Vai al contenuto

Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Ecco quanto ci costeranno le scuole paritarie.

Luca ha fatto i conti per noi su L’Espresso:

Costerà 66,4 milioni di euro l’anno, la detrazione che il governo vuole assicurare alle famiglie che iscrivono i figli alle scuole paritarie. Lo mette nero su bianco una bozza della relazione tecnica firmata dai dirigenti del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, che accompagnerà il disegno di legge che il consiglio dei ministri farà arrivare in parlamento, probabilmente al Senato, una volta chiuso il cerchio.

La relazione fa i conti in tasca alla riforma, calcolando soprattutto l’onere derivante dalle stabilizzazioni degli insegnanti precari. Il numero di docenti stabilizzati non è quello inizialmente promesso, come noto, ma per coprirlo serviranno comunque, a regime, oltre 2 miliardi di euro.

Meno di quanto previsto dalla Flc Cgil, ma comunque molto a giudicare dalla difficoltà con cui palazzo Chigi sta chiudendo il fascicolo coperture. 50 mila assunzioni dovrebbero esser fatte per coprire i posti già esistenti e vacanti, coperti finora dai precari. Altri 50 mila dovrebbero servire per comporre il cosiddetto organico funzionale. Sono, o meglio sarebbero, 100 mila insegnanti in tutto che comportano un onere complessivo, anche considerando che la maggioranza sono già in forza alla scuola pubblica, di 544 milioni nel 2015, 1 miliardo e 853 milioni nel 2016, e su a crescere, fino ai 2 miliardi e 233 milioni nel 2025. È con questo punto, che Renzi mette il parlamento di fronte a un testo prendere o lasciare, e a un calendario che dovrà essere velocissimo, per arrivare in tempo rispetto al prossimo anno scolastico.

Chissà quanto si potrà discutere, dunque, di uno dei punti dolenti della riforma, l’articolo 17 del testo, che si occupa delle «misure per la sostenibilità delle scuole paritarie». La norma, fortemente voluta dall’alleato di governo Ncd ma difesa anche da pezzi del Pd, tra cui l’ex ministro Luigi Berlinguer, prevede la detraibilità del 19 per cento delle spese sostenute per la frequenza di scuole dell’infanzia, delle elementari e delle medie. Rispetto alla prima bozza della legge (quando ancora il governo pensava di fare un decreto) sono stati esclusi i licei. E anche la cifra massima si è ridotta a un decimo di quanto inizialmente previsto: l’importo annuo detraibile sarà di massimo 400 euro: alla fine, un risparmio di circa 75 euro l’anno.

Il ministero, stando sempre a questa bozza, ha facilmente calcolato il costo complessivo dell’operazione. Nell’anno scolastico 2013/2014 al Miur sanno che gli alunni iscritti a una scuola paritaria sono stati circa 874 mila: 622 mila ad una scuola dell’infanzia, 186 mila ad una primaria e 66 mila alle medie. Esclusi, come detto, i 119 mila iscritti alle superiori. «Considerando il tetto massimo di spesa detraibile prevista dalla norma pari a 400,00 euro ad alunno» scrivono i tecnici nella relazioni, «si stima un ammontare totale di detrazione di circa 66,4 milioni euro». Che raddoppiano, nel 2016, se la norma dovesse realmente entrare in vigore già per il 2015: bisognerebbe allora prevedere un meno 116,2 milioni di euro di Irpef.

Contentissimo il sottosegretario all’Istruzione, l’alfaniano, Gabriele Toccafondi: «È una rivoluzione culturale» dice, «a quindici anni dalla legge sulla parità scolastica, per la parità giuridica, finalmente si compie un primo passo per la parità economica». Il primo passo però non basta invece a Roberto Gontero, presidente nazionale dell’Associazione nazionale genitori scuole cattoliche: «La montagna non ha partorito neppure il classico topolino, ma addirittura una formica» dice, «parlare di un tetto di 400 euro a un genitore che affronta una spesa decisamente superiore ha un po’ il sapore della beffa». Gontero vorrebbe proprio che lo stato pagasse le rette per intero, a chi non può permetterselo, «garantendo così un reale diritto di scelta».

Si dice contrario, ma per opposte ragioni, Raffaele Carcano, segretario dell’Uaar: «Non bastavano» dice, «le già cospicue risorse che ogni anno escono dalla casse dello Stato per il finanziamento delle scuole paritarie, non bastavano i quasi 700 milioni di euro erogati dalle amministrazioni locali, non bastava l’esenzione Imu-Tasi! Ora ci toccherà aggiungervi anche il costo delle detrazioni per le famiglie che decidono di mandare i propri figli alle private». Non è però sorpreso, Carcano: «D’altronde» continua, «non dovremmo sorprenderci: ben 44 parlamentari della maggioranza che sostiene il governo hanno scritto al premier Renzi nei giorni scorsi per chiedergli un intervento in questo senso. Ed è ben nota la simpatia della ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, per la “causa” delle scuole paritarie».

