Vai al contenuto

Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Ma le firme del PD a Napoli non è che per caso siano illegali?

banchettopd

Si legge nel sito del Ministero dell’Interno che le firme per la presentazione delle liste alle elezioni amministrative debbano essere apposte su fogli in cui sia stata compilato prima (prima) l’elenco dei candidati. Scritti ben leggibili e in stampatello. Dicono. Seguitemi.

Il 5 maggio esce un’agenzia di stampa:

«+COMUNALI NAPOLI, MANCA NUMERO LEGALE: ASSEMBLEA PD NON APPROVA LISTA+ (OMNINAPOLI) Napoli, 05 MAG – Manca il numero legale, l’assemblea provinciale del Pd Napoli non approva la lista dei candidati al Comune. Un ostacolo di natura tecnica dovuta ai conflitti interni ancora da sciogliere a poche ore dalla presentazione ufficiale.»

È datata 5 maggio. 2 giorni fa. Oggi hanno depositato le firme. Quindi, mi chiedo: poiché il 5 maggio evidentemente non avevano ancora la lista definitiva dei candidati e oggi hanno depositato lista e firme, hanno raccolto tutte le firme in 24 ore? Oppure nonostante “i conflitti interni” hanno indovinato comunque come sarebbe andata a finire?

—- aggiornamento 7 maggio 21.39 —-

Schermata 2016-05-07 alle 21.37.36

Quel padre seduto sul marciapiede

padresulmarciapiede

 

Torino, zona Crocetta, un uomo sta seduto con un materassino sul marciapiede. Niente di sporco o vizioso: è in posizione yoga ed è vestito elegante, solo un piumino per quando si fa freddo. Si chiama Stefano, ha 37 anni ed è sprofondato nel solito burrone di una brutta depressione. Poi si è ripreso, ha cambiato lavoro e si è separato. Non mendica, Stefano, sul marciapiede. Non chiede solidarietà, anche se la solidarietà arriva con chi ormai ci passa regolarmente, lì dal padre seduto sul marciapiede, per bersi un caffè e farsi una chiacchierata. Dentro quel palazzo piantato sul marciapiede Stefano ha la figlia e la sua ex moglie. Una separazione come tante in cui i telefoni smettono di squillare e ci si parla solo per avvocati e le liti poi ricadono sui figli. E la figlia di Stefano, che un giudice ha detto che deve stare con il padre ogni due settimane, si ritrova nella morsa dei litigi e alla fine quei giorni “stabiliti per legge” non sono stati rispettati.

Lui, Stefano, non fa la guerra. Ha vissuto il buio e figurati se è disposto ancora ad entrare nel cunicolo della rabbia. E allora rimane lì. «Per fare sentire a mia figlia che comunque io sono vicino», dice. E l’ha scritto con gesso bianco, ripassato, sul marciapiede. Un padre sul marciapiede. Senza urla, senza strepiti, senza vendette. Roba da letteratura, di sabato mattina.

Libri, Salvini e Coca Cola

secondo_matteo_matteo_salvini

Siccome ci tengo ad approfondire vi consiglio un post:

