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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La pistola sotto l’albero

I discorsi contro le armi in USA si sprecano. Eppure il mito americano resiste. Ogni tanto, allora, conviene far parlare i numeri e questa volta l’infografica è di Giorgia Furlan per Left:

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Presentare il libro di Vespa

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Ci deve pur essere un ingrediente segreto, un miele raro e sopraffino oppure una consorteria, dei nuovi templari per cui un Presidente del Consiglio debba presentare tutti gli anni, all’inizio del profumo natalizio, il libro di Bruno Vespa.

Mi piacerebbe ascoltare la telefonata con cui il malcapitato presidente di turno viene costretto: “Pronto Renzi, ti ricordi che io so quella cosa che tu sai e ci tengo tanto che tu presenti il libro con me?”, oppure un più fine “so che non ti dimenticherai della presentazione del mio nuovo libro come io non mi sono dimenticato di te”.

C’è qualcosa che noi umani non riusciamo nemmeno ad immaginare che tiene uniti i fili del potere a Bruno Vespa. Sarebbe troppo facile pensare al servilismo. Sarebbe troppo triste credere che ci si accomodi con comodo nei salotti che contano appena si arriva al potere. Sarebbe patetico credere che anche i “profeti del nuovo” poi tornino alle vetuste abitudini del vecchio potere.

Ditemi che c’è qualcosa d’altro. Vi prego.

A Policoro erano in cinquemila

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(Questo pezzo è stato scritto da OLA, Organizzazione Lucana Ambientalista, che nel silenzio dei media sta coagulando una battaglia serena ma forte contro l’idea folle delle trivelle. Leggeteli ogni tanto, facciamo che non siano soli)

Uscire dall’era del petrolio per ridurre i gas serra, l’inquinamento delle acque e del suolo, per evitare guerre e terrorismo e per vivere in un mondo più equo, solidale e sostenibile per tutti. Ma anche un NO alle trivelle del petrolio che il governo Renzi vuol imporre alle comunità lucane in terra e in mare. Sono questi contenuti della marcia dei cinquemila oggi a Policoro (dati ufficiali della Questura) alla si sono uniti i commercianti e le attività produttive del centro jonico, sindacati e associazioni tra le quali No Scorie Trisaia. 

Presenti i sindaci di alcuni comuni del materano ed i rappresentanti della Chiesa. Questi ultimi hanno chiesto scusa ai giovani a nome degli adulti per aver lasciato un mondo inquinato e pieno di conflitti. La Chiesa con l’Enciclica “Laudato Sii” di Papa Francesco ascolta e sostiene i giovani – è stato ribadito – perchè insieme si può migliorare per cambiare le nostre coscienze e ciò che ci circonda.

Assenti ancora una volta le istituzioni regionali  che si defilano di fronte a questi temi importanti per le comunità con “battaglie” che si concentrano sui quesiti referendari in materia di petrolio, dimenticando però ancora una volta i territori.

“Quanto sta accadendo in Basilicata e cosa accade nel resto del mondo in tema di estrazioni petrolifere e le gravi conseguenze ambientali e sociali che queste comportano, chiediamo alle istituzioni presenti al SUMMIT DI PARIGI e soprattutto a quelle della BASILICATA, le seguenti azioni non più derogabili:

1. Sostituzione urgente di tutte le tecnologie che usano il petrolio e le altre fonti fossili e nucleari;

2. Blocco delle autorizzazioni e sospensione immediata di tutti i nuovi progetti di sfruttamento di fonti fossili ed avvio della sospensione delle attività e la bonifica dei siti di estrazione esistenti;

3. Incremento della superficie terrestre dedicata alle foreste, alle aree naturali ed a forme di agricoltura organica;

4. Incentivazione del risparmio energetico e riduzioni delle emissioni “clima alteranti” in tutte le attività umane;

5. Sviluppo delle energie rinnovabili, eque ed alla portata di tutti (No a mega impianti!);

6. Incentivazione della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche finalizzate alla sostenibilità di tutte le attività umane;

7. Nuove forme di convivenza civile tra i popoli, senza sfruttamenti, guerre e terrorismo;

In particolare per la nostra Basilicata chiediamo anche:

1. Percorsi didattici ed Università per le energie rinnovabili e le economie sostenibili (non una università “fossile” del petrolio);

2. Informazione e formazione diffusa sulle attività e tecnologie disponibili per la sostenibilità ambientale, in particolare per i sindaci, gli amministratori pubblici ed il personale dei vari enti della Basilicata, in tema di energia, nuove tecnologie, rifiuti e soprattutto tutela delle acque e della salute;

