Vai al contenuto

Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Quella gamba trovata nel fiume di Roma e una sparatoria di qualche settimana prima

gabriele-di-ponto--300x225Mi sto occupando, da qualche giorno, della vicenda di Gabriele Di Ponto, il cui piede (avrete letto) è stato ritrovato qualche settimana fa nel fiume Aniene a Roma. Un omicidio (per ora ufficialmente “una sparizione”) che ha alcuni tratti caratteristici molto diversi dal solito regolamento di conti che ci si potrebbe aspettare tra semplici spacciatori. Credo che, se davvero si riuscirà ad andare a fondo alla vicenda, alla fine sentiremo parlare di quella criminalità organizzata (che non né quella dei Buzzi e tanto meno i Casamonica) che in tutto questo “ricco” dibattito sembra scomparsa e che trova come sempre la propria forza nello stare sotto traccia. Ne ho scritto qui.

I funerali ai boss si possono evitare. Parla Gratteri.

In questi giorni si legge di tutto e il contrario di tutto. Normale, forse, in un Paese in cui la strumentalizzazione in cerca della polemica falcia le analisi, la memoria e ogni tanto anche la verità. Tra le difese più patetiche di questi ultimi giorni vedo che ha preso molto piede chi dice che “i funerali non si possono vietare”. Falso.

A proposito vale la pena riprendere ciò che ha dichiarato a RaiNews il magistrato Nicola Gratteri:

«Quando si ritiene che una famiglia sia mafiosa viene monitorata e si deve sapere quello che si sta organizzando. Noi in Calabria si decide, per motivi di sicurezza e di ordine pubblico, di vietare i funerali».

Appunto.

Boss-Vittorio-Casamonica-funerali-12-1000x600

 