Non è facile, non è per niente facile.
La linea che ormai seguo da un po’ è quella di condannare violenze e razzismi in genere, da qualunque parte vengano, di qualunque colore siano, perché essere di sinistra vuol dire esserlo dentro, al di là del colore politico indossato, al di là degli schemi in cui vi piace tanto autocatalogarvi.
Sarebbe facile, in realtà, perché i simpaticoni che ieri hanno strappato copie del libro di Salvini sono degli idioti tout court e su questo non ci piove, non fosse altro perché hanno fatto esattamente il gioco del nostro populista preferito che, e qui mi attirerò gli insulti di molti, stupido non è: perché, altrimenti, sarebbe andato proprio a Bologna, la città che storicamente lo detesta e lo dimostra nella maniera più visibile possibile?
Bene o male, l’importante è che se ne parli, è una massima che lui ha studiato benissimo e che voi, dall’altro della vostra maglia del Che indossata sotto la kefiah continuate ad ignorare, accecati dai vostri ragionamenti di pancia e dall’illusione che davvero ci sa qualcuno che segue le vostre lotte mentre, stravaccati sul divano, twittate che quelli di Hobo Hanno fatto bene!!!!!.
Prima 
di compiere determinate azioni, andrebbe ripetuta una piccola domanda: cui prodest?
Giova a Salvini, che adesso può dire che i fascisti siete voi, perché sì, avete compiuto un gesto totalitarista come quello di strappare dei libri per impedire ad altri di leggerlo, per nulla diverso da quello di versare della Coca Cola su dei fumetti poco graditi.
Giova a Maroni, che adesso ha potuto dire che i leghisti sono i nuovi partigiani con degli imbecilli che gli hanno anche dato ragione, noncuranti dei partigiani veri che hanno preso a far le trottole nelle loro tombe.
Giova a chiunque abbia mandato via la sinistra dal Parlamento, perché così viene data l’immagine di una sinistra immatura, incapace di esprimersi se non a schiamazzi e sberleffi, con Salvini (ancora lui) che può atteggiarsi a superiore agli occhi dei più (facciamocene una ragione, non tutti leggono i commenti su Facebook dei seguaci di Salvini, M5S e compagnia, e noi che ragioniamo più di cinque minuti su qualunque cosa siamo una sparuta minoranza).
Giova, e qui chiudo anche se potrei andare avanti, alla Lega e ai suoi seguaci.
E fin qui la parte facile: vi lascio però con un dubbio.

(continua qui)

Ho intervistato Pino Maniaci

Non ha potuto parlare con nessuno in questi due giorni in attesa dell’incontro con il magistrato avvenuto proprio oggi ma dopo la conferenza stampa, a microfoni spenti, Pino Maniaci, il giornalista indagato per tentata estorsione, ha ancora voglia di parlare. Ci sentiamo mentre raggiunge la località fuori Palermo per rispettare il decreto di allontanamento voluto dal giudice (“Sono in località protetta, come i pentiti” riesce comunque a scherzare) e parte subito con un attacco frontale: «Ecco la polpetta avvelenata – mi dice – sono riusciti nel loro intento, chiudere Telejato. Inventandosi un reato che nemmeno esiste e sputtanandomi con la mia vita privata con un filmato ad arte che sarei curioso di sapere dai Carabinieri se per caso è stato montato da Federico Fellini».

Pino, andiamo con ordine. Ti si vede mentre prendi denaro dal sindaco. L’immagine è chiara…

(continua su: http://www.fanpage.it/intervista-a-pino-maniaci-verranno-tutti-a-chiedermi-scusa/)

Vi ricordate l’icona antimafia?

Don Luigi Merola, prete sotto scorta che improvvisamente sembrò un calunniatore intento a coprire un rapporto poco limpido con una donna? Beh, è stato archiviato. Lo potete ascoltare qui sotto. Parole da appuntare.

Strappare il libro di Salvini. E vincono tutti.

salvini-matteo-salvini-libro-di-salvini-secondo

Avrei voluto scrivere di questo brutto gesto di strappare il libro di Salvini. Poi mi sono detto che così avrei alimentato anch’io la pubblicità di sponda. E mentre cercavo le parole alla fine Luca Sofri l’ha scritto meglio di me. Vale la pena leggere lui:

«Mentre formulavo per l’ennesima volta il pensiero “guarda ‘sti cretini, che pensano di combatterlo e fanno il suo gioco”, immaginando di scrivere anch’io sul video di quelli che hanno distrutto il libro di Matteo Salvini, mi sono fermato a chiedermi: ma questa cosa di non dire “vergogna!” – che sappiamo che non funziona con questi – e invece sottolineare l’inefficacia e anzi la controproducenza (sic) dicendo “che stupidi, Salvini sarà contento”, quante volte l’abbiamo già fatta in casi simili? Ed è mai servita a qualcosa? E per quanto stupidi siano, pensiamo forse che una cosa così ovvia sia per loro così impensabile?

