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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La colossale balla degli immigrati che ci “costano”

In questi giorni vi stiamo raccontando quello che sta succedendo a Tor Sapienza, con la “rivolta” nei confronti degli ospiti del centro per rifugiati e le più o meno gradite visite di esponenti politici locali ed amministratori (mentre il Governo ha scelto di lavarsene le mani ed il Pd ha preferito abbandonare al proprio destino il sindaco di Roma Ignazio Marino). Intorno alla vicenda è esploso un dibattito variegato e le analisi si sono concentrate su diversi livelli di profondità: dalla specificità del caso romano (i 4 campi solo al Prenestino), ai problemi delle periferie, dalla crisi economica che ha esasperato i ceti meno abbienti alle lacune normative nei processi di accoglienza / espulsione dei clandestini e via discorrendo. Su una cosa però analisti e commentatori sembrano concordare: sulla crescita del fronte dell’odio, della rabbia e dell’indignazione, soprattutto nelle periferie dei grandi centri urbani. Sentimenti certamente coltivati da una certa parte politica ma anche nutriti da una sequela impressionante di notizie false, esagerazioni, allarmismi e speculazioni che hanno trovato nei social network dei megafoni formidabili.

Tutto o quasi ruota intorno al denaro, alle risorse che lo Stato dilapiderebbe per soccorrere, accogliere e assistere gli immigrati che raggiungono le nostre coste. Abbiamo già provato a chiarire, ad esempio, le esatte dimensioni dell’impegno finanziario del nostro Paese nell’operazione Mare Nostrum, oppure a far chiarezza sull’insussistenza di quel “l’Europa non ci aiuta”, vero tormentone degli ultimi mesi, o sul fatto che la spesa per l’immigrazione sia meno del 3% della spesa sociale; ma le informazioni parziali e decontestualizzate sul tema sono tante e così surreali che resta difficile finanche impostare un debunking più o meno serio. Si consideri ad esempio la questione dei costi totali, spiegata in maniera surreale da un (cliccatissimo) pezzo de Il Giornale, in cui si stima in 12 miliardi di euro l’anno il costo degli sbarchi:

I capitoli più costosi sono la sanità (3,6 miliardi) e la scuola (3,4). I trasferimenti monetari (assegni familiari, pensioni e sostegni al reddito) valgono 1,6 miliardi. Eclatante il dato della giustizia: 1,75 miliardi […] Un immigrato che accetti di essere registrato nei centri di accoglienza costa alla collettività 2.400 euro, il doppio dello stipendio di un agente addetto ai controlli. Il conto è semplice. Si parte dalla «diaria» di 30 euro al giorno per le spese personali: 900 euro esentasse, più di molte pensioni e casse integrazioni. Altri 30 euro al giorno vanno come rimborso a chi li ospita (bed&breakfast, case private, ostelli). Aggiungiamo un’assicurazione mensile di 600 euro e si arriva alla rispettabile somma di 2.400 euro mensili spesi dallo Stato per ogni straniero sbarcato e assistito”

Un minestrone in cui coesistono numeri veri, bufale, imprecisioni, inesattezze e vere e proprie invenzioni: il risultato è la trasmissione a catena di informazioni errate e strumentali ad un certo racconto. Ma il discorso sull’utilizzo strumentale di dati e cifre (tra decontestualizzazioni, forzature e falsificazioni) è evidentemente lungo e complesso (si potrebbe citare, ad esempio, il miliardo e mezzo speso per la sorveglianza coste, dato vero ma da distribuire nel periodo 2005 – 2012). Meglio provare a chiarire alcuni punti, a cominciare dalla “retribuzione giornaliera” che lo Stato corrisponderebbe agli immigrati.

