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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Michele Zagaria: il boss che ordina di fare figli

catturato-boss-zagariaNon bastava quell’appartamento di via Colombo a Casapesenna (Caserta) dove ha vissuto nascosto per quattro anni, dal 2004 al 2008. Non era sufficiente nemmeno il citofono «con quattro collegamenti» utilizzato per parlare con i fedelissimi. E non lo faceva sentire sicuro neppure la protezione assicurata da Generoso Restina (oggi pentito) e dalla moglie. No, Michele Zagaria — il capo dei capi dei Casalesi — per essere tranquillo voleva di più. E così disse al suo vivandiere che lui e la moglie avrebbero dovuto avere un figlio. Lo ha rivelato lo stesso Restina nel corso di un’udienza del processo in corso a Santa Maria Capua Vetere, durante la quale ha anche riferito di incontri tra il boss e l’ex sindaco di Casapesenna Fortunato Zagaria.

«Michele Zagaria — ha raccontato Restina ai giudici — passava le giornate a vedere la tv, a leggere i quotidiani, a parlare con i suoi fedelissimi». Un giorno, però, ha preteso di più. «Ha sollecitato me e mia moglie ad avere un figlio per apparire una famiglia normale e non avere problemi». Quel figlio è arrivato. Anzi, è una figlia. «E quando è nata mi ha intestato una ditta di pulizie chiamandola con il nome della bambina». La mamma, a quel punto, ha deciso che era troppo. «Sì, fu proprio mia moglie che mi convinse ad interrompere il sostegno a Zagaria».

(clic)

Processo-Trattativa parla il pentito Luigi Giuliano: “Dell’Utri minacciava Mangano per non farlo pentire”

La cronaca dell’udienza raccontata da Lorenzo Baldo:

mangano-berlusconi-dellutri“Vittorio Mangano? Qualche volta gli si accendeva la scintilla (di voler collaborare, ndr)… ma aveva paura, quasi da infarto… aveva ricevuto minacce che se si fosse pentito la sua famiglia sarebbe scomparsa e sciolta nell’acido”. La voce del collaboratore di giustizia Luigi Giuliano, “O’ rre”, arriva nitida dal sito riservato collegato in videoconferenza all’udienza odierna del processo sulla trattativa. “Ma da chi era minacciata la famiglia di Mangano?”, chiede il pm Francesco Del Bene. “Mangano mi fece il nome di Dell’Utrio (Marcello Dell’Utri, ndr)… che aveva rapporti con lui… un potente della politica”. Il riferimento è all’ex braccio destro di Berlusconi, attualmente in carcere per scontare una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

L’ex boss camorrista, già a capo della “Nuova Famiglia”, riaccende quindi l’attenzione sui suoi contatti con l’ex “Stalliere di Arcore” morto di cancro nel 2000. “Vittorio Mangano l’ho conosciuto nei primi anni ’70 a Milano perché era amico di un mio amico che si chiamava Nunzio Guida, legato a Michele Zaza”, racconta Giuliano. “Successivamente, intorno al ’99, sono stato detenuto nel carcere di Secondigliano al 41bis, c’era un reparto adibito all’ospedale… per pochissimi giorni siamo stati nella stessa stanza con Mangano”. Ed è in quelle condizioni che l’ex capo della “Nuova Famiglia” riceve alcune “confidenze” da parte del defunto reggente di Porta Nuova.  “Vittorio era assai preoccupato perché temeva che fuori dicessero che lui potesse accedere al pentimento…lo hanno minacciato che avrebbero fatto a pezzi la sua famiglia… anche se non prendeva questa decisione qualcuno poteva far passare la notizia che collaborava…”. Il pm riprende un verbale del 2002 nel quale lo stesso Giuliano era stato decisamente più esaustivo: “Mangano conosceva tantissime cose e più volte ha fatto riferimento a Berlusconi e Dell’Utri, Mangano mi disse che la carriera politica di Berlusconi era la prosecuzione della carriera politica di Andreotti”. L’ex boss conferma quanto dichiarato tredici anni fa aggiungendo che “quello era un motore per portare avanti un sistema criminale mafioso… si doveva far abolire il 41bis, i benefici per i pentiti… che bisognava distruggere”. Berlusconi e Dell’Utri? “Erano la stessa cosa, me lo diceva Mangano: Berlusconi-Dell’Utri-mafia… uno stesso sistema criminale. Mangano voleva farmi intendere che la mafia aveva questa potenza con loro…”. Giuliano spiega quindi di essersi pentito nel 2002 per “una conversione spirituale” legata alla figura di Gesù Cristo. “Anche se salvo una sola vita – ribadisce il collaboratore –  ho il dovere di farlo davanti alla giustizia di Dio e degli uomini. Mi hanno ammazzato tre persone care, tra queste anche mio figlio…”. Alla domanda del pm se avesse mai conosciuto Totò Riina, Giuliano replica di averlo incontrato nei primi anni ’70 “quando (Riina, ndr) frequentava i night club in via Caracciolo”. Il legale del capo di Cosa Nostra chiede in seguito in quale occasione avrebbe avuto con Riina “un contatto diretto per parlare di un argomento specifico”. “Ci siamo parlati… un discorso fugace… alla villa di Nuvoletta a Marano in piena guerra con Cutolo”, replica l’ex boss. Che non intende approfondire l’argomento in quanto a suo dire rientrerebbe all’interno di indagini in corso. Immediata la contestazione da parte dell’avv. Cianferoni fortemente dubbioso sulla spiegazione fornita dal collaborante. La questione sollevata si conclude lì.

