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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La dignità della madre di Ilaria Alpi

La madre di Ilaria Alpi, Luciana Riccardi Alpi, decide di rinunciare al proprio ruolo nell’annuale Premio Ilaria Alpi anzi chiede di annullarlo. Dice cha mancano sviluppi alle indagine e quindi non ha senso. E dietro la sua richiesta c’è tutta la dignità di chi vuole solo la verità e non le sue rappresentazioni.

La notizia da Repubblica:

“Le indagini non hanno portato ad alcun risultato, quindi il Premio che ricorda Ilaria Alpi non è più utile”. A denunciarlo è Luciana Riccardi Alpi, la madre della giornalista del Tg3 uccisa a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 insieme al suo operatore Miran Hrovatin, mentre stava facendo inchieste su traffici di armi e rifiuti tossici.

La madre lo scrive in una lettera inviata all’assessore alla Cultura della Regione-Emilia Romagna Massimo Mezzetti, al sindaco di Riccione (dove si tiene annualmente il Premio) Renata Tosi, ai direttori del Premio Francesco Cavalli di Riccione e Barbara Bastianelli di Rimini, al presidente della Giuria Luca Airoldi.

La madre, nella breve lettera, afferma di “aver sempre sentito il dovere di seguire la vostra attività e possibilmente collaborarvi, specialmente nei rapporti con l’esterno, al fine di garantirne la rispondenza agli ideali di mia figlia”. Prosegue dicendo che “questo impegno, con l’andare degli anni, è divenuto particolarmente oneroso, anche per l’amarezza che provo nel constatare che nonostante il nostro impegno, le indagini giudiziarie non hanno portato ad alcun risultato”.

Ecco quindi la richiesta della madre di Ilaria: “Vi prego di prendere atto delle mie dimissioni irrevocabili da socio dell’Associazione e del mio desiderio che si ponga termine ad iniziative quali il Premio Alpi, di cui non è più ravvisabile alcuna utilità”.

Pino Maniaci

PINO_MANIACI-241x300Caracò decide di stargli vicino dopo le ultime intimidazioni nel modo migliore: raccontandolo in un ebook gratuito che trovate qui.

E la storia di Pino e una storia bellissima da raccontare a più persone possibili.

Mafia Capitale gocciola su Tivoli

di Giuliano Girlando – 15 dicembre 2014
Veduta-3Nella carte di “Mafia Capitale” un piccolo ma significativo posto è riservato anche a Tivoli, luogo di rilevanza per quanto riguarda il patrimonio culturale e monumentale laziale ma anche di grandi traffici più o meno illeciti.

<<S:     eh l’ami, l’amico mio, t’ho detto, stanno pensando di diversificare il rischio, uno si piglia i pasti, uno si piglia l’immobile 
SC:     ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah, ah….
S:     ho detto va be’, qual è il problema ? Si quantifica quant’è le percentuali…
SC:     no, perché guarda io ieri ho fatto una simulazione, perché poi oggi stiamo impicciati per telefono, ieri è venuto Giancarlo e mentre stava con me l’ha chiamato Genova 
S:     mh
SC:     che gli chiedeva a Giancarlo che ne pensava di fare st’operazione anticipandolo con i soldi, a me che questo si consiglia con Giancarlo mi pare strano, però hanno parlato davanti a me, e io nel frattempo ho fatto una simulata, no? Ho fatto una simulata, a loro gli ho dato altri valori, ovviamente, ma io ho fatto una stima che è il cento per cento, esattamente il cento per cento, spendi cinquanta…  
S:     e incassi cento, no ?
SC:     e incassi cento
S:     è quello che c’avevano…. quello che ha detto l’amico mio
SC:     esatto, esatto, esatto, esatto, più sono alti i numeri… se abbassi i numeri invece del cento c’hai il novanta 
S:     se li portiamo a questi livelli, soltanto, metti che ci sta pure qualche inconveniente… ma ci deve essere cento, sarà ottanta  
SC:     si, si, si
S:     anche ottanta sono belle cifre, no ? 
SC:     certo, certo, certo >>