Ecco, molto semplicemente: lo Stato non corrisponde neanche un singolo euro agli immigrati clandestini che vivono nel nostro Paese. Il discorso è invece in parte diverso per i richiedenti asilo, i rifugiati e gli “ospiti” dei Cie, Cda, Cpsa e Cara. Ogni migrante trattenuto in un centro di accoglienza riceve infatti in media circa 2,5 euro, il cosiddetto pocket money che dovrebbe servire alle piccole spese giornaliere (effetti personali, bevande calde ai distributori e sigarette). Come si vede, siamo ben lontani dalla cifra di 30 / 40 euro al giorno di “retribuzione”, rilanciata continuamente dalla presunta “controinformazione”. Tra l’altro, come rilevato dall’inchiesta di Repubblica, ci sono seri dubbi sulle modalità e sull’effettività dell’erogazione del contributo, che spesso finisce per ingrassare speculatori ed affaristi, che letteralmente prosperano sulla pelle dei migranti.

Per tutti i servizi connessi all’accoglienza e al mantenimento dei migranti nei Cie lo Stato spende circa 30 euro al giorno. Discorso in parte diverso per quel che concerne i Cara (i centri di accoglienza per richiedenti asilo) e la messa a disposizione di posti straordinari per la prima accoglienza dei cittadini stranieri, gestiti da cooperative o da privati. È interessante precisare però che il “reclutamento” delle strutture non è a totale discrezione delle prefetture (il riferimento è ai fantomatici hotel 5 stelle lusso con piscina, sauna e sala giochi in cui sarebbero ospitati i migranti), ma avviene con un “modulo precompilato” con procedure e standard fissi, messo a disposizione dal ministero dell’Interno. Il gestore che stipula la convenzione si impegna ad offrire “servizi di gestione amministrativa, di assistenza generica, di pulizia e igiene ambientale, di erogazione dei pasti”, nonché all’erogazione del pocket money (che per i nuclei familiari non può superare i 7,5 euro) e di una tessera telefonica di 15 euro. La somma complessiva per singolo ospite del centro varia a seconda degli accordi tra prefettura e gestori, ma in media si aggira sui 40 euro che, come spiega Daniela Di Capua, direttrice del servizio centrale Spar a Redattore Sociale, “servono a pagare gli operatori, l’affitto ai privati degli immobili, i fornitori di beni di consumo. Una piccola quota va per gli interventi di riqualificazione professionale, come i tirocini, orientati a permettere ai migranti di vivere in autonomia una volta usciti dal sistema di accoglienza […] Queste risorse fanno parte di un fondo ordinario del ministero. Non sono spese straordinarie”.

Per i minori le cifre salgono, come si legge su Internazionale: “Il costo pro capite varia a seconda delle rette delle singole comunità di accoglienza […] Le rette possono dunque superare anche i 140 euro, ma per quelli che rientrano nello Sprar, indipendentemente dalla rette della comunità, noi eroghiamo 80 euro al massimo”.

Insomma, per farla breve: ai clandestini che dimorano nel nostro Paese non diamo nulla, a chi è in attesa di risposta alla domanda di tutela come profugo o rifugiato politico o a chi risiede nei centri di accoglienza o di identificazione diamo 2,5 euro al giorno. Quando questi soldi arrivano nelle loro tasche, ovviamente. Se cercate “chi ci guadagna” da questa situazione, converrà volgere lo sguardo altrove.

(fonte)

La dignità nelle parole

Condivido questo video perché nonostante il clamore e la polvere su Tor Sapienza e sulle periferie e nonostante la continua legittimazione sotto traccia del razzismo, le parole di Carlotta Sama hanno un suono che riporta a fare pace con il mondo e nonostante la delicatezza del tono impongono principi costituzionali che hanno bisogno di essere ricordati:

(Grazie a Laura Caputo per la segnalazione)