La senatrice di Sel, Alessia Petraglia all’Espresso conferma la stima del Miur: «La cifra corrisponde grosso modo a quella che abbiamo stimato noi» dice la senatrice che nota, e con lei i colleghi del movimento 5 stelle, come manchino ancora indicazioni specifiche sulle coperture economiche. «Quando finalmente avremo il testo definitivo potremo aprire un confronto di merito su questo e su altri aspetti più che controversi della riforma» continua Petraglia, «intanto posso però dirmi contrarissima alla detrazione per le paritarie. Chi sceglie di iscrivere il proprio figlio ad una scuola privata è liberissimo di farlo, ma lo deve fare senza gravare su tutti gli altri. Se troviamo delle risorse da spendere in detrazione perché non darle allora a chi, nella scuola pubblica, si trova comunque a far fronte a continue spese e sottoscrizioni? Dal contributo volontario che volontario non è più, al videoproiettore comprato con una colletta, alla carta igienica: potrei fare a Renzi un lungo elenco di spese che devono affrontare i genitori».

L’ammucchiata di Agrigento

Sempre peggio:

Forza Italia e Pd correranno insieme alle amministrative di Agrigento. Il nuovo sindaco, dunque, sarà il risultato di un accordo che stringeranno democratici e berlusconiani. L’intesa si è concretizzata dopo un incontro al quale ha partecipato anche il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta e Riccardo Gallo Afflitto, vicesegretario regionale di Fi, ritenuto un fedelissimo di Marcello Dell’Utri. Non solo: la circostanza quasi inedita è che anche i berlusconiani parteciperanno alle primarie di coalizione per scegliere il candidato sindaco. Da una parte dunque quello che i vertici di Fi schifano a livello nazionale (le primarie, sul quale c’è il grosso dello scontro tra Berlusconi e Fitto) va bene a livello locale, dall’altra per il Pd pare non imbarazzare l’accordo con i forzisti. Il segretario regionale Fausto Raciti lo spiega con il fatto che il candidato che correrà alle primarie sarà solo “sponsorizzato” da Forza Italia e dunque sulla scheda non si vedranno di fianco i simboli di Pd e Fi. “Ad Agrigento il simbolo del Pd convive con delle liste civiche e non con Forza Italia – spiega il segretario regionale democratico Fausto Raciti – Non ci vedo nulla di scandaloso o di incredibile”. Per Raciti, dunque, non c’è un accordo diretto con Forza Italia, ma un’intesa con alcuni “movimenti civici tra cui Patto per il territorio che al suo interno ha anche ex esponenti di Forza Italia, ma che hanno deciso di aderire a quel progetto”. Agrigento nei mesi scorsi era stata al centro delle polemiche per lo scandalo sulla proliferazione delle commissioni consiliari: 1133 sedute nel 2014, costate al Comune 285mila euro ed una serie di indagini della Procura. A inizio febbraio i consiglieri comunali avevano rassegnato le dimissioni provocando la decadenza dell’assemblea.

Anche Rosario Crocetta si affretta a precisare che “non c’è nessun accordo tra il Pd e Forza Italia” e che “si tratta di liste civiche che servono a isolare la Lega”. Il riferimento alla candidatura di Marco Marcolin, deputato del Carroccio, che sarebbe sostenuto dalla lista Noi con Salvini, che il segretario del Carroccio ha già lanciato nelle settimane scorse. E Agrigento sente da vicino, per esempio, il problema dell’immigrazione.

In una situazione del tutto rovesciata succede poi che sia l’Udc a tirarsi fuori dal maxi-accordo. I centristi non hanno partecipato all’incontro e presenteranno un loro candidato, Calogero Firetto, l’attuale sindaco di Porto Empedocle. “Avrebbero voluto anche me in questo calderone – spiega Firetto all’AdnKronos – ma ho detto no. In provincia di Agrigento non ci saranno primarie tranne ad Agrigento città e guarda caso Forza Italia correrà con la coalizione di centrosinistra”. Secondo Firetto è un “già visto” tanto che fa una previsione sul risultato delle primarie: “Vi dico che vincerà con assoluta certezza il candidato di Riccardo Gallo, Silvio Alessi – dice – Vedrete che ho ragione. Dunque il candidato del Pd sarà un esponente di Forza Italia”.

All’incontro che ha sancito l’intesa oltre a Crocetta hanno partecipato Giuseppe Zambito, segretario provinciale del Pd, la vicepresidente della Regione e assessore alla Formazione della Sicilia, Mariella Lo Bello, Maria Iacono, l’ex assessore alla Formazione Nelli Scilabra, oggi nella segreteria di Crocetta, il deputato Angelo Capodicasa, Salvatore Cascio, Piero Macedonio, Riccardo Gallo Afflitto, vicesegretario regionale di Forza Italia in Sicilia, vicinissimo a Vincenzo Gibiino (Forza Italia). Non c’era Marco Zambuto, presidente del Pd regionale ed ex sindaco di Agrigento, ma è tra coloro che hanno caldeggiato l’accordo Pd-Fi.

In questo frittatone succede poi che non si sa cosa farà invece il Nuovo Centrodestra, visto che Agrigento è la città del leader del partito Angelino Alfano. Ad Agrigento le primarie si terranno il 22 marzo. Saranno 4 i candidati: Silvio Alessi, uomo di Riccardo Gallo Afflitto, numero due di Forza Italia in Sicilia e vicino a Michele Cimino, Epifanio Bellini, esponente del Pd, Piero Marchetta, ex assessore provinciale, e Peppe Vita, outsider di sinistra. Crocetta non nasconde la sua soddisfazione per questo accordo e parla di un “progetto di cambiamento forte per la città di Agrigento”. Ma i mal di pancia nel Pd sono solo all’inizio e la partita è ancora lunga.

