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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La cultura dentro le dimissioni dal Parlamento

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Massimo Bray

Massimo Bray si è dimesso da parlamentare. Si è dimesso per scelta propria, lo scrive lui stesso, perché si ritiene più utile in un altro ruolo professionale e perché, scrive, “rispettare lo Stato e le Istituzioni significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre come obiettivo il bene della comunità. Ecco perché vivo con sofferenza questa scelta, ma sono nello stesso tempo convinto che siano molti i luoghi in cui si possa dare un contributo alla vita democratica del nostro Paese”.

In un Repubblica parlamentare (almeno sulla carta) le dimissioni di un uomo di cultura e di impegno come Massimo Bray dal Parlamento poiché si reputa “politicamente” più conforme in un altro ruolo dovrebbero aprire un dibattito. Ma un dibattito mica da talk show pomeridiano, piuttosto un esame di coscienza su un Parlamento che non solo viene svuotato delle sue funzioni dall’abuso dei decreti o di voti di fiducia ma anche un Parlamento che fallisce il proprio obiettivo sociale e culturale: i nostri nonni avevano immaginato quell’assemblea come la sintesi di rappresentanza del popolo (nei suoi spigoli migliori) e invece succede che Bray (ma non solo lui) si senta non rappresentativo. Anzi, per assurdo, il fatto che non si senta rappresentativo lo avvicina moltissimo al sentire comune di questo tempo quindi, abbandona un Parlamento che è già stato abbandonato da una maggioranza invisibile, diventandone involontariamente (forse) perfetto interprete.

L’abitabilità del Parlamento, decaduto in votificio senza voce in cui si riesce a farsi notare alzando i toni, spettacolarizzando gli interventi o piallando i contenuti credo che sia il termometro dello stato di cultura della democrazia nel nostro Paese. E c’è il gelo.

Oltre al figlio di Lupi

Oggi vale la pena leggere Luca Sofri:

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Magari mi invento dei pezzi, ma ripeto, mi pare una storia emozionante ma fuorviante. Era più furbo evitare, e fargli trovare lavoro altrove che non dal primo collegabile alla tua famiglia, certo. Ma il problema è un altro, se spostiamo le telecamere dal figlio e torniamo sull’edificio del ministero delle Infrastrutture in via Nomentana: è che quell’amico di famiglia abbia ricevuto in questi anni decine di incarichi preziosi e importantissimi dal ministero. E che il ministro Lupi abbia avallato decisioni che hanno reso al suo amico milioni, e che – se fossero dimostrate le accuse penali – abbia omesso il minimo controllo su un sistema di corruzione di cui erano responsabili, nel suo ministero, il suo più importante dirigente e il suo amico costruttore.
C’è una sola cosa che Lupi può dire per non dimettersi: «Sono convinto che queste accuse contro Incalza e Perotti siano completamente false, perché la mia vicinanza professionale e personale ad ambedue mi fa escludere completamente che possano essere vere; e se lo fossero lo saprei e dovrei dimettermi; e se non lo sapessi, sarei colpevole di inettitudine nel mio ruolo di ministro e dovrei dimettermi». Se Lupi è disposto a dire questa cosa guardando tutti negli occhi e ad affrontarne l’eventuale smentita, la dica.
Se no, ci si dimette.

Il resto è qui.

Ha telefonato ad Emiliano

123112714-abd5d4a1-0790-420b-b894-1ef067225529Matteo Renzi ha telefonato a Michele Emiliano (candidato Presidente della Regione Puglia) per chiedergli di sostituire Lupi ormai sempre meno credibile dopo l’uscita delle intercettazioni dell’inchiesta della Procura di Firenze. Renzi ha telefonato ad Emiliano e Emliano l’ha sputtanato. L’ha detto a tutti. Rifiutando. Intanto Delrio è un disco rotto che cambia idea ogni ad ogni mestruazione del premier: ieri diceva che era troppo presto per tirare conclusioni, oggi dice che bisogna riflettere e domani dirà che si fa tardi. Paninari. Neopaninari al governo. Certo, con una narrazione (all’inizio) golosissima.

