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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Hacking Team: e nessuno se ne accorge

hacking-team-article-display-bFanno tutti finta di niente, quelli che sanno. Quelli che non sanno si sentono in gran compagnia della stampa mainstream che ha deciso che non interessarsene è un diritto. Eppure la più importante azienda italiana dell’antipatico mercato dello spionaggio è stata spiata e sputtanata lei stessa da anonimi misteriosi ma molto furbi. Per dire: negli USA Micheal Moore ci vincerebbe un oscar. Qui fanno tutti finta di niente. Ma noi no.

Intanto buona fortuna Hacking Team.

Ora il giochetto è mischiare tutti: Tsipras, Farage, Salvini

Scritto per LEFT.

20150709_lepen_salvini-800x600Come volevasi dimostrare: dopo l’intervento di Tsipras al Parlamento Europeo il trucco è piallare le posizioni. Mentre il Corriere sottolinea gli applausi “dell’estrema destra e dell’estrema sinistra” si tenta di paragonare Tsipras ai sovversivi (e piuttosto banali) euroscettici.

La proposta di Tsipras (ne ha parlato anche nel suo discorso a Strasburgo di ieri) non è di uscire dall’Europa o dalla moneta unica e nemmeno di agire indisturbato senza responsabilità: l’Europa che ha in mente Tsipras è un’Europa che non passi dal falcidiare lo stato sociale ma anzi ne faccia una priorità, secondaria alle logiche finanziarie, se possibile.

Il Pse (come del resto avviene anche per il PD nazionale) ha bisogno di estremizzare le posizioni greche per condonare le proprie posizioni così compromesse: disegno orribilmente il mio avversario per ottenere almeno una certificazione di responsabilità.

Così la confusione fa gioco: sulla stampa Tsipras, Farage, Grillo e Salvini pari sono. Come dire: ci siamo noi che facciamo sul serio e gli altri che giocano a fare i rivoluzionari. Per questo continuo a credere che il momento europeo è anche una grande opportunità per condensare una sinistra (oggi piuttosto rarefatta) che si prenda la responsabilità di sradicare questa informazione disonesta. L’occasione è importante. Troppo importante.

“E’ una sentenza politica!”

Disse l’ex presidente del consiglio (volutamente minuscolo) che si comprò dei senatori. Già. Che vergogna, eh. La Giustizia non si occupi di senatori e di presidenti del consiglio! Ma scherziamo?

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Quando la gentilezza di una madre senza più il figlio schianta il Giovanardi di turno

patrizia-moretti-aldrovandiGià stamattina mi era capitato di scrivere quanto mi avesse colpito la decisione di Patrizia Aldrovandi (madre di Federico, ucciso dalle botte a 18 anni da alcuni genti di Polizia) di ritirare le querele contro gli avvoltoi che avevano nidificato sulla sua vicenda. E credo che sia nostro dovere custodire questi gesti di gentilezza esplosiva in questi tempi di urlacci. Allora ho voluto parlarle e ne è nata un’intervista che penso mi terrò in tasca a lungo. Che grande madre, Patrizia. L’intervista la potete leggere qui.

(Ah: nella bontà le è scappato solo un vaffanculo. Ma detto di cuore)

A proposito di Penati

Aveva promesso di rinunciare alla prescrizione e poi non l’ha fatto. Ora dice che le richieste del magistrato che ne chiede 4 anni di condanna è “preconfezionata”. Ma quello che è peggio è che alla fine Penati sembra che non lo conosca più nessuno. Mi ricordo (ero in quel Consiglio Regionale) gli atteggiamenti servili e invece ora Filippo Penati è diventato una “questione privata”. A posto così. 

Il dolore (di una madre) quando decide di restare da solo: Patrizia Aldrovandi

Ho la fortuna di avere conosciuto Patrizia Aldovrandi e immagino lo spessore degli occhi mentre ha scritto questa lettera. Se il perdono avesse una forma appuntita avrebbe la forma di questa lettera qui:

moretti-patrizia-poster-foto-federico-aldovrandi-ansa--258x258Perché rimetto le querele contro Paolo Forlani, Franco Maccari e Carlo Giovanardi

Ho perso Federico che aveva 18 anni la notte del 25 settembre di dieci anni fa per l’azione scellerata di quattro poliziotti che vestivano una divisa dello stato, e forti di quella divisa hanno infierito su mio figlio fino a farlo morire. Non avrebbero mai più dovuto indossarla.

I giudici hanno riconosciuto l’estrema violenza, l’assurda esigenza di “vincere” Federico, e una mancanza di valutazione – da parte di quei quattro agenti – al di fuori da ogni criterio di senso comune, logico, giuridico e umanitario.