(fonte)

Lo dice anche il Ministero: la Broni-Mortara è uno scempio

timthumb.phpProsegue la tardiva ma coerente demolizione del progetto infrastrutturale padano del centrodestra (e non solo) da parte del principale quotidiano. Corriere della Sera Lombardia, 22 marzo 2015

Dopo nove anni di «tragicommedia» — così l’ha definita qualcuno l’altra sera a Pavia durante l’affollata assemblea dei comitati contrari — l’autostrada Broni-Mortara arriva al suo capitolo finale. Lo scempio che dovrebbe sconvolgere la Lomellina, creando un muro (la nuova arteria sarebbe tutta in rilevato alto mediamente 5 metri, con l’impiego mostruoso di 19 milioni di metri cubi di ghiaia) lungo 67 chilometri è stato bocciato dalla Commissione ministeriale di valutazione dell’impatto ambientale che, con una serie articolata di argomentazioni, l’ha definita in sostanza inutile e dannosa, basata su calcoli sbagliati, con un consumo altissimo di suolo in una zona dal delicatissimo equilibrio. E, soprattutto, la Commissione del ministero ha ribadito l’illegalità della procedura sin qui seguita, poiché non si tratta di un’autostrada regionale, dal momento che il tratto Castello d’Agogna-Stroppiana è in territorio piemontese.

Forse è presto per cantare vittoria, ma l’altra sera nella riunione cui hanno partecipato anche una ventina di sindaci, si percepiva un cauto ottimismo sull’esito finale dell’inter autorizzativo che dovrebbe concludersi a giugno. Infrastrutture Lombarde, l’ente proponente, ha intanto preparato una serie di integrazioni al progetto che saranno presentate in Regione la prossima settimana. Ma si tratta di modifiche che, a quanto pare, non incidono suoi rilievi più significativi emersi dal documento del ministero con cui è sancita l’incompatibilità ambientale dell’opera. In sostanza la Sabrom, società controllata da Impregilo-Salini che ha la concessione per la progettazione, la costruzione e la gestione dell’autostrada, avrebbe ridimensionato l’interconnessione con la A-7 a Gropello, spostato l’attraversamento del Terdoppio (avvicinandolo tra l’altro all’abitato di Alagna Lomellina) ed eliminato due svincoli, quello di Tromello e quello di Mortara.

Di fronte alla bocciatura del progetto, contro cui ormai si è creato un fronte compatto di sindaci e associazioni del territorio, la Regione mantiene un imbarazzato silenzio. Proseguire o no nel piano di costruzione di autostrade lombarde dopo il flop della Brebemi e della finanza di progetto, in tempo di scandali sulle grandi opere e di esborsi non previsti (come i 60 milioni messi dalla giunta Maroni per la Brebemi in aggiunta ai 300 dello Stato), mentre la viabilità ordinaria è al collasso?
Il punto è che quei progetti erano stati strenuamente sostenuti da Formigoni e dalla giunta di cui faceva parte anche la Lega. Ora manca una exit strategy, per cui è inutile chiedere a Palazzo Lombardia che cosa intende fare. L’assessore alle Infrastrutture, Alessandro Sorte, fa sapere che non sa che cosa dire, l’entourage del presidente Maroni prende tempo, poi annuncia un comunicato che non arriva mentre i telefoni suonano ripetutamente a vuoto.

E’ evidente che continuare a sostenere i faraonici progetti dell’era del Celeste appare un po’ difficile. Ma anche abbandonare tutto implica problemi rilevanti. La Sabrom ha già fatto sapere che se la costruzione della Broni-Mortara dovesse saltare, Palazzo Lombardia dovrebbe pagare i costi di progettazione che ammontano a 70 milioni di euro. Gli errori rilevati dal ministero sul progetto sono tanti (da un’errata stima del traffico futuro al calcolo del Pm 10 prodotto, sino al riferimento a leggi ormai abrogate). E questo, dice qualcuno, potrebbe aprire una controversia tra Sabrom e Regione. Ma è anche vero che quel progetto fu interamente approvato e condiviso da Infrastrutture Lombarde. Un bel rebus.

L’incapacità di coniugarsi al plurale. E’ questo che ci ammazza.

esordienti2Loredana coglie in una sola frase quello che cerchiamo di dire (e fare) da tempo:

In secondo luogo, c’è la scarsa propensione di  molti scrittori italiani a sentirsi parte di un discorso comune. Più volte ho parlato della Gilda degli scrittori americana e di quanto si è battuta e si batte in difesa dei colleghi più deboli in tempi resi difficilissimi dall’avvento di Amazon e dalla crisi dell’editoria. Su questo punto, in Italia, le iniziative collettive sono state rarissime. Ed è solo un esempio, perché si potrebbero citare decine di altre occasioni dove la solidarietà non solo umana, ma politica, è stata obiettivamente carente.
In terzo luogo, è invece fortissima la propensione al cicaleccio da social: per cui sarà molto più facile vedere unito un gruppo di scrittori a spettegolare su Elena Ferrante che coinvolgerlo in una iniziativa di solidarietà. Non è colpa dei singoli: se il senso comunitario cala fino ad azzerarsi in un paese, chi di quel paese è espressione narrativa si comporterà di conseguenza. Con le dovute eccezioni, come sempre e naturalmente.
Detto questo, il secondo augurio è che le cose cambino. Ma vorrei anche dire una cosa: trovo molto più esecrabile il comportamento di chi si appropria della mancata solidarietà a Erri De Luca per agire pro domo propria. Per vendicarsi del silenzio sui propri libri usando un nome più noto e una battaglia molto più nobile dell’autopromozione, per poter accusare la “casta” di parlare soltanto di sè. Questo, a mio parere, significa che silenzio e tentativo di spostare l’attenzione su se stessi hanno la stessa radice. L’incapacità di coniugarsi al plurale.
E’ questo che ci ammazza.