3. Blocco immediato ai rifiuti industriali di fuori regione da smaltire in Basilicata (non vogliamo diventare un’altra “Terra dei Fuochi” o la pattumiera europea!);

4. Bonifica immediata delle aree SIN (Siti di Interesse Nazionale per grave inquinamento) in Basilicata (Val Basento ed Area Industriale di Tito);

5. Stop a discariche e inceneritori. Vogliamo finalmente un ciclo virtuoso dei rifiuti, di recupero e riutilizzo dei materiali;

6. Un impegno ufficiale regionale e locale per la riduzione alla fonte delle emissioni industriali inquinanti e controlli ambientali efficienti ed efficaci; un monitoraggio continuo su tutte le principali aziende ad alto impatto o rischio ambientale, da riconvertire o chiudere urgentemente;

7. Una reale tutela delle acque lucane, vera ricchezza della Basilicata e del meridione;

8. Indagine e monitoraggio epidemiologico, con particolare riferimento alle malattie tumorali (registro dei tumori);

9. Una reale tutela della biodiversità, con una capillare diffusione dell’agricoltura biologica, capace di ridurre i gas serra.

Sappiamo che è necessario bloccare il decreto “Sblocca Italia” che consente alle compagnie petrolifere di occupare (e quindi inquinare) per sempre il nostro territorio; la nostra generazione non potrà avviare in Basilicata nessuna attività di sviluppo vista l’incompatibilità ambientale, sociale ed economica del petrolio (vedi l’esperienza della Val d’Agri).

Il coordinamento studentesco intende lanciare oggi le basi per una politica di sviluppo fatta di scelte eque e sostenibili che non pregiudichino il nostro diritto a vivere in un ambiente sano. Non vogliamo e non possiamo abbandonare la nostra Terra!

Forse sarebbe il caso di riflettere (a proposito di circhi antimafia)

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Ora è La Torre (l’articolo è qui) ma i segnali sono molti e nonostante il timore reverenziale generale cominciano a fare rumore. Forse sarebbe il caso che Libera si ponga qualche domanda. Senza paura. Con l’energia dei moltissimi che si spendono ogni giorno in ogni angolo d’Italia. I giovani sono una meraviglia, l’idea e lo spirito sono altissimi ma la classe dirigente è tutt’altro che infallibile. E i soldi sono troppi.

La guerra del presepe

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Ieri i superiori occidentali hanno voluto lasciare un segno tangibile della propria intelligenza mettendo in mostra tutta la civiltà di cui sono capaci e che manca a quei cattivoni islamici (che prima si chiamavano Isis e poi di colpo sono Daesh). Hanno pensato, i superiori occidentali di stirpe italiana, di affrontare l’integralismo sotto l’ala di Allah con una costumata manifestazione che ha messo insieme tutte le menti migliori del Paese.

Non riesco a non pensare, con ammirata affezione, alla riunione preparatoria in cui si è convenuto giustamente di celebrare il rito pagano davanti ad una scuola: non c’è niente di meglio della lungimiranza di chi, al contrario dell’Islam, decide di star bene lontano dai giovani per evitare pericolose derive di emulazione. Avranno sicuramente scelto il cortile di una scuola per essere certi che fossero tutti dentro. Nessun punto d’osservazione migliore, si saranno detti:«se dobbiamo stare lontani da qualcuno basta tenere d’occhio la porta da cui potrebbe uscire», avranno pensato.

(continua qui)

Su Vaticano, corvi e le presunte pressioni su Berlusconi

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Per lavoro sto seguendo “Vatileaks 2” e il processo in cui ci sarebbero presunte pressioni a Paolo e Silvio Berlusconi. Qui c’è l’avvocato di monsignor Balda, qui l’articolo sulla presunta relazione tra la Chaouqui e monsignor Balda e qui la stessa Chaouqui che in un’intervista fa il punto anche sull’ultimo processo.

Davvero stiamo vedendo cose.

Ma dove sono i “saggi” milanesi?

205811948--297347a5-785a-433d-903b-36afac92a31bFatemi capire: dove sono tutti i saggi e grandi esperti di politica milanese che si sentivano offesi quando si faceva notare come il “modello Pisapia” non esiste senza Pisapia? Ma davvero credono, a sinistra o giù di lì, che non si noti, da fuori e da lontano, la loro unica preoccupazione di “non sembrare quelli che rompono” e quindi preferiscono sembrare gli utili idioti del PD?

Tutto va ben.