La narrazione dell’ottimismo e intanto le solite cricche.

Il ministro delle Infrastrutture visita il cantiere MoseHa un bel dire il Sottosegretario Delrio che “è troppo presto per esprimere giudizi sulle intercettazioni” che stanno nell’ordinanza di arresto dell’onnipresente Ercole Incalza, colui che ha attraversato in questi ultimi anni tutte le “Grandi Opere” e tutti i governi e i loro contrari. Ha un gran fegato anche Matteo Renzi che, dopo averci abbindolato con la narrazione ottimistica di un Expo che sarà pronto in tempo e che ha tenuto lontano il malaffare (ha detto proprio così, andate a riascoltarvi la conferenza stampa) oggi riserva all’indagine (e agli arresti) qualche battuta scanzonata. E giuro che se fosse stato Berlusconi ad avere fortemente voluto come Ministro un ciellino dichiarato come Maurizio Lupi e se fosse stato Berlusconi a sorridere alle telecamere dicendo “basta scoop, per oggi” avremmo avuto lenzuolate di sdegno editoriale di tutti i pensatori politici prima così antiberlusconiani e oggi improvvisamente illuminati sulla strada del renzismo.

Eppure, caro Renzi e caro Delrio, gli arresti di oggi sono un fatto politico perché è un fatto politico che un dirigente di così lungo corso (e ombre) fosse ancora saldo in quel posto di responsabilità nonostante il gran parlare di rottamazione, è un fatto politico che il Ministro Lupi comunque non sia per natura compatibile con il “nuovismo” raccontato dal renzismo ed è un fatto fortissimamente politico che la reazione d’istinto di questo Governo sia la stessa, identica, triste e desolante di quegli altri chiedendo subito di avere pazienza e delegando alla magistratura i giudizi politici (sempre pronti poi a sputtanarla nel caso di una sentenza sfavorevole).

La vera mancanza di cambiamento “di verso” sta proprio tutta qui, nella stanca ripetizione degli stessi vizi comportamentali e nella stessa lurida codardia sotto le mentite spoglie del garantismo: questo è il fallimento, oggi. Perché possiamo certamente discutere sulle diverse visioni delle riforme (e questo Paese ha bisogno di forze realmente riformiste), possiamo certificare che questo Governo è dalla parte di alcuni e insindacabilmente non protegge i diritti di altri (anche questo ci è costato, sia chiaro, con le macerie di una sinistra piallata) ma il perseverare di certi atteggiamenti che si ostinano a puntare sulla “cricca” come modello di comando è la ferita più profonda; Renzi lo sa, sicuro, tra le sue molteplici “antenne” del proprio gradimento elettorale. E leggendo anche semplicemente il “modo” in cui si parlano al telefono le punte più alte della classe dirigente di questo Paese (quelle che gestiscono milioni di euro come se fosse propri e non pubblici) non si può non pensare a Renzi che critica i pessimisti su Expo così tanto simile al Formigoni che tranquillizzava tutti su Don Verzè e il San Raffaele: non c’è differenza, entrambi a sostenere l’insostenibile semplicemente dall’alto della propria posizione (precaria, eh).

E allora davvero sarebbe “cambiato verso” se oggi un Sottosegretario qualsiasi al posto di andare in televisione a tranquillizzare cittadini incazzati più che preoccupati avesse alzato la mano e avesse detto “oh no, sta capitando anche a noi e allora per dimostare le differenze reagiamo con durezza, esagerando piuttosto nell’eccesso di difesa di questo Governo piuttosto che degli indagati.

E invece niente. Niente. Ma questa costerà, c’è da crederci.