Come ha detto oggi un mio amico, questa è una partita “win-win” per entrambe le parti: vincono tutti e due. I fessi dei libri strappati sono a loro volta contenti della stessa esistenza di uno come Salvini e del fatto che si manifesti, di persona o via libro. Li legittima, dà loro un senso, permette di costruire teorie ed esistenze. Se esce un libro di Salvini, o se Salvini passa dalle loro parti, gli balena un lampo di eccitazione felice nelle pupille, non di indignazione e preoccupazione: “you made my day!”. Della pubblicità gratuita che hanno generato per il libro di Salvini (primo, oggi: in Rizzoli farebbero i trenini, se non avessero altri pensieri) non si rammaricano per niente, anzi: hanno generato pubblicità per se stessi e soprattutto attenzione sulla loro presunta contesa con Salvini. Chi vince non è importante, e Salvini è un alleato non un nemico: come nel wrestling, in cui l’obiettivo non è vincere ma attirare l’attenzione del pubblico e coinvolgerlo, e l’altro è un comprimario, simile, complice.

Già, mi sono chiesto: ma se entrambi vincono, che problema c’è, chi perde? (sono suddito di un meccanismo mentale per cui tutto debba essere a somma zero, sempre).
Perdo io, mi sono detto. Perdiamo noialtri che non siamo quella cosa lì. Non è “sinistra contro destra”, è fanatismo violento e buzzurro contro misura, ragione e intelligenza. È ideologia radicale contro dubbio. Eccetera. Quando si picchiano sul ring Salvini e antisalviniani, la gran parte di noi non va da un’altra parte a fare cose migliori, ma si avvicina al ring e decide con chi stare, partecipando allo spettacolo costruito apposta: persino quando decidiamo di stare – stavolta – contro gli antisalviniani pur essendo noi stessi antisalviniani. Ci siamo fatti fregare un’altra volta: siamo nel circo. Stiamo pagando noi quello che Salvini e antisalviniani, sul palco, stanno incassando.
Anche con questo post? Sì, certo: con l’attenuante di provare a essere di insegnamento – almeno per me stesso – in futuro.»

(continua qui)

Dubitate. Sempre.

Piergiorgio-Morosini

Ci sono aspetti, come al solito che vanno valutati nella loro completezza. Forse è davvero il tempo di tenere allenato il dubbio. Ne scrive Mantellini nel suo blog:

«Il folklore ce lo togliamo dai piedi subito: immagino che nessun giudice del CSM arderebbe dalla voglia di salutare una giovane giornalista italiana se questa non fosse una signora ben nota nei salotti romani per essere la fidanzata di Chicco Testa (in odore – speriamo di no – di diventare Ministro) nonché autrice del libro dal titolo panegirico “Siamo tutte puttane“.

La faccenda giornalistica invece è assai pià complicata. Non mi interessa troppo nessune delle due questioni di cui si è discusso nei giorni scorsi vale a dire il titolo truffaldino dell’articolo (una frase contro Renzi attribuita a Morosini che poi nell’articolo non c’è) e nemmeno il fatto che l’intervista fosse o non fosse esplicita e le parole (che il magistrato ha smentito) correttamente riportate. Il giornalismo italiano è pieno di titoli con falsi virgolettati per uccellare i gonzi e di chiacchierate off the records poi finite sui giornali in formati allusivi così da farle assomigliare ad interviste vere e proprie. È cattivo giornalismo, lo conosciamo, purtroppo non riguarda solo Il Foglio.

No, il punto rilevante è secondo me la biografia della Chirico. Che nel 2012 (alla bella età di 26 anni) ha pubblicato il libro “Condannati preventivi” con prefazione di Vittorio Feltri e che soprattutto è da poche settimane presidentessa della neonata Associazione “Fino a prova contraria” (qui una intervista alla presidentessa sul magazine ciellino Tempi) il cui scopo è quello di dare all’Italia “una giustizia giusta”.

Cerco di rimanere a debita distanza da tutte le ironie che sarebbero possibili in un caso del genere (per esempio da quella che riguarda i livelli occupazionali medi dei giovani giornalisti) per dire che Il Foglio, nella lunga (e verbosissima) inchiesta sulla magistratura che ha affidato alla Chirico, nelle polemiche di ieri e nemmeno nella replica del suo direttore ha ritenuto di informare i suoi lettori dell’evidente conflitto di interesse fra il cronista ed i temi che tratta.»

