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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La donna che ha tolto il sonno a Roberto Maroni

maroni

Forse è la legge del contrappasso: dopo anni in cui Maroni è riuscito a proiettare un’immagine di incorruttibile nemico di mafie e corruzione (ha vestito i panni del ministro dell’Interno con la calzamaglia del quasi supereroe e ha agitato le scope in casa della Lega) alla fine si ritrova, da presidente della Lombardia, a fare la conta degli arresti. Il primo è stato il suo vicepresidente Mario Mantovani e la Lega ha avuto gioco facile nello scaricare tutte le responsabilità sugli alleati di Forza Italia, ma negli ultimi giorni lo scossone è tutto in salsa verde: Fabio Rizzi è il “padre” della riforma sanitaria in Lombardia, quella “rivoluzione leghista” che avrebbe dovuto portare la Regione fuori dalle acque torbide del formigonismo. E invece niente: Rizzi, il consigliere regionale, è stato arrestato e con lui finiscono in manette anche l’imprenditrice Maria Paola Canegrati, attiva nel campo dell’odontoiatria privata, nonché la moglie di Rizzi, un suo collaboratore e la sua compagna, oltre che una decina di funzionari pubblici ovviamente asserviti. La solita bava, insomma: un servizio pubblico che si piega agli interessi privati ungendo i burocrati con le giuste mazzette. Altro che “cambio di passo”: la sanità lombarda ha lo stesso odore degli ultimi anni solo con un po’ di più di salsa al prezzemolo.
Ma come è cominciato l’incubo di Maroni? Questa volta la denuncia arriva dall’interno, l’esposto da cui è partita l’operazione Smile ha un nome e un cognome: Giovanna Ceribelli.

(l’articolo continua qui)

Se questo è un manager

Insomma ci hanno detto che Beppe Sala avrebbe di buono il fatto di essere bravo con i conti. E invece alla fine non tornano nemmeno quelli. Ma esattamente, quindi, perché bisognerebbe appoggiarlo? Ecco l’articolo di Gaia Scacciavillani:

«Il candidato sindaco di Milano del Pd, Giuseppe Sala, ha un bel dire che non c’è nessun buco Expo. La società che ha gestito l’esposizione universale meneghina ha chiuso il 2015 con un rosso di 32,6 milioni di euro. A smentire Sala è lo stesso Sala. O meglio, il consiglio di amministrazione di Expo 2015 da lui guidato, che lo scorso 18 gennaio ha messo nero su bianco la cifra in una relazione che è stata discussa dai soci il 9 febbraio scorso. Dieci giorni dopo la data inizialmente prevista, il 29 gennaio a ridosso delle primarie del Pd che hanno incoronato Sala candidato sindaco di Milano, poi spostata su indicazione del ministero dell’Economia.

Nel documento si legge anche che “in considerazione delle spese strutturali previste nei primi mesi del 2016 (quantificabili in 4 milioni mensili), è probabile una ricaduta nelle previsioni dell’articolo 2447 del codice civile durante il mese di marzo”. Il che significa, in altre parole, che secondo i calcoli del consiglio guidato dallo stesso Sala, da febbraio 2016 le disponibilità liquide di Expo 2015 si sono esaurite, ma non le spese. E andando avanti così, è sempre la stima del cda, è prevedibile che entro il mese prossimo la società arrivi ad accumulare perdite superiori a un terzo del suo capitale. Una situazione in cui la legge impone l’abbattimento del capitale stesso e il suo contemporaneo aumento per riportarlo al minimo legale.

La scivolosità della situazione non è sfuggita al collegio sindacale di Expo 2015 che, nel corso dell’assemblea che due settimane fa ha deliberato la messa in liquidazione della società, ha chiesto “chiarezza in relazione alla necessità di risorse per la liquidazione” stessa. Tanto più che anche Sala ha confermato che “le risorse sono sufficienti per le prossime 3-4 settimane”  e che “è importante rendere chiara la situazione al nominato organo di liquidazione”. Anche perché i liquidatori freschi di nomina – il prorettore della Bocconi Alberto Grando, Elena Vasco (Camera di Commercio), Maria Martoccia (ministero Finanze) e i confermati Domenico Ajello (Regione Lombardia) e Michele Saponara (Città Metropolitana) per i quali è stato fissato un compenso complessivo di 150mila euro – hanno 90 giorni per elaborare un progetto di  liquidazione. Per la scadenza, però, stando alle stime del cda, Expo 2015 avrà una carenza di liquidità di oltre 80 milioni di euro.

Nel frattempo, però, è imminente una finalizzazione degli accordi con Arexpo sulla gestione delle aree fino a giugno 2016, quando i terreni torneranno sotto l’ala della società in cui sta facendo il suo ingresso il Tesoro. Le indicazioni dei soci di Expo 2015 ai liquidatori sono inequivocabili, in quanto auspicano “il compimento di una attività di rivitalizzazione di parti del sito Expo 2015 nella fase transitoria dello smantellamento del sito stesso, attuato preservando i valori del sito medesimo, secondo principi di sinergia fra le società Expo 2015 S.p.A. e Arexpo S.p.A., nel rispetto delle funzioni proprie di ciascuna delle due società”. I liquidatori, quindi, sono invitati ad individuare, tra i principali criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione, quelli preordinati alla realizzazione “di eventuali sinergie e collaborazioni tra Expo e Arexpo S.p.A;  anche con riferimento alla fase convenzionalmente denominata Fast Post Expo“. Cioè  l’evento previsto in concomitanza con la ventunesima Triennale Internazionale di Milano, tra aprile e settembre, che dovrebbe utilizzare l’area del Cardo.