(fonte)

La versione di Ivan (Scalfarotto) e i diritti degli altri

Ivan Scalfarotto ha iniziato (l’avrete letto) lo sciopero della fame per chiedere che le unioni gay possano diventare legge. Poi, mentre lo intervistavo abbiamo finito per parlare anche di Renzi, Tsipras, Civati e Grecia. E credo che le risposte siano nette. D’accordo o no meritano di essere lette.

L’intervista la trovate su Fanpage qui.

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Sempre sulla Grecia. E sui servetti. E sulla manomissione dell’informazione

(Scritto per LEFT qui)

Dicono le leggi del giornalismo che sarebbe ora di smettere di parlare della Grecia, che ora ci sarebbe da aspettare il risultato del referendum e quel che è detto è detto e quel che è fatto è fatto. E invece no: ci sono momenti in cui l’ossessione è una sana modalità di resistenza quando tutto intorno i servetti hanno apparecchiato tutto per lodare il vestito nuovo del Re anche se è nudo.

Assistiamo, in questi giorni, ad una feroce manomissione della verità che punta a trasformare in eversore chiunque non accetti il senso comune imposto. Non è difficile, ha funzionato spessissimo nella storia: mettere in minoranza un’idea bombardandoci del contrario è un gioco da ragazzi per chi può disporre dell’informazione a piacimento. E state certi che a molti di voi in questi giorni vi diranno (o vi avranno già detto) che la Grecia è altro rispetto all’Italia, che i debiti vanno rispettati, che l’Europa non è “un pozzo senza fondo” e tutti gli altri luoghi comuni che ci vengono inculcati ovunque, tutto il giorno.

Eppure chi proprio in questi giorni dice che i debiti vanno pagati e gli accordi rispettati, è lo stesso Matteo Renzi che da settimane cerca di svicolare sui soldi che il Governo deve ai pensionati, è la stessa persona che governa che una maggioranza diversa da quella delle elezioni e con un programma tradito già in più punti.

Io credo che la vicenda della Grecia sia anche un’occasione per il giornalismo italiano, sia per i giornalisti che per i lettori: si tratta di avere la schiena dritta per spezzare un cappio a forma di buona educazione, che si ostinano a chiamare buon senso. Scrivere che la questione greca è il passaggio fondamentale per raccontare un’altra Europa che preferisca le persone ai numeri, la cura delle fragilità ai bilanci e i popoli ai confini è un dovere politico. È un dovere scriverlo, dirlo, parlarne, analizzarlo, diffonderlo.

Perché la democrazia sta nella scelta tra le diverse opzioni e non nel fagocitare le scelte scomode. E sarebbe anche il cuore del giornalismo, a ben vedere.

 

Le novità dalla Freedom flotilla

Le autorità israeliane hanno espulso l’ex presidente tunisino Moncef Marzouki e la eurodeputata Ana Miranda che si trovavano a bordo di una imbarcazione umanitaria in rotta verso la Striscia di Gaza con l’obiettivo di rompere l’assedio.La Marina israeliana ha accostato la nave ‘Marianna’ scortandola verso il porto di Ashdod senza incidenti. Le altre tre imbarcazioni della Freedom Flotilla salpata da Creta lo scorso 26 giugno, sono ripartite verso porti greci. In totale 16 cittadini di diverse nazionalità e due israeliani si trovavano a bordo della Marianna.
La piccola flotta voleva portare a Gaza attrezzature mediche e pannelli solari per la popolazione palestinese, ridotta allo stremo dopo un assedio in corso dal 2007, alle prese con gravi carenze di generi alimentari, medicinali e mancanza di energia elettrica.
Questa è la terza spedizione tentata dagli attivisti filo-palestinesi dopo che la prima, nel maggio del 2010, si era conclusa con la morte di nove persone. Questa volta non ci sono stati incidenti.

