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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

“Se non fosse stato ucciso oggi Renatino De Pedis starebbe in Parlamento, minimo sottosegretario”

hqdefault“C’è sempre qualcuno dei ripuliti a comandare, a stare sopra, senza i ripuliti non andremmo da nessuna parte, fermi alle rapine”. L’intervista del Fatto Quotidiano ad Antonio Mancini, ex boss della Banda della Magliana, apre la caccia all’uomo che sta sopra Massimo Carminati nella scala gerarchica di Mafia Capitale, un “insospettabile”.

Antonio Mancini conosce Massimo Carminati, il “Guercio” o il “Nero” di Romanzo Criminale, da “quando aveva tutti e due gli occhi boni”, spiega, e lo ha visto crescere come uno abituato a “drizzare i torti”. “La più grossa sorpresa, anzi l’unica, sono i termini che utilizza Massimo. Io me lo ricordo come una persona educata, riservata, taciturna, conosceva l’italiano. Ora si aggrappa a espressioni forti che non gli appartenevano” spiega Mancini, più noto come Accattone della Banda della Magliana. Inizialmente non lo vedeva come un leader, “per me era un ragazzo d’azione. Ma è stato bravo a riempire il vuoto lasciato da Renatino De Pedis dopo la sua morte”. Se non fosse stato ucciso “oggi Renatino starebbe in Parlamento, minimo sottosegretario. Lui è morto incensurato. Eppure ha ammazzato la gente con me, ha rapinato con me, è stato dentro, ma è riuscito a farsi ripulire tutto”. Fu lo stesso De Pedis a dire ad Antonio Mancini che “era stato sempre Carminati a far parte del commando che ha ammazzato Mino Pecorelli”, il giornalista ucciso nel 1979. E aggiunge: “Ha presente quante e quali prove avevano su di lui rispetto all’omicidio Pecorelli? Chiunque altro, me compreso, sarebbe stato condannato”.

Carminati sale poi ai vertici dell’organizzazione perché “di tutti gli altri che c’erano attorno a Renato, era l’unico ad avere lo spessore giusto, appellava De Pedis come presidente, ci sono le intercettazioni a raccontarlo, ed era l’unico a poter riacchiappare i fili della varie componenti“. C’è però qualcuno sopra Carminati, Antonio Mancini è sicuro di questo: “C’è sempre qualcuno dei ripuliti a comandare, a stare sopra, senza i ripuliti non andremmo da nessuna parte” spiega al Fatto Quotidiano, “anche per questo nella Banda c’è stata la frattura tra noi della Magliana e quelli di Testaccio”. Perché “loro avevano preso le sembianze mafiose, esattamente quelle che hanno scoperto ora. Noi della Magliana eravamo banditi da strada, amavamo le rapine, senza guardarci le spalle, senza compromessi”.

Per quelli di Testaccio Carminati “era l’unico ad avere le chiavi per entrare nell’armeria del Ministero della Sanità” e Mancini lo tira in ballo per la strage di Bologna perché “il fucile ritrovato alla stazione stava nella nostra armeria, e lui aveva le chiavi e lui già stava dentro a certe storie di Servizi”.

Accattone è convinto che Carminati uscirà presto, “prima di quanto potete immaginare, altrimenti dovrebbero incarcerare mezzo mondo”. Ricordando il suo passato da Boss della Banda della Magliana, Mancini dice che “noi eravamo il terzo mondo di Carminati, quello in basso; mentre oggi quello di mezzo, e quello sopra, si utilizzano a vicenda, per questo dico che Carminati ne uscirà pulito; il mondo di sopra si salverà, e porterà con sè il mondo di mezzo e ucciderà il mondo di sotto”.

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A Brescia intanto

Arriva Roberto Pennisi nella sezione bresciana della DIA.

Ormai anche agli amministratori negazionisti più arditi conviene fare un po’ di antimafia da parata per non farsi cogliere di sorpresa in occasione dei futuri arresti per associazione mafiosa.

Moltiplicava i pani, i pesci e i profughi: Luca Odevaine (ex braccio destro di Veltroni)

luca-odevaine-durante-le-operazioni-di-sgombero-del-campo-rom-di-via-troili-a-ro-620558Se il Pdl trema, anche il Pd non è messo tanto bene. L’ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni, Luca Odevaine (arrestato per corruzione aggravata), si faceva versare le tangenti su conti segreti di moglie e figlio. E il capo della segreteria del sindaco Ignazio Marino, Mattia Stella, (non indagato) oltre a essere stato più volte tirato in ballo da Salvatore Buzzi nelle intercettazioni, c’era stato tranquillamente a cena.

