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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

A proposito di referendum, Senato e demagogia

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Per chi volesse approfondire, dal Corriere, un passaggio dell’intervista a Ugo De Siervo, giudice costituzionale:

Il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, sostiene che il No è animato anche da voi professori «perfezionisti», incapaci di essere «d’accordo su come si sarebbe dovuta cambiare la Costituzione».
«Non siamo perfezionisti. Siamo realisti. E non possiamo farci prendere in giro da false promesse. Vari di noi sono stati giudici costituzionali abituati a valutare gli effetti, oggi non rappresentati all’opinione pubblica, derivanti dall’applicazione delle norme costituzionali».
Napolitano, sempre nell’intervista al «Corriere della Sera» di Aldo Cazzullo, sostiene che il No comporterebbe «la paralisi definitiva, la sepoltura della revisione della Costituzione». È così?
«Dal ‘48 a oggi la Costituzione è stata modificata 35 volte. Tutti i cambiamenti andati a buon fine erano leggeri, compatti, omogenei. Poi è arrivata la stagione degli interventi pesanti. Il Titolo V nel 2001, letteralmente disastroso nei suoi effetti, e la riforma proposta da Berlusconi nel 2005 poi bocciata al referendum. Due interventi fatti a maggioranza come questo proposto ora, eterogeneo, che modifica oltre 40 articoli della Costituzione».
È possibile uno spacchettamento del quesito referendario per separare i temi da sottoporre all’elettore?
«La materia non è disciplinata. L’articolo 138, che disegna il percorso della revisione costituzionale, funziona per le riforme medio piccole».
Cosa teme di più della riforma che cancella il Senato?
«Il caos che si cela dietro nove diversi procedimenti legislativi e il fatto che si riporta indietro, a prima degli anni 70, il livello di potestà legislativa delle Regioni».
Faccia un esempio di iter legislativo che finirà davanti alla Consulta.
«Mentre dobbiamo ancora chiarire bene a cosa servirà il nuovo Senato, la riforma prevede che la Camera si occupi di tutto tranne di quello che non è “espressamente” attribuito alla competenza dello Stato. Bene, tra le materie non disciplinate ci sono l’industria, l’agricoltura, l’artigianato, le miniere, la pesca. Cosa succederà se una Regione interverrà? Finirà che la Corte dovrà continuare a fare il vigile urbano».
Il premier Renzi farà la sua campagna sul contenimento dei costi della politica. Come farete a controbattere un tema così popolare?
«C’è molta demagogia sul punto. È vero che si risparmia in modo considerevole tagliando 200 senatori ma si poteva ottenere un risultato analogo decurtando del 10% l’indennità dei parlamentari. E poi bisogna spiegare agli italiani perché sono stati mantenuti i privilegi delle Regioni a statuto speciale. Restano spese enormi che potranno essere modificate solo con il consenso delle Regioni speciali interessate. Mentre le Regioni ordinarie sono ridotte a mega Province».

Due tre cose, personali, su Simone Uggetti e su Lodi.

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Lo scrivo qui dopo avere passato le ultime 24 ore a seguire, per lavoro, la vicenda dell’arresto di Simone Uggetti, sindaco di Lodi e a scriverne raccontandone tutti gli sconcertanti dettagli (qui e qui). Quindi ho espresso (più volte) la mia posizione. Però qui, sul mio blog, in questo spazio più mio e protetto voglio scriverne ancora. E lo scrivo perché penso sia giusto. Ecco. Sono cresciuto per un periodo della mia vita fianco a fianco con Simone. Anzi, Mone. Lui e Andrea (che a Lodi è assessore) mi sono stati vicini, anche in momenti difficili. Simone è uno di quelli che mi sono stati vicini. Poi le nostre strade hanno preso direzioni diverse e abbiamo avuto anche degli scontri duri. Politica. Lodi per me è una ferita aperta.

Detto questo leggere Salvini che sentenzia su Simone è una roba da matti: Uggetti dalle carte risulta palesemente colpevole ma non si è arricchito di un centesimo e anche il “ritorno elettorale” mi sembra piuttosto fumoso. Anche Mone, come molti altri, ha pensato che un un obiettivo condivisibile (che le associazioni lodigiane gestissero le piscine lodigiane) giustificasse forzature non legittime. Ma stiamo parlando di questo. Non c’è corruzione. Simone è uno di quelli che si è speso in politica, senza mai puntare al ritorno economico.

