ad accettare per effetto dei veti incrociati? Questa confusione insopportabile sulla materia concorrente tra Regioni e Stato centrale che ha portato alla paralisi di cantieri, allo spreco di fondi europei, alla costante tensione istituzionale? Sui contenuti la stragrande maggioranza dei cittadini, di tutte le forze politiche – assicura il premier – vuole rendere più semplice l’Italia come fa questa riforma, finalmente”.»

Thyssen: quella morbida giustizia tedesca

thyssen
L’articolo di Ottavia Giustetti:
«Sembra una presa in giro, nessuno ci aveva detto niente prima, l’abbiamo scoperto solo mentre si svolgeva l’udienza in Cassazione, e a questo punto non ho idea di cosa potremmo più fare»: è una doccia fredda per i famigliari delle vittime della Thyssen la notizia che Harald Espenhahn, condannato dopo un lunghissimo iter giudiziario a 9 anni e 8 mesi, e Gerald Priegnitz (7 anni), che sono in Germania e che lì sconteranno la pena, seguiranno un iter diverso dai coimputati italiani, una procedura che potrebbe prevedere anche un ritocco importante delle pene definitive stabilite dai giudici nel processo. Tina Ferrara, moglie di Antonio Schiavone che quando è morto nel rogo aveva 36 anni e tre figli piccoli, è rassegnata. «Dovevamo aspettarcelo che sarebbe andata così comunque », dice. «Ma certo. Avrebbero dovuto essere qui, in Italia, come tutti gli altri – aggiunge Sabrina Torrente, la vedova di Angelo Laurino, anche lei due figli minorenni al momento del drammatico incidente – dovevano presentarsi all’udienza in Cassazione, e dopo la lettura della sentenza essere ammanettati e portati via, come succede tante volte. Invece già il fatto che fossero lontani doveva insospettirci». Sabrina Torrente non è andata a Roma. Non ha neppure “festeggiato”. «No, ho smesso di partecipare dopo le prime udienze, ho capito che era tutta una farsa. E questa storia della Germania lo conferma. Sa cosa credo? Secondo me neppure gli altri sono andati davvero in carcere. Altrimenti ce l’avrebbero fatto vedere».
Nonostante i dubbi della vedova di Angelo Laurino, quella di ieri è stata la prima notte nel carcere di Terni per i due ex dirigenti dell’Ast, Marco Pucci e Daniele Moroni, tutti condannati in via definitiva dalla Cassazione per il rogo nello stabilimento del dicembre 2007 in cui persero la vita sette operai. I due si trovano nella stessa cella nella sezione di accoglienza della struttura, in attesa di svolgere i primi colloqui con il personale ed essere assegnati, sempre in coppia, alla sezione ordinaria. A chi ha avuto modo di incontrarli nelle prime fasi della carcerazione sono apparsi disorientati e increduli rispetto al loro arresto, ma in condizioni complessivamente buone, anche dal punto di vista psicologico. Prima notte in carcere, alle Vallette a Torino, anche per Cosimo Cafueri, l’ex responsabile servizio prevenzione rischi della Thyssen condannato a 6 anni e 8 mesi, e Raffaele Salerno, condannato a 7 anni e 2 mesi. I due si sono consegnati sabato mattina e sono stati accompagnati in carcere. «Sono tutti, per ora, abbastanza tranquilli ha detto poco dopo il trasferimento in carcere l’avvocato, Ezio Audisio – stanno affrontando la cosa con grande dignità. Ciò non toglie che si sentano colpiti da una condanna sproporzionata ». Sulla vicenda Thyssen è ancora pendente un ricorso alla Corte europea per i diritti dell’Uomo. Lo ha presentato la difesa dopo la prima sentenza della Cassazione ma la Corte non ha ancora fissato l’udienza. Nel ricorso erano sollevate una serie di problematiche, come la mancata traduzione in tedesco di numerosi atti processuali.