Il punto non è secondario. Secondo i calcoli del vecchio cda di expo, infatti, per il 2016 la società ha bisogno di 58,3 milioni di euro: 39,6 per lo smantellamento e 18,7 per la chiusura dell’azienda. La somma andrebbe chiesta pro quota ai soci (pubblici) di Expo. Ma grazie al Fast Post Expo può essere ridotta di 19,5 milioni con il “ribaltamento dei costi sostenuti ad Arexpo”. E così agli azionisti di Expo toccherebbe sborsare “solo” 38,8 milioni: al ministero dell’Economia toccherebbero 15,5 milioni, alla Regione e al Comune 7,8 a testa, mentre la Provincia e alla Camera di Commercio ne dovrebbero versare 3,9 ciascuna. Resta da capire quanto costerà l’operazione sul lato Arexpo i cui soci, dopo l’ingresso del Tesoro, saranno ancora una volta lo Stato, la Regione e il Comune, oltre alla Fondazione Fiera Milano pur destinata a diluirsi fortemente.»

 

Quella brutta storia del ristorante della mafia a Rescaldina

L’articolo di Luigi Crespi. Per vostra informazione, sarò proprio al Ristorante La Tela sabato 19 marzo.

GN4_DAT_8144518«Te lo ricordi questo? Era il ristorante che c’hanno levato. Adesso ce l’abbiamo qua, eccolo! Era uscito sul giornale, l’hanno fatto qualche metro più in là, hai capito?».

Il messaggio è più che chiaro, e conferma quello che in paese tanti sospettavano da tempo. Cinque anni per togliere un locale alla ‘ndrangheta, altri quattro per assegnarlo alle associazioni che lo stanno facendo rivivere grazie a un coraggioso progetto; ma intanto la mafia se la ride, perché il locale chiuso è già stato riaperto un po’ più in là. Altro nome, altra società. Almeno formalmente anche un altro proprietario, che ora però risulta indagato per intestazione fittizia. Di fatto, a Rescaldina è cambiato poco.

Questo almeno è quello che racconta l’ordinanza di custodia cautelare eseguita a conclusione dell’inchiesta con cui la Direzione distrettuale antimafia di Milano ha smantellato la locale di Mariano Comense arrestando un totale di 26 persone. Tra gli arrestati anche Francesco Salvatore Medici, residente a Rescaldina e fratello di quel Giuseppe Antonio Medici che faceva il cuoco al ristorante Re Nove sulla Saronnese. Giuseppe era stato arrestato nel 2010 nell’ambito dell’inchiesta Infinito, ma già quattro anni prima la Dda aveva chiesto e ottenuto il sequestro del locale, poi confiscato nel 2011. Locale simbolo, il Re Nove. Nel dicembre 2011, inaugurando la sede milanese dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, l’allora ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri ne aveva idealmente consegnato le chiavi al sindaco  Paolo Magistrali.

La villa a tre piani tolta alla mafia era stata ufficialmente restituita agli italiani, ma perché le promesse fossero mantenute ci sono voluti altri quattro anni. Terminati i restauri, finanziati con 175mila euro da Regione Lombardia, la nuova giunta di Michele Cattaneo aveva organizzato un bando di gara per affidarne la gestione. Aveva vinto una cordata di associazioni guidata da Giovanni Arzuffi della Cooperativa Arcadia, il 5 dicembre scorso grande festa per l’inaugurazione dell’Osteria sociale La Tela. Finalmente sulla Saronnese si volta pagina.

Peccato che nel frattempo i Medici si fossero già riorganizzati riaprendo un’altra attività poco lontano. In paese la cosa non era passata inosservata, anche perché la situazione era stata pubblicamente denunciata già nel 2012 dal consigliere regionale Giulio Cavalli. Da allora il nuovo locale ha cambiato nome, e almeno sulla carta anche proprietari. Adesso però a confermare sia la continuità della gestione che la fondatezza dei sospetti ci sono le intercettazioni che il Gip Andrea Ghinetti ha riassunto nell’ordinanza eseguita la scorsa settimana. Nel giugno 2014 Medici parla con un parente mentre sta guidando la sua auto sulla Saronnese: i carabinieri avevano piazzato una cimice sulla macchina, e l’intera conversazione è agli atti. Passando davanti al Re Nove, che all’epoca era chiuso, il boss di Rescaldina si sfoga: «Te lo ricordi questo…».

Ma poi una frazione dopo si prende la rivincita: «Adesso ce l’abbiamo qua, eccolo!». Per capire il “qua” i carabinieri hanno rilevato la posizione dell’auto in quel momento, poi hanno fatto le loro verifiche su una serie di locali, arrivando a identificare e denunciare il presunto prestanome. La battaglia continua.