La confusione sulla libertà di espressione targata Dolce&Gabbana

Il solito bravo Leonardo:
Quest’anno il manuale di Storia adottato dai colleghi non mi convince tantissimo. Ogni tanto prende delle topiche inquietanti. Nella verifica sull’Illuminismo ho cancellato una “frase celebre” che doveva essere attribuita a un filosofo: indovinate quale.

Poi ho dovuto di nuovo spiegare ai ragazzi che quella frase Voltaire non l’ha mai scritta, e anzi, chiunque un po’ lo conosca davvero sa che nel Trattato sulla tolleranza si lanciava contro i suoi avversari al grido “Schiacciate l’infame”. Non proprio il tipo che avrebbe combattuto fino alla morte affinché gli infami potessero manifestare le loro opinioni.

Tre ore dopo, mentre esco da scuola, getto l’occhio nell’atrio su un bel cartellone prodotto da un’altra classe: c’è la stessa frase, attribuita a Voltaire. Come spalare l’acqua col forcone.

Perché insisto tanto su questa storia, sempre la solita? Perché ho la sensazione che la frasetta pseudovoltairiana ci abbia un po’ fregato tutti quanti. Prendi uno a caso…

…Stefano Gabbana. Magari anche lui da qualche parte (a scuola?) ha appreso erroneamente che Voltaire avrebbe difeso fino alla morte i gesuiti che non la pensavano come lui. È un’ipotesi come un’altra. Oppure pesca parole a caso dal dizionario inglese-italiano. Elton John se l’è presa perché Gabbana ha definito suo figlio “sintetico” e ha deciso che lo boicotterà. Scelta che puoi discutere finché vuoi, ma in che senso uno che ha deciso di boicottarti per le tue opinioni è “fascista”? Che ragionamento c’è dietro, se proprio ce ne deve essere uno?

Una pista ce la offre Giorgio Mulè, direttore di Panorama, che qualche ora dopo sente la necessità di intervenire per richiamare Elton John, ci credereste?, alle più elementari norme di tolleranza: ma come, Gabbana ha definito tuo figlio “sintetico” e tu ti sei offeso? Si vede proprio che non riesci a “accettare le idee” altrui.  Per fortuna non lo scrive in una lingua che Elton John possa comprendere.

Le immagini sono prese da http://twitter.com/lasoncini,
che magari non la pensa come me (nel qual caso son pronto a morire, va da sé).

Anche qui: di cosa parla Mulè quando parla di “democrazia”? Se Elton John smette di comprare prodotti Dolce & Gabbana diventa in qualche modo antidemocratico? In un’intervista Dolce e Gabbana hanno detto una stronzata, Elton John si è arrabbiato e ha annunciato che non comprerà più i loro prodotti. D&G hanno il diritto di scrivere stronzate (anche se il fatto di rappresentare un marchio che dà lavoro a così tante persone potrebbe suggerire maggiore prudenza), EJ ha diritto di boicottarli. Nessuna democrazia è stata violata fin qui. Nessuno sta impedendo a Elton John di avere figli, fuorché la legislazione italiana vigente. Nessuno sta impedendo a Gabbana di vendere vestiti, accessori, ecc.. Sembra così chiaro, eppure c’è qualcosa che non passa. Uno potrebbe anche pensare che Mulè in fin dei conti non si è ancora fatto le ossa nel mondo dell’opinionismo: che ha deve ancora farsi; che uno più esperto di lui non commetterebbe lo stesso errore.


“Freedom of expression”, dice. Cioè per Severgnini se ti arrabbi con Gabbana; se annunci che non comprerai più i loro prodotti, tu non stai rispettando la “libertà di espressione di Gabbana”. Per dire, io è da anni che non compro più il Corriere: trovo che scriva veramente troppe sciocchezze. Ebbene, pare proprio che mi stia sbagliando. Sto minando la libertà di espressione di Panebianco, di Ostellino, di Sartori, e chissà di quanti altri produttori di opinioni. Dovrei morire per la loro libertà di esprimerle! E invece non gliele compro, è o non è oscurantismo il mio? Che direbbe di me coso, Voltaire?