Salvatore Buzzi e Sandro Coltellacci finiti agli arresti nell’operazione Mondo di Mezzo, stanno parlando di reperire un centro adatto all’accoglienza degli immigrati puntando sull’immobile “Tivoli 2”, migliore per ricettività e condizioni. Così è stato in effetti, perché l’immobile in questione è la clinica Colle Cesarano posta vicino all’uscita dell’autostrada di Tivoli, che a tutti oggi ospita immigrati. La questione sociale era diventata per Buzzi & Co, infatti, un chiodo fisso sul quale battere per ben speculare. Siamo nel dicembre 2012 e Buzzi riferiva al suo interlocutore dell’accordo raggiunto, relativo alla gestione dei centri di accoglienza, secondo il quale: “noi” (come cooperative sociali ndr) avremmo messo a disposizione gli operatori, “i pasti” sarebbero stati assicurati “dall’amico nostro” e tale “Manfredi” si sarebbe occupato di fornire la struttura. Salvatore Buzzi contattava così Manfredino Genova , amministratore di Geress Srl la società che gestisce Colle Cesarano. E’ una storia tutta a sé questa di Colle Cesarano ma prima è necessario riannodare i fili del passato.

Cosa lega infatti l’area tiburtina di Roma con gli affari del boss Carminati e i suoi sodali? Il collante dell’estremismo politico è più di ogni altra cosa ciò che lega insieme appunto una certa Tivoli e gli uomini di Carminati. Un sodalizio che si spiega solo con il passato di questa cittadina il quale certo non può essere l’unica spiegazione, visti i filoni che si stanno intrecciando e che sono arrivati fino in Sardegna. Un quadro storico sul passato di estremismo nero della città è utile per avere chiaro in mente l’evidenza di quel collante.

Paolo Signorelli. Il “gruppo di Tivoli”
 resta negli anni della strategia della tensione tra i gruppi quello più legato all’ex “comandante militare” del MPON (Movimento Politico Ordine Nuovo, ndr) Pierluigi Concutelli.  E’ il 1971, quando un professore di matematica del Liceo Scientifico di Tivoli fonda un’associazione contro i comunisti, e quel circolo divenne famoso poi col nome di “Pierre Drieu La Rochelle”. Il professore era Paolo Signorelli, uno dei massimi dirigenti del Centro Studi Ordine Nuovo (da cui nacque e si divise poi l’MPON in seguito a contrasti interni) che se ne fa promotore. Il circolo era appunto un’emanazione di Ordine Nuovo. Aldo Stefano Tisei tra i membri del circolo insieme a Sergio Calore, poi si pentirà e racconterà bene questa storia.

I Tiburtini e i Carabinieri.
 Nel 1974, infatti, dopo un attentato ai danni del Circolo `Drieu La Rochelle’ di Tivoli, Aldo Tisei e Sergio Calore raccolgono informazioni secondo cui a compiere il fatto sarebbero stati i giovani della sinistra extraparlamentare. Paolo Signorelli, viene informato e  chiede  una `relazione’ scritta sui fatti e sui presunti responsabili; qualche giorno dopo arrivano a Tivoli due ufficiali dei Carabinieri: l’allora tenente Sandro Spagnolli  e un capitano Antonio Marzacchera. Si presentano, in divisa, direttamente al `bar Garden’,  punto di ritrovo ai giardini di Piazza Garibaldi per  Sergio Calore e soci, e, dopo aver salutato alla maniera nazista, dichiarano che vengono da parte del professor Signorelli e desiderano saperne di più sull’episodio. Calore e Tisei hanno modo di vedere, nelle mani dei due ufficiali, la `relazione’ che essi stessi avevano consegnato a Signorelli.”

Sergio Calore e l’inchiesta sepolta. E’ proprio Sergio Calore che più di ogni altro nel gruppo ci aiuta a far luce sulla storia dell’eversione nera perché Calore è stato anche il più prezioso collaboratore di giustizia sui fatti di Piazza Fontana e la strage di Bologna, sull’omicidio del giudice Vittorio Occorsio assassinato da Pierluigi Concutelli nel 1976 e su altri omicidi avvenuti durante alcune rapine di autofinanziamento dell’organizzazione. Negli ambienti neofascisti Sergio Calore era da tempo considerato un doppio traditore: già prima di essere arrestato aveva teorizzato e praticato una “torbida e ambigua” alleanza tra rossi e neri in funzione antisistema. E nel 1989 Calore sposò Emilia Libera, altra storica pentita del terrorismo rosso, conosciuta negli anni di piombo col nome di battaglia “Nadia” e amica di Antonio Savasta. E’ stata proprio Emilia il 7 ottobre del 2010 a ritrovare il corpo senza vita di Sergio, ucciso nella sua casa di campagna in via Colle Spinello, a Guidonia. I carabinieri hanno avviato indagini e rilievi scientifici nel casolare di proprietà di Calore. L’uomo potrebbe essere stato ucciso a colpi di piccone. I carabinieri – avrebbero infatti trovato l’utensile sporco di sangue vicino al corpo della vittima che presenterebbe quindi non solo una profonda ferita al collo ma anche in altre parti del corpo. Un’indagine sarebbe stata aperta dalla procura di Tivoli di cui non si conoscono ancora , dopo quattro anni dall’omicidio i risvolti né i risultati. Questa morte si è persa nelle campagne di Guidonia e negli uffici della Procura di Tivoli.