La ‘ndrangheta che viaggia in Australia

Schermata 2015-06-29 alle 23.04.17Nel corso degli ultimi anni, la ‘ndrangheta calabrese sarebbe riuscita a prendere sempre più piede in Australia, arrivando a corrompere politici sia a livello federale sia nei singoli Stati grazie a “falle” nel sistema di raccolta fondi: lo ha rivelato un’inchiesta durata oltre un anno di Fairfax Media Abc.

Secondo il reporter Nick McKenzie, autore dell’inchiesta, che è anche andato in Calabria per cercare i parenti dei boss australiani e ha parlato con i magistrati italiani, gli affiliati alle ‘ndrine australiane ricorrerebbero agli stessi mezzi usati nel nostro paese: «Il gruppo opera ricorrendo alle minacce e alla violenza sia in attività economiche lecite, come il commercio di frutta e ortaggi, sia in quello illegale della droga».

L’inchiesta ha scoperto legami tra «riconosciuti e sospetti criminali» appartenenti alla ‘ndrangheta e politici di primo piano. Addirittura, un uomo «direttamente legato alla mafia (calabrese, ndr)» avrebbe incontrato l’allora primo ministro australiano, John Howard (1996-2007) e altri leader di partito a eventi di raccolta fondi per il Partito Liberale nei primi anni Duemila. Nulla, però, lascia credere che l’allora premier fosse a conoscenza della sua vera identità, ha sottolineato McKenzie.

Politici di entrambi i due importanti partiti australiani, Laburisti Liberali, sarebbero stati oggetto di “pressioni” da donatori legati alla ‘ndrangheta per favorire i loro affari, legali o illegali che fossero: secondo un rapporto della polizia del 2013, la mafia calabrese avrebbe usato un numero di finanziatori ben conosciuti di partiti politici «che hanno offerto la loro immagine pubblica e del tutto legale» per coprire le loro attività. Prestanome, insomma.

Gli inquirenti hanno scoperto che il figlio «di un sospetto boss mafioso», un religioso, fece un’esperienza di lavoro all’ambasciata australiana a Roma, quando capo della delegazione era l’ex esponente dei Liberal, Amanda Vanstone. Tutto questo nonostante che le autorità italiane avessero condiviso con l’ambasciata le informazioni che avevano sul boss.

La stessa Vanstone, quando era ministro dell’Immigrazione nel governo Howard fece «ottenere un visto per un boss più tardi arrestato per traffico di droga e implicato in un assassinio. L’uomo è il fratello di un uomo d’affari conosciuto di Melbourne, con una storia criminale nota in Italia, ma nel 2005 ottenne il visto per l’Australia per ragioni umanitarie».

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‘Ndrangheta in Lombardia (e l’ex assessore Zambetti): le condanne

Domenico-Zambetti-586x390Si è concluso con la conferma della condanna inflitta in primo grado a 10 persone, una assoluzione e la riduzione della pena per un imputato il processo d’appello a carico di 12 uomini coinvolti nell’inchiesta della Dda di Milano sull’infiltrazione della ‘ndrangheta in Lombardia che aveva portato anche all’arresto dell’ex assessore regionale Domenico Zambetti, accusato di voto di scambio con le cosche.

Si tratta degli imputati che avevano scelto di essere processati con rito abbreviato e in primo grado erano stati condannati a pene dai 14 anni e 8 mesi ai 2 anni e 8 mesi di carcere. I giudici della Corte d’Assise d’appello di Milano, quindi, hanno confermato la condanna a 10 anni e 10 mesi di reclusione per Sabatino Di Grillo, il presunto capo della ‘ndrina radicata in Lombardia e legata alla cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), e la condanna a 14 anni e 8 mesi per il suo braccio destro, Vincenzo Evolo.

Confermati anche i 9 anni e 10 mesi inflitti ad Alessandro Gugliotta e i 14 anni e 2 mesi a Giampiero Guerrisi. È stato assolto, invece, Salvatore Mancuso, accusato di aver preso parte a un sequestro di persona a scopo di estorsione. Mentre la pena è stata ridotta da 10 anni e 10 mesi a 8 anni e 8 mesi di reclusione perGiuseppe D’Agostino, definito nell’inchiesta il ‘portavoce’ dei clan nel loro ruolo di avvicinamento a Zambetti. Nel suo caso, i giudici della Corte d’assise d’appello hanno riqualificato il reato in concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex assessore regionale Zambetti e altre persone, che non avevano scelto il rito alternativoed erano state rinviate a giudizio, sono attualmente sotto processo all’ottava sezione penale del Tribunale di Milano.

(fonte)