Il post intero è qui.

Non vanno d’accordo antimafia e imprese

Un gran pezzo di Riccardo Orioles:

220px-Riccardo_Orioles“Fior di viola, splendente,
vivi nei canti, Atene,
tu che hai difeso l’Ellade, tu ardita,
tu città degli dei…”

Ma insomma, come faccio a distin­guere l’antimafia fasulla da quella di cui fidarsi? Facilissimo: quella povera è quella vera. L’antimafia, difatti, è gra­tis. Perciò non puoi farci soldi o carrie­ra. Puoi rischiare la pelle, questo sì, puoi farti emarginare dap­pertutto, puoi – ovviamente – restare senza lavo­ro, puoi anche fare la fame se occorre. Tutte queste belle cose puoi fare, e altre ancora. Ma soldi e carriera no.

Ci spiace, ma non l’abbiamo messa noi questa regola. A noi piacerebbe di più ricevere – in un paese civile – soldi, onori, car­riere felici e tranquille, e magari qualche buona parola.

Ci piace­rebbe anche di più poter pro­mettere tutte queste belle cose ai ra­gazzi che, un anno dopo l’altro, arrivano freschi e decisi: “Vo­glio dare una mano all’anti­mafia”. Ma, in un paese civile.

In questo, la prima cosa che insegnamo è: “Ragazzi, l’antimafia si paga”. Eppure, non restia­mo mai soli.

Al servizio dei grandi imprenditori

La mafia, in Sicilia, nasce storica­mente al servizio dei grandi imprendi­tori del comparto agricolo e successiva­mente in­dustriale. Già nel 1920, a Paler­mo, giu­stiziò per loro conto il sindacalista Fiom Giovan­ni Or­cel; negli anni ’40-’60, per conto dei lati­fondisti, venne assassina­to un centi­naio di dirigenti contadini.

“Impren­ditore”, in Sicilia, non è una gran bella pa­rola, e co­munque con l’anti­mafia ha sem­pre avuto poco a che fare. Così, de­sta poca sorpresa la “scoperta” che le pro­clamazioni di questo o quell’ esponente dell’imprenditoria “anti­mafia” andavano in realtà prese cum gra­no salis.

In realtà, la vera sorpresa è data dalla facilità con cui tutta una serie di perso­naggi del genere ha potuto essere presa sul serio dall’antimafia“perbene”, quella almeno di provenienza non popolare.

I motivi son tanti. Primo, l’approssima­zione politica di gran parte della nuo­va anti­mafia, dove la ripetizione di buoni princi­pi sostituisce spesso la lucidità delle analisi e la radicalità delle azioni. Secon­do, è molto più facile pren­dere a interlo­cutori (finché non sma­scherati) i vari Montante e Haeg che non gli Umber­to Santino, i Pino Maniaci o i Siciliani. I primi han­no denari da mettere nei vari “rinnovamen­ti”, e i se­condi no; i primi non minacciano in alcun modo l’assetto sociale “perbene”, e i se­condi sì. Ma così va il mondo; e noi per­doniamo volentieri agli amici perbene quella che non è certo ma­lafede ma solo disattenzio­ne e pigrizia.

Noi, all’antimafia dei simboli, preferia­mo quella palpabile e concreta. Che fare dei beni confiscati? Affidarli ai Montante o magari (come gl’immigrati) ai Castiglione? Questo, or­mai è pacifico, non si può fare più. Metterli all’asta, come dice il capo della com­missione “anti­mafia” siciliana, Musume­ci? Allora tanto varrebbe ridarli diretta­mente ai mafiosi.

Invece bisogna farne beni sociali, distri­buirli con equità, farne economia sana. Que­sto è ciò che so­stiene Libera da metà anni ’90, e noi da dieci anni prima. E fra il buon ele­fante e le formichine, sarà ben difficile per le be­stie feroci – gattopardi e iene – ri­mettere le zampe sulla preda.

Que­sta è la nostra antimafia. Antimafia utile a tutti, anti­mafia vera. Certo: alla tv e sui giornali non la troverete, trove­rete quella urla­ta. I vari Buttafuoco e Mer­lo (sempre amici dei Berlusconi e dei Cian­cio, e ora improvvisamente grandi antima­fiosi) hanno molta più udienza, las­sù, dei no­stri poveri Giacalone, Ester Ca­stano e Ca­pezzuto. Ma ha davvero impor­tanza? I punti si contano alla fine, diceva­no i mae­stri di tres­sette, e a Sedriano e a Trapani la borghe­sia mafiosa, grazie ai nostri croni­sti, i suoi bravi colpi li ha pur presi.

La vera antimafia è “politica”

Quest’antimafia è politica: in un sistema dove i poteri mafiosi sono tanto inseriti nell’economia, è ovvio che la vera lotta alla mafia sia condizione primissima per cambiare qualcosa. Avete già sentito ‘sta tiritera, se siete vecchi lettori dei Siciliani.