Francesco Bianco. Due anni dopo la morte di Calore, davanti alle Terme “Acque Albule” di Tivoli, le cosiddette Terme di Roma,  i primi di gennaio del 2012, Francesco Bianco ex membro dei Nar viene  ferito da tre colpi di pistola. I proiettili lo colpiscono alla gamba, alla mano e al braccio. Alcuni testimoni che hanno assistito alla sparatoria, avrebbero visto due persone in sella a uno scooter avvicinarsi alla vittima e uno di loro, scendere prima di sparare. Scatta  un “fermo di indiziato di delitto” nei confronti di Carlo Giannotta, ritenuto responsabile del tentato omicidio. Per il ferimento di Bianco, viene indagato anche il figlio Fabio Carlo. Giannotta figlio è anche indagato nell’ambito del tentativo di rapina commesso il 3 maggio 2006 in danno della nota gioielleria “Bulgari” di Roma, di  via Condotti. Oltre al fermo dei Giannotta, furono eseguite diverse perquisizioni domiciliari disposte dalla Procura di Tivoli, estese anche alla sede di Acca Larentia a Roma. Fabio Giannotta è fratello di Mirco, capoufficio al Decoro Urbano della municipalizzata Ama e coinvolto nello scandalo di “parentopoli”.  Francesco Bianco nato a Messina e residente nel comune di Guidonia, fu assunto dall’ex sindaco Gianni Alemanno all’Atac, e coinvolto poi anche lui nello scandalo “parentopoli”: una storia diversa da Mafia Capitale questa ma allo stesso tempo a essa integrata. Gli interessi e i sodalizi di mafia capitale sembrano  avere radici antiche e nuove prospettive che coinvolgono tutti i colori politici.
(un ringraziamento a Simona Zecchi per la collaborazione)

In settemila chiedono a Renzi e al Consiglio Superiore della Magistratura di pronunciarsi (e difendere) Nino Di Matteo

Continuiamo a chiedere, non ci fermiamo. Su intelligente suggerimento delle Agende Rosse della Campania abbiamo deciso di includere nell’appello anche i membri del CSM (tenendo conto che l’Art. 104 comma 1 della Costituzione sancisce che “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”). Tutte le firme le potete contare qui. E abbiamo preparato anche un video (che trovate qui). Come dice Fiorella Mannoia dovremmo essere un milione.

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Poi magari un giorno si farà chiarezza sulle fondazioni politiche

Altro che triangolazioni con destinazione Bvi, British Virgin Islands. Il paradiso fiscale, per molti, è a portata di mano.
Sono le fondazioni politiche. I cosiddetti pensatoi, o se si preferisce think tank, che proliferano in Italia. Nessun obbligo di pubblicare bilanci o di rendere noto l’elenco dei sostenitori e sponsor. Intassabilità delle entrate e deducibilità dei contributi. Insomma, per i costumi italici, una vera e propria cuccagna.
LA FONDAZIONE NUOVA ITALIA. Lo ha dimostrato l’inchiesta Mafia Capitale. La Fondazione Nuova Italia guidata da Gianni Alemanno ha ricevuto dalla piovra dell’ex Nar Massimo Carminati «finanziamenti non inferiori ai 40 mila euro».

  • L’homepage del sito di Nuova Italia, fondazione di Gianni Alemanno.

Ma la Nuova Italia non è la sola. Dagli accertamenti effettuati sui conti corrente delle cooperative riconducibili a Salvatore Buzzi, braccio imprenditoriale del Nero, risulta che in data 15 novembre 2012 «era stata bonificata la somma di euro 30 mila in favore della Fondazione per la Pace e Cooperazione Internazionale Alcide De Gasperi».
Il presidente? Il ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Fondazioni, la politica si è appropriata di «uno strumento per farsi i fatti propri»

Gian Gaetano Bellavia.Le Fondazioni si sprecano, a destra e a sinistra. Ogni leader politico, finanche ogni capocorrente, ne ha una. Con finalità diverse, certo.

