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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Reggia di Carditello e le minacce di cui nessuno parla

L’articolo di Stefania Battistini:

Reale_tenuta_di_Carditello_2010-2Due minacce di morte. Due lettere anonime, nello stesso giorno, inviate allo stesso giornale, Il Mattino di Napoli. Indirizzate all’ex ministro Massimo Bray e alla giornalista Nadia Verdile (nella foto). Le due persone che più di tutti, in questi mesi di silenzio mediatico, hanno combattuto per far tornare la Reggia di Carditello, nel casertano, un bene comune. Secondo la mentalità mafiosa, non deve esserci un presidio dello Stato sulla strada che da San Tammaro porta a Casal di Principe. Sulla via dell’eco-mafia, in Terra dei Fuochi.

È l’ennesima intimidazione a Massimo Bray, che da ministro fece acquisire la Reggia dal Dicastero dei Beni Culturali. Insulti e una croce che parla di condanna a morte. Era già accaduto quando, dopo la caduta del governo Letta, Bray – non più da ministro, ma da appassionato uomo di cultura – aveva continuato a combattere per non far morire il progetto Carditello. Scritto su un foglio, infilato nel suo zaino in circostanze non ancora chiare, un messaggio esplicito: “Non avvicinarti più a Carditello, o sei morto”. Da allora Bray vive sotto scorta, nel silenzio quasi generale della stampa.

L’ex ministro dà fastidio perché con tenacia non smette di battersi affinché si crei una Fondazione, strumento con cui governare la nuova vita della residenza borbonica e riaprirla presto al pubblico. Evidentemente non piace l’idea che, a pochi chilometri dalla terra dei Casalesi, ci sia un luogo della cultura che attiri un via vai di persone.

La stessa ragione per cui è stata minacciata anche la giornalista de Il Mattino, Nadia Verdile, che sulla Reggia ha scritto un libro appassionato e che, in questi mesi, ha denunciato sul suo giornale i continui ritardi sulla Fondazione. “Io sono convinta che il problema sia proprio questo – dice oggi – L’unica cosa rimasta da fare per dare un senso all’acquisto fatto dallo Stato è costituire la Fondazione. Senza questa, Carditello rimane un contenitore vuoto, una bella scatola restaurata. E quelle zone continuano a non avere la presenza né dello Stato, né delle persone”. E così, chi ha bisogno di vivere isolato, libero di poter sversare rifiuti e veleni, continua ad agire indisturbato.

A guardare indietro, era stato minacciato di morte anche Tommaso Cestrone, che per primo aveva scoperto e difeso Carditello. Lui, pastore, come volontario della Protezione Civile, aveva iniziato a fare la gurdiania alla Reggia dopo i furti. Per lui era diventata un’ossessione personale, tanto da passare lì tutte le notti, dentro una roulotte. Ogni giorno su Facebook denunciava i roghi tossici e il continuo sversamento di rifiuti fuori dal real sito. Gli avevano buttato una bomba carta a casa e incendiato la roulotte. In un’intervista a RaiTre aveva detto: “Mi devono ammazzare, per mandarmi via da qui”. È morto, 20 giorni dopo, la notte di Natale. Per un infarto. Eppure – nonostante le minacce subite – non è mai stata disposta un’autopsia. Tommaso, il nostro Angelo di Carditello, è morto per attacco cardiaco, come dice il medico legale, ma in questo territorio avvelenato sarebbe stato meglio averne la certezza.