Luca Odevaine – membro del Coordinamento nazionale sull’accoglienza profughi – preferiva incassare le mazzette sui conti correnti bancari dei parenti. A partire da quello dell’ex moglie venezuelana Lozada Hernandez Nitza del Valle per passare poi a quello del figlio Thomas Edinson Enrique Lozada. Considerato «il moltiplicatore dei profughi da destinare al centro di Buzzi» per fargli guadagnare di più, Odevaine è stato anche consigliere del ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri.

Secondo la procura e i carabinieri del Ros il sodalizio con Buzzi si ritroverebbe nelle forti pressioni per trasferire i migranti in altre strutture parallele: per questo sarebbe stato pagato mensilmente con i 5 mila euro. Le ha provate tutte, Odevaine, per aggirare i controlli: chiamava la tangente «affitto» e la voleva depositata su conti non a lui direttamente riconducibili.

Il 15 febbraio 2013 spedisce un sms a Salvatore Buzzi: «Salve, buongiorno. Puoi verificarmi gli affitti, per piacere. Sono un po’ in difficoltà. Grazie, un abbraccio…». La ricompensa, in passato pagata con bonifico sul conto dell’ex moglie venezuelana, doveva finire nelle mani del figlio Thomas. Ma un intoppo ha creato confusione. Odevaine incalza dunque Buzzi: «No, se so’ sbagliati, hanno mandato… purtroppo m’hanno fatto un bordello i tuoi, l’hanno mandato al… al vecchio conto».

La sua preoccupazione è che l’ex moglie ora non gli consegni il denaro ricevuto per errore: «Eh, no, m’ha bruciato, chiaramente, quella, figurati, che so’ arrivati… col cazzo che me li dà, però va be’…». Buzzi cerca allora di calmarlo, spiegando che si è trattato della svista di una collaboratrice «…Sandra gliel’ha ridato, se so’ sbagliati loro, hanno… ce… ce l’avevano quello… quello buono di iban, no? Quello di, di… di Thomas, e però per… si vede che per errore, in automatico… l’hanno mandato a quell’altro di prima…».

Destinata a scatenare nuove polemiche è invece la cena tra Buzzi e Mattia Stella. L’uomo vicinissimo a Marino non è indagato ma dalle intercettazioni dei carabinieri del Ros, agli ordini del generale Mario Parente e il colonnello Stefano Russo, emerge che «i rapporti con la nuova amministrazione comunale da parte di Buzzi sono costituiti da una relazione con il capo della segreteria del sindaco, Mattia Stella, che s’intrecciano con quelli con Mirko Coratti (Pd, presidente del consiglio comunale, dimessosi dopo essere stato indagato per corruzione aggravata e illecito finanziamento ndr), massimamente in relazione alla questione Ama.

Eloquente nel senso della costruzione di un rapporto privilegiato con Stella è la conversazione nella quale Buzzi chiamava Carlo Guarany, lo informava che prima sarebbe andato in Ama e successivamente sarebbe andato presso il Gabinetto per incontrare Mattia. Conversazione nella quale Guarany diceva che occorreva “valorizzare” Mattia e “legarlo” di più a loro».

Non sono indagati e minacciano querele anche i deputati Pd Micaela Campana e Umberto Marroni, sollecitati da Buzzi per ottenere un’interrogazione parlamentare sull’appalto su un centro rifugiati bloccato da un giudice del Tar del Lazio. E se la Campana saluta Buzzi, via sms, con «Bacio grande capo», Umberto Marroni, alle 18.31 del 20 marzo scorso gli inviava il seguente sms: «Ho parlato con Micaela meniamo». E, in riferimento alla stesura del testo, precisava «La sta preparando Micaela».

