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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Diecimila bambini

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“Questa è una vera strage degli innocenti. Su 300mila morti oltre 10mila sono bambini, senza parlare di quei bimbi che muoiono annegati o rimangono sotto le macerie dopo un bombardamento. Deve cessare questa strage. Quelli che soffrono di più sono i bambini e le donne”. Lo ha detto il nunzio apostolico a Damasco, monsignor Mario Zenari, in un’intervista a inBlu Radio, network delle radio cattoliche italiane. Diecimila bambini. Anche al chilo è una tragedia che fa spavento.

Sempre lui: Pietrogino Pezzano

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(Ci conosciamo bene io e Pietrogino, sempre in odor di mafia. Per farvi un’idea vi basta leggere qui. L’ho combattuto fino alle sue dimissioni e di mezzo è saltato anche un Prefetto. Ora torna alla ribalta):

Da una parte il Dobermann, dall’altra Mandrake, in mezzo il ricco business dell’odontoiatria pubblica in Regione Lombardia, tra appalti pilotati, tangenti e un servizio pubblico scadente, a detta degli stessi indagati nelle intercettazioni.
Sembra un fumetto della Marvel, è in realtà l’inchiesta Smile della procura di Monza che ha portato in carcere oltre al padre della riforma sanitaria lombarda Fabio Rizzi, uomo di fiducia del governatore Roberto Maroni, anche Maria Paola Canegrati detta Paoletta, titolare di una miriade di aziende con appalti negli ospedali da Milano a Brescia fino a Desio e Bergamo.
DOBERMANN E MANDRAKE. Il dottor Dobermann è Pietro Gino Pezzano da Palizzi.
Paoletta è invece Mandrake, come si definisce in un’intercettazione contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare.
I due, a quanto pare, facevano coppia anche in privato.
Lui non è indagato, ma compare spesso nelle carte degli investigatori.
Lei invece è in carcere con l’accusa di associazione a delinquere, turbativa d’asta e riciclaggio.

(continua qui)

«Io mi sento ‘nnocente e affavvore dellallegalità»

Guardatevi questo video:

Lui è Giambalvo, appena tornato ad essere consigliere comunale a Castelvetrano. Sua vicenda si è mosso anche Claudio Fava (la notizia è qui). Per capire chi è il personaggio in questione basta riprendersi questo bell’articolo di Tp24:

L’ultima “apparizione” politica è stata pochi giorni prima delle elezioni amministrative a Campobello di Mazara. Da quelle parti, oltre che nella sua vicina Castelvetrano, Calogero Giambalvo è molto conosciuto. “Lillo”, così lo chiamano tutti, è tra i sedici arrestati nell’operazione Eden 2 che ha fatto ancora una volta terra bruciata attorno al super latitante Matteo Messina Denaro. Giambalvo è consigliere comunale a Castelvetrano da qualche mese. E’ entrato in consiglio dopo due elezioni andate a vuoto. Nel 2007 si candida nella lista dell’attuale deputato regionale Giovanni Lo Sciuto, e per pochi voti non diventa consigliere. La storia si ripete nel 2012, quando con l’ex Fli tenta ancora la corsa al consiglio comunale. Niente, termina la corsa risultando il primo dei non eletti. Ma un rimpasto di giunta e la nomina ad assessore del consigliere Giuseppe Rizzo lascia a Giambalvo la possibilità di entrare in consiglio comunale. Aderisce subito ad Articolo 4 di Paolo Ruggirello. E proprio con il deputato regionale all’Ars sarebbe stato intercettato nei giorni precedenti le elezioni di Campobello. Le microspie dei Ros avrebbero reistrato una conversazione tra i due. Con il consigliere comunale che gli avrebbe chiesto di seguirlo in auto per parlare con una persona. Ruggirello, guardingo, chiede chi fosse. E Giambalvo avrebbe risposto: “E’ uno condannato a vent’anni, cchiù mafiusu i mia”. Potrebbe essere una battuta, ma arriva proprio pochi giorni prima del blitz dei Ros. Con Giambalvo che finisce in carcere proprio con l’accusa di essere organico all’associazione. Chissà cosa pensava a fine ottobre quando a Castelvetrano si teneva un consiglio comunale aperto contro la mafia, dove il presidente della Regione Rosario Crocetta diceva, provocando non pochi mugugni, che in Sicilia non c’è consiglio comunale che non abbia al suo interno esponenti della mafia. Pensava, magari, che non parlava di lui. Tra estorsioni, raid punitivi, e confidenze fatte ad altri politici, Giambalvo , però, viene intercettato diverse volte nel corso dell’ultimo anno. Viene accusato di estorsione e di aver imposto ad operatori commerciali della zona l’acquisto di bibite presso la propria azienda. Si sarebbe adoperato per sistemare gli appalti per il nuovo centro commerciale “A29”, a cui dovevano partecipare aziende vicine a Girolamo Bellomo, ambasciatore di Messina Denaro a Palermo. Ma non solo. I suoi colloqui, svelano tante altre cose.