“Siamo stati lasciati soli in questa battaglia – denuncia oggi Nadia Verdile – come se fosse una questione inter nos. Un fatto campano. Invece è un fatto dell’Italia intera”. Per questo ora c’è bisogno di una risposta compatta e unita in difesa di Massimo Bray e a Nadia Verdile, che in questi mesi – da soli, senza nessun sostegno da parte dei media nazionali – hanno combattuto una battaglia che non può essere personale. “Non mi fermeranno – dice Bray – continuerò a combattere per questo territorio così ricco di bellezze. Non mi faccio spaventare”. Ma ora è dovere di tutti i professionisti dell’informazione non far calare il silenzio sulla Reggia di Carditello, splendore Settecentesco che affaccia sulla discarica di Maruzella (sì, quella aperta durante l’emergenza rifiuti del 2009, con la promessa di chiuderla al più presto e, poi, invece, raddoppiata) e che guarda verso Casal di Principe. Ancora oggi contornata dai rifiuti e sorvolata dai gabbiani delle discariche legali. E deve passare un messaggio chiaro: quel luogo deve essere un presidio dello Stato, deve aprire ai cittadini, ai turisti, agli studiosi. E deve dare lavoro pulito.

LEFT: questa settimana cosa ci abbiamo messo dentro

Da oggi il nuovo numero di LEFT è in tutte le edicole. E dentro ci sono anch’io. E questo è quello che ci abbiamo messi dentro. Sono sempre ben accetti consigli, suggerimenti, critiche , etc. etc.

Left_Cover_N5_14Feb2015

YANIS VAROUFAKIS

Da Marx alla Teoria dei giochi. Ecco chi è l’uomo che sfida la Troika. Il passato, gli studi, la strategia. E un’idea alternativa alla finanza globale che si fonda su proposte serie.
di Nicolò Cavalli, Guido Iodice, Ernesto Longobardi, Anna Pettini, Andrea Ventura

politica
DE MAGISTRIS: «RICOMINCIO DA NAPOLI»
Parla il sindaco, paladino di un nuovo meridionalismo. Intanto è fuoco incrociato sull’acqua pubblica.
di Tiziana Barillà e Raffaele Lupoli

precari
COME RIFORMARE IL LAVORO
Idee e proposte in attesa degli altri decreti del Jobs act di Matteo Renzi.
di Michele Azzu

spazi urbani
OPPORTUNITÀ DA RIUSARE
Edifici abbandonati diventano occasioni di lavoro, contro le speculazioni edilizie.
di Veronica Di Benedetto Montaccini

speciale mafie
AEMILIA, LA VIA DELLA ’NDRANGHETA
Un nuovo sistema criminale corre lungo l’antica strada. E coinvolge tutti, anche la politica. Voci e cronache da una realtà inquietante.
di Sarah Buono, Giulio Cavalli, Ilaria Giupponi, Stefano Santachiara

terrorismo
ATTACCO ALL’ISIS
La rete di hacker Anonymous chiude account jihadisti. E la Giordania schiera le truppe.
di Umberto De Giovannangeli

conflitti
POLVERIERA UCRAINA
La crisi del Paese mette a rischio le quattro centrali nucleari. Torna l’incubo Chernobyl.
di Massimo Panico

l’intervista
LA MUSICA SALVA
Oltre 4mila opere di autori internati nei lager.
Francesco Lotoro racconta la sua ricerca.
di Flore Murard-Yovanovitch

junior
COME MAMMA MI VUOLE
Un esercito di baby modelle alimentano lo show biz. Ma chi sono? Parlano gli esperti.
di Simona Maggiorelli

paleontologia
GLI AMANTI DI MANOT CAVE
Il cranio di sapiens scoperto in Israele apre nuovi scenari. Anche sui Neanderthal.
di Pietro Greco

spettacolo
MA L’AMORE NO
Festival di Sanremo: trionfa la melassa.
di Diletta Parlangeli

musica
UN CANTAUTORE FUORI DI SÉ
Giovanni Truppi classico e sperimentale.
di Paola Mentuccia

Il comico programma economico (e avvinazzato) della Lega Nord

L’economista Lucio Di Gaetano ha dato un ‘occhiata al programma economico di “Noi con Salvini”:

matteo-salvini-nudo-oggiQuesta mattina avevo voglia di ridere, così ho deciso di dare un’occhiata al programma economico della Lega Nord: ne ho trovato traccia in una lettera al Foglio, ricicciata qualche giorno fa un po’ in sordina dal portale dedicato ai meridionali smemorati “Noiconsalvini.org”.