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La bugia dell’onorevole Micaela Campana (PD)

Ha poco da lamentarsi l’onorevole del PD Micaela Campana che protesta per i possibili fraintendimenti del suo sms a Salvatore Buzzi, uomo coinvolto in pieno nell’inchiesta Mafia Capitale. Chiede che non siano estrapolate le frasi in modo che possano essere fraintese ma a leggere bene l’ordinanza (che abbiamo pubblicata per intero qui) c’è qualcosa di peggio del “bacio virtuale” via sms:

La sera del 20.03.2014, Salvatore BUZZI riceveva notizia del fatto che l’interrogazione, proposta dai parlamentari del PD da lui definiti “amici miei”, a breve sarebbe stata presentata. Già alle ore 18.31, Umberto MARRONI (deputato PD, ndr)  gli inviava un SMS recante il testo: “Ho parlato con Micaela meniamo” e, in riferimento alla stesura del testo, precisava “La sta preparando Micaela”.
[…]
Infine, alle ore 21.03, riceveva l’attesa notizia proprio da Micaela CAMPANA, la quale inviava al BUZZI il seguente SMS: “Parlato con segretario ministro. Mi ha buttato giu due righe per evitare il fatto che mi bloccano l’interrogazione perche non c’e ancora procedimento. Domani mattina ti chiamo e ti dico. Bacio grande capo”.
Alle ore 15.49 del 21.03.2014, Salvatore BUZZI riceveva un SMS dal BARBIERI (assistente dell’onorevole Campana, ndr), che lo informava di un “rigetto” dell’interrogazione per difetto di presupposti, avendo come esclusivo fondamento le notizie di stampa: “Buongiorno mica (Micaela, ndr) aveva depositato interrogazione, ma l’ufficio responsabile ce l’ha rigettata perche non era congrua essendo basata solo su articoli di giornali, ora l’ufficio ce la riscrive affinche non venga rigettata ma ci vorra qualche giorno. Simone”.

Io, fossi in lei, penserei bene anche all’opportunità di dimettermi. Sul serio.

Arrestato il boss di San Giorgio Extra

f786be46cbe846b008ddff3720386fce_XLREGGIO CALABRIA – In manette il cugino dell’ex assessore del Comune di Reggio Calabria Giuseppe Plutino che si adoperò per raccogliere voti per il centrodestra.

Dopo la condanna dei giorni scorsi di Plutino a 12 anni di reclusione, la squadra mobile di Reggio Calabria ha arrestato Filippo Condemi, 53 anni, ritenuto affiliato al sodalizio ‘ndranghetista Borghetto-Caridi-Zindato operante nei quartieri di Modena, Ciccarello e San Giorgio Extra. Il provvedimento è stato emesso dal tribunale di Reggio – Sezione dibattimentale, su richiesta della Procura distrettuale antimafia, dopo la condanna inflitta a Condemi il 3 dicembre scorso al termine del processo “S.Giorgio extra” a 10 di reclusione per associazione mafiosa.

Il percolato dell’etica in Lombardia

C’è la consulenza da 3mila euro al mese a un idraulico che ha il solo merito di essere l’autista dell’ex ministro Mariastella Gelmini. C’è il contratto a una ragazzina appena maggiorenne, figliastra dell’ex consigliere regionale Angelo Giammario, che non ricorda di aver firmato nulla. C’è il gommista che incassa oltre 23mila euro come rimborso spese per la sua attività di segretario dell’Udc di Bergamo, grazie alla generosità dell’ex assessore regionale Mario Scotti.

E poi c’è un politico di An, Luca Daniel Ferrazzi, eletto nella lista Maroni Presidente, che concede la consulenza a una ex commessa e poi, mese dopo mese, si fa dare indietro i soldi in contanti. L’inchiesta sulle consulenze facili in Regione Lombardia, coordinata dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Antonio D’Alessio e Paolo Filippini, non finisce di regalare sorprese. E dopo aver scoperchiato la Parentopoli del Pirellone, con gli incarichi che finivano a figli, sorelle, mariti e fidanzati, svela come i destinatari del denaro pubblico abbiano incassato soldi senza aver svolto nulla. E spesso senza nemmeno sapere cosa firmavano.

Il contratto alla liceale. È il caso di Michelle Cattini, 18 anni e 9 mesi quando ottiene una consulenza in Regione dal consigliere pdl Angelo Giammario. Il politico ha sposato in seconde nozze la madre della ragazza, che davanti agli uomini del nucleo di polizia tributaria sembra non sapere nulla dell’incarico. «Riconosco la firma come la mia — dice — ma ribadisco di non aver lavorato con la Regione. Alla data della stipula frequentavo il quinto anno del liceo classico». Poi gli investigatori invitano la ragazza a guardare meglio il contratto. «Non mi sembra di averlo mai sottoscritto né letto. Questa è la prima volta che lo vedo nonostante la firma apposta in calce sia la mia». Il mistero sarà forse risolto dal patrigno, che dovrà rispondere di truffa nel processo.