Si va – solo per citarne alcune – da Italiani europei di Massimo D’Alema, nata nel 1998, a Magna Carta di Gaetano Quagliariello fino a Fare Futuro di Adolfo Urso e alla montezemoliana Italia Futura.
Ma ci sono anche la Liberamente di Mariastella Gelmini, Riformismo & Libertà di Fabrizio Cicchitto, la Cristoforo Colombo di Claudio Scajola (ma il numero di telefono riportato sul sito risulta inesistente).
Censire tutti questi enti è difficile. Altraeconomia ne ha contati almeno una quarantina.
MANCA LA TRASPARENZA. Una cosa è certa però. Tranne rarissime eccezioni si tratta di organizzazioni i cui bilanci e i soci sostenitori non risultano pubblici.
«Le fondazioni», spiega a Lettera43.it Gian Gaetano Bellavia, commercialista esperto di diritto penale dell’economia, già consulente in materia di riciclaggio per la procura di Milano, «sono come le macchine. Si possono usare per fare la spesa, per portare i figli a scuola. E per fare una rapina».
Il problema è uno: «I politici si sono appropriati di uno strumento giuridico particolare solo per farsi i fatti propri». Si tratta, in altre parole, di un uso (spesso) illecito di uno strumento lecito.
Le fondazioni nacquero infatti nell’800 con finalità di pura beneficenza, per gestire immobili e denari donati. Quindi non era certo necessaria una «pubblicità» dei bilanci. Le cose poi sono cambiate.
BILANCI SOLO IN PREFETTURA. Oggi i bilanci devono essere redatti, questo sì. «Per essere presentati ai membri del consiglio di amministrazione. Poi vengono consegnati, da sempre, in prefettura», continua Bellavia. Ma i controlli, secondo l’esperto, «non ci sono. Il prefetto di fatto è l’unico che può sciogliere una fondazione. Ma all’interno della prefettura nessuno si occupa di vagliare le carte». Senza considerare un particolare: alla fine «controllati e controllori appartengono alla stessa categoria».
Per cambiare le cose servirebbe poco. Ora che il premier Matteo Renzi ha annunciato un’accelerata contro la corruzione, potrebbe molto semplicemente «rendere obbligatoria la trasparenza delle fondazioni». E l’iscrizione alle Camere di commercio. «Basta che depositino i bilanci», conclude Bellavia, «anche gratis».

Symbola e Open, le uniche ad aver un bilancio pubblico

Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente alla Camera.

Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente alla Camera.

Ci sono delle eccezioni, però: Open, che ha raccolto l’eredità della fondazione Big Bang a sostegno di Matteo Renzi, e Symbola, del deputato Pd Ermete Realacci. Quest’ultime sono le uniche due fondazioni ad avere scelto la massima trasparenza di bilanci e liste dei sostenitori.
IL TETTO MASSIMO.«Abbiamo un tetto massimo di 10 mila euro per le donazioni», spiega a Lettera43.it il presidente Realacci, «e un minimo di 50 euro». Symbola si occupa di promuovere e studiare la qualità italiana. «Non organizziamo eventi politici a sostegno del Pd», chiarisce il presidente. «Svolgiamo lavori di ricerca e redigiamo rapporti. Abbiamo anche rinunciato alla donazione del 5 per mille». Symbola vive sulle donazioni dei soci e sulle sponsorizzazioni. Ma è tutto «trasparente», insiste Realacci. E, infatti, sul sito è possibile consultare il bilancio preventivo 2013: entrate previste 877.940 euro e un utile di 49.485 euro.
Open nel 2013 ha registrato proventi per 1.027.546 euro e oneri per 1.064.288 euro.
Tutto nero su bianco. Insieme con la lista dei sostenitori, per un totale di finanziamenti ricevuti pari a 1.905.819,99 euro.

Italianieuropei, la trasparenza solo se c’è una legge ad hoc

Massimo D'Alema.

A metà strada sta la dalemiana Italianieuropei il cui bilancio, come tengono a sottolineare gli addetti stampa, è depositato alla Camera di Commercio anche se «non ce ne sarebbe l’obbligo».