Il modello propagandistico è il solito: approfittare di un problema particolarmente sentito (la concorrenza straniera, la crisi economica, il mal di schiena) per terrorizzare la gente, addebitarne la responsabilità a un nemico immaginario (la grande finanza, gli immigrati, Maga Magò) e spacciarsi per l’unica ancora di salvezza nel procelloso mare della globalizzazione. Ne viene fuori un autentico capolavoro di macroeconomia da cantina sociale, dove Reaganomics, kenynesismo, colbertismo e pulsioni ultranazionaliste sono frullate in una indigeribile, ma affascinantissima sbobba.

Vediamolo da vicino:

Punto 1: Meno Europa. Il mantra è quello che ha fatto la fortuna di Salvini alle Europee: “è tutta colpa dell’Euro/l’Euro è colpa del Pd/senza l’Euro e senza il Pd torneranno i mitici anni ‘80”. Non una parola sui 20 anni di Lega al governo, non una parola sulle solenni dormite dei lumbard mentre si approvavano le misure di austerity “2010-2011”, non una parola sulle passate strumentalizzazioni dell’Euro in direzione diametralmente opposta e altrettanto farlocca.

Punti 2 e 3: Più vicini ai piccoli; Pagare meno (prima) per pagare tutti (dopo). Ahi la grande finanza! Ahi le tasse! La Lega proteggerà i “piccoli” e le “produzioni domestiche” attraverso una fortissima detassazione, terrà lontane le manacce degli speculatori le banche popolari, convincerà i molti imprenditori che hanno delocalizzato a tornare in Italia. Non una parola sul fatto che l’autore della legge n. 311 del 2004 (con cui il secondo governo Berlusconi trasformò gli studi di settore in arma di distruzione di massa) sia stato quel Giulio Tremonti candidato dalla Lega al Senato appena due anni fa, non una parola sui disastri della Banca Popolare di Milano targata “Lega Nord”, non una parola sul crack della mai dimenticata banca padana “Credieuronord” (si, si chiamava proprio CrediEUROnord).

Punti 4 e 5: Spendere per produrre; Politiche anticicliche mirate alla piena occupazione.  Temete l’avanzata delle armate liberiste della Troika? Tranquilli ci pensa Salvini. Contrariamente alla manica di fessi che dagli anni ‘60 governa il Belpaese, lui ha la formula magica per portarci tutti dritti alle Cayman senza passare dal via: aliquota fiscale unica al 15%, aumento generoso della spesa pubblica, abolizione del pareggio in bilancio e infine, udite, udite, “nazionalizzazione di imprese strategiche”. Capito che bel minestrone? Un po’ di Reaganomics, un po’ di Keynes e un po’ di fanfanismo d’antan. Peccato che la curva di Laffer sia stata smentita dai fatti già da 30 anni (vi consiglio, per approfondire, questo illuminante studiolo del Mises Institute); peccato che il pareggio di bilancio in Costituzione sia una precisa responsabilità della Lega che ne promosse l’approvazione in Parlamento votando favorevolmente due volte alla Camera e una al Senato, salvo poi astenersi in seconda lettura sempre a Palazzo Madama; peccato che la “nazionalizzazione delle imprese strategiche” faccia letteralmente a cazzotti con le premesse reaganiane di cui sopra.

Punto 6: Abolizione della Legge Fornero. Quando le balle superano la velocità della luce lo spazio-tempo si distorce e si torna per magia al 2004: proprio allora un tal Roberto Maroni (noto sponsor di Matteo “Che” Salvini) firmò una riforma passata alla storia come “scalone”, che comportava l’istantaneo innalzamento dei requisiti pensionistici. Quando si dice la coerenza!