1416855018-0-nell-eden-di-messina-denaro-lillo-giambalvo-il-consigliere-comunale-che-incontro-il-bossQuegli incontri emozionanti con Matteo e “don Ciccio” Messina Denaro.
“Abbracci e pianti”. Una scena che Raffaella Carrà non avrebbe saputo confezionare. Siamo tra il 2009 e il 2010, e nelle campagna di Castelvetrano, dalle parti di contrada Zangara, Lillo Giambalvo si sarebbe incontrato proprio con il super latitante Matteo Messina Denaro, il capo di Cosa nostra. La circostanza la racconta lo stesso Giambalvo a Francesco Martino, un altro politico. Martino è infatti consigliere comunale dell’Udc e ascolta con partecipazione i racconti del collega. Assieme rievocano i bei tempi che furono. I rapporti con i Messina Denaro, da quello che emerge dall’inchiesta, erano solidi da tempo. Da quando era in vita il vecchio don Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo, morto nel 1998. In una conversazione intercettata dalle cimici dei Ros Giambalvo racconta dell’ultima volta che ha incontrato don Ciccio Messina Denaro: “portava il fazzoletto attaccato, gli faceva due scocche, sempre il fazzoletto portava lo zu Ciccio. Cappello, coppola e fazzoleto al collo. Io l’ho visto prima di morire. Ti pare dove era all’Africa? Qua dentro il paese era! Restando tra di noi, io lo vedevo tutte le settimane”. E racconta di un fatto accaduto pochi mesi prima che il vecchio boss di Castelvetrano morisse ancora latitante: “Un tre mesi prima di morire, io ci sono andato alla casa per scaricare tronconi.Mentre scaricavo tronconi, minchia c’era un profumo di caffè. Entra, ‘Lillo prentiti il caffè’, oh zu Cicciu assabenerica, minchia ci siamo abbracciati e baciati, io ogni volta che lo vedevo mi mettevo a piangere perchè… mi smuvia..” Poi aggiunge il consigliere comunale che in quell’occasione è dovuto scappare: “Lilluzzo ma tu sei cresciuto, tutta posto, mi faceva quattro domande, mi diceva quattro minchiate per dire ci prendiamo il caffè, allora tutto assieme mi sento dire così, senti qua, viene una delle sue figlia e mi dice: Lillo vattene escitene con questo trattore da qua dentro, stanno venendo a fare perquisizione, corri, scappa, vattene Lillo, vattene di corsa, minchia salgo sopra il trattore, esco con il trattore e con il rimorchio, loro di colpo chiudono il portone, minchia sono arrivati 1000 sbirri Ciccio… non l’hanno trovato! Ti giuro, che non devo vedere i miei figli, io ho fatto tutta la via, da Castelvetrano a Zangara a piangere mi sono detto lo hanno arrestato…”. Invece Ciccio Messina Denaro non è stato mai preso vivo, i suoi familiari lo hanno fatto trovare già pronto e vestito per il suo funerale dopo il decesso da latitante. Martino, che ha seguito il racconto quasi in silenzio, è rimasto rincuorato. I “mille sbirri” non hanno trovato il vecchio boss, e lui: “meno male!”. 
Giambalvo a Martino confida di aver incontrato tra il 2009 e il 2010 anche Matteo Messina Denaro“Ero a Zangara a caccia, loro raccoglievano olive, ho preso una lepre che era quattro chili e sei, e l’avevo nel tascapane nella giacca che mi usciva metà di qua e metà di qua, prendi, mentre camminavo, lui (Matteo Messina Denaro, ndr) andava da mio zio Enzo. Mio zio gli ha detto, se vuoi andare a sparare vai a sparare, mio nipote sopra l’ho sentito sparare può darsi che qualche coniglio lo ha preso dice, acchianaci, minchia lui sale a piede da solo come un folle, io non lo avevo riconosciuto a primo acchitto, era invecchiato, mi sono detto, ma questo perchè minchia mi cappina appresso, poi ho fatto che mi sono nascosto nella spalliera nelle filara e mi sono buttato sotto le zucche, minchia lui salendo a me andava cercando, lui perchè non mi ha visto più poi ma quando è arrivato mi ci sono alzato, abbiamo fatto mezz’ora di pianto tutti e due. Lillo come sei cresciuto? Lillo, e io mezz’ora di pianto, e mi voleva fottere la lepre con questa piangiuta, ma io gli ho detto ‘stiamo facendo mezz’ora di pianto e ti stai fottendo la lepre gli ho detto…”. Quello che Giambalvo ha raccontato all’amico è tutto da verificare, se effettivamene il consigliere comunale si è incontrato col boss. E anche se, come confida a Martino, ci ha pensato direttamente “diabolik” a dirimere una questione tra Giambalvo e un altro soggetto: “Ci fu un periodo che lui (Matteo Messinda Denaro, ndr) qua tutte le settimane lo vedevo pure, quando fu dell’ingrosso qua da me, non me l’ha sbrigata lui la matassa? Lui me l’ha sbrigata. Quando fu del mio ingrosso, loro sono andati a cercare “cristiani” io non sono andato a cercare nessuno solo a uno io sono andato a cercare. Sono andato alla “testa dell’acqua”…”. Giambalvo per Matteo farebbe di tutto: “Se io dovessi rischiare 30 anni di galera per nasconderlo rischierei! La verità ti dico! Ci fossero gli sbirri qua? E dovessi rischiare a mettermelo in macchina e fallo scappare io rischierei. Perche io ci tengo a queste cose”