‘Ndrangheta, i De Stefano tornano a piede libero

di AMDuemila – 24 agosto 2015
de-stefano-giuseppe-collageCi sono Orazio, Giovanni e Paolo Rosario, tra meno di due anni toccherà anche a Carmine. Sono i membri della famiglia De Stefano (si legge sulle colonne de L’Espresso) che hanno scontato o sconteranno a breve le rispettive condanne. Giuseppe De Stefano, attualmente dietro le sbarre e figlio del noto capobastone, il defunto don Paolino De Stefano, è insieme ai suoi fratelli principale capo indiscusso della ‘ndrangheta. Ma gli altri pilastri di famiglia che torneranno in libertà non sono certo da meno: Carmine de Stefano, 47 anni e fratello maggiore di Giuseppe (in foto), è tornato in carcere lo scorso febbraio (a causa del ripristino di una precedente carcerazione per associazione mafiosa e traffico di sostanze stupefacenti) per alcuni delitti commessi tra la Calabria e Milano (tra la seconda metà degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta) insieme a Giuseppe ed al suocero Franco Coco Trovato, referente della cosca in terra lombarda. La prima moglie di Carmine è Giusy Coco Trovato, figlia di Franco, che i due fratelli avevano condannato a un colpo in testa e una sepoltura nello Stretto per aver confessato di essere in realtà innamorata di Giuseppe, e non di Carmine De Stefano. Un segreto che divenne di dominio pubblico nel momento in cui la donna fece leggere il proprio diario a Vincenzino Zappia, uno dei luogotenenti del clan ‘ndranghetista. La condanna sfumò solo grazie all’intercessione di Coco Trovato, intervenuto in difesa della figlia.
Orazio De Stefano, zio di Giuseppe, latitante dal 1988 e catturato 16 anni dopo, dopo la morte del fratello Paolo (ucciso in un agguato nel 1985) si era messo a capo della cosca. Proprio l’assassinio di don Paolino aveva dato il via alla guerra di mafia che a Reggio Calabria aveva mietuto fino al ’91 centinaia di vittime tra i clan, compresi due fratelli De Stefano, Giorgio e Giovanni. Orazio era stato scoperto in un appartamento di lusso presso Parco Caserta, un complesso residenziale del capoluogo reggino. Nel momento del suo arresto, eseguito alla squadra mobile di Reggio Calabria, diretta da Salvatore Arena, il boss invece di opporre resistenza si era limitato a dire, stringendo la mano ad Arena: “Sono Orazio De Stefano, sono onorato di fare la vostra conoscenza. State tranquilli, non sono armato. Datemi il tempo di fare le valigie e sono a vostra completa disposizione. Oggi si chiude la lunga parentesi della mia latitanza”. Il boss che era entrato nella “top five” dei latitanti più pericolosi d’Italia è già nuovamente a piede libero. A ottobre, invece, sarà la volta di Paolo Rosario De Stefano, cugino di Giuseppe, arrestato nel 2009 nel suo rifugio di Sant’Alessio Siculo, una villetta vicino al mare a pochi chilometri da Taormina. Per Giuseppe De Stefano, 47 anni, c’è ancora una lunga condanna da scontare (nel 2003 è stato condannato a 18 anni per traffico di droga e a 30 per associazione mafiosa) ma la sua forza e il suo prestigio si stanno via via fortificando: proprio in carcere, a Reggio, il boss ha ricevuto il rango di “Crimine”, il vertice della ‘ndrangheta del quale fanno parte le più importanti famiglie ‘ndranghetiste tra cui, oltre a i De Stefano, i Condello, i Libri e i Tegano. Ma sono i primi, in particolare, ad aver fatto della ‘ndrangheta una vera e propria holding criminale con entrature nell’alta politica e finanza, oltre a vantare una forza economica senza eguali grazie soprattutto ai proventi del traffico di droga, di cui è la mafia calabrese a detenere la quasi totalità del monopolio nel mondo occidentale. Dagli anni della guerra di mafia, a quelli della strategia della tensione, al golpe Borghese, i De Stefano hanno curato canali privilegiati con gli ambienti della massoneria e dei servizi segreti, e tuttavia mantenendo quel basso profilo che ha consentito loro di accedere ai piani più alti.
Emblematici, in questo senso, i legami stabiliti a Milano, una sorta di associazione criminale segreta che avrebbe creato “rapporti criminogeni per milioni di euro creando utili sotto forma di crediti d’imposta per riciclare i soldi sporchi”. Tra le società coinvolte (secondo quanto era stato scoperto durante il blitz scattato nel 2013) la Ficantieri e la multinazionale Siam, la quale vantava contatti preferenziali ai vertici della regione lombarda, con Roberto Formigoni, con Giuseppe Scopelliti invece per la Calabria. Tra gli organizzatori ci sarebbe stato anche Bruno Mafrici, nominato consulente del ministero della Semplificazione da Belsito, che ne era sottosegretario, così da permettere di accedere a bandi e investimenti statali. Mafrici avrebbe curato anche i rapporti con i politici calabresi, tra cui proprio Scopelliti. Secondo il collaboratore di giustizia Nino Fiume, avrebbe inoltre frequentato casa De Stefano a metà degi anni ’90, stringendo legami anche con politici del Nord, come il leghista Francesco Belsito. Voti e consenso, ciò su cui hanno puntato i De Stefano, ma anche colossali investimenti, in Italia come all’estero, nei paradisi fiscali che sono vere e proprie lavatrici di denaro sporco, individuando soggetti esterni all’organizzazione criminale in grado di gestirne il patrimonio. Una linea che ha avuto inizio già dagli anni ’70 con gli storici capibastone, Paolo e Giorgio De Stefano, e che ha permesso alla ‘ndrangheta di avere numerose entrature negli ambienti politici, istituzionali ed economici a livello mondiale.

Civiltà

Abbiamo imparato a volare come gli uccelli e a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato la semplice arte di vivere come fratelli.

(Martin Luther King, Discorso per Premio Nobel, Oslo, 1964)

11885017_10207998264621304_6274791043228117396_o

#FREESUNJAY

kafkaHo conosciuto la storia di Sunjay Gookooluk grazie al mio collega Giacomo Zandonini, durante una redazione di LEFT quaando per la prima volta sentimmo parlare di questo immigrato diventato scrittore rinchiuso in una cella del CIE. Poi con Sunjay ho avuto modo anche di scrivere a quattro mani un monologo di carta: è una penna dolce, con una lingua straordinariamente morbida nonostante sia fiorita nell’orrore del CIE. Scrive su tutto: pezzi di carta, rifiuti di cartone: se dovessimo trovare un faccia alla scrittura come difesa della propria dignità sicuramente avrebbe anche il suo viso. Su di lui ha scritto un editoriale anche Ilaria Bonaccorsi (lo trovate qui).