Punto 7: No Ttip. Se gli amerikani vogliono fare strame del tessuto industriale italico se la dovranno vedere col duo Salvini-Calderoli: niente libero scambio e niente apertura delle frontiere, specie in assenza di sovranità monetaria! Domanda: la sovranità monetaria c’era a novembre 2001? Sì, ma solo per un altro mese (anzi no, a sentire Claudio Borghi, visto che già dal 1996 la Lira è legata a un sistema di cambi fissi). Altra domanda: chi c’era al governo nel novembre 2001? La Lega, naturalmente. Ultima domanda: quand’è che il WTO ha approvato unanimemente l’abbattimento delle barriere doganali verso la maledettaCinachehadistuttolepmidelnordlimortaccidellagrandefinanza? Il 10 novembre 2001.

Punto 8: Valorizzare le diversità e controllare le frontiere. Solita solfa sugli “immigrati che rubano il lavoro”: inutile perderci tempo. Se proprio vi interessa, potete leggere quello che ho scritto in proposito con Mattia Corsini a dicembre.

Punto 9: Si può tassare solo se c’è reddito. E infatti gli “studi di settore” di cui sopra (promossi come dicevo da Tremonti e mai aboliti o depotenziati da nessun governo a targa leghista) servono proprio a tassare il reddito presunto calcolato in base a rilevazioni statistiche, non quello reale.  

Punto 10: Superamento del sistema dei trasferimenti fiscali. Come diceva quel tale di Stoccarda? “La nottola di Minerva spicca il volo sul far del tramonto”. E proprio così è. La perla delle perle la troviamo in coda al delirante papello della Salvinomics: “Noi proponiamo un sistema dove nessuno debba pagare per altri e dove ognuno possa essere competitivo con le proprie forze” (alla faccia di Keynes), cosicché, dopo il ritorno alla Lira, necessario per “rimettere in piedi il tessuto industriale del nord occorrerà pensare a meccanismi di flessibilità (come ad esempio due monete) per riequilibrare la competitività del sud”.

Matteo perché tutta questa timidezza? Vogliamo la moneta condominiale.

Torno a Gaza anche senza gambe

faiz2In primo piano c’è una donna col capo coperto, intenta a scappare mentre dal cielo piovono schegge di morte. Sullo sfondo cumuli di macerie a perdita d’occhio, deserto di solitudine e distruzione. Questa è una delle foto scattate a Gaza da Momen Faiz, giovane fotografo palestinese costretto su una sedia a rotelle dopo che, nel 2008, i proiettili israeliani gli hanno portato via le gambe.

«È successo mentre ero in servizio», racconta. «Indossavo un cappello e un giubbotto con la scritta “stampa”. Mi ero appostato per fotografare la frontiera chiusa, che impediva il passaggio delle merci necessarie a festeggiare la Id al-Adha, la tradizionale festa islamica del sacrificio».

Di colpo frastuono, sangue, poi più nulla. Momen non può più camminare, resta invalido per sempre.

Una vita, la sua, che non è mai stata facile. Orfano di padre, è il più piccolo di sette fratelli. Nonostante le tante bocche da sfamare, sua madre crede nel valore dell’istruzione: Momen si iscrive alla facoltà di Giornalismo e media, anche se l’incidente blocca il suo percorso.

Si ferma, ma non si arrende. «Dopo quell’attacco la mia vita è cambiata», spiega, «ma io ho scelto di continuare il mio lavoro». Così ogni mattina esce di casa con la macchina fotografica per immortalare la tragedia che travolge Gaza. Ovunque strazio e macerie.

Tornare sui campi di battaglia non è facile per chi ha subito un trauma come il suo. C’è la disabilità, c’è la paura. Ma c’è anche la voglia di continuare a essere un fotoreporter, di documentare crimini e massacri, perché sia i contemporanei che i posteri ne abbiano memoria. Chi crede ancora che esistano guerre giuste dovrebbe conoscerlo di persona o almeno parlarci mezz’ora al telefono. Dovrebbe guardare le sue foto, un grande, pacifico manifesto contro tutte le guerre.