“E’ finita la festa”

Eden 2 è il seguito dell’operazione scattata a Castelvetrano nel dicembre 2013, e che porto in carcere 30 persone fedelissime a Messina Denaro. Tra queste anche diversi parenti, tra cui la sorella del boss, Patrizia. L’indomani del blitz Giambalvo è molto dispiaciuto, entra in panico al solo pensiero che potessero arrestare Girolamo Bellomo, indicato, nell’operazione della scorsa settimana, al vertice del gruppo di fiancheggiatori della primula rossa e suo ambasciatore per le cose palermitane. Giambalvo, si sfoga con suo cognato, Daniele Notarnicola: “Minchia a Patrizia si sono portati? Minchia che cose tinte. Ma come si fa? Ma non se ne può più vero picciotti. Minchia non se ne può vero picciotti miei. Ti faccio vedere che hanno arrestato a Nino Amaro, il fratello di Aurelio. No Alfredo, Nino! Bada tutto a lui lì. Ti faccio vedere che si sono portati a Nino. Ti faccio vedere che si sono portati ad Aurelio, non ci credi tu? Minchia “nzama Dio” mi dispiace troppo assai. Già sto male per patrizi. Minchi ma come si fa, ma come si fa ma come dobbiamo fare? E’ finita la festa. Ma se buttana dell’inferno si fa veramente cose…speriamo u signuruzzu che non ci nuocciono…ma cme si fa, ma come si fa picciotti mei, minchia non si coglionia più picciotti non c’è niente da fare. Minchia ti faccio vedere che si sono portati a Santo Clemente a Luca (Bellomo, ndr) minchia… se si sono portati a Luca tutti consumati siamo, tutti consumati, la terza guerra mondiale succede. Se si sono portati a Luca”. Giambalvo con il suo interlocutore fa i nomi di alcune persone che saranno poi arrestate nel corso di Eden 2. Come i Cacioppo: “ci dovrebbero essere drocu in mezzo. Tu pensi che non li prendono in considerazione? Ma secondo quello che gli hanno fatto fare…”. A Giambalvo la notizia del blitz ha scioccato: “magari a me mi si è svuotato lo stomaco”. E ripete, sempre, “ma come dobbiamo fare?”.