Per pubblicare finanziatori e quant’altro, però, aspettano una legge. Per adesso preferiscono rispettare la «privacy» dei donatori. Il problema, dicono dalla fondazione, è regolamentare le lobby. Soprattutto ora che è venuto meno il finanziamento pubblico ai partiti. Imprese e gruppi infatti potrebbero fare pressione dietro finanziamenti coperti dal segreto.
PER D’ALEMA&CO 16,7 MLN DALL’UE. Italianieuropei, però, fa parte di una super-fondazione europea, la Feps (Foundation for european progressive studies: qui il bilancio) attraverso la quale percepisce finanziamenti pubblici Ue: dal 2008 al 2013, secondo Il Fatto Quotidiano, si è portata a casa 16,7 milioni di euro.
Si dice pronto «a rendere pubblici i bilanci» anche Anche Adolfo Urso, presidente di Fare Futuro. «Nonostante con la pubblicità ci sia il rischio che le donazioni private diminuiscano per la paura di esporsi.
CICCHITTO: «L’UNICA VIA PER I PARTITI». Ma, anche alla luce delle ultime inchieste, «la trasparenza pagherebbe sicuramente di più».
Fabrizio Cicchitto, di Riformismo e Libertà, dal canto suo, vede nelle fondazioni «l’unica via di finanziamento regolare ai partiti». Con l’abolizione dei contributi pubblici, «non c’è alternativa». Anche se la «sua» fondazione, poi trasformata in associazione per problemi economici, era «sui generis: non finanziavamo l’attività politica, tantomeno una corrente. Organizzavamo dibattiti».

Fare Metropoli e Liberamente, soldi costestati a Penati e Gelmini

Filippo Penati.

Filippo Penati.

Mafia Capitale, però, non è la prima inchiesta che tocca le fondazioni.
PENATI E IL TESORETTO DA 363 MILA EURO. Sempre un’associazione – Fare Metropoli – era al centro del cosiddetto Sistema Sesto San Giovani del piddino Filippo Penati. Definita dagli inquirenti un «mero schermo destinato a occultare la diretta destinazione delle somme» all’ex presidente della Provincia di Milano per le sue campagne elettorali. Si parlò di 18 finanziamenti illeciti da aziende e banche per un totale di circa 363 mila euro.
IL CASO LIBERAMENTE. Nell’inchiesta «Ambiente svenduto» sull’Ilva di Taranto emerse invece – come riportato dalla Gazzetta del Mezzogiorno – «un contributo di 4-5 mila euro chiesto a Fabio Riva dall’avvocato Luigi Pelaggi, capo della segreteria tecnica del ministero dell’Ambiente per l’organizzazione il 10 luglio 2010 a Siracusa di un convegno della fondazione Liberamente», ente fondato dall’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo con i colleghi Mariastella Gelmini e Franco Frattini.
E proprio Gelmini tiene a precisare a Lettera43.it che si è trattato «di un caso isolato». «Non va fatta di tutta l’erba un fascio», ripete l’ex ministro berlusconiano. «Le fondazioni sono perfettamente regolamentate, poi dipende dall’uso che se ne fa».
Insomma, la responsabilità è «individuale». E il problema, se problema lo si vuole chiamare, «non è certo la trasparenza», continua Gelmini: «A servire è una norma sulle lobby».

(click)

La solidarietà impossibile per Nino Di Matteo

si-muore-quando-si-e-lasciati-soliPino Maniaci è arrivata la telefonata di Matteo Renzi in persona: “Pino vienimi a trovare a Roma”, ha detto il premier manifestando solidarietà al giornalista, minacciato per l’ennesima volta, con il macabro atto dei cani impiccati. Una telefonata simile a quella fatta dal premier pochi giorni fa, quando sotto minaccia era finita il pm di Latina Lucia Aielli: anche in quel caso dal centralino di Palazzo Chigi era partita la chiamata di solidarietà di Renzi. Pochi mesi fa, invece, a squillare era stato il telefono di don Luigi Ciotti: “Farà la fine di Don Puglisi“, aveva sentenziato Totò Riina, intercettato dalla Dia nel carcere milanese di Opera mentre chiacchierava col compagno d’ora d’aria Alberto Lorusso. A stringersi giustamente attorno al fondatore di Libera erano arrivati i messaggi di solidarietà di tutta la classe politica, dal Nuovo Centro Destra a Sel, passando dai Cinque Stelle. Poi, dopo l’ormai classica chiamata di solidarietà di Renzi, era arrivata la telefonata di Giorgio Napolitano in persona.