Non si può dire che abbia avuto molto successo: la destra, ovviamente, ha avuto ben altro da fare. Il centrosinistra, col suo partito-nazione, in queste settimane sta re­clutando generali e soldati di tutto il vec­chio Sistema non esattamente antimafio­so. E la sinistra “pura”, gli alternativi? Non sembra che il potere mafioso (e in Si­cilia abbiamo avuto due presidenti di fila o condannati o inquisiti) sia esattamente in cima ai suoi pensieri. Con belle e lode­voli eccezioni, certamente: ma certo non proprio al centro della strategia.

Perciò per noialtri monotoni all’improv­viso, è stata una bella sorpresa vedere che qualcun altro cominciava a percepire que­ste cose. Che lo scontro, in Italia, non è più tanto politico quanto sociale. Che è la società civile, non i partiti e partitini, a dovere portar­lo avanti.

Parliamo, come avrete capito, di Libera, di Emergency, della Fiom, della “coalizio­ne sociale” a cui, con gran diffidenza, vor­remmo affidare una speranzella, dar fidu­cia in qualcosa.

La diffidenza nasce (oltre che dalle ca­tastrofiche esperienze con altri sindacali­sti: vedi Cofferati) dal fatto che per “so­cietà civile” s’intendono ancora solo le grosse e un po’ verticistiche organizzazio­ni. La speranza, dal fatto che tutta ‘sta ba­racca nasce fra gli operai. La (moderata) fiducia dalla modestia e dai limiti fissati dai promotori. “Fare altri partiti? – dicono – Dio ce ne scansi. Vogliamo una rete so­ciale, mettere in comunicazione. Noi sia­mo la società, quella vera. Non c’interessa il Palazzo. Noi siamo semplicemente il Quarto Stato”.

E’ un bel progresso rispetto alle inge­gnerie precedenti (arcobaleni, azione civi­li, fors’anche altreurope) che si presenta­vano con bellissimi progetti chiavi-in-mano, cer­cando disperatamente di farli gestire in­sieme da tutte le vecchie sette precedenti (carbonari, giacobini, seguaci degli statuti di Spagna e narodniki) le quali, per loro natura, difficilmente pote­vano invece accordarsi su qualcosa. “Invece ri­partiamo dalle origini, dai soggetti so­ciali”. Questo, secondo noi, comincia a essere buonsenso.

Il governo reale? Marchionne

Anche dall’altra parte ragionano nudo e crudo, senza tante illusioni. Hanno fatto governi (tre, uno dopo l’altro, tecnici, più tecnici ancora e infine “riformatori”) che – a parte la fuffa mediatica – non hanno go­vernato granché. Hanno coperto, in so­stanza, l’emergere del governo reale, quel­lo direttamente “sociale” – ma della parte alta della società, dei Marchionne. E sono stati attentissimi, agendo sul corpo socia­le, a smantellare via via proprio i ceti so­ciali che potevano fargli opposizione.

Prima è toccato agli operai, privati di sindacati e statuti, sospinti (tatcheriana­mente) nelle curve sud e abilmente divisi, con opportune campagne mediatiche e le­ghiste, dai loro omologhi neri, che dopo anni d’Italia non sono che operai come tutti gli altri. Adesso stanno attaccando l’altra colonna della vecchia Repubblica, la scuola. Il preside-comandante, i prof soldati semplici ai suoi comandi, non sono solo un rigurgito degli Anni Trenta. Sono un progetto abilissimo e preciso, di­struggere ogni luogo sociale e lasciarci ciascuno solo davanti alla sua tv o al suo monitor. Se i Landini e i don Ciotti lo capiranno, potranno contare su molte forze ora sparse e divise.

Il laboratorio-Sicilia

In Sicilia, nel paese-laboratorio in pro­vincia di Messina, la sindaca “antimafio­sa” di due anni fa, la Maria Teresa Colli­ca, è stata buttata giù dalle forze congiun­te dei vecchi padroni di destra e nel “nuo­vo” Pd (escluso, a suo onore, un diri­gente che s’è ribellato). A Messina, lo stesso gioco si va preparando per Accorinti.

Nè lui né la Collica, in questi due anni, sono stati all’altezza del ruolo: simbo­lismi moltissimi, tutti belli e civili e degni di gran lode. Ma politique d’abord, mobilita­zione dei bisogni della gente, fiacca e poca. Nè i “compagni” li hanno granché educati, né sostenuti: ap­plausi ma non cri­tiche all’ini­zio, maledi­zioni ma non mano tesa alla fine – cioè adesso.

* * *

Il Sud, il Mediterraneo, il mondo pove­ro intanto vanno avanti. La Grecia (altro che calimeri) affronta la trattativa coi ge­nerali tedeschi, i Brest-Livotsk, e la sta af­frontando bene. Fra gl’islamici splende, per la prima volta nei secoli, la libertà del­le donne, delle ragazze-partigia­ne di Ko­bane, in prima linea col fucile. Fermano i nazifascisti di Isis, abbandonate dall’Occi­dente ipocrita, ma vittoriose.