Quell’infame di Cimarosa
E come dobbiamo fare con quel Lorenzo Cimarosa, membro della famiglia Messina Denro, che ha deciso di spifferare tutti i segreti della cosca di Castelvetrano? Non si dà pace Lillo Giambalvo a colloquio con il cognato: “Minchia se ti racconto l’ultima. Cimarosa collaboratore di giustizia! Lorenzo Cimarosa! Minchia!! E’ su internet cose tinti picciotti miei. Tu te lo immagini? Troppo tinta la parte è! Io non capisco più niente…boh…ha detto che in due mesi gli ha dato 60 mila euro a Patrizia per portarli a suo fratello…a tutti consuma chissu… la prima volt se l’è fatta bello sereno la galera e ora si scantà”. Giambalvo però l’avrebbe la soluzione: “si fussi iè Matteo appena iddu….accussì latitante iè ci ammazzassi un figghiu…e vediamo se continua a parlare…perchè come si fa? Minchia chiuddu di dintra! Ehh iddu docu…tutti possono parlare tranne lui!!” E Giambalvo sembra auspicare un intervento di cosa nostra: “se lo devono bloccare s’hanna smuovere”. Non sa di essere intercettato. E non sa che l’operazione Eden scatta anche con le confidenze fatte da Cimarosa.

La spedizione punitiva.
Lillo Giambalvo è uomo di sentimenti. Si mette a piangere con i Messina Denaro, gli si smuove lo stomaco venendo a conoscenza dell’ennesimo blitz antimafia nella sua città. Ma è anche persona di sostanza, di maniere forti. Perchè, quando c’è da recuperare l’oro rubato della madre di Matteo Messina Denaro a casa di Beppe Fontana, lui si mette subito a disposizione per la spedizione punitiva nei confronti del ladro. Alla spedizione punitiva chiesta da Fontana, come emerge dalle intercettazioni disposte dalla Dda, ha partecipato anche il consigliere comunale Giambalvo, che ai suoi amici spiegava un po’ i fatti: “ma io non ci credevo che campava picciotti, io che campava non ci credevo…e tannu ho buttato il maglione nuovo… e l’hanno lasciato morto al kartodromo, poi l’hanno salvato, ma gli ha fotttuto 60 mila euro d’oro, alla madre di Matteo… 60 mila euro d’oro, tutto, proprio da lei, l’oro pure della signora Lucia avevano preso”. Stavano parlando della madre del latitante e di Lucia Panicola, suocera di Patrizia Messina Denaro. E sulle condizioni di Massimo Angileri, il pregiudicato che aveva osato rubare l’oro della famiglia: “ancora in prognosi riservaga, l’hanno lasciato morto, una costola sana non gli è rimasta, le gambe rotte in tre parti e non sappiamo se rimane sulla sedia a rotelle, le praccia rotte, spalle cadute, testa spaccata…”.

Bobo Ramazza

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È un capolavoro politico quello di Maroni: è riuscito a scontentare CL, il Nuovo Centrodestra, i leghisti più salviniani (Salvini incluso) e i “formigonini sempre in piedi” senza riuscire a debellarli.

Poi oggi cade sul suo uomo di fiducia che sembra essere subito “entrato” nell’ottica storica della sanità lombarda: il ladrocinio.

Insomma arrestava i mafiosi (diceva lui) e non riesce nemmeno ad accorgersi dei mariuoli. Bravo Maroni: alla fine sei riuscito nel miracolo di riabilitare Umberto Bossi e passare Salvini come uno statista. Ora non ti resta che resistere e gridare al complotto: poi sei il Presidente di Lombardia perfetto.

Eh, sì, con Maroni è proprio cambiato tutto

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Un nuovo scandalo sulla sanità si abbatte sulla Regione Lombardia, scatenando un vero e proprio terremoto. In manette finisce Fabio Rizzi, 49 anni, ex senatore, plenipotenziario di Maroni per la sanità e ‘padre’ della riforma della sanità lombarda, provvedimento di cui il governatore lombardo si è detto più volte fiero.