Uno solo è il numero di telefono che i centralini di Palazzo Chigi e quelli del Quirinale non hanno mai composto: quello di Nino Di Matteo, il pm della Trattativa Stato mafia. “Gli farei fare la fine del tonno, lo faccio finire peggio del giudice Falcone” aveva detto Riina, emettendo la sua sentenza di morte. Un ordine che, come ha svelato il neo pentito Vito Galatolo, è in fase esecutiva dal dicembre del 2012. Il piano di  un attentato al tritolo svelato nei dettagli dall’ex picciotto dell’Acquasanta è stato preso sul serio dalla procura di Caltanissetta e dal prefetto di Palermo Francesca Cannizzo: messo al corrente del racconto di Galatolo, il ministro Angelino Alfano si è affrettato a convocare una riunione straordinaria del Comitato per l’ordine e la sicurezza.  E anche il governo ha agito di conseguenza inserendo proprio ieri un emendamento alla legge di Stabilità che prevede lo stanziamento di sei milioni di euro per realizzare misurestraordinarie di sicurezza al Palazzo di giustizia di Palermo. Palazzo Chigi, dunque, ritiene credibile il progetto di strage annunciato dal pentito, al punto da mettere a disposizione una cifra considerevole (in tempi di spending review) per fare del Palazzo di Giustizia un vero e proprio fortino, ma il telefono del pm condannato a morte è rimasto muto: nessun messaggio da Renzi, nessun cenno, neppure minimo, di solidarietà da parte del Quirinale.

E se da Roma i messaggi di vicinanza per Di Matteo o sono generici oppure semplicemente non esistono, a Palermo non va certo meglio: a parte il sindaco Leoluca Orlando, e qualche esponente del Pd o del Movimento Cinque Stelle, per la classe dirigente cittadina il pm della Trattativa semplicemente non esiste. Nessun messaggio da parte della Palermo dei professionisti, neppure quelli dell’antimafia, sempre impegnati in continui convegni per ragionare sul problema Cosa Nostra, sordi e ciechi di fronte al piano dettagliato di un attentato, con il tritolo già pronto per essere piazzato nel centro della città.

E se la solitudine di Di Matteo si percepisce anche soltanto avvicinandosi al secondo piano del palazzo di giustizia di Palermo, ancora irrisolta è la questione sicurezza.”Mi risulta che Di Matteo sia protetto nel migliore dei modi”, assicura il presidente del Senato Piero Grasso, sulla stessa lunghezza d’onda del procuratore antimafia Franco Roberti: “A Di Matteo sono state assicurate misure di altissimo livello di protezione. Bisogna tenere sempre alta la guardia, in questo momento il collega è particolarmente esposto per le cose che ha fatto e per quelle che fa, quindi va tutelato e sostenuto”. Di segno opposto il parere degli uomini della scorta del pm: “L’unico strumento che ci può salvare la vita è il bomb jammer” dicono, riferendosi al congegno elettronico capace di neutralizzare i telecomandi che attivano gli ordigni esplosivi.  “Il bomb jammer per Di Matteo? E’ già stato messo a disposizione” assicurava Alfano dopo le minacce di Riina. Era il dicembre del 2013: da allora sono passati dodici mesi, è arrivata la confessione di Galatolo sul progetto attentato da mettere in pratica con un’autobomba, ma il bomb jammer per Di Matteo non è mai arrivato. Anzi è arrivata quasi una mezza marcia indietro del Ministro dell’Interno. “Si è parlato con troppa superficialità di bomb jammer: ci sono state riunioni in questi giorni e lo Stato sta mettendo a punto tutti i dispositivi necessari per proteggerlo da congegni elettronici di attivazione dei telecomandi delle bombe senza però creare danno alle apparecchiature elettroniche che possono trovarsi vicino al suo passaggio”.

Riunioni e studi che sarebbero, si presume, ancora in corso. E mentre a Palermo si aspetta il bomb jammer, Di Matteo continua a lavorare ogni giorno per servire lo Stato: lo stesso Stato che sembra lasciarlo ogni giorno più solo.

(fonte)

(Per firmare la petizione e il mailbombing potete andare qui)

Le inopportunità e la ‘ndrangheta a Fino Mornasco, Como, Lombardia.

Affari e politica, favori in cambio di voti. E’ la ‘ndrangheta che si divora la Lombardia anche grazie alla compiacenza della pubblica amministrazione. E così mentre le inchieste fissano ruoli e competenze dell’infiltrazione, alle prefetture tocca il compito di valutare le ipotesi di scioglimento per mafia dei comuni del nord. E’ successo per Sedriano dopo l’indagine Grillo Parlante che ha coinvolto non solo il sindaco Alfredo Celeste ma anche l’ex assessore regionale Domenico Zambetti. Rischia di ripetersi oggi per il comune di Fino Mornasco. Il prefetto di Como Bruno Corda, infatti, ha intenzione di chiedere l’accesso agli atti della pubblica amministrazione. Corda lo ha detto esplicitamente ai membri della Commissione parlamentare antimafia che il 25 novembre sono saliti a Milano. Corda è stato ascoltato dopo che il 18 novembre l’operazione Insubria, coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, ha svelato gli interessi di tre locali di ‘ndrangheta: Cermenate, Calolziocorte e Fino Mornasco, quest’ultima definita come “uno dei più fulgidi esempi di comunità mafiosa nel nord Italia”. Il comune del Comasco così si candida a essere la seconda città lombarda sciolta per mafia.