Non dovevano più indossare quella divisa: nessuno può indossare una divisa dello stato se pensa che sia giusto o lecito uccidere.  O se pensa che magari non si dovrebbe, ma ogni tanto può succedere, e allora fa lo stesso, il tutto verrà ben coperto. Con la speranza che il sospetto di una morte insensata, inutile e violenta scivoli via fra la rassicurante verità di carte col timbro dello Stato, di fronte alle quali tutti si dovrebbero rassegnare. E poi con quella stessa divisa si continuerà a chiedere il rispetto di quello stesso Stato: che però sarà inevitabilmente più debole e colpevole. Come un padre ubriaco che ha picchiato e ucciso i suoi figli.

Il delitto è stato accertato, le sentenze per omicidio emesse. Invece le divise restano sulle spalle dei condannati fino alla pensione. Fine del discorso.

L’orrore e gli errori, con la morte e dopo la morte di Federico. La mancanza di provvedimenti non guarda al futuro, non protegge i diritti e la vita: non tutela nemmeno l’onestà delle forze dell’ordine.

Alla fine del percorso giudiziario che ha condannato gli agenti tutto ciò ora mi è ben chiaro: ed è il messaggio che voglio continuare a consegnare alla politica e all’amministrazione del mio Paese.

Dopo la morte di Federico, abbiamo dovuto difendere la sua vita vissuta e la sua dignità assurdamente minacciate. Era pazzesco, sembrava il processo contro Federico.

Ho chiesto risposte alla giustizia e la giustizia ha riconosciuto che Federico non doveva morire così.

Il processo è stato per me, mio marito Lino e mio figlio Stefano una fatica atroce, ma era necessario prendervi parte e lottare ad ogni udienza: ci ha sostenuti l’amore per Federico.

Su quel processo e da quel processo in tanti hanno espresso un’opinione. E’ stato un modo per crescere.

Alcuni hanno colto l’occasione per offendere me, Federico e la nostra famiglia. Qualcuno l’ha fatto per quella che ritengo gratuita sciatteria e volgarità, altri per disegni politici volti a negare o a sminuire la responsabilità per la morte di Federico.

Avevo chiesto alla giustizia di tutelarci ancora. In quel momento era l’unica strada, e non me ne pento.

Sono passati due anni dai fatti per cui ho sporto querela. Ci sono state le reazioni pubbliche e anche quelle politiche. Però poi non è cambiato niente.

Ho riflettuto a lungo e ho maturato la decisione di dismettere questa richiesta alle Procure e ai Tribunali: non perché non mi ritenga offesa da chi ha stoltamente proclamato la falsità delle foto di mio figlio sul lettino di obitorio, di chi ha definito mio figlio un “cucciolo di maiale”, o da chi mi ha insultata, diffamata e definita faccia da culo falsa e avvoltoio.

Non dimenticherò mai le offese che mi ha rivolto Paolo Forlani dopo la sentenza della Cassazione: è stati lui, sconosciuto e violento, ad appropriarsi degli ultimi istanti di vita di mio figlio. Le sue offese pubbliche, arroganti e spavalde le ho vissute come lo sputo sprezzante sul corpo di mio figlio. E lo stesso sapore ha ogni applauso dedicato a quei quattro poliziotti. Applausi compiaciuti, applausi alla morte, applausi di morte. Per me non sono nulla di diverso.

Rappresentano un modo di pensare molto diverso dal mio.

Non sarà una sentenza di condanna per diffamazione a fare la differenza nel loro atteggiamento.

Rifiuto di mantenere questo livello basato su bugie e provocazioni per ferirmi ancora e costringermi a rapportarmi con loro. Io ci sto male, per loro – credo di capire – è un mestiere.

Forlani e i suoi colleghi li lascio con le loro offese e i loro applausi, magari ad interrogare ogni tanto quella loro vecchia divisa, quando sarà messa in un cassetto dopo la pensione, sull’onore e la dignità che essa avrebbe preteso.

Un onore che avrebbero minimamente potuto rivendicare se da uomini, cittadini, pubblici ufficiali e servitori dello Stato, coloro che hanno ucciso mio figlio e coloro che li hanno sostenuti avessero raccontato la verità su cosa era successo quella notte, e non invece le menzogne accertate dietro alle quali si sono nascosti prima, durante e dopo il processo, cercando di negare anche l’esistenza di quella mezzora in cui erano stati a contatto con Federico prima dei suoi ultimi respiri.

Da Forlani e dai suoi colleghi avrei voluto in quest’ultimo processo solo la semplice verità, tutta.

Chi ha ucciso Federico sa perfettamente quale strazio sta dando ad una madre, un padre e un fratello privandoli della piena verità dopo avergli strappato il loro figlio e fratello. Nessun onore di indossare la divisa dello stato, nessun onore.

E nessun onore neanche a chi da dieci anni cerca nella morte di mio figlio l’occasione per dire che in fondo andava bene così: i poliziotti non possono aver sbagliato, in fondo deve essere stata colpa di Federico se è morto in quel modo a 18 anni.