Perquisizioni in Regione. Era in corso la commemorazione delle vittime delle forze dell’ordine quando si sono presentati i carabinieri del Comando provinciale: si sono diretti nell’ufficio di Rizzi e hanno iniziato a perquisirlo. Erano gli investigatori dell’operazione ‘Smile’ che ha portato in carcere o ai domiciliari altre 19 persone oltre a Rizzi e alla sua compagna. Undici sono i funzionari pubblici raggiunti dai provvedimenti della procura di Monza. Avrebbero favorito alcuni gruppi imprenditoriali specializzati in servizi e forniture dentistiche che lavoravano in outsourcing all’interno di ospedali pubblici lombardi.

Maroni riunisce la maggioranza. Il governatore ha chiamato a raccolta tutta la maggioranza. Nel primo pomeriggio a Palazzo Lombardia, Maroni ha convocato tutti i capigruppo e i capi delle delegazioni in giunta. La seduta della commissione sanità prevista per domani potrebbe essere cancellata. La notizia dell’arresto è stata commentata così da Raffaele Cattaneo (Ncd), presidente del Consiglio regionale: “C’è sgomento e tristezza. Da un punto di vista istituzionale è un altro colpo alla credibilità del Consiglio che stiamo cercando di recuperare”. Il precedente scandalo in ambito sanitario è di pochi mesi fa: era ottobre, infatti, quando in carcere era finito Mario Mantovani, ex vicepresidente della Regione ed ex assessore alla Sanità. Gli investigatori lo accusavano di gare pilotate, anche sui dializzati.

Il Tweet del governatore. Ironia della sorte ha voluto che i primi tweet della giornata di Maroni fossero a commento della rassegna stampa del settore sanità. Commentando un paio di articoli, uno sul pronto soccorso pediatrico, l’altro sulle cure dei malati cronici, il governatore aveva coniato l’hashtag #sanità eccellente in Lombardia.

Un nuovo pronto soccorso a misura di bambino: #sanità eccellente in @LombardiaOnLine pic.twitter.com/kufDqe8zh2

— Roberto Maroni (@RobertoMaroni_) 16 Febbraio 2016

L’inchiesta. E’ condotta dal tribunale di Monza e si muove sull’ipotesi dell’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, alla turbativa d’asta e al riciclaggio. Al centro dell’operazione c’è un gruppo imprenditoriale accusato di aver turbato in proprio favore l’aggiudicazione di una serie di appalti pubblici banditi da varie aziende ospedaliere per la gestione, in outsourcing, di servizi odontoiatrici, corrompendo i funzionari preposti alla gestione delle gare. É stato il componente di un collegio sindacale di un’azienda ospedaliera a far partire le indagini. “Sono quattro gli imprenditori che si sono aggiudicati importanti gare d’appalto per la gestione dei servizi odontoiatrici nel territorio lombardo, su cui ha indagato il Nucleo Investigativo di Milano – ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri di Milano, colonnello Canio Giuseppe La Gala – le gare di appalto pubbliche venivano vinte illecitamente da questo gruppo con la complicità di undici funzionari pubblici. Gli arresti sono stati eseguiti prevalentemente nelle province di Milano, Monza, Como, Bergamo e Varese”.

Le persone coinvolte. In carcere è finito anche un imprenditore vicino a Rizzi, Mario Valentino Longo: i due erano anche soci in un’impresa comune. Come per Rizzi, anche la moglie di Longo è agli arresti domiciliari.

(fonte)

Desio, Forza Italia e la mafia

Un gran lavoro di Mario Portanova:

Nuova-Forza-Italia-2Non è stato necessario neppure un articolo, è bastata la domanda di un giornale locale. E il vicecoordinatore di Forza Italia a Desio, alle porte della Brianza, ha scelto di dimettersi. Il motivo? Christian Marrone appartiene a una famiglia che vede diversi componenti pesantemente coinvolti nelle inchieste su ‘ndrangheta e politica nella cittadina in provincia di Monza. E se vale sempre il principio che le colpe dei padri non ricadono sui figli, la sua presenza ai vertici del partito berlusconiano ha suscitato più di una perplessità, dato che nel 2010 la storica giunta Lega-Pdlcadde sull’onda dell’inchiesta Inifinito sulla ‘ndrangheta in Lombardia, e il cognome dei Marrone ricorreva in quelle carte. Le stesse in cui si leggeva che  a Desio la ‘ndrangheta era arrivata a “permeare i gangli della vita politica comunale” e i boss locali “possono contare su esponenti di rilievo della vita pubblica per risolvere problemi e ottenere vantaggi all’interno della pubblica amministrazione”.