Il primo spunto dal quale parte il Prefetto è l’inchiesta Insubria del 18 novembre 2014. L’indagine del Ros, infatti, nasce da una serie di atti intimidatori, “che – scrive il giudice Simone Luerti nella sua ordinanza d’arresto – pur se all’apparenza scollegati tra loro, possono essere, con alta probabilità, ricondotti a un filo comune”. Tra le vittime ci sono anche tre politici: si tratta dell’attuale sindaco Giuseppe Napoli, dell’ex vicesindaco Antonio Chindamo e dell’attuale presidente del consiglio comunale Luca Cairoli, il quale subisce ben quattro intimidazioni: il 24 novembre 2011 viene appiccato un incendio davanti alla sua concessionaria di auto Finomotori. Il 10 dicembre 2011 qualcuno invia una richiesta estorsiva sempre all’autosalone, l’8 febbraio 2011 ignoti sparano con un fucile calibro 12 contro la Finomotori, il 14 giugno 2012 arriva una lettera minatoria.

Politica sotto scacco, dunque. Questa la fotografia scattata dal Ros. Fotografia parziale. Per capire, infatti, bisogna riprendere l’inchiesta Arcobaleno che tra il 2009 e il 2010 mostra l’opacità della stessa politica locale. Nelle oltre mille pagine dell’informativa dei carabinieri di Como finiscono centinaia di intercettazioni e decine di amministratori pubblici. Sull’inchiesta pesa attualmente una richiesta di archiviazione.

Ma se i contatti con gli uomini delle cosche da un lato non hanno rilevanza penale, dall’altro le intercettazioni dei carabinieri mettono in primo piano le responsabilità politiche di diversi amministratori pubblici. Tra questi certamente l’attuale presidente del consiglio comunale di Fino Mornasco Luca Cairoli (non indagato), il quale, se tra il 2011 e il 2012 subisce quattro intimidazioni, nel 2010 è in contatto con diversi pregiudicati calabresi. In quell’anno, poi, annotano i carabinieri di Como, Cairoli si occupa della campagna elettorale del consigliere regionale Pdl Gianluca Rinaldin (non indagato), recentemente coinvolto nella “rimborsopoli” della Regione Lombardia. Lo stesso Rinaldin che, intercettato dalla Dda, afferma: “A me interessa la parola (…) cioé preferisco sedermi col peggior delinquente di questo mondo ma di parola”

Tra i vari contatti di Cairoli c’è Luciano Nocera, trafficante di droga legato al boss Bartolomeo Iaconis e alla cosca Muscatello di Mariano Comense, recentemente coinvolta nell’operazione Quadrifoglio del Ros di Milano. Nocera risulta indagato anche per l’omicidio di Ernesto Albanese ucciso a Guanzate nel maggio 2014. Nel 2010 Luca Cairoli spende i propri contatti politici per far ottenere a Nocera una licenza per aprire il locale Black Mamba ad Appiano Gentile.

Il 10 marzo così va in scena un’incredibile intercettazione tra Cairoli, l’allora consigliere regionale Rinaldin e Martino Clerici (non indagato), all’epoca sindaco di Appiano e oggi consigliere di maggioranza nello stesso comune. Cairoli chiama Rinaldin il quale risponde e chiede: “Sono al telefono con il sindaco di Appiano, si chiama Nocera questo qua”. Cairoli: “Sì Nocera”. Dice Rinaldin: “Lo ha appena visto mezz’ora fa e gli risolve il problema (…) aspetta che unisco le telefonate”. Cairoli e Martino Clerici si salutano. Il sindaco: “Lo conosco bene lui (Nocera, ndr)”. Rinaldin chiede a Clerici: “L’hai incontrato oggi?”. Il primo cittadino risponde in modo affermativo. La questione della licenza, dunque, pare risolversi. Cairoli rivolto a Rinaldin: “Gianluca guarda abbiamo fatto un affare perché se il problema glielo risolviamo questo qua è uno che mo smette di lavorare e ci procura voti certi”. A quel punto il consigliere regionale lo ammonisce: “Non parlare al telefono che poi qualcuno…”. Poche ore dopo Cairoli è al telefono con lo stesso Nocera: “Lucio ci ho parlato (…) eravamo in conferenza io, il sindaco e Gianluca Rinaldin che è quello che appoggiamo (…). Il Sindaco, mi fa non c’è problema”.