Ora, le ultime notizie non promettono nulla di buono e allora uso anche questo spazio per dare voce al comunicato stampa che mi è stato girato:

Da martedì sera, SUNJAY GOOKOOLUK, si trova nuovamente al Cie di Ponte Galeria. Scrittore e attivista, con i suoi diari ha denunciato a fondo il trattenimento disumano subito nel Cie, raccontando (anche su Left) di quei tre mesi. Sunjay, come racconta anche nel monologo raccolto da Giulio Cavalli per Left, stava cercando di rifarsi una vita, a Roma. Ma «lunedì pomeriggio», racconta il giornalista Giacomo Zandonini, «ci siamo visti per prendere un caffè. Lo avevano chiamato per notificargli un atto alla questura di Trastevere e mi chiede di accompagnarlo, fiducioso che non sia nulla di grave. In effetti è il deposito di un ricorso relativo al gennaio 2013. Per ritirarlo serve però un documento: Sunjay tira fuori il bancomat, il codice fiscale, la fotocopia del passaporto delle Mauritius che ha perso… ma nulla. Bisogna portarlo alla questura centrale per un fotosegnalamento e, come dice più volte il sovrintendente di Polizia Ponzi, in qualche ora sarà fatta. Arriva una volante e il sig. Ponzi scambia qualche occhiata di intesa con gli agenti. Chiediamo più volte che Sunjay possa tornare domani o faccia una delega all’avvocato per ritirare i documenti. Ma no, “facciamo subito così non ci si pensa più”. Sunjay viene caricato sulla volante dopo una breve perquisizione e il sequestro del cellulare. Non è in arresto ma non potrà comunicare con nessuno per 26 ore, durante le quali sarà tenuto, in gran parte, in una stanza con aria condizionata e luce accesa, seduto per terra senza poter mangiare né assumere i medicinali per il diabete. Da lì riportato nel Cie, dove finalmente riusciamo a contattarlo. L’ennesimo abuso, per cui Sunjay è pieno di rabbia. Ma ha anche, incredibilmente, fiducia e voglia di combattere, anche con la scrittura, come aveva fatto già in passato, vincendo concorsi letterari e pubblicando su Left. Una fiducia che il Cie spesso ti strappa via lentamente. Ora, è urgente diffondere, far conoscere la sua storia, fare pressioni, denunciare».

Meetingi di CL, del verbo di don Giussani resta quasi niente

don-giussani-638x213

Come al solito va in scena l’annuale meeting di Comunione e Liberazione. Cosa rimane oggi del verbo di don Giussani? Poco, quasi niente; perché Comunione e Liberazione ha fallito proprio sul campo della spiritualità, diventando un porto sicuro per legami professionali ma perdendo completamente il senso di un agire politico ispirato al Vangelo e a un Cristianesimo praticato. Come ha detto Papa Francesco.

Ne ho scritto qui.

Elezioni: la differenza tra Renzi e Tsipras

E’ interessante la lettera che Lucia Annunziata, direttrice dell’Huffington italiano, scrive a Matteo Renzi:

Caro Presidente del Consiglio, leggendo di Tsipras, in queste ultime ore, ha provato qualcosa, una increspatura, un sobbalzo, un filo, anche solo un filo, di nostalgia? Nostalgia per quello che avrebbe potuto essere e non è stato?

Alexis Tsipras ha preso le decisioni che lei avrebbe potuto (e forse dovuto) prendere alcuni mesi fa. Sì, parlo di elezioni, di quelle che avrebbe dovuto (e potuto) chiedereappena eletto segretario del Pd, e che invece preferì dimenticare a favore di un passaggio di mano da nominato a nominato a Palazzo Chigi. E sì, lo so, è molto impopolare ricordargli di quelle elezioni mancate: a chi fin da allora le chiedeva di andare alle urne in rispetto del suo impegno con gli elettori, i suoi fan rispondevano con tracotanza, in giro per trasmissioni tv: “In sei mesi avrà fatto tante cose per questo paese che nessuno si ricorderà nemmeno più come è arrivato a Palazzo Chigi”.

Invece le elezioni – come dimostra la abilità con cui le manovra Alexis Tsipras – sono la migliore arma di rapporto con il popolo, e la loro efficacia sminuisce a strumenti vicari anche tv, web, twitter e tutti i media insieme. Cosi, oggi, sulla scorta di quel che è successo in Grecia, si potrebbe immaginare quanto diverso sarebbe stato il suo (e nostro) itinerario politico, e quanto più solido.

Continua qui.

 

Io, da adottato, invidio la vostra sicumera

Questa abitudine al sapere a priori il giusto o lo sbagliato. Bravi sempre a non mettersi in gioco. Io, invece, vi racconto perché comunque non penso sia così facile decidere dei figli degli altri. Ne ho scritto qui.

aiuto-vita