Christian Marrone, mai sfiorato dalle inchieste, è stato eletto vicecoordinatore cittadino di Forza Italia nel luglio 2015, quando erano già note da tempo le vicende che coinvolgevano i suoi familiari. Ignazio, cugino del padre di Christian, nel processo Infinito è stato condannato in via definitiva per detenzione di armi, ricettazione e danneggiamento aggravato. Nell’ordine di custodia della storica inchiesta firmata da Ilda Boccassini e dal pm monzese Salvatore Bellomo compariva anche un altro cugino, Natale Marrone, consigliere comunale Pdl. Natale aveva pensato bene di contattare un noto boss locale, Candeloro Pio (poi condannato definitivamente per associazione mafiosa) per chiedergli di “esperire un’azione violenta”, scrivono i pm di Infinito, nei confronti di Rosario Perri (big locale di Forza Italia, assessore provinciale prima di incappare anche lui in guai giudiziari). Ma si era sentito rispondere che Perri non poteva essere toccato in quanto “appoggiato da persone di rispetto”. Natale Marrone si dimise dal consiglio scusandosi per il “momento di rabbia”.

Queste vicende non hanno impedito l’ascesa di Christian, anche se proprio sui rapporti fra mafia e politica il partito berlusconiano ha perso la guida di Desio, dove dal 2011 regna una giunta di centrosinistra che ha fatto della rottura con gli intrecci politico-affaristico-mafiosi del passato una bandiera. Il 26 gennaio, però, Ignazio Marrone è incappato in un nuovo ordine di custodia cautelare della procura di Milano, questa volta per associazione mafiosa. La Direzione distrettuale antimafia considera lo zio del politico – originario di Canicattì (Agrigento) –  “pienamente inserito nella cosca Iamonte di Desio“, con un ruolo di cerniera fra gruppi criminali calabresi e siciliani trapiantati in Brianza. Non solo. In queste nuove carte è citato (non indagato) anche il padre di Christian, Gioacchino Marrone, già arrestato per droga nel 2009. Con Ignazio – di professione sfasciacarrozze – discute fra l’altro di armi e di un acquisto di “candelotti di dinamite” al prezzo di 300 euro l’uno.

Così ilfattoquotidiano.it e Il Cittadino di Monza e Brianza (che sabato 13 febbraio esce con un articolo in merito) hanno iniziato a ricostruire queste vicende per chiederne conto ai vertici di Forza Italia a Desio. In riposta è arrivata la comunicazione delle dimissioni di Christian Marrone, accompagnata però da una sorta di diffida ai cronisti. Il vicecoordinatore si è fatto da parte “per tutelare il nome del partito e dei suoi membri”, scrive in una email la portavoce del partito Cinzia Bertazzo. Che avverte: “Qualora si verificasse nuovamente da parte vostra l’associazione delle  figure di Forza Italia al passato ed alle persone allora coinvolte ci vedremo costretti ad adire le competenti sedi” e “senza ulteriore avviso”. In primavera Desio torna al voto e i cronisti che vogliano raccontare le relazioni pericolose dei nomi in lista sono avvisati.

“Apprendo con soddisfazione delle dimissioni”, afferma in un nota Lucrezia Ricchiuti, senatrice Pd che dal consiglio comunale di Desio denunciava gli intrecci tra mafia, politiica e affari anni prima dell’inchiesta Infinito. “Certo sulla persona non ci sono addebiti e credo che la decisione sia stata dettata da una riflessione sull’opportunità politica di rivestire quel ruolo”. Quanto alla reazione di Forza Italia, “se un partito vuole presentarsi come ‘il nuovo’ non può non fare i conti con il passato”. E la stampa “non deve essere considerata un fastidio né tantomeno intimidita con più o meno velate querele”.

(fonte)

Vicino a Paolo

Foto dal sito www.laspia.it
Foto dal sito www.laspia.it

Finalmente arrestato il mafioso Gionbattista Ventura (detto u zu Titta o Titta u marmararu) autore, tra le altre cose, di continue minacce al giornalista Paolo Borrometi. Ed è una bella notizia. Per tutti.