Ha sbagliato. Certo. Ed è giusto che paghi. Ma Simone ammanettato e portato a San Vittore, ecco, e lo scrivo con tutti i mille scazzi che abbiamo avuto, è un fragore che mi lascia perplesso. E mi ferisce umanamente. Perché c’è il politico (inopportuno, illegale ma non ladro) e poi c’è Mone (e Andrea e Matteo e tutti gli altri) che non posso non permettermi di ringraziare. Lasciamo le vendette agli altri. Meglio.

Intanto in Egitto si continua a sparire


Nel mese scorso sono sparite forzatamente 86 persone. Praticamente tre al giorno. Quelle uccise invece nelle prigioni e nei commissariati della polizia sono state nove. Otto per mancata fornitura dell’assistenza medica necessaria e uno per tortura. Almeno sei egiziani sono stati invece giustiziati sul posto. Tra questi c’è Mustapha Mohamed Mustapha, un venditore di tè che si era rifiutato di cedere gratis un bicchiere di bevanda e un pacchetto di sigarette a un agente di polizia. Ne è nata una discussione che ha portato il poliziotto a estrarre la sua pistola di ordinanza e uccidere sul posto il povero ambulante. Con lui sono stati feriti altri due. E’ successo al Cairo il 19 aprile scorso. Dieci giorni dopo è stato ferito gravemente, invece, un autista di taxi che non aveva rispettato la precedenza. Un militare gli ha sparato in testa. Mustapha Atiah, 38 anni, è stato giustiziato il 2 aprile scorso in casa sua. Le forze dell’ordine hanno fatto un blitz all’alba e lo hanno crivellato di colpi. Nella versione ufficiale degli Interni si è trattato di uno scontro a fuoco durato 35 minuti. Dinamica molto simile a quella dell’uccisione delle cinque persone accusate di essere la banda responsabile dell’omicidio di Regeni.
I casi di tortura sono stati 67 e quelli di mancata assistenza medica sono stati 53. Chi sta male in un commissariato di polizia o in una prigione ha molte probabilità di essere trasferito in ospedale solo dopo la morte. Chi prova a protestare o a ribellarsi subisce ancora di più. E’ accaduto ad esempio a inizio mese nella prigione sulla strada che collega il Cairo ad Alessandria. Alcuni detenuti hanno deciso di fare uno sciopero della fame per protestare contro i maltrattamenti. Le guardie hanno risposto liberando diversi cani all’interno del penitenziario.

(L’articolo di Brahim Maarad è qui.)

Che meraviglia il Comitato del Sì per il referendum, eh

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Ne scrive Marco su Il Fatto Quotidiano:

«No, dài, non si fa così. Con tutti i disoccupati che ci sono in giro, non si trova un costituzionalista indipendente degno di questo nome – a parte il trio delle meraviglie Boschi-Renzi-Verdini – disposto a intrupparsi nel fronte del Sì al referendum sulla schiforma. Figurarsi a presiederlo, dopo i cortesi rifiuti di Napolitano e Violante, che sarebbero per il Sì, ma senza esagerare. E così, se la squadra del No schiera 11 ex presidenti della Consulta e tutti i migliori cervelli del diritto costituzionale di ogni orientamento e colore, compresi alcuni ex “saggi” di Re Giorgio come Onida, quella del Sì è roba da partitella fra scapoli e ammogliati. Nel senso che tengono quasi tutti famiglia o hanno ottimi motivi non proprio giuridici per votare e far votare Sì.

L’ unico di cui si sia mai sentito parlare è Stefano Ceccanti, già deputato Pd, che ha incidentalmente vinto un bando indetto dalla Boschi per uno studio sull’ Italicum della Boschi: quindi Sì, perbacco. Salvatore Vassallo è un dirigente Pd, ex parlamentare Pd, nonché fondatore della prestigiosa Bodem, la rivista del Pd bolognese, dunque Sì. Marilisa D’ Amico era consigliere comunale a Milano, sempre nel Pd, che poi l’ ha nominata al Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa: pertanto Sì. Felice Giuffrè è marito di Ida Nicotra, nominata dalla Madia membro dell’ Anac: Sì tutta la vita. Massimo Rubechi è il consulente giuridico della Boschi per le riforme costituzionali alla modica cifra di 49 mila euro l’ anno: ergo Sì. Carlo Fusaro era il prof di Diritto costituzionale della Boschi a Firenze, quindi Sì.
Giulio Vigevani è consigliere del sottosegretario Lotti e membro della commissione Lotti per la legge sull’ editoria: e allora Sì.