L’inopportunità e il conflitto d’interessi come metodo

Chi guiderà la commissione che dovrà individuare i responsabili del crollo dell’argine del torrente Carrione, a CarraraLucio Boggi, consigliere del Pd, ma soprattutto appena citato a giudizio per una storia di appropriazione indebita. Un’inchiesta che non ha niente a che vedere con la manutenzione degli argini, ma riguarda una vicenda legata alla vendita di un’azienda del marmo. Boggi non dà peso al processo (“Non scappo da colpe che non ho”) e la circostanza non sembra scuotere il suo partito. Resta che il consigliere democratico ricoprirà un ruolo delicato nelle prossime settimane: ricostruire – a capo della commissione interna della Provincia – perché l’argine del Carrione ha ceduto dopo pochi anni dalla sua realizzazione. E l’ente che ha affidato i lavori è proprio la Provincia, guidata da poco tempo da Narciso Buffoni (Pd) e commissariata dalla Regione perché non ha speso i soldi destinati alla lotta al dissesto idrogeologico. 

Il pm Alberto Dello Iacono ha firmato il decreto di citazione a giudizio – saltando così l’udienza preliminare – per Boggi per una presunta appropriazione indebita in concorso. A processo con il consigliere finirà anche un’imprenditrice di Pietrasanta (Lucca), Arianna Dell’Amico, amministratrice unica della Ari Marmi. Secondo la ricostruzione della Procura i due hanno violato gli accordi di una scrittura privata durante una trattativa di cessione della Ari a due imprenditori, Riccardo e Andrea Ferrari. Quell’intesa – risalente al 2009 – prevedeva che la Dell’Amico cedeva il 100 per cento della Ari Marmi ai Ferrari per 400mila euro. Ma per 4 anni – secondo quella scrittura privata – l’imprenditrice non avrebbe potuto compiere alcun atto amministrativo che riguardasse l’azienda senza il consenso degli acquirenti. Ma – secondo le accuse – gli accordi non vengono rispettati. Anzi, la Dell’Amico e Boggi firmano un secondo accordo. Prima c’è l’imprenditrice cede a Boggi un ramo dell’azienda (già venduta ai Ferrari). Poi, nel luglio 2013, c’è la cessione di tutte le quote a soli 10mila euro. L’accusa sostiene che Boggi fosse a conoscenza dell’atto precedente di vendita, “procurandosi in tal modo un ingiusto profitto con pari danno dei Ferrari”. Il consigliere provinciale, contattato da ilfattoquotidiano.it, si dice “estraneo ai fatti. Parlare di appropriazione indebita – dice – è una calunnia, perché non c’è stato passaggio di denaro e non siamo nemmeno al primo grado di giudizio. La notifica poi non nasce come iniziativa motu proprio della magistratura, bensì ancora una volta prende le mosse dai soliti personaggi con cui ho già avuto a che fare in passato: Ferrari, padre e figlio”.

Sarà Boggi, scelto dal presidente della Provincia Buffoni e che di lavoro fa l’imprenditore nel settore del marmo, il “controllore” della Provincia per i fatti del 5 novembre, quando il Carrione ha sfondato l’argine nuovo (costruito dalla Provincia nel 2007 e certificato nel 2009) provocando l’ennesimo disastro. Quello che in sostanza dovrà analizzare, insieme agli altri 5 componenti della commissione, tutti gli atti amministrativi sui lavori e trovare i responsabili. A partire dalla gara d’appalto fino ad arrivare ai vari collaudi e controlli che gli enti preposti avevano il compito di effettuare. Arrivando poi a stabilire come hanno lavorato gli uffici, se sono state eseguite correttamente tutte le procedure e far scattare, se necessario, eventuali provvedimenti. Si occuperà quindi di individuare il “buco” nelle procedure e nei lavori, nonostante, in qualche modo, anche le cave siano ritenute responsabili dell’esondazione, per la miriade di detriti trovati a valle.