(continua qui)

Quante stranezze sul cadavere di Pino Maniaci che ci vorrebbero offrire

pinomaniaci

Se siete rimasti sconvolti dal linguaggio di Pino Maniaci, dal suo essere scurrile, sborone, incazzoso, sboccato come un cane sempre arrabbiato e con il fanculo sulla punta della lingua allora, semplicemente, non conoscete Pino. E per carità non ci sta mica scritto che voi dobbiate conoscerlo per forza ma ci vuole spericolatezza per stendere gli editoriali su ciò che si conosce appena. Perché se, come leggo in giro, siete scandalizzati dai modi sappiate che quelli sono i modi con cui Pino ti chiama dopo mesi per dirti che gli manchi. Così. Uguali. Anzi, con un paio di parolacce in più.

L’imprinting di Pino Maniaci è stato confezionato su misura dalla Procura di Palermo. Nulla di male nel confezionare video chiarificatori sulla dinamica dell’indagine ad uso e consumi di una stampa abituata a stendere reportage con un paio di mail e una ricerca veloce su google: è che io, in quel video, insomma, non trovo il reato. Ma davvero. Vedo Pino prendere dei soldi da un sindaco (quotidianamente massacrato nel suo tg) ma non riesco a capire esattamente quel denaro in cosa consista. E davvero se il sindaco di Partinico ha corrotto Pino (con qualche banconota da 50 euro) per essere trattato bene nei servizi giornalistici, quegli stessi servizi che lo fanno fesso un giorno sì e l’altro pure, allora davvero sono Don Chisciotte e Sancho Panza. In salsa siciliana.

Per il resto sento Pino fare il gradasso come succede a chi cede alla tentazione di farsi fare “simbolo” di una battaglia che, grazie a dio, scalda i cuori. Sento Pino corteggiare (abbastanza pateticamente, caro Pino) una donna in un contesto in cui quel giornalista di provincia è l’unico in zona ad avere frequentato i salotti, roba da film, in certe realtà. In un territorio in cui molti inseguono una carezza del boss o un favore dal sindaco o una buona parola dal don lui, Pino Maniaci, arriva in televisione quella vera. In mezzo al provincialismo si diventa personaggi con un paio di minuti in prima serata. Che roba, eh?

Poi sento Pino esprimere pareri sferzanti (con il suo solito vocabolario dell’orrore) sulle forze dell’ordine e sulla magistratura. Mica tutta, ovviamente, perché Pino ci vive con le informative, le fonti giudiziarie, l’approfondimento dei processi e ci vive fianco a fianco con i carabinieri che lo tutelano. E, Pino, parla consapevole dei carabinieri che hanno depistato l’omicidio di Peppino Impastato, parla sapendo che proprio a Palermo un giudice (la Saguto) è accusata di reati gravissimi e voraci, parla sapendo (come sanno tutti quelli che si occupano di mafie) che un carabiniere corrotto fa più danni di quanti ne possano riparare 100 assemblee di istituto di giovani curiosi.

Poi, nel video promozionale dello sputo su Maniaci, ci si mette dentro anche la telefonata in cui Pino sfancula Renzi. E tutti: o che vergogna! Che se ci ascoltassimo nei nostri giudizi rivolti verso il premier, scommetto che basterebbe tenere per poco un registratore dentro un bar, se dovessimo trascrivere gli epiteti (o semplicemente basta leggere i comunicati stampa di Salvini) Pino sarebbe quasi un analista politico. Di questi tempi.

(il mio #buongiorno scritto per Left continua qui)

La “questione morale” solo per uso personale

o-BERLINGUER-facebook

La paura fondamentalmente ci rende soli. E cattivi. Soli e cattivi come possono essere soli e cattivi tutti quelli che temono di non avere abbastanza energie per difendersi e allora cominciano a ridurre il recinto degli affetti: il potere dei prepotenti ama gli uomini isolati perché incapaci di organizzarsi. È una stagione confusa, con il freddo della superficialità, il ruvido della sicumera e questo misto di giovani rampanti e vecchi cacicchi che nessuno ci avrebbe scommesso di vederli andare così d’amore e così d’accordo.