Problema: se dall’ altra parte ci sono Zagrebelsky, Rodotà, Carlassare, Pace, Onida, De Siervo, Flick, Gallo, Chieppa, Bile, Amirante e chi più ne ha più ne metta, qualcuno potrebbe persino pensare che è meglio il No. Ma, a pareggiare il conto, scende in campo la fu Unità con tutto il suo peso editoriale e un’ idea geniale: visto che i testimonial del Sì sono tutti emeriti carneadi, basta prenderli a due a due e formare delle coppie per fare buon peso. Come se due sconosciuti, sommati, facessero una celebrità. Ecco dunque Elisabetta Gualmini (vicepresidente Pd della giunta dell’ Emilia Romagna) e Salvatore Vassallo (ex deputato Pd, poi trombato) firmare a quattro mani una croccante lezioncina ai prof del No, che i due trattano da pari a pari. Anzi li conciano per le feste.»

(continua qui)

Chi è Simone Uggetti, il sindaco di Lodi delfino del delfino di Renzi

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Di lui Renzi aveva detto “è un sindaco ancora meglio di Lorenzo Guerini” e infatti Simone Uggetti era, per Lodi, il sindaco della continuità dopo che il braccio destro di Matteo Renzi aveva deciso di spostarsi su Roma. L’inchiesta che l’ha portato in carcere nasce da un esposto in Procura e già da qualche mese la Guardia di Finanza aveva fatto visita agli uffici comunali e presso il gestore di alcune piscine pubbliche. Lui, il sindaco, si diceva tranquillo. Fino all’arresto di oggi.

L’articolo è qui.

Dal processo riformatore in corso il popolo esce privo di voce, esce sconfitta la democrazia: parla Lorenza Carlassare

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(di Lorenza Carlassare)

Non è facile parlare di riforme senza essere ripetitivi, da troppo tempo ne discutiamo. Tuttavia è ancora utile ribadire le osservazioni critiche: il testo della legge costituzionale non è definitivamente stabilito e ai gravi punti di disaccordo ne corrispondono altri non meno essenziali sui quali l’accordo è sicuro. L’esigenza di modificare l’assetto del bicameralismo è generalmente condivisa, come pure l’idea di superare il bicameralismo paritario lasciando alla sola Camera i poteri politici – in primo luogo il potere di dare la fiducia al governo e di revocarla –, attribuendo al nuovo Senato la rappresentanza delle autonomie territoriali.

Già qui la compattezza s’incrina: come va costruito un Senato destinato a rappresentare al centro il punto di vista delle autonomie? Deve essere espressione dei cittadini o dei lorogoverni?

La risposta del testo governativo è netta, così come quella dei suoi sostenitori: il popolo delle Regioni non c’entra, il Senato rappresenta le ‘istituzioni’ territoriali, ed è questa in primo luogo la giustificazione della scelta di far eleggere i senatori dalle istituzioni regionali anziché dal popolo di ciascuna Regione. Una scelta comunque bizzarra per le modalità di tale elezione: i consiglieri regionali si eleggono fra di loro e così tutto resta all’interno di ciascun Consiglio, all’interno dell’attuale classe politica, con la sola aggiunta di qualche sindaco. Una complicazione, questa, per gli estensori del Progetto, ma inevitabile. Era difficile ignorare i Comuni considerato il loro antico radicamento nel Paese. Ma ancor più difficile sembra pensare che i Sindaci, come del resto i Consiglieri regionali, possano svolgere un doppio ruolo trovando il tempo per continuare ad esercitare seriamente le loro vecchie funzioni e quelle di senatore insieme.

Un’altra questione incerta riguarda le funzioni da attribuire al Senato, anche perché la composizione dovrebbe essere in relazione alla natura delle funzioni ad esso attribuite: in una democrazia, esercitare le più alte funzioni costituzionali è consentito soltanto a chi sia dotato di legittimazione popolare. Nel testo governativo, invece, un Senato così malamente costruito partecipa addirittura alla funzione legislativa del più alto livello, la revisione della Costituzione, con i medesimi poteri della Camera elettiva, ed è chiamato pure ad eleggere due giudici della Corte costituzionale acquisendo così un potere ben più incisivo di quello del Senato attuale. Oggi, infatti, cinque dei quindici giudici costituzionali sono eletti dal Parlamento in seduta comune, all’interno del quale il minor numero dei senatori rispetto a quello dei deputati significa un loro minor peso. La riforma invece attribuisce l’elezione di tre giudici alla Camera (dove i deputati sono più di seicento) e di due giudici al nuovo Senato composto da sole cento persone. Il divario di potere tra le due Camere – e tra i loro componenti – è tanto evidente quanto ingiustificato: solo se il nuovo Senato fosse concepito quale organo di garanzia (com’era secondo alcune proposte) un simile potere potrebbe trovare giustificazione, ma è evidente che nella composizione stabilita dal progetto governativo è del tutto impensabile considerare i Senatori una ‘garanzia’. Il ruolo decisivo delle segreterie dei partiti sulla loro elezione (sostanzialmente una nomina) di certo non lo consente e la funzione loro attribuita non può che apparire un espediente per mettere le mani in modo indiretto sulla Corte costituzionale. Vale a dire sulla composizione dell’organo che ha l’alto compito di garantire il rispetto della nostra Carta! Due giudici, a disposizione dei politici, possono spostare i delicati equilibri della Corte.