Ma Boggi è noto anche per essere stato accusato negli ultimi anni un politico “collezionista” di conflitti di interessi. E’ per esempio consigliere comunale del Pd – la maggioranza che sostiene il sindaco Angelo Zubbani – e fa parte della commissione marmo, nonostante i suoi legami con il settore. Prima degli accordi con la Ari Marmi, infatti, era già socio di un’altra azienda, la Aleph Escavazioni con la quale estrae nel bacino Sagro, formato da un numero non irrilevante di cave. Nonostante da ormai due anni l’opposizione (e in particolare il Movimento Cinque Stelle) ne chieda le dimissioni dalla commissione, lui non se n’è mai andato. Non solo: nel 2013 è stato anche nominato membro del consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio di Carrara, l’ente tesoriere del Comune (perché tra le tante cose è anche commercialista). Il punto è che nel frattempo era già entrato nella commissione bilancio. Dopo un anno di esposti, interrogazioni e accesi dibattiti in consiglio comunale, Boggi si è arreso alle pressioni della minoranza e ha lasciato il cda della banca.

(fonte)

diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi

“Prevedo la spoliticizzazione completa dell’Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. Lo so: i comitati di quartiere, la partecipazione dei genitori nelle scuole, la politica dal basso… Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche, in definitiva non politiche. La strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come.”

– Pier Paolo Pasolini- (1975)

Sempre sull’attentato a Di Matteo

Un importante articolo di Riccardo Lo Verso:

Gli episodi sono sempre più circoscritti. È nel dicembre 2012 che la mafia avrebbe iniziato a progettare l’attentato al pubblico ministero di Palermo Nino Di Matteo. Si tratta dell’attentato di cui parla oggi Vito Galatolo, il boss che, prima ancora di pentirsi, si è voluto togliere un peso dalla coscienza. “Ci sono dietro gli stessi mandanti di Borsellino”, ha detto il capomafia aprendo scenari ancora più inquietanti.

Un direttorio ristretto di boss avrebbe deciso di sfidare lo Stato colpendo uno degli uomini simbolo della lotta a Cosa nostra. Oggi i boss che avrebbero fatto parte del piano, coordinato dallo stesso Galatolo, sono tutti in cella. Il progetto di morte è andato avanti per dua anni. Poi, il blitz Apocalisse di cinque mesi fa avrebbe evitato il peggio. Era pronto persino l’esplosivo che in questi giorni gli uomini della Dia hanno cercato senza successo nelle campagne di Monreale dove c’è la villetta di uno dei 95 arrestati del mega blitz di giugno.

Si scopre che ci furono grandi preparativi fra l’8 e il 9 dicembre di due anni fa per fare incontrare Girolamo Biondino – fratello di Salvatore, l’autista di Totò Riina – e Vito Galatolo. Entrambi sono finiti in carcere nel blitz Apocalisse del giugno scorso. Sono accusati il primo di essere il capo mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale e il secondo di avere guidato la famiglia dell’Acquasanta. Solo la prudenza di Biondino, che aveva già scontato una lunga pena, gli suggerì di defilarsi all’ultimo minuto. Forse aveva capito di essere pedinato. E così Galatolo avrebbe incontrato i rappresentanti delle famiglie di Partanna Mondello e Tommaso Natale. Il boss dell’Acquasanta che ha deciso di pentirsi colloca in quella stagione di summit l’inizio del progetto di uccidere Di Matteo.

Il rampollo di una delle più blasonate famiglie mafiose si trovava in città per seguire un processo. Era stato da poco scarcerato. Aveva, però, il divieto di soggiorno a Palermo e si era trasferito a Mestre. Con un apposito permesso gli era stato dato il via libera per presenziare alle udienze. L’organizzazione dell’incontro sarebbe stata affidata a due picciotti.

Alle ore 19:05 dell’8 dicembre di due anni viene intercettato in macchina Roberto Sardisco, braccio destro di Silvio Guerrera, considerato il reggente della famiglia di Tommaso Natale. A bordo di una Fiat 500 raggiungono un bar a Tommaso Natale. Sardisco scende dalla macchina e sale su un furgone. Alla guida c’è un altro indagato. Assieme arrivano al civico 61 di via Barcarello dove c’è la villetta di Mimmo Biondino. Entrano in casa. Pochi minuti dopo Sardisco telefona a Guerrera: “Domani alle dieci”. Secondo gli investigatori, è la conferma dell’appuntamento. Infine arriva una telefonata