[Alla fine di tutto sorge il sospetto che Gabbana e il suo socio abbiano capito il mondo meglio di chiunque altro, e che l’immagine di un’Italia intollerante e culturalmente sottosviluppata, incapace di elaborare una discussione decente (e di elaborarla in inglese corretto) sia proprio quella su cui hanno imbastito anni di campagne. Un bel posto del Terzo Mondo dove passare le vacanze].

L’intergruppo sociale per la legalizzazione

11046407_10205218551496308_3436146092173049423_oPer contare: gli Stati americani che hanno autorizzato la cannabis per uso terapeutico e per uso ricreativo; le persone interessate in Italia a ciò che si può fare in Parlamento; tutte le persone che, se il Parlamento non dovesse muoversi, sarebbero disponibili a promuovere un’iniziativa popolare o una proposta referendaria sull’argomento.

Sel e M5s sono d’accordo. Personalmente ho presentato una proposta di legge, firmata da altri colleghi del gruppo. Sessanta parlamentari hanno dato l’adesione all’intergruppo che si è venuto formando in queste ultime ore, per iniziativa del già radicale Della Vedova.

Sappiate però che il clic impegna, in questo caso. L’intergruppo social lo trovate qui.

I veri “sabotatori” della TAV

Ercole Incalza, dirigente del ministero dei Lavori pubblici.
Ercole Incalza, dirigente del ministero dei Lavori pubblici.

Ercole Incalza, dirigente del ministero dei Lavori pubblici, è stato arrestato su richiesta della Procura di Firenze insieme a altre tre persone: sono il funzionario del ministero e collaboratore di Incalza, Sandro Pacella e gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo, presidente del Consiglio di Amministrazione di Centostazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato. L’inchiesta condotta dal procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo riguarda circa 50 persone e sono in corso oltre cento perquisizioni a Roma, a Milano e anche in altre regioni. Tra i reati contestati ci sono la corruzione, l’induzione indebita e altre violazioni relative alla pubblica amministrazione. Gli appalti finiti nell’indagine riguardano la linea Alta velocità (TAV) e diversi lavori legati alle cosiddette “grandi opere”.

Il Corriere della Sera scrive che «le indagini sono coordinate dalla procura di Firenze, perché – secondo quanto è stato possibile apprendere finora – tutto è partito dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sotto-attraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia ed a una lunga serie di appalti relativi ad altre grandi opere, compresi alcuni relativi all’Expo». Secondo l’accusa, Incalza «sarebbe stato il principale artefice del “sistema corruttivo” scoperto dalla procura di Firenze. Sarebbe stato lui, in particolare, in qualità di “dominus” della Struttura tecnica di missione del ministero, ad organizzare l’illecita gestione degli appalti delle Grandi opere, con il diretto contributo di Perotti, cui veniva spesso affidata la direzione dei lavori degli appalti incriminati».

Ettore Incalza venne nominato nel 2001 capo della segreteria tecnica di Pietro Lunardi nel secondo governo Berlusconi, poi è rimasto al ministero delle Infrastrutture per quattordici anni durante sette diversi governi e cinque ministri. Con il ministro Altero Matteoli venne promosso “capo della struttura tecnica di missione” (a responsabile, cioè, della programmazione del ministero stesso), confermato da Corrado Passera (governo Monti) e Maurizio Lupi (governo Letta e governo Renzi). Lo scorso gennaio Incalza aveva lasciato l’incarico mantenendo un ruolo di consulente. Il Fatto Quotidianoscrive che «nella sua trentennale carriera, Incalza è stato indagato ben 14 volte, uscendone però sempre indenne. Il suo nome ricorre nelle carte delle principali inchieste sulla corruzione nelle grandi opere, da Mose a Expo».