 

REATO DI MIMOSA

Le “Mamme No Muos” l’otto marzo l’han­no festeggiato con un corteo a Niscemi, alla base Us Navy del Muos, recentemen­te dichiarata il­legale dal­le compe­tenti au­torità italiane. Alla fine del corteo hanno deposto delle mi­mose sul cancello d’ingresso della base. Ora sono indagate per reati vari, con l’accusa di aver tagliato un pezzetto della rete di recinzione della (illega­le) base stra­niera.

 

Promemoria

Dieci obiettivi dell’antimafia sociale

● Abolire il segreto bancario;

● Confiscare tutti i beni mafiosi o frut­to di corruzione o grande evasione fi­scale;

● Assegnarli a cooperative di giovani lavoratori; aiuti per chi le sostiene;

● Anagrafe effettiva dei beni confiscati;

● San­zionare le delocalizzazioni, l’abuso di pre­cariato e il mancato ri­spetto dello Statu­to dei Lavoratori o di accordi di lavoro.

● Separazione di capitale finanziario e in­dustriale; tetto alle partecipazioni nell’edito­ria; To­bin tax;

● Gestione pubblica dei servizi pubbli­ci es­senziali (scuola, università, difesa, ac­qua, energia, strutture tecnologiche, credi­to in­ternazionale);

● Progetto nazionale di messa in sicurez­za del territorio, come volano eco­nomico so­prattutto al Sud; divieto di altre cementifi­cazioni; divieto di industrie inquinanti; ri­strutturazione di quel­le esistenti e bonifica del territorio a spese di chi ha inquinato;

● Controllo del territorio nelle zone ad alta in­tensità mafiosa.

● Applicazione dell’articolo 41 della Costi­tuzione.

Costituzione della Repubblica Italiana

Art. 41 – “L’iniziativa economica privata è li­bera. Non può svolgersi in contrasto con l’utili­tà socia­le o in modo da recar­e dan­no alla si­curezza, alla li­bertà, alla di­gnità uma­na. La legge determi­na i pro­grammi e i con­trolli opportuni perché l’atti­vità econo­mica pubblica e priva­ta possa essere indi­rizzata e coordinata a fini so­ciali”.

(fonte)

Signor Presidente, si sbaglia

ciancio-mattarellaLa lettera pubblicata su I Siciliani Giovani, che condivido:

Signor Presidente,

il quotidiano La Sicilia non è “la voce delle forze impegnate nella legalità”; Lei sbaglia a dirlo. La Sicilia non è stata af­fatto, e non è tuttora, voce d’impegno civile, ma esattamen­te l’opposto.

Ha combattuto Scidà, ha esaltato i Cavalieri, ha in­timidito penti­ti, ha insultato Beppe Montana e Giuseppe Fava. Ha ospita­to dei boss, sulle sue pagine e fisicamente. E in questo preciso momen­to essa è inquisita – in persona del suo proprietario – per eventua­le collusione con mafiosi. È inquisita da magistrati che di­pendono dal Csm, di cui Lei – signor Presidente – è il massi­mo garante. Son giudici coraggiosi, devoti all’ordine, e non ter­ranno conto delle Sue parole. Ma se non lo fossero sta­ti? Se esse, senza volerlo, avessero poi contribuito a salvare un reo?

Se sotto indagine fosse stato un santo, Lei avrebbe do­vuto esi­tare a parlare – in bene o in male – di questo santo: per scrupo­lo, per timor d’influire anche minimamente nel giudicato. E qua non si trattava d’un santo, come Catania sa bene.

Scriviamo queste parole non con polemica, non col tono che avremmo usato per un Napolitano o un Cossiga, ma – signor Presidente – con dolore. Lei non è uno dei tanti politici, Lei è dei nostri. Di noi che per decenni abbiamo combattuto – ma que­sto è il meno – e che abbiamo dovuto chiamare generazioni di giovani a lottare e a soffrire insieme a noi, chiedendo sacrifici e offrendo pericoli, con l’unica ricompensa di servir fedelmente ciò a cui Lei, salendo alla nostra Repubblica, ha giurato.

Mai più, signor Presidente. Mai più di questi dolori.

L’antimafia fatta con il culo degli altri

Renato-Natale-Casal-di-Principe-675

“Abbiamo costruito trincee, ma non abbiamo militari”. Renato Natale, sindaco di Casal di Principe, racconta così le difficoltà della buona amministrazione in terra di camorra. In quella che un tempo era solo terra di camorra e ora potrebbe diventare terra di riscatto. Ma le trincee, che sono la resistenza al potere criminale negli anni di dominio dei Casalesi e la scelta di Natale come nuovo sindaco, possono pagare il prezzo altissimo dell’assenza di militari. I militari sono i fondi e il personale. Natale, eletto sindaco lo scorso giugno, racconta al IlFattoQuotidiano.it i problemi e gli ostacoli per tornare alla normalità. Usa formule efficaci. “Occorrono norme per consentirci di ripartire. Mi sento senza braccia, privo di strumenti – spiega – e c’è un rischio che non possiamo correre come Italia: dare la possibilità a qualcuno di pensare che si stava meglio prima, quando c’erano gli altri”.