In verità si tratta di una norma che la Camera aveva giustamente eliminato in un momento di lucida coscienza, in questi giorni ricomparsa al Senato come il terzo degli emendamenti proposti dal Governo per trovare l’accordo con la minoranza Pd. E questa, inspiegabilmente, ne sembra soddisfatta. È augurabile che una competenza dalle implicazioni tanto pericolose sparisca di nuovo quando il testo tornerà alla Camera.

Il nodo politico di fondo – la rappresentatività democratica del parlamento se non addirittura la sorte del ‘popolo sovrano’ – emerge più chiaro guardando al complesso delle riforme, in particolare guardando la riforma del Senato e la nuova legge elettorale insieme. Una legge approvata con forzature procedimentali evidenti e senza un reale confronto, che distorce la volontà degli elettori attraverso l’attribuzione di un ingente premio, e così alterando l’esito del voto, può consentire ad una minoranza esigua di impadronirsi di tutte le istituzioni, comprese quelle di garanzia. Parlo di una minoranza esigua perché la soglia del 40% richiesta per ottenere il premio è solo un ingannevole schermo; se nessun partito la raggiunge, non avviene come disponeva la ‘legge truffa’ del 1953, che nessuna ‘coalizione’ (altra essenziale differenza) goda del premio e ciascuno abbia i seggi corrispondenti ai voti ottenuti. Con la legge attuale i due partiti più votati partecipano comunque al ballottaggio, qualunque percentuale abbiano raggiunto; uno dei due necessariamente supererà l’altro ottenendo il premio in seggi e il dominio su tutti, pur avendo un consenso elettorale bassissimo.

Senza una soglia per partecipare al ballottaggio e senza possibilità di coalizzarsi, un solo partito prende tutto in nome della stabilità, della governabilità, della velocità del ‘decidere’: ma la stabilità prodotta artificialmente da meccanismi elettorali creati per tacitare il dissenso e nascondere le fratture sociali serve solo a portarci fuori dalla democrazia costituzionale. Si annullano le voci, non le fratture, mentre è il divario tra le persone e tra le fasce sociali a mettere a rischio la stabilità del sistema politico; ed è questo divario che si dovrebbe colmare, come la Costituzione esige, attraverso la ‘solidarietà’ se si vuole una stabilità che non sia fittizia.

Tirando le somme: i cittadini non eleggono più il Senato; nell’elezione della Camera la loro volontà viene distorta ed ha scarsissimo peso; nelle Province abolite, che in realtà sopravvivono, abolito è solo il Consiglio provinciale, vale a dire l’organo elettivo!

Dal processo riformatore in corso il popolo esce privo di voce, esce sconfitta la democrazia: nulla “giustifica la sostituzione della definizione di democrazia come governo del popolo con una definizione dalla quale il popolo, come potere attivo, sia eliminato o sia mantenuto soltanto come fattore passivo in quanto è richiesta da parte sua l’approvazione di un leader, comunque espressa”. Sono parole di Hans Kelsen, grande giurista democratico del secolo scorso. Da poco le ho ricordate in altra sede; mi sembra di doverle, ancora una volta, ricordare.

(Lorenza Carlassare, Professore emerito di Diritto costituzionale nell’Università di Padova, fa parte del Consiglio di Presidenza di LeG, fonte)

E se Franceschini stesse facendo più danni di Bondi?