(clic)

Piuttosto che pestarsi in Parlamento

Forse sarebbe il caso che SEL rinunci una volta per tutte ad un’alleanza (spesso troppo comoda in molti comuni e regioni) con un PD con cui (almeno qui, da fuori) non ha niente da spartire. Altrimenti non si capisce perché si dovrebbe fare baruffa in Parlamento, andare a braccetto alle regionali e alle amministrative: avversari ed amici a targhe alterne. Comincerebbe magari ad aprirsi anche la sinistra, così. Viene quasi il dubbio che vorrebbero entrarci, nel PD, (con la forza) per fare compagnia alla minoranza di Civati. Per dire.

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Il bullo di Firenze

La cronaca della folle e indecente serata di ieri al Parlamento scritta dal deputato Giulio Marcon:

matteo-renzi-Giovedì 12 febbraio nella notte, dopo l’aggressione di alcuni deputati del Pd ai deputati di Sel (era in corso la seduta-fiume sulle riforme costituzionali), è comparso alla Camera il premier Matteo Renzi. Ci si aspettava che intervenisse per rasserenare gli animi o per rispondere nel merito posto dalle critiche dell’opposizione, ma è rimasto silente tutto il tempo. A parole.

Ma con i comportamenti e i gesti ha comunicato tutto il tempo. Ha preso scherzosamente a microfonate il ministro Delrio, ha chiacchierato con la Boschi, ha guardato ostentatamente con sorrisi di scherno e con fare di sfida alcuni deputati dell’opposizione, ha continuato a darsi il cinque con il suo “cerchio magico”, da Carbone a Bonifazi, si è aggirato tra i banchi dei deputati diffondendo buffetti e battute. Fregandosene del dibattito in corso e non rispondendo agli inviti ad intervenire per chiarire gli aspetti controversi della riforma costituzionale ha fatto dell’altro.

Con un atteggiamento che a Napoli, chiamerebbero da guappo, a Roma da coatto e a Firenze da bullo. Un atteggiamento provocatorio. Un paio di volte si è fatto portare dagli uffici della presidenza il foglio con i tempi (pochi) rimasti a disposizione dell’opposizione per intervenire in aula, rimirandoli soddisfatto. Era interessato a sapere quando si chiuderà la riforma della Costituzione-trattata come un decreto-legge- non a confrontarsi con il Parlamento.

Renzi si è laureato con una tesi su Giorgio La Pira, uomo sobrio, misurato, dialogante, capace di stabilire ponti, sincero e leale. Non si capisce cosa abbia imparato Renzi, scrivendo quella tesi. Il premier ha dichiarato un paio di giorni fa: “Se vogliono lo scontro, lo avranno“. La Pira avrebbe detto al contrario: “Se vogliono il dialogo, lo avranno”.

Ma La Pira era un profeta e un uomo di dialogo. Renzi è un capo-tifoseria e un uomo di rottura.

Il nostro comandamento zero

«Nessi è il nostro comandamento zero. Prima della Costituzione, del codice della strada, del galateo. Ci sono norme che riguardano noi, il comandamento zero, appunto: fare nesso, cucire i fili con quello che ci sta intorno. E i fili sono i sensori che abbiamo addosso, le nostre sensibilità che ci mettono nella stessa frequenza col mondo esterno. Basta attivarli. Se vogliamo migliorare lo stato delle cose, miglioriamo quello che facciamo noi. Finiamola di andare ai concerti, ammirare le immagini-denuncia della guerra in Vietnam, i volti di Gandhi o Mandela, demandare a poeti, cantanti, attori la solidarietà, le belle parole: De André dimmi, che mi fai sentire buono. Dobbiamo essere noi Gandhi, Mandela, Peppino Impastato contro la mafia ogni giorno. Io devo essere l’intera piazza che protesta contro i femminicidi guardando le mie paure, il lato femminile che ho ucciso. Il mio comportamento è già un voto. La protesta non basta più».

(Alessandro Bergonzoni)