(clic)

 

Pizzerie, B&B: come fattura la ‘ndrangheta

DV1987098-039-kbPC-U43070203464074C3F-1224x916@Corriere-Web-Roma-593x443«Faccio due srl qua, perché tanto trasformarla… due srl nuove… e così lavoriamo con queste due. Una si piglierebbe un Bed&Breakfast ed una pizzeria… un laboratorio di pizza al taglio, non lo so che facciamo… però quello a via di Tor Millina… perché se uno deve vendere devono essere separate…». Il dinamico imprenditore che pianifica strategie societarie al telefono è Gianfranco Romeo. Nella lista della spesa ha un ristorante a Campo De’ Fiori, un B&B a piazza Barberini, una pizzeria al taglio o un locale di gastronomia calda vicino piazza Navona. Ma più che la ristorazione e gli affari che ne potrebbero venire, la sua vera preoccupazione, secondo gli investigatori della Dda, è nascondere l’effettiva proprietà dei locali.

Romeo è accusato di fittizia intestazione di beni in concorso con Salvatore Lania, il quarantasettenne calabrese sospettato di legami organici nella ‘ndrangheta, arrestato due giorni fa. Gli acquisiti di cui si parla nella telefonata non andranno a buon fine, ma la conversazione dà la misura di quanto aggressiva sia la strategia degli otto indagati nell’inchiesta, ai quali sono stati sequestrati preventivamente locali noti e di buona clientela come «Er Faciolaro» e «La Rotonda» (oltre a un negozio di souvenir a poca distanza), nella zona del Pantheon. Dalle indagini della Dia è emersa inoltre la trattativa condotta da Romeo per la compravendita di fatture, circa 20mila euro, per conto delle società «Rotonda» e «Suriaca» (formali gestori dei ristoranti sequestrati). Secondo il giudice per le indagini preliminari, Gaspare Sturzo, «Romeo mostra la capacità di creare movimentazione di liquidità da far scomparire e comparire, legittimandola alla bisogna, creando ove occorra anche disponibilità di denaro in nero».

E il decreto di sequestro sottolinea un altro aspetto, attualmente al vaglio del pm Francesco Mìnisci: «Di solito le attività commerciali sono utilizzate per riciclare somme di denaro di illecita provenienza mediante la vendita di pasti a clienti inesistenti, ripulendo così ingenti somme, poi immettendole nel mercato legale mediante la fatturazione per forniture e servizio sovra costo o inesistenti». Questa ultima vicenda, dunque, non fa altro che confermare un fenomeno in rapida e progressiva espansione. I precedenti sequestri dei centralissimi «Caffè Chigi», del «Cafè de Paris» e della catena di pizzerie «Zio Ciro» – per restare agli esempi più noti – raccontano quanto diffusa e comune alle organizzazioni criminali sia la strategia di radicamento nel tessuto economico della Capitale. E non è un caso che su tutte le compravendite di questo tipo, non da oggi, la procura mantenga ormai la massima attenzione.

(clic)

Disperatamente attuale: quando l’Onorevole Mattarella parlò in aula contro le modifiche alla Costituzione (2005, ma vale anche oggi)

(L’intervento è negli atti parlamentari. Eravamo nel 2005, al governo Berlusconi. Provate a cambiare il nome degli addendi e vedrete che il risultato non cambia):

220734294-3c65732a-b424-4acc-8185-4593fff414a8Signor Presidente,

tra la metà del 1946 e la fine del 1947, in quest’aula, si è esaminata, predisposta ed approvata la Costituzione della Repubblica. Con l’attuale Costituzione, che vige dal 1948, l’Italia è cresciuta, nella sua democrazia anzitutto, nella sua vita civile, sociale ed economica. In quell’epoca, vi erano forti contrasti, anche in quest’aula. Nell’aprile del 1947 si era formato il primo governo attorno alla Democrazia cristiana, con il Partito comunista e quello socialista all’opposizio – ne. Vi erano contrasti molto forti, contrapposizioni che riguardavano la visione della società, la collocazione internazionale del nostro paese. Vi erano serie questioni di contrasto, un confronto acceso e polemiche molto forti. Eppure, maggioranza e opposizione, insieme, hanno approvato allora la Costituzione. Al banco del governo, quando si trattava di esaminare provvedimenti ordinari o parlare di politica e di confronto tra maggioranza e opposizione, sedevano De Gasperi e i suoi ministri. Ma quando quest’aula si occupava della Costituzione, esaminandone il testo, al banco del governo sedeva la Commissione dei 75, composta da maggioranza e opposizione.

