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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Stupire i sensi e chetare i nervi

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Stefano Bartezzaghi da leggere su ‘nuovo’ e ‘possibile’:

Quindi, quando diciamo «nuovo» non stiamo dicendo molto: in un certo senso è nuova persino la ripetizione ennesima di un jingle o di un luogo comune e le strategie di comunicazione spesso consistono proprio nel fare apparire come nuovo qualcosa che tanto nuovo non è. Il bello è che ciò che si vuol far apparire come nuovo deve essere ripetuto un numero sufficiente di volte da farlo diventare banale: si potrebbe dire che la comunicazione contemporanea consiste nello stupire i sensi e chetare i nervi.

Si potrebbe pensare che la sinistra sia per il nuovo di rivoluzione e di riconfigurazione e la destra sia per il nuovo di ripetizione e di variazione. Categorie come quelle di «conservatori», «moderati», «progressisti», «radicali» potrebbero infatti suggerirlo, nei loro nomi. Purtroppo queste categorie sono davvero vecchie, nel senso che si riferiscono a un mondo in cui la trasmissione del potere era appena passata dai modelli dinastici e aristocratici a quelli democratici.

Nella società di massa non è più così. Quello che è successo quando il nuovo ha fatto mitologia è che il nuovo, il progresso, le riforme, la riconfigurazione e addirittura la rivoluzione non sono stati più bandiere esclusive della sinistra e valori a questa intrinseci. Per dirla in termini gloriosamente vecchi, questa è stata una vera e propria perdita di egemonia.

Anche la creatività, altro termine orribilmente ambiguo, è passata da Bruno Munari e dal movimento del Settantasette ai consigli di amministrazione e ai ministri di economia e finanza. Anzi alla nostra epoca persino i conservatori, con il nome che si ritrovano, hanno dovuto procedere a un rebranding vero e proprio, inventando la buffa sigla «neocon», un ossimoro incarnato da due mozziconi di parola che assieme non dovrebbero poter stare. Ma i conservatori non hanno conservato sé stessi: si vede che hanno fatto qualche progresso.

Inutile dire che spesso il «nuovo» non si realizza neppure: è un’apparenza di nuovo e tutta la polemica da talk show è l’accusa reciproca di propugnare come nuovo qualcosa che nuovo non è, ma è anzi profondamente vecchio. Sempre senza mai mettere in dubbio l’equivalenza fra nuovo e buono, cioè la valorizzazione positiva del nuovo. Cioè la sua mitologia che è anche un’ideologia vera e propria, poiché è ideologica ogni assegnazione a priori di valori positivi e negativi.

Il risultato finale è che, divenuto mitologia, il nuovo non è più utile a orientare alcun discorso verso le differenze fra destra e sinistra che ora, non a caso, vengono date per cadute. Non ci sono linee: c’è una sfera unificata da quel principio di retorica da campagna elettorale per cui il nuovo è buono e bisogna sempre propugnarlo almeno a parole. Partiti e personalità che aspirano direttamente al potere devono collocarsi obbligatoriamente dentro a quella sfera.

Chi vuole ragionarci sopra, si accomodi fuori, dove non c’è obbligo di nuovismo (ma da dove, probabilmente, non si arriva a vincere elezioni). A meno che a cambiare non sia, innanzitutto, questa situazione.

Ma per cambiarla basta la critica e la smitizzazione del Nuovo? C’è di che dubitarne, per quanto il lavoro puntiglioso di analisi critica delle proposte e delle riforme sia necessario.

Il resto è qui.

Il prurito per i giornalisti

È una buona notizia che il potere continui a non essere in cordiali rapporti con i giornalisti. La vedo così, semplicemente, come la normale dinamica funzionale tra il controllore e il controllato dove il giornalismo, quando è capace di rendersene conto, è un buon cane da guardia.

Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e, pertanto, essere molesto.

(Horacio Verbitsky)

Cuffaro e il figlio di Vespa

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Di Federico Vespa, negli atti dell’inchiesta, si legge: “In merito alla possibilità per Cuffaro Salvatore di dialogare con l’esterno si segnalano alcuni volontari che hanno operato all’interno della casa circondariale di Rebibbia (in primis Federico Vespa) i quali si sono più volte adoperati per mettere in comunicazione Cuffaro con i suoi familiari e con persone di sua fiducia. È stato in questo modo consentito al Cuffaro di continuare ad occuparsi di proprie attività, questioni ed interessi nonostante le preclusioni connesse al suo status di detenuto”.

Ma davvero bisogna votare Sala perché vince lui?