L’autista della Gelmini. Ugo Fornasari è un idraulico con licenza elementare di Cacinato (Brescia). Eppure è riuscito a spuntare un ricco mensile da 3mila 500 euro dalla Regione dal gennaio al giugno 2008: 22mila 200 euro in totale. Fornasari, però, non è un idraulico qualunque: ha un ex ministro per amica. «Dal 2005 al 2008 — dice ai pm a marzo — ho svolto la mansione di collaboratore dell’allora consigliere regionale Mariastella Gelmini (che non è indagata). La conosco da molto tempo in quanto è un’amica di famiglia. Intorno al ’94 mi ha proposto di lavorare in Regione, nel suo ufficio. Facevo l’autista dal suo paese nel bresciano fino al Pirellone». Sulla sua consulenza su “materie attinenti l’area territoriale”, per cui è indagato l’ex capogruppo pdl Paolo Valentini, Fornasari non ricorda molto. «Non sono in grado di chiarire a cosa possa riferirsi l’oggetto del contratto. Ho firmato senza conoscere il contenuto. Ribadisco che la mia attività prevalente era quella di autista della Gelmini».

Il gommista esperto di case. Diplomato segretario d’azienda, autotrasportatore da giovane, poi gommista, Sergio Boschetti, sessant’anni, ex segretario provinciale dell’Udc di Bergamo, ha ottenuto nel 2008 tre contratti dall’allora assessore alla Casa, Mario Scotti, ora indagato per truffa, per un totale di 23mila euro. «Ricordo — dice in Procura — che le somme che mi venivano bonificate sul mio conto erano erogate per finanziare le spese che sopportavo come segretario dell’Udc». Anche se l’oggetto dei contratti faceva riferimento alle “problematiche sull’edilizia residenziale pubblica”.

I contanti per Ferrazzi. Graziella Caruso, ex commessa, ha avuto due contratti in Regione. Col primo, 25mila euro l’anno, «lavoravo regolarmente in ufficio». Col secondo, 28mila euro nel 2010, «non ho svolto nessuna attività, perché il compenso che ricevevo sul mio conto corrente non è mai stato da me utilizzato. Prelevavo in contanti i soldi e li portavo all’assessore Luca Ferrazzi presso il suo ufficio di Gallarate». Racconta la donna, allora 29enne, di aver ricevuto una telefonata da Ferrazzi, indagato per truffa, eletto nel listino di Maroni. «Mi invitò a un incontro. Lì mi chiese un favore, adducendo che il partito, An, aveva necessità di soldi. Mi riferì che vi erano dei soldi della Regione da utilizzare e che era un peccato perderli — continua la donna — A quel punto mi chiese esplicitamente di sottoscrivere un contratto di collaborazione con la Regione per 1.000 euro al mese e che successivamente avrei dovuto consegnare il contante nelle mani dello stesso Ferrazzi»

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Carminati: da Milano a Roma, da Fausto e Iaio alla ‘ndrangheta passando per Roma

massimo-carminati-206213Una svastica d’oro tempestata di diamanti. Da appendere al collo con una catenina. Bisogna partire da questo gingillo che portava Francis Turatello, storico boss della mala di Milano, prima nemico e poi testimone di nozze di Renato Vallanzasca, ucciso brutalmente in carcere nel 1981, per capire i legami del Re di Roma Massimo Carminati con Milano. Il Cecato, il Nero della Banda della Magliana, il protagonista dell’inchiesta su Mafia Capitale, è infatti nato nel capoluogo lombardo nel 1958. Di origini bergamasche, è qui che ha iniziato a coltivare sin da giovanissimo la passione per la destra eversiva che lo ha portato poi nei Nuclei Armati Rivoluzionari, i temibili Nar. Carminati si trasferisce nella Capitale insieme con la famiglia negli anni ’70, ma continua a mantenere rapporti con il Nord, con la città che in quegli anni vede in piazza San Babila l’avamposto della destra milanese negli scontri con la sinistra antagonista.