Il governo di allora, il governo De Gasperi, non sedeva ai banchi del governo, per sottolineare la distinzione tra le due dimensioni: quella del confronto tra maggioranza e opposizione e quella che riguarda le regole della Costituzione. Questa lezione di un governo e di una maggioranza che, pur nel forte contrasto che vi era, sapevano mantenere e dimostrare, anche con i gesti formali, la differenza che vi è tra la Costituzione e il confronto normale tra maggioranza e opposizione, in questo momento, è del tutto dimenticata.

L e istituzioni sono comuni: è questo il messaggio costante che in quell’anno e mezzo è venuto da un’Assemblea costituente attraversata – lo ripeto – da forti contrasti politici. Per quanto duro fosse questo contrasto, vi erano la convinzione e la capacità di pensare che dovessero approvare una Costituzione gli uni per gli altri, per sé e per gli altri. Questa lezione e questo esempio sono stati del tutto abbandonati. Oggi, voi del governo e della maggioranza state facendo la “vostra” Costituzione. L’avete preparata e la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze, alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza. Il governo e la maggioranza hanno cercato accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione.

Il governo e la maggioranza – ripeto – hanno cercato accordi al loro interno e, ogni volta che hanno modificato il testo e trovato l’accordo tra di loro, hanno blindato tale accordo. Avete sistematicamente escluso ogni disponibilità a esaminare le proposte dell’opposizione o anche soltanto a discutere con l’opposizione. Ciò perché non volevate rischiare di modificare gli accordi al vostro interno, i vostri difficili accordi interni. Il modo di procedere di questo governo e di questa maggioranza – lo sottolineo ancora una volta – è stato il contrario di quello seguito in quest’aula, nell’Assemblea costituente, dal governo, dalla maggioranza e dall’opposizione di allora. Dov’è la moderazione di questa maggioranza? Non ve n’è! Dove sono i moderati? Tranne qualche sporadica eccezione, non se ne trovano, perché la moderazione è il contrario dell’atteggiamento seguito in questa vicenda decisiva, importantissima e fondamentale, dal governo e dalla maggioranza. Siete andati avanti, con questa dissennata riforma, al contrario rispetto all’esempio della Costituente, soltanto per non far cadere il governo. Tante volte la Lega ha proclamato e ha annunziato che avrebbe provocato la crisi e che sarebbe uscita dal governo se questa riforma, con questa profonda modifica della Costituzione, non fosse stata approvata. Ebbene, questa modifica è fatta male e lo sapete anche voi. Con questa modifica dissennata avete previsto che la gran parte delle norme di questa riforma entrino in vigore nel 2011. Altre norme ancora entreranno in vigore nel 2016, ossia tra 11 anni. Per esempio, la norma che abbassa il numero dei parlamentari entrerà in vigore tra 11 anni, nel 2016! Sapete anche voi che è fatta male, ma state barattando la Costituzione vigente del 1948 con qualche mese in più di vita per il governo Berlusconi.

Questo è l’atteggiamento che ha contrassegnato questa vicenda. Ancora una volta, in questa occasione emerge la concezione che è propria di questo governo e di questa maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore. È una concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è al governo e di chi è all’opposizione. La cosa grave è che, questa volta, vittima di questa vostra concezione è la nostra Costituzione.

(Sergio Mattarella)

(fonte)