Quando la ‘ndrangheta è donna: Aurora Spanò

Un articolo da incorniciare del sempre bravo Lucio Musolino:

spanò905-675x905Mente e coordinatrice della cosca Bellocco a San Ferdinando, nella Piana di Gioia Tauro. La moglie è stata condannata a una pena superiore a quella del marito, ritenuto il boss del piccolo paesino in provincia di Reggio Calabria. Lo ha stabilito il Tribunale di Palmi che, al termine di una lunga camera di consiglio, ha inflitto 25 anni di carcere ad Aurora Spanò e 18 anni al marito Giulio Bellocco.
La sentenza del processo “Tramonto” ha registrato la condanna a 3 anni e 6 mesi anche di Giuseppe Stucci e Giuseppe Spanò, rispettivamente il comandante e l’agente della polizia municipale che avrebbero favorito i Bellocco falsificando alcuni atti amministrativi relativi a un esercizio commerciale intestato a una prestanome della cosca.

La ‘ndrangheta è femmina e a San Ferdinando porta un nome ben preciso: Aurora. Per anni boss e per 7 mesi latitante. Oggi, a 58 anni, detenuta al 41 bis. Era lei che, secondo la Direzione distrettuale antimafia, teneva le redini della famiglia mafiosa, costola dell’omonima ‘ndrina che detta legge nella vicina Rosarno. Era lei che imponeva il pizzo e vessava i negozianti costretti a pagare la mazzetta per non subire ritorsioni, che entrava nei ristoranti, banchettava per migliaia di euro e non pagava solo perché l’esercizio commerciale era in un edificio che le era stato confiscato. Era lei che dopo aver prestato a strozzo 600mila euro a due imprenditori della zona si è impossessata di uno stabile di proprietà della famiglia dei creditori, nel frattempo scappati al Nord Italia dove, anche lì, sono stati raggiunti e massacrati di botte. Era lei che, una volta arrestata, minacciava e malmenava le detenute con cui divideva la cella costringendole a rifarle il letto e pulire i servizi igienici.  “Io sono Bellocco anche se non sono sposata!”, era il leit-motiv di Aurora Spanò, intercettata dai carabinieri durante un colloquio dietro le sbarre.

La testimone Maria Concetta Cacciola: “San Ferdinando era dei Bellocco”.
Della capocosca di San Ferdinando ha riferito anche la testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola, morta per aver ingerito acido qualche anno fa dopo che i suoi familiari l’avevano costretta ad abbandonare la località protetta e a ritrattare le dichiarazioni rese ai carabinieri. “Giulio Bellocco e la moglie Spanò Aurora – mise a verbale la Cacciola – abitano a San Ferdinando e si può dire che il paese sia di loro proprietà, in quanto sono a conoscenza del fatto che, per qualsiasi investimento, anche per affittare una casa, è necessario chiedere l’autorizzazione a loro”.

Descrizione che la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha riscontrato punto per punto nel corso dell’inchiesta “Tramonto” nell’ambito della quale la figura di Aurora Spanò va ben oltre quella della semplice compagna del boss Giulio Bellocco. Oltre alle intercettazioni inserite nell’ordine di custodia cautelare, le testimonianze vittime raccontano di una famiglia mafiosa di cui tutti avevano e hanno terrore a San Ferdinando. Chi non pagava doveva consegnare le chiavi della propria abitazione ad Aurora Spanò: “Mi disse che ci avrebbe buttato tutti fuori di casa – ha raccontato una delle vittime ai carabinieri – e suo figlio aggiunse che, se non avessimo subito consegnato loro gli appartamenti, avrebbero ucciso i miei fratelli che abitano al Nord. Ho molta paura sia per la mia incolumità che per quella dei miei familiari”.

I racconti dal carcere di Aurora. “Si rivolgevano a noi per avere giustizia”.
Una versione certamente più romantica quella che Aurora Spanò descrive nei suoi “racconti dal carcere”, finiti in un volume collettivo pubblicato dalla Mondadori, con i quali nel 2011 ha partecipato addirittura al premio “Goliarda Sapienza”. “Signor giudice, volete sapere chi sono io? – scrive la donna condannata a 25 anni di carcere – Ebbene, ascoltatemi. Chi fosse mio marito cominciai a scoprirlo con il tempo, e a condividere con lui gioie e dolori. Il mio uomo e la sua famiglia, undici fratelli, erano importanti e rispettati in paese e in tutta la provincia, se non in tutta la Calabria. Le persone si rivolgevano a loro per avere quella giustizia che spesso la legge non riusciva a garantire, per questo motivo nei rapporti delle forze dell’ordine apparivano come dei fuorilegge, perseguiti e accusati di tutto ciò che accadeva in paese, anche quando non c’entravano nulla. A causa di queste dicerie, mio marito fu ricercato attivamente da tutte le forze di polizia e costretto alla latitanza… Qual era l’ambiente nel quale sono vissuta? E come potevo, io, sottrarmi a queste regole?”.