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L’ultimo in ordine di tempo è Umberto Ambrosoli qui, persona che stimo e di cui sono amico. Però sono in molti quelli che dicono “votare Sala per battere il centrodestra”. Che poi sono gli stessi che dicevano che avremmo dovuto votare Boeri alle primarie di cinque anni fa perché “Pisapia non vincerebbe mai contro la Moratti”. Andatevi a rileggere le dichiarazioni delle scorse elezioni a Milano e vi accorgerete quanto siamo un Paese con una memoria labile o, forse, semplicemente quanta impunità ci sia da parte di chi giustifica tutte le volte le stesse scelte (che per carità possono essere condivisibili o no) con gli stessi modi.

Ma davvero a Milano, in questa Milano, dopo questi cinque anni, ancora qualcuno dice che bisogna votare qualcuno perché vince? Ma davvero dopo Renzi, dopo che ci avevano detto che forse “non era tanto di sinistra” ma serviva “per vincere”, dopo tutto quello che è successo in Italia ancora ci si ostina a raccontare questa storiella?

Ma soprattutto: ma davvero esiste gente che valuta le possibilità di vittoria come elemento fondante per esprimere un’opinione politica?

Perché davvero allora non l’avrebbe fatta nessuno la Resistenza. Altro che fratelli Cervi.

Firenze capitale

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L’ultima fiorentina è Gaia Checcucci, che ha trovato un comodo posto al Ministero all’Ambiente. Renzissima e fiorentina. Ovviamente. In precedenza AN, Alleanza Nazionale. Avanti così. Bravissimi tutti.

(Ah, la foto è del New York Times, per dire)

Fiorella Mannoia e il meschino nascondino

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Non c’è niente di peggio per un artista che incrociarsi con i politici vigliacchi. In realtà credo che valga per tutti i cittadini e per qualsiasi professione ma per il lavoro che mi sono ritrovato a fare devo ammettere che non c’è niente di più frustrante del dover parlare di progetti artistici con politici ignoranti, presuntuosi, inetti. Anzi, forse c’è qualcosa di peggio, sì: i tiepidi. Sono questa nuova forma di piccoli fanfani che pascolano felici sul dorso del renzismo mentre fingono (male) di essere di centrocentrocentrocentrocentrosinistra. A me, nella mia breve carriera, è capitato di incontrare il tiepido Lorenzo Guerini sindaco di Lodi che, ogni volta che lo spettacolo ambisse ad un divertimento e un pensiero appena superiore alla trippa con la raspadura mandava eroicamente in avanscoperta i suoi assessori per tenere “le carte a posto”. Ecco, quando penso a Renzi, non riesco a non collegarlo al fanfanino Guerini diventato portavoce del fanfanone fiorentino.

Per questo sono sicuro che alla fine l’annullamento del concerto di capodanno a Roma di Fiorella Mannoia sia l’ennesimo caso del vigliacco perseguire quiete che non disturbi. E anche se ci diranno che è una scelta fatta per soldi o per ordine pubblico non ci credo. Non credeteci. Funziona sempre così: si trova sempre qualcuno prono a disposizione perché non accada qualsiasi cosa possa indispettire il padrone. E figurarsi se non prendono al balzo la palla di un Prefetto messo come reggiseno imbottito nella capitale. Per farcele apparire più grosse.

Quel patrimonio storico di fiducia polverizzato dalle banche italiane

61zxBx-tlcL._SX320_BO1,204,203,200_Cari banchieri andatevi rileggere la storia. Imparerete che voi esistete solo perché sussiste la fiducia. È la stessa parola «credito» a testimoniarlo: si tratta del participio passato del verbo latino «credere», verbo che non vuol dire solo «ritenere» o «avere la persuasione che una cosa sia tale quale appare in sé stessa o quale ci è detta da altri», come recita il vocabolario Treccani.
In latino nella forma intransitiva che regge il dativo, credere significa «dare credito a, aver fiducia in, fidarsi di». Capito? Credito vuol dire «fidarsi di» (è la stessa radice della parola credenza, in questo caso però significava che bisognava aver fiducia che i cibi in essa conservati non fossero stati nel frattempo avvelenati). Istituto di credito letteralmente vorrebbe dire istituto del quale fidarsi, al quale accordare la propria. Una parolina, fiducia, che rincorre piuttosto spesso in questi giorni calamitosi per le banche italiane.