Gli altri sono i potentati politici, macchiatisi di connivenza, in un comune sciolto tre volte per infiltrazioni mafiose. Natale parla di Italia perché, fin da subito, ha voluto che anche il governo nazionale si facesse carico, non solo a parole, del riscatto di Casal di Principe. Nonostante gli annunci, gli incontri con esponenti del governo, la firma di un protocollo, le norme auspicate ancora latitano. Si è parlato più volte di un “piano Marshall” per avviare la stagione di ricostruzione sociale, economica e politica. Disponibilità tanta, ma risultati pochi. Sono due i problemi che Natale non riesce ad affrontare senza un contributo dal governo nazionale. Entrambi sono di assoluta priorità ed erano stati posti con la stessa forza anche all’atto diinsediamento.

Il rilancio senza personale

“Ho incontrato il sottosegretario Graziano Delrio – racconta Natale – e gli ho spiegato i nostri problemi. Pochi giorni fa ci ha fatto visita il vicepresidente della Camera Luigi Di Maioche si è impegnato a portare in Parlamento una mozione per Casal di Principe”. Ma cosa serve al comune casertano? “La pianta organica prevede 110 unità, il mio personale si ferma a 47. Ci sono soli 5 vigili urbani. Non c’è un ufficio tecnico adeguato, stesso dicasi  al sociale e, in queste condizioni, come affronto le emergenze della mia comunità?”. E si arriva al paradosso che, pur nei ritardi della tempistica, i 2,5 milioni per il completamento della rete idrica disposti dalla regione pongano un problema di gestione. “Bisogna indire gare e per farlo mi serve il personale adeguato, ma l’ufficio gare è vuoto, stiamo trovando una soluzione. Io ho chiesto al governo nazionale norme che ci consentano di assumere il personale necessario”. I blocchi nelle assunzioni, il patto di stabilità, ma anche un bilancio in dissesto rendono urgente norme per andare in deroga. Il rischio è che la macchina comunale si fermi. La situazione finanziaria ha trovato una risposta con un mutuo di 11 milioni di euro accordato dal ministero dell’Interno.

Gli abusivi senza risposta
“Abbiamo bisogno di una norma che ci aiuti al recupero urbano, al ritorno alla legalità in interi quartieri”. Il riferimento di Renato Natale è alle abitazioni abusive, 1300, che hanno ricevuto ordinanza di abbattimento. Anche Forza Italia, sommersa da critiche, da anni spinge per riaprire il condono del 2003 in regione Campania, ma Natale spiega le sue ragioni: “In una situazione di illegalità, i cittadini, in passato, hanno costruito le loro case, è impensabile abbattere quelle nate per la necessità abitativa”. Impensabile sia per ragioni sociali, ma anche economiche. “Dovremmo abbattere noi come comune anticipando le spese e poi dovremmo chiederle al cittadino. Non abbiamo soldi in cassa e a questo si aggiunge il problema del costo dei materiali di risulta da smaltire”. Il comune pensa di acquisire al patrimonio pubblico le abitazioni abusive, ma anche in questo caso l’assenza di personale rallenta le procedure e l’avvio successivo delle pratiche di vendita. Il paradosso, secondo Natale, è che resta impossibile procedere all’abbattimento, ma contemporaneamente quei cittadini non pagano i tributi perché abusivi.

“Io non posso mettere i contatori dell’acqua, i cittadini non possono usare quella dei pozzi perché c’è un’ordinanza commissariale che lo vieta e ci perde ancora una volta l’intera comunità. Proprio la gestione dell’acqua rappresenta il 40% del disavanzo comunale. La regione fornisce l’acqua, ma noi non riscuotiamo i tributi e la rete idrica è fatiscente, il 30% di quella che arriva viene persa”. In questo caso Natale invoca strumenti che devono arrivare dal governo nazionale e presto. “Non sentiamo nella nostra azione la pressione del crimine organizzato, ma quella di una burocrazia imponente. Si rischia così di vanificare il cambiamento”. Morire di burocrazia dopo aver azzoppato il potere criminale. Ipotesi sciagurata che Casal di Principe e l’Italia devono scongiurare.

(fonte)

Boss mafiosi e patria potestà

Un dibattito annoso e, ora, una proposta di legge:

Un boss mafioso, un trafficante di armi o di droga, un terrorista o un mercante di uomini, non può essere un buon genitore. Gli va tolta la patria potestà e ove necessario i figli vanno allontanati dal contesto familiare. E’ questo, in buona sostanza, l’obiettivo dell’emendamento al decreto legge contro il terrorismo che Ernesto Carbone presenterà in aula la prossima settimana. Un tema che è un vecchio pallino del membro della segreteria Pd, il quale già lo scorso anno aveva presentato un disegno di legge specifico. L’emendamento inserisce nel Codice penale il 416-quater, nel quale si afferma che “La condanna per il delitto previsto dall’articolo 416-bis del codice penale (ossia l’associazione mafiosa) comporta la decadenza dalla potestà dei genitori”. Attualmente una legge specifica non esiste, le condanne per mafia non sono d’impedimento allo svolgimento del ruolo genitoriale. Tuttavia, in alcuni casi specifici, i Tribunali per i Minori hanno tentato di intervenire, togliendo i figli minori alle famiglie radicalmente coinvolte nella criminalità organizzata in maniera parziale oppure per alcuni periodi di tempo. Una misura che colpisce un’organizzazione criminale che mette la famiglia al centro di tutto.

In passato, alcuni giudici calabresi, su richiesta dei pm, hanno adottato provvedimenti limitativi della potestà genitoriale, nominando ad esempio in presenza di minorenni un curatore speciale, ritenendo indispensabile affidare il minore al servizio sociale per inserirlo subito in una comunità fuori dalla territorio della regione di origine, al fine di affidarlo ad operatori professionalmente qualificati che fossero in grado di fornirgli una seria alternativa sul piano culturale e sociale.