Su Fassina e Sinistra Italiana

fassina

«La vicenda romana impone un chiarimento definitivo sulla prospettiva. Io non vedo complotti, vedo due impianti di cultura politica. Da una parte chi, come me, considera chiusa la fase del centrosinistra. Dall’altra, chi pensa che il nostro destino sia l’alleanza subalterna con il Pd.»: sono le parole di Fassina in una durissima intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera. L’estromissione delle liste dalla corsa elettorale per Roma (per un errore formale che rasenta l’autodafé) spinge finalmente l’ex candidato sindaco a dire quello che tutti sapevano ma che nessuno pronunciava: in queste elezioni amministrative (mica solo a Roma) Sinistra Italiana ha mostrato le due anime che la compongono, dilaniata tra chi non riesce a smettere di corteggiare il PD e chi (come Fassina) dal PD ci è uscito per costruire qualcosa.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Io non resto a guardare

522312_10150668285752756_1631376447_nAvremo modo di parlarne a lungo ma intanto vi scrivo per dirvi che non ho nessuna intenzione di restare fermo a guardare una riforma costituzionale che non mi trovo d’accordo per molti motivi (chi segue questo piccolo blog ne ha trovato traccia). Per questo nei prossimi mesi sarò in moto per un viaggio riCostituente su e giù per l’Italia. Lo faccio al fianco di Pippo Civati, per la stima e l’amicizia che ci lega, ma soprattutto con tutti quelli che vedono (l’ho scritto qui) la grande occasione di dibattito politico che ci offre questo referendum. E lo faccio perché chi mi conosce sa che sono di parte. Parteggio. Sono fatto così.

Intanto domani sarò a Napoli con Luigi De Magistris (l’evento qui) e lunedì a Milano con Civati e Basilio Rizzo (info qui) e Vittorio Angiolini, costituzionalista. Insomma, ci divertiamo. Tutti i miei appuntamenti li trovate qui.

 

Su M5S, Pizzarotti e Di Maio

È un bivio importante questo per il Movimento 5 Stelle: diventare adulti significa riconoscere che la malattia della politica degli ultimi vent’anni non è tanto nella forma “partito” o “movimento” o nelle diverse sfaccettature del “leaderismo” ma soprattutto nell’etica con cui si interpreta: svestirsi della paura di assomigliare agli altri è il modo più intelligente per cogliere le “buone pratiche” e perfezionarsi cammin facendo. Quello che è marcito in “apparato” o “sistemi di potere partitici” è, se usato dal verso giusto, anche la garanzia di un meccanismo che garantisce controllo e democrazia. Perché la decisione della sospensione di Pizzarotti non è stata sottoposta alla “decisione della rete”? Perché una realtà politica che aspira (e ha i numeri) per diventare forza di governo deve incagliarsi in una baruffa da bambini dell’asilo?

(la mia analisi scritta per Fanpage è qui)

Un milione e centomila.

indifferenza

Un milione e centomila elettori elettori persi nelle ultime tre elezioni comunali. In pratica l’equivalente di tutti gli abitanti di Torino e Trieste messi insieme hanno deciso che non valesse la pena votare.

Scrive l’ANSA: «A Roma, ad esempio, alle ultime amministrative (2013) hanno votato 572 mila elettori in meno rispetto al 2001; a Milano 225 mila, a Napoli 89 mila. Secondo il Censis, dopo la grande stagione dei sindaci, inaugurata con l’elezione diretta e la forte personalizzazione delle candidature, è subentrata una fase di disillusione con una impennata dell’astensionismo. A Roma si è passati da un’affluenza pari al 79,4% alle elezioni comunali del 2001 (primo turno) al 52,8% di votanti nel 2013.»

Quando si dice o si legge “non c’è spazio politico” riferendosi a questo o a quel partito, bisognerebbe forse ricordarsi che c’è un mondo di disillusi là fuori. Ma davvero.