Cari banchieri, fareste bene a ricordare le vostre radici. La finanza moderna è nata proprio qui, in Italia, negli stessi luoghi dove opera l’Etruria, una delle banche che avete mandato a rotoli. Hanno cominciato i genovesi, ma poi sono stati i toscani a inventarsi la banca come la conosciamo oggi: i Ricciardi a Lucca nel 1100, i Bonsignori a Siena nel 1200, i Bardi e i Peruzzi prima e i Medici poi a Firenze tra 1300 e 1400. Piemontesi ed emiliani andavano in giro per tutta Europa a esercitare il prestito su pegno. Li chiamavano «lombardi» perché tutti gli italiani erano identificati con i lombardi, pure se non lo erano e arrivavano da altri posti. Tutti si fidavano di loro, anche se li disprezzavano (tra XV e XVI secolo gli ebrei avrebbero via via sostituito i lombardi, sia nella funzione di prestatori, sia nell’esecrazione generale).
Tutto il ramificatissimo sistema finanziario messo in piedi dagli italiani tra medioevo e prima età moderna si basava solo ed esclusivamente sul concetto di fiducia. Si davano i propri soldi al banchiere perché ci si fidava di lui, il banchiere prestava soldi al cliente perché era ragionevolmente certo che gli sarebbero stati restituiti (li prestava facendo finta di cambiare, per aggirare i divieti ecclesiastici sull’usura, da ciò cambiale).
Il banchiere è onesto per definizione e le sue scritture fanno testo in tribunale: su questa base le transazioni avvengono a voce – la «ditta di banco», da cui ditta – l’unica registrazione scritta è quella effettuata dal banchiere e in caso di contestazioni legali assume valore di prova. Il sistema regge per qualche centinaio d’anni e la parola dei mercanti e dei banchieri italiani diventa addirittura sinonimo di affidabilità e onestà.

Alessandro Marzo Magno ripercorre la memoria storica delle banche italiane, che erano ben altra cosa rispetto ad oggi. Vale la pena leggerlo qui. E forse varrebbe la pena leggere anche il suo bel libro L’invenzione dei soldi. Quando la finanza parlava italiano

A proposito di ENI. (Per fortuna c’è Valigia Blu)

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Per tutti quelli che hanno considerato una decina di tweet perfettamente a tempo dell’ENI (mentre Report parlava dell’azienda) un “bel dibattito” ecco che Valigia Blu, al solito, si mette pancia a terra ad analizzare i contenuti piuttosto che il “costume” in un articolo da leggere e conservare:

Noi abbiamo deciso di porre al centro del nostro lavoro la complessità degli argomenti che non possono di certo ridursi a #EnivsReport. La vicenda del blocco OPL 245, ad esempio, non nasce con Report e non è un “litigio” tra un programma d’inchiesta giornalistica e un colosso petrolifero. La partita inizia molto prima, circa 20 anni fa, e si è giocata (e si continua a giocare) su più campi: in Nigeria, negli Stati Uniti, a Parigi, a Londra, a Napoli e a Milano. Tanti sono anche i soggetti coinvolti in una storia intricata tra rapporti di affari, di amicizia e potere. Una questione complessa, affrontata negli anni passati da alcuni dei migliori giornalisti italiani d’inchiesta, dove per ora non c’è un’unica verità accertata da verificare con un lavoro di fact-checking, ma piuttosto un lavoro di analisi che tenga conto di tutte le questioni emerse in questi anni per provare a mappare e comprendere i contesti in cui si dipana. Un lavoro, il nostro, che non vuole e non può essere un’inchiesta, ma che cerca appunto di approfondire, tramite l’utilizzo di documenti ufficiali e articoli dettagliati, i passaggi compressi dal racconto televisivo o trasformati in comunicati stampa da un’azienda direttamente interessata:

Il resto è qui.

Ma i 180 milioni di euro che la Lega ha preso (e speso indebitamente) da Roma ladrona?

(Un pezzo di Francesco Giurato e Antonio Pitoni per Il Fatto Quotidiano)

Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato. Dal 1988 al 2013sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire. Una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo. Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio. Sorte condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17 anni. Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che la magistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità. A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della Lega Francesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania  e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota. Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.

MANNA LOMBARDA Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento. E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro). Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia del miliardo già nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee. Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite. Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro). Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti. Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti. Un sistema che resterà in vigore fino al 1997 e che consentirà alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori. Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.

RIMBORSI D’ORO L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità di destinare il 4 per mille dell’Irpef(Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso. E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998. Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimoblitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001). In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere. Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.

ELEZIONI, CHE CUCCAGNA Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001. E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali. E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005. Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.

CARROCCIO AL VERDE E’ l’effetto moltiplicatore di un decreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso discioglimento anticipato delle Camere. Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura. Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010. Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso. E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011. La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.

FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD

(1988-2013)

1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
2005 € 8.918.628,37
2006 € 9.533.054,95
2007 € 9.605.470,43
2008 € 17.184.833,91
2009 € 18.498.092,86
2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,09
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57

TOTALE 179.961.382,78