«Faceva parte dei Nar con cui noi della destra missina abbiamo avuto sempre da polemizzare. Erano schegge impazzite. Lui per di più teneva i rapporti tra una certa destra militarizzata e la malavita organizzata, quella di Francis Turatello e della mafia del Brenta di Felice Maniero»

E’ la trincea nera dei picchiatori, tra Ordine Nuovo, Terza Posizione o esponenti del Msi di Giorgio Almirante. Il nome di Carminati spunta persino nell’omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, i due ragazzi diciottenni del Leoncavallo, uccisi il 18 marzo del 1978. Il Re di Roma, in sostanza, non è un personaggio qualunque. «E’ sempre stato un personaggio border line» spiega un camerata milanese che lo ha conosciuto e che chiede rassicurazioni sull’anonimato. «Faceva parte dei Nar con cui noi della destra missina abbiamo avuto sempre da polemizzare. Erano schegge impazzite. Lui per di più teneva i rapporti tra una certa destra militarizzata e la malavita organizzata, quella di Francis Turatello e della mafia del Brenta di Felice Maniero…». Fu Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, condannato per la Strage di Bologna, a descrivere nei numerosi processi Carminati come un killer spietato, al soldo dei servizi segreti e della Banda della Magliana.

Oltre ad aver conosciuto Giusva a Roma, i due erano compagni di scuola, Carminati può vantare le conoscenze dei Nar milanesi. E’ il collante tra il Nord e il Sud, in quel mondo fatto di rapine, spaccio di droga e politica. Tra i suoi sodali c’è Gilberto Cavallini, ora rinchiuso nel carcere di Terni o Lino Guaglianone, ex tesoriere del gruppo terroristico, condannato nel 1992, dalla quarta Corte d’Assise di Milano per associazione sovversiva e partecipazione a banda armata. Guaglianone non è personaggio da poco. Proprietario di alcune palestre di boxe, tra cui la Doria in pieno centro, è stato candidato più volte in regione Lombardia e ha vantato in questi anni appoggi politici nel centrodestra – in particolare Alleanza Nazionale di Ignazio La Russa – che lo hanno portato a sedersi in consigli di amministrazione di importanti società pubbliche.

MILANO, I NERI E LA ‘NDRANGHETA

Del resto se Milano è diventata provincia di Reggio Calabria lo deve anche a quel legame forte tra il colore nero e la criminalità organizzata calabrese, in particolare il clan De Stefano. Tra i Nar con una carriera fulminante sotto la madonnina c’è appunto Guaglianone. L’ex tesoriere costituisce diverse società, partecipa ad altre, si candida al Pirellone e a Palazzo Marino senza essere eletto, ma arriva a sedersi nel consiglio di amministrazione di Ferrovie Nord Milano, società pubblica gestita al 57% da Regione Lombardia e nel collegio sindacale di Fiera Congressi Milano, altra partecipata lombarda. Negli anni ’90 per lui arriva una condanna per banda armata e riciclaggio. Anni dopo finisce nelle carte dell’inchiesta della dda di Milano “Redux-Caposaldo” per alcuni suoi incontri con Paolo Martino, definito dagli inquirenti come il tramite tra i De Stefano di Reggio Calabria e le cosche insediate al nord. Ambienti che non a caso ritornano poi nell’inchiesta su Mafia Capitale, con indagini per associazione a delinquere persino sull’ex sindaco Gianni Alemanno, esponente storico della destra italiana. 

Ambienti che non a caso ritornano poi nell’inchiesta su Mafia Capitale

Grattacapi più grossi però per il giro “nero” arrivano con le indagini su Francesco Belsito, ex tesoriere della Lega Nord. Qui le indagini toccano uno dei punti nevralgici dell’intreccio: lo studio Mgim di via Durini. Non è un mistero che i pm di Reggio Calabria nell’inchiesta sui conti della Lega Nord sia arrivata a contestare anche l’associazione segreta.Secondo il pm Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio della Direzione Nazionale Antimafia le indagini proverebbero la caratteristica di segretezza della presunta associazione fra professionisti e imprenditori in odore di ‘ndrangheta, tanto da rientrare nella fattispecie prevista dalla Legge Anselmi. Non è un caso, tra l’altro, che la vicenda delle società riconducibili alla galassia sia ricostruita anche nella relazione dei commissari prefettizi che portò allo scioglimento del comune di Reggio Calabria. Si legge nelle carte: vi sono i “noti professionisti” Bruno Mafrici (calabrese classe 75, non è neppure avvocato è indagato per riciclaggio, ma compare pure in altre indagini della Dda calabrese, tra queste pure un omicidio del 2008) ,Guaglianone e Giorgio Laurendi, amministratore unico della società Milasl e subentrato a Guaglianone nel ruolo. Milasl è una delle società citate nel decreto di scioglimento del comune di Reggio Calabria, con sede in via Durini 14. Lo stesso Laurendi detiene il 20% dello studio Mgim e figura insieme a Michelangelo Tibaldi, nella compagine di Multiservizi, società partecipata al 51% dal comune di Reggio Calabria, sciolta per mafia alcuni mesi fa per infiltrazioni della cosca.