Regole di una ‘ndrangheta che Aurora Spanò, senza pudore, sostiene essere formata da famiglie (mafiose) che vanno quasi in soccorso a uno Stato che in Calabria non riuscirebbe, secondo il suo modo di pensare, a garantire la giustizia.

Sentenze di morte recapitate dalle donne “postine”.
Aurora Spanò non è la prima donna mafiosa condannata a una pena pesantissima. Nel luglio scorso, è andata peggio a Lucia Giuseppa Morgante, vedova del boss Antonino Gallico e madre dei capicosca Giuseppe, Domenico e Rocco Gallico. Accusata di omicidio, la Corte d’Assise di Reggio Calabria l’ha condannata all’ergastolo, con 6 mesi di isolamento diurno. In attesa della Cassazione, la Direzione distrettuale antimafia (guidata dal procuratore Federico Cafiero De Raho) e i giudici di secondo grado ritengono che l’anziana donna (oggi ottantottenne) abbia “svolto il ruolo di ‘postino’ tra il figlio detenuto Gallico Giuseppe e il nipote Morgante Salvatore”. Un postino che, dal carcere, avrebbe consentito al boss ergastolano di fare arrivare gli ordini agli altri affiliati ancora liberi e impegnati in una faida contro la famiglia Bruzzese. Ordini che riguardavano le estorsioni e la gestione delle mazzette ma che in almeno due occasioni, secondo gli inquirenti, sarebbero state “ambasciate” di morte.

Lady ‘ndrangheta: il fuoco della vendetta.
Il matriarcato in chiave mafiosa non è un teorema di qualche magistrato. È un modo di pensare, un modo di essere che, alla luce delle risultanze investigative, colloca la donna nei ruoli più importanti della famiglia di ‘ndrangheta. Così è stato, per esempio, per le sorelle del boss Giovanni Strangio, condannato all’ergastolo per la strage di Duisburg, l’ultimo capitolo della sanguinosa faida di San Luca. In tutta la fase delle indagini e della latitanza del fratello, Angela e Teresa Strangio non hanno mai avuto momenti di cedimento. Sono state loro che hanno tenuto unita la famiglia, che mantenevano i contatti con il congiunto latitante e che, stando alle accuse della Dda, si occupavano addirittura del trasporto delle armi da guerra.

E ancora: negli archivi della Procura di Reggio sono famosi alcuni stralci di intercettazioni dell’inchiesta “Bellezza” in cui era emerso come il fuoco della vendetta cova sotto la cenere delle mogli e delle madri dei mafiosi di Africo. O dell’indagine “Cosa mia” coordinata dal pm Roberto Di Palma che ha scardinato la cosca Gallico di Palmi.

Volete un eroe? Se non vi spiace, è curdo.

Avete bisogno, a cicli regolari, di un eroe del coraggio e della difesa di diritti e di libertà?  Eccolo: è Tahir Elci, colui che in un Paese dove dissentire costa davvero (mica un paio di polemiche sui giornali) e che ha sempre parlato a voce alta, senza grande protezione, senza cedere al divismo e sempre con lo sforzo di riportare tutto alla giusta misura. E la giusta misura significa anche sminuire se stessi, appena ci si accorge di diventare simboli e quindi vuoti e muti. Ah, è morto, come tutti gli eroi che si rispettino. Niente di meglio, eh?

L’antimafia senza protagonismo? Semplice: toglietele i soldi.

pecunia_non_olet-600x450Ha ragione il Presidente del Senato (per presunti meriti antimafiosi) Pietro Grasso quando dice che l’antimafia ha bisogno di scrollarsi di dosso il protagonismo. Togliete i soldi. Fate in modo che non ci siano contributi per un’attività che deve essere un dovere costituzionale per i buoni cittadini. Fate in modo che gli amministratori siano bravi amministratori e magari anche antimafiosi, fate in modo che chiunque nel proprio mestiere abbia il piacere e la soddisfazione di prendere posizione sul tema senza contributi aggiunti. Vedrete come sarebbe bello (Gratteri in Calabria lo dice da anni). E vedreste chi rimarrebbe. Ma soprattutto chi no.

Buonanotte.