In quel 2010 Cairoli raccoglie firme per la candidatura di Rinaldin. Per farlo si appoggia anche a Salvatore Larosa soprannominato Satana e ritenuto affiliato alla locale di Fino Mornasco con la dote di santista. Coinvolto nel blitz Insubria del 18 novembre, si consegnerà alle forze dell’ordine dopo pochi giorni di latitanza. I due si sentono spesso. Si salutano con l’appellativo di “compare”. Il 22 febbraio 2010 sono al telefono. Argomento: la campagna elettorale per le regionali. “Noi compare – dice Larosa – adesso dobbiamo andare nei comuni più lontani (…) devo chiedere le schede elettorali”. Risponde Cairoli: “Sì e dì che stai facendo la presentazione della lista e delle schede elettorali”. Della partita elettorale è anche Michelangelo Chindamo l’eminenza grigia della ‘ndrangheta anche lui arrestato il 18 novembre 2014. Larosa si rivolge al boss con il voi. “Quando ci vediamo?”, chiede Chindamo e spiega: “Perché (di firme, ndr) ne ho trovate altre”. Larosa spiega che ne bastano “cinque o sei”, poi dice: “Diciamo che poi è più importante ancora di più il voto queste firme qua sono importanti ma il voto dopo è ancora più importante”

Inquietano e non poco alcune espressioni di Antonio Chindamo (altro politico intimidito nel 2012 e non indagato), il quale, all’epoca delle intercettazioni, è vice sindaco di Fino Mornasco. Il 16 marzo 2010, all’interno dell’ufficio tecnico del comune, Chindamo parla con un architetto e racconta l’episodio di una persona che lo ha minacciato. “Gli ho detto – spiega il politico – se il tuo discorso è quello di intimorirmi perche parli di pistole guarda hai sbagliato strada te lo dico subito (…) Tu sai qual è la mia provenienza? Le pistole le troviamo in ogni angolo del mondo”. Annotano i carabinieri: “Pasquale, fratello di Antonio Chindamo, già candidato nelle elezioni amministrative del 1975 per il comune di Fino Mornasco, nel 1996 viene coinvolto nell’operazione antimafia La notte dei fiori di San Vito bis”. L’indagine Arcobaleno, come detto, si occupa anche del boss Michelangelo Chindamo (nessuna parentela accertata con l’ex politico), scarcerato nel 2009 e riarrestato il 18 novembre 2014. Definito dal Ros di Milano, capo della locale di Fino Mornasco, il 31 luglio 2009 Chindamo viene controllato dalla polizia stradale a Lamezia Terme. L’auto su cui viaggia è intestata alla Omega Team srl di Casnate con Bernate, società riconducibile ai figli dell’ex vicesindaco.

Politici e boss. Contatti, relazioni, favori, voti. Ci sono le intercettazioni, ma ad oggi non c’è reato. Responsabilità politiche però sì e molti ora dovranno spiegare. Questa la feroce istantanea di uno dei territori più ricchi d’Italia.

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Buzzi che citofona alla ‘ndrangheta

Per tutti quelli che “sono solo affaristi”:

Il patto con la ‘ndrangheta

Gli arresti dei carabinieri del Ros sono scattati poche ore prima dell’audizione di Pignatone all’Antimafia: in carcere sono finiti Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, che già nel 2009 si sarebbero recati in Calabria, su richiesta di Buzzi, per accreditarsi con la cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), in relazione all’esigenza di ricollocare gli immigrati in esubero nel Cpt di Crotone. A luglio scorso il clan avrebbe chiesto il conto: in cambio della protezione Buzzi – con l’assenso di Carminati, a cui giovedì i militari hanno sequestrato una katana, cioè una spada da samurai, nella casa di Sacrofano – avrebbe fatto ottenere l’appalto per la pulizia del mercato Esquilino a Giovanni Campennì, imprenditore di riferimento della cosca, mediante la creazione della cooperativa Santo Stefano. Il clan calabrese sarebbe comandato da Sabatino Di Grillo e dal suo braccio destro Vincenzo Evolo, già coinvolti nell’inchiesta sui legami tra la ‘ndrangheta e alcuni imprenditori in Lombardia: giovedì Evolo è stato perquisito e ha ricevuto un avviso di garanzia.

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