La questione morale non è politica: la questione morale è sociale, culturale. Si riflette nell’arroganza con cui dirigenti per eredità perculano i giovani a cui dovrebbero insegnare: direttori, responsabili, parlamentari e capi che si tengono stretti alle poltrone, con le mani di rughe e fallimenti condonati, sperando di durare il più a lungo possibile. La questione morale è (anche) in una classe dirigente che s’atteggia a maestro di vita ma non ha nemmeno lo spessore di insegnare un mestiere.

All’intestino dell’indignazione basta un arresto al giorno per masticare fino a sera. La questione morale è (anche) usare i pesci piccoli come vibratori per attaccare quelli che stanno in alto: e così finisce che la sindaca di Quarto, il sindaco di Lodi o il direttore della piccola emittente televisiva bastano per raggiungere l’orgasmo e fa niente la disuguaglianza, la corruzione sistemica, i diritti negati, i bisogni inascoltati, la finanza senza etica. Qui da noi la politica è una partita tra coglioni che si sfidano cercando di fare meno autogol possibili. E si esulta come se fosse calcio champagne.

(il mio #buongiorno per Left continua qui)

I pennacchi di Pino (di Claudio Fava)

Untitled-1

Lo scritto di Claudio Fava su Pino Maniaci in una giornata che è una fitta al cuore per molti:

Quando qualcuno gli ha impiccato i cani, ho preso un aereo e sono andato a Partinico per dargli solidarietà, conforto, amicizia. Adesso leggo, come voi, che Pino Maniaci avrebbe usato tutto questo (le amicizie, le solidarietà, gli attestati di stima) per gonfiarsi come un tacchino. Dei cento euro forse pretesi da un sindaco se ne occuperanno i giudici per dirci se fu estorsione, bravata o solo minchioneria. Ma di ciò che ci riferiscono le intercettazioni, la risposta non la voglio dai giudici ma da Maniaci. Non chiacchiere su complotti e vendette mafiose: risposte!
Voglio che dica – a me e agli altri che in questi anni hanno messo la loro faccia accanto alla sua – se quelle trascrizioni sono manipolate o se è vero che all’amica del cuore raccontava “a me mi hanno invitato dall’altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del cazzo di eroe dei nostri tempi”. Uno di quei premi del cazzo era intitolato a Mario Francese, giornalista palermitano ammazzato dalla mafia. Glielo consegnarono sei anni fa. Ci dica Maniaci che è tutto falso, intercettazioni, verbali, parole sue e degli altri: tutto! Oppure quel premio lo restituisca subito. Tra tutti i miserabili pennacchi che l’antimafia può mettersi sul cappello, la morte di un giornalista è il più osceno.
Quando ai Siciliani ci ammazzarono il direttore non arrivarono scorte della polizia né premi né visite di cortesia né telefonate dei presidenti del consiglio. Ma andammo avanti lo stesso, imparando a fare ogni mese (e per molti anni) un altro buco nella cintura. E quando a Catania un procuratore corrotto (quello sì!) fece mettere sotto controllo i nostri telefoni, se ne tornò dai suoi padrini mafiosi con le corna basse: perché nelle telefonate dei giornalisti dei Siciliani (ragazzi, non veterani di guerraà) c’era solo il rigore delle parole, la limpidezza dei comportamenti, il senso profondo del mestiere che facevamo.
“Quello che non hai capito tu è la potenza di Pino Maniaci! Ormai tutti e dico tutti si cacano se li sputtano in televisione si fa come dico io e basta, decido io, non loro, loro devono fare quello che dico io, se no se ne vanno a casa!”. Che c’entra, non dico l’antimafia, ma il giornalismo con questo sproloquio? Nulla c’entra! Per cui Maniaci spieghi: non i supposti complotti contro di lui ma la ridicola vanità di queste sue parole. Spieghi, oppure scompaia dalle nostre vite per sempre.
A noi resta il torto di una nostra colpevole ingenuità: esserci fidati in buona fede dei fumi d’incenso. Che con la lotta alle mafie non c’entrano mai nulla.

(fonte)