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Mi è capitato ieri, per lavoro, di ascoltare le parole del comitato organizzatore della manifestazione di questo sabato 7 maggio a Roma (trovate tutte le informazioni qui) per cui alcune persone diversamente impegnate nell’ambito della cultura, dello spettacolo e dei beni culturali hanno deciso di impegnarsi per aprire un dibattito pubblico sulle conseguenze della riforma del Ministro Franceschini  oltre che sui decreti d’attuazione dello Sblocca Italia e della legge Madia. Tomaso Montanari (che è stato uno dei primi ispiratori della manifestazione) mi spiega che stiamo assistendo (accorgendocene pochissimo) ad una premeditata azione di smontaggio dell’articolo 9 della Costituzione.

«La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.»: il 9 è uno di quegli articoli a cui non prestiamo attenzione, dandolo per scontato senza nemmeno immaginare quanta fatica ci sia dietro alla salvaguardia, alla protezione e alla tutela. Che mica per niente sono i verbi di un buon padre di famiglia. E mentre questi professionisti raccontano con passione quasi devota come s’indebolisca la bellezza attraverso i perversi effetti di commi che loro riescono a rendere subito copioni quotidiani mi sono reso conto, guardandoli, di quanta poca attenzione dedichiamo a quelli che hanno chiamato “magistratura indipendente della tutela del territorio”.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Dieci bugie sul referendum

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Le ha smascherate Alessandro Gilioli su suo blog:

1. «Al referendum si vota per abolire il Senato».
Falso. Il Senato, seppur ridotto di poteri e per numero di senatori, continuerà a esistere, nello stesso Palazzo in cui si trova. Sembra ovvio, ma solo pochi giorni fa una tivù nazionale ha mostrato un cartello secondo il quale si sarebbe votato «per abolire il Senato». Lo stesso Renzi oggi a Firenze ha detto testualmente che «non esisteranno più i senatori», un’evidente falsità.

2. «Con la riforma si faranno le leggi più in fretta».
Falso. A parte le materie in cui il Senato mantiene funzione legislativa paritaria (“leggi bicamerali”), negli altri casi il Senato può proporre modifiche per una seconda lettura alla Camera e in molti casi la Camera, per approvare le leggi senza conformarsi al parere del Senato, deve poi riapprovarle a maggioranza assoluta dei suoi componenti (non basta quella dei presenti in aula). In tutto, sono una decina le diverse modalità possibili di approvazione di una legge. Il che porterà non solo a una serie di rimpalli, ma soprattutto a conflitti sulla tipologia a cui appartiene una proposta di  legge, quindi sul suo iter.

3. «Il nuovo Senato abbatterà i costi della politica».
Parzialmente falso e di sicuro molto esagerato. I risparmi consistono nel fatto che i nuovi senatori (in quanto consiglieri regionali o sindaci) non saranno pagati per le loro funzioni senatoriali, ma avranno comunque le spese di trasferta a Roma dalle Regioni di provenienza e probabili forme di rimborso. Il personale di palazzo Madama che non resterà al Senato verrà trasferito. Si calcola ottimisticamente che il risparmio sulle spese oggi a carico di Palazzo Madama sarà di circa il 20 per cento rispetto alle spese attuali. Una riforma che avesse avuto come obiettivo il risparmio sui costi della politica avrebbe potuto dimezzare il numero complessivo dei parlamentari (315 deputati e 150 senatori, totale 450) ottenendo risparmi molto maggiori. Con questa riforma i parlamentari stipendiati restano infatti 630 (i deputati), più i rimborsi e le trasferte a Roma dei 100 senatori.

4. «Il nuovo Senato non sbilancia i contrappesi democratici».
Falso, se combinato con l’Italicum. La legge elettorale per la Camera (Italicum) assegna al partito vincente e al suo leader il controllo di 340 seggi. Data l’assenza di un’altra Camera con funzioni legislative altrettanto forti, ne consegue un accentramento di potere nelle mani dell’esecutivo e del premier. Inoltre nelle elezioni in seduta comune con i senatori (ad esempio per la scelta del Presidente della Repubblica e dei membri non togati del Csm) questo meccanismo consegna al premier un potere molto maggiore. La possibilità che il Quirinale diventi un’espressione più diretta della sola maggioranza rende a sua volta maggiori i poteri del premier anche nell’elezione dei giudici della Consulta: la maggioranza di governo ne esprimerebbe direttamente 3 (tramite la Camera) e altri 5 attraverso il Presidente della Repubblica (se questi fosse espressione della sola maggioranza), più altri 2 se la maggioranza al Senato è la stessa che c’è alla Camera. Quindi su 15 giudici della Consulta un numero tra 8 e 10 (su 15) rischia di essere scelto direttamente o indirettamente dalla maggioranza di governo.

(continuano qui)