Costruite pure su questo le vostre carriere e la vostra visibilità. Dite pure, da oggi in poi, che il mio silenzio è la vostra vittoria. Muscoli, volantini, telecamere, libri, convegni e applausi. Per dire che non c’è stato nessun problema il 25 settembre 2005. E per convincere voi stessi e il vostro pubblico che il problema l’hanno creato solo Federico Aldrovandi e sua madre Patrizia Moretti.

Vi esorto soltanto, da bravi cattolici quali vi dichiarate, a ricordare il quinto comandamento: non uccidere.

Non spenderò più minuti della mia vita per queste persone e per i loro pensieri. Mi voglio sottrarre a questo stillicidio: una fatica soltanto mia che nulla aggiungerebbe utilmente e concretamente a nessuno se non alla loro ansia di visibilità. Trovo stancante anche pronunciare i loro nomi. Inutile commentare le loro dichiarazioni pubbliche.

A dieci anni dalla morte di Federico per il mio ruolo di madre, ma anche per le mie aspirazioni e per la mia attuale visione del mondo, penso che il dedicare anche solo alcuni minuti a persone che disprezzo sia un’imperdonabile perdita di tempo. Non voglio più doverli vedere né ascoltare o parlare di loro.

Perciò ritirerò le querele ancora in corso.

Non lo faccio perché mi è venuta meno la fiducia nella giustizia, ma dieci anni sono troppi, ed è il momento di dire basta.

Non è il perdono, d’altra parte nessuno mi ha mai chiesto scusa, ma prendere atto che per me andare avanti nelle azioni giudiziarie rappresenta soltanto un doloroso e inutile accanimento.

Ritiro le querele perché sono convinta che una sentenza di condanna non potrebbe cambiare persone che  – da quanto capisco – costruiscono la loro carriera sull’aggressività e sul rancore.

Non ci potrà mai essere un dialogo costruttivo, perciò addio.

Questo non significa che verrà meno il mio impegno di cittadina per contribuire a rendere questo paese un po’ più civile, e questo impegno mi vedrà come sempre a fianco dell’associazione degli amici di Federico per l’introduzione del reato di tortura e ogni altra forma di trasparenza e giustizia.

C’è molta strada da fare: confronti, discussioni, leggi giuste. Bisogna affrontare il problema degli abusi in divisa in modo costruttivo.

Le parole e le espressioni contro Federico, contro me e la nostra famiglia le lascio alla valutazione in coscienza di chi ha avuto il coraggio di dirle. E soprattutto alla valutazione di chi se le ricorda. Io ne conservo solo il disprezzo.

Per me l’onore è un’altra cosa.

L’onore appartiene a chi ha cercato di capire, a chi ha ascoltato la coscienza e a chi ha fatto professionalmente il proprio dovere, a chi ha messo il cuore e l’arte oltre quel muro di gomma costruito attorno all’omicidio di Federico, a tutti coloro che gli dedicano un pensiero, un rimpianto, gli mandano un bacio.

Sono queste le persone che ringrazierò sempre, è grazie a loro che Federico è stato restituito al suo onore di figlio, fratello, amico, ragazzo che voleva vivere, e tornare a casa.

Patrizia Moretti

A Roma un pezzo di metropolitana costa come tutta l’Autostrada del Sole

Tra le fortune di fare il mio lavoro c’è anche quella di dedicarsi, di tanto in tanto, agli approfondimenti. Ci sono storie infatti che ci sfiorano per qualche minuto e poi magari riaffiorano dopo anni: durante l’immersione spesso si nascondono le pieghe del malaffare. E allora tocca riprendere tutto il filo dall’inizio e ricomporre la vicenda secondo logica. E’ un lavoro che spesso (purtroppo) non porta i grandi numeri delle notizie shock ma mi lascia sempre una grande soddisfazione farlo.

Oggi ci siamo occupati della Linea C delle metropolitana di Roma. Una scandalo antico. Potete leggerla qui.

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Emiliano nomina assessori a loro insaputa

Michele-EmilianoGiuro che ho sperato fino all’ultimo che fosse uno scherzo. E invece no. Michele Emiliano ha nominato assessori tre consiglieri regionali del M5S senza interpellarli. “Così nessuno può avere il sospetto di qualche inciucio”, ha dichiarato. E allora penso davvero che il neo governatore pugliese creda che siamo tutti un popolo di imbecilli, come se non sapessimo cosa ci sta dietro alla composizione delle liste, come funziona la politica (anche quella buona, delle mediazioni vere e utili).

Insomma anche Emiliano come il suo gran capo Renzi pensa che agli italiani la democrazia basta fargliela annusare.

Complimenti Michele, l’inizio è proprio dei peggiori.