Altri Tribunali ancora si stanno muovendo facendo leva sull’allontanamento “volontario”. In altri termini si punta ad avere il consenso di almeno dei genitori (spesso detenuti) e dello stesso minore per la collocazione in comunità e lontano dai contesti sociali a rischio. Alcune sentenze dei giudici, che si occupano di minori che hanno già commesso i primi reati, si giustificano la decadenza della patria potestà, ritenendola l’unica soluzione per sottrarre il minore “a un destino ineluttabile e nel contempo consentirgli di sperimentare contesti culturali e di vita alternativi a quello deteriore di provenienza”, nella speranza che il minore “possa affrancarsi dai modelli parentali sinora assimilati”.
Un argomento delicato, soprattutto in alcune aree del Paese. Non è un caso che durante le faide degli anni ’80 in diversi paesi della Piana di Gioia Tauro i bambini venissero allontanati dalle famiglie e affidati alle comunità per evitare che rimanessero vittime di vendette e rappresaglie. E più di recente, negli anni della faida di San Luca, le famiglie coinvolte nella guerra di ‘ndrangheta evitavano persino di mandare i figli a scuola. La convinzione di diversi operatori del settore è che in alcuni contesti familiari non si crescono figli, ma veri e propri soldati dei clan, addestrati alla vendetta o addirittura già giovanissimi affiliati alle cosche perché così educati da genitori e figli maggiori. Le cronache più recenti raccontano come, ad esempio a Palmi (Reggio Calabria), dopo l’arresto dei boss Gallico, a riscuotere le tangenti fosse un sedicenne figlio del capoclan. Interventi mancati e interventi che invece stanno sortendo l’effetto sperato. Per salvare i figlia della pentita Giuseppina Pesce, la magistratura ha tolto al padre (attualmente detenuto) la possibilità di esercitare il proprio ruolo. Stessa cosa anche per i figli della collaboratrice Maria Concetta Cacciola (morta suicida) allontanati dalla famiglia d’origine e affidati ai servizi sociali.

Giuseppe Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria, già sette anni fa aveva chiesto che fosse tolta la patria potestà a boss del calibro di Giuseppe De Stefano e Pasquale Condello. E ancora oggi si dice convinto che si tratti di “un passaggio fondamentale”. Per il magistrato “lo Stato ha il dovere di intervenire a tutela dei minori a cui non viene data la possibilità di un futuro diverso da quello dei padri”.

Secondo Carbone “a prima vista l’intervento potrebbe apparire forte, ma in realtà, la proposta vuole recepire, e portare a compimento, profili sanzionatori in parte già attivati dalla magistratura”. Mafia ma non solo. La proposta varrebbe, come pena accessoria anche per i reati di strage, omicidio, riduzione in schiavitù o traffico di esseri umani, nonché traffico di armi e traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope.

(link)

La mafia dell’antimafia e Naomi Klein: #LEFT di questa settimana

Left_Cover_N10_21Mar2015«LA MIA RICETTA
ANTI CRISI»

Parla Naomi Klein: «Prendere sul serio il climate change per nuove opportunità».
di Nicola Grigion

CHE FINE HA FATTO OCCUPY?
Zuccotti park e il movimento del 99%.
di Claudia Vago

ALLA FIERA DELL’IPOCRISIA
Benvenuti a Expo 2015 tra multinazionali pro biologico e opere incompiute.
di Tiziana Barillà e Raffaele Lupoli

il voto di maggio
CHE CASINO LE REGIONALI
La renzizzazione spacca tutto: centrodestra e centrosinistra.
di Luca Sappino

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE
Non solo Italicum. Si litiga anche su Toscanellum e Umbricellum.
di Donatella Coccoli

antimafia
LA VERSIONE DI MANIACI
L’anima di Telejato tra denunce e minacce.
di Giulio Cavalli

NOMI E COGNOMI CONTRO I CLAN
Viaggio nell’Italia dell’altra antimafia.
di Ilaria Giupponi

LO STATO DENUNCI
Intervista a Claudio Fava: «Basta deleghe».
di Ilaria Giupponi

grecia
MA QUANDO PAGANO I TEDESCHI?
Dal debito di guerra della Germania nazista alla controstoria del default.
di Andrea Ventura e Davide Vittori

migranti
L’ALTRA FACCIA DEL NORD EUROPA
Le politiche ultrarestrittive in Olanda e Regno Unito. I rifugiati protestano.
di Massimiliano Sfregola e Giacomo Zandonini

conflitti
COSÌ SI UCCIDE LA SIRIA
Bilancio impietoso di quattro anni di guerra.
di Umberto De Giovannangeli

televisione
DOTTRINA A RETI UNIFICATE
Il rapporto di Critica liberale sulla pervasività dei cattolici in tv.
di Simona Maggiorelli

musica
MASCALZONE LABRONICO
Bobo Rondelli e il suo nuovo disco.
di Tiziana Barillà

scienza
LA GUERRA DEI NEURONI
Il progetto europeo di ricerca sul cervello va rivisto.
di Pietro Greco

editoria
LO SPORT È CULTURA
Libri e campioni per l’impegno civile.
di Simone Schiavetti