«Se non capisci come funziona il gioco grande, sarai giocato»

scarpinato

La bella intervista a Roberto Scarpinato, Procuratore Capo di Palermo:

Il vice presidente del Csm Legnini (e altri con lui) dice che i magistrati non devono impegnarsi nella campagna referendaria perché finirebbero nella contesa politica. Che ne pensa?“Mi permetto di dissentire. Forse a tanti non è sufficientemente chiaro quale sia la reale posta in gioco che travalica di molto la mera contingenza politica. A mio parere siamo dinanzi a uno spartiacque storico tra un prima e un dopo nel modo di essere dello Stato, della società e dello stesso ruolo della magistratura. Nulla è destinato a essere come prima”.
Cosa potrebbe cambiare nel futuro rispetto al passato?

“A proposito del passato mi consenta di partire da una testimonianza personale. Tanti anni fa ho deciso di lasciare il mio lavoro di dirigente della Banca d’Italia e di entrare in magistratura perché ero innamorato della promessa-scommessa contenuta nella Costituzione del 1948 alla quale ho giurato fedeltà”.E quale sarebbe questa “promessa-scommessa”?

“Quella scritta nell’articolo 3 di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Era uno straordinario programma di lotta alle ingiustizie e un invito a innamorarsi del destino degli altri. La Repubblica si impegnava a porre fine a una secolare storia nazionale che Sciascia e Salvemini avevano definito “di servi e padroni” perché sino ad allora intessuta di disuguaglianze e sopraffazioni che avevano avuto il loro acme nel fascismo e nella disfatta della seconda guerra mondiale”.

Sì, però l’attuale riforma costituzionale si occupa solo della seconda parte della Costituzione e lascia intatta la prima sui diritti. Cosa la turba lo stesso?

“La seconda parte è strettamente funzionale alla prima. Proprio per evitare che la promessa costituzionale restasse un libro dei sogni e per impedire che il pendolo della storia tornasse indietro a causa delle pulsioni autoritarie della parte più retriva della classe dirigente e del ritardo culturale delle masse, i padri costituenti concepirono nella seconda parte della Costituzione una complessa architettura istituzionale di impianto antioligarchico basata sulla centralità del Parlamento e sul reciproco bilanciamento dei poteri”.

E perché tutto questo coinvolgerebbe le toghe? Realizzare la promessa non era compito della politica?

“All’interno di questo disegno veniva affidato alla magistratura il ruolo strategico di vigilare sulla lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze politiche di governo”.

Un’affermazione forte… Ma di quale vigilanza parla?

“I giudici, tra più interpretazioni possibili della legge ordinaria, devono privilegiare quella conforme alla Costituzione e, se ciò non è possibile, devono “processare la legge”, cioè sottoporla al vaglio della Consulta. La magistratura italiana quindi è una “magistratura costituzionale” e, in quanto tale, la sua fedeltà alla legge costituzionale è prioritaria rispetto a legge ordinaria. È una rivoluzione copernicana del rapporto tra politica e legge di tale portata che a tutt’oggi non è stata ancora metabolizzata da buona parte della classe politica che continua a lamentare che la magistratura intralcia la governabilità sovrapponendosi alla volontà del Parlamento”.

Con la riforma Renzi questo equilibrio potrebbe saltare?

“Alcune parti di questa riforma si iscrivono in un trend più complesso. Oggi tutto ciò rischia di restare solo una storia terminale della prima Repubblica, perché quello che Giovanni Falcone chiamava “il gioco grande”, si è riavviato su basi completamente nuove. Alla fine del secolo scorso, a seguito di fenomeni di portata storica e mondiale, sono completamente mutati i rapporti di forza sociali macrosistemici che furono alla base del compromesso liberal-democratico trasfuso nella Costituzione del 1948. Lo scioglimento del coatto matrimonio di interessi tra liberismo e democrazia ha messo in libertà gli “animal spirits” del primo che ha individuato nelle Costituzioni post fasciste del centro Europa una camicia di forza di cui liberarsi”.