Proprio in uno dei locali milanesi della Milasl in via Pareto, gestito dalla società Brick di Tibaldi ha trovato posto la sede di “Lealtà e Azione”, dietro la quale si muovono anche gli Hammerskin, movimento neonazi internazionale. Leader degli Hammer milanesi è Domenico Bosa, detto Mimmo Hammer, gelese classe ’67 e un passato con qualche guaio con la giustizia. Bosa, non indagato, verrà comunque pizzicato da due recenti inchieste del Gico della Guardia di Finanza perché in rapporti con il narcotrafficante montenegrino Milutin Todorivic, che a sua volta intratteneva rapporti con il boss della ‘ndrangheta Pepè Flachi. A fare da sfondo la “bamba” e una malavita che anche a Milano incrocia criminalità organizzata e ambienti dell’estrema destra.

L’OMICIDIO DI FAUSTO E IAIO

Alla fine degli anni ’80 due giornalisti, Fabio Poletti e Umberto Gay scrivono una controinchiesta sull’omicidio di Fausto e Iaio, che fu rivendicato proprio dai Nar come vendetta per la morte di Sergio Ramelli. La vicenda non si è mai risolta. «La nostra fu un’inchiesta sull’ambiente in cui era maturato quell’omicidio, non avevamo individuato i colpevoli», ricorda Poletti. Non ci riusciranno neppure i giudici dopo aver indagato proprio su Carminati, Mario Corsi, detto Marione, ex capo della curva della Roma pure lui tra le carte dell’inchiesta di Mafia Capitale e Claudio Bracci, cognato del Re di Roma. Stefano Dambruoso, nel 1999, ha archiviato l’inchiesta per insufficienza di prove. Eppure anche in quella storia di due ragazzi di diciotto anni trucidati con otto colpi di pistola s’incrociano i misteri d’Italia che ritornano di attualità dopo l’arresto di Carminati, uno degli esponenti più importanti della Banda della Magliana, cerniera tra la malavita organizzata, l’estremismo di destra e servizi segreti deviati. C’è infatti un lato inquietante inella morte dei due ragazzi. E riguarda via Montenevoso, strada dove negli anni ’70, al numero 9, c’era un covo delle Brigate Rosse. Fausto Tinelli viveva al numero 8.

Anche in quella storia di due ragazzi di diciotto anni trucidati con otto colpi di pistola s’incrociano i misteri d’Italia che ritornano di attualità dopo l’arresto di Carminati

E proprio in quella palazzina, come ricostruirà in una puntata Chi l’ha visto, che i servizi segreti hanno una piccola mansarda da dove spiano i brigatisti: dalla finestra della camera di Fausto si vedono le finestre del rifugio brigatista. In via Montenevoso quasi 12 anni dopo sarà ritrovato il memoriale di Aldo Moro, lo statista democristiano rapito il 16 marzo del 1978, due giorni prima di quel massacro di via Mancinelli. Danila Angeli, madre di Fausto, in diverse interviste alla fine del 2000 tirò in ballo i servizi segreti. Dopo l’omicidio di mio figlio», raccontò la madre di Tinelli, «ognuno offriva la sua versione. Chi parlò di regolamento di conti tra spacciatori di droga, oppure una faida tra gruppi della sinistra extraparlamentare. Negli anni ho riannodato i fili della memoria, i pezzi di un piccolo mosaico che mi ha permesso di raggiungere la vera verità che io conosco. Mio figlio è stato vittima di un commando di killer giunti da Roma a Milano, nel pieno del rapimento di Aldo Moro, in una città blindata da forze dell’ordine. Un omicidio su commissione di uomini dei servizi segreti. Gli apparati dello Stato avevano affittato un appartamento al terzo piano del mio palazzo, in via Monte Nevoso 9, esattamente davanti all’appartamento in cui risiedevano appartenenti alle Brigate Rosse, responsabili del rapimento Moro, dove vennero rinvenuti i memoriali del presidente della Democrazia cristiana». Un altro tassello nella storia di Carminati che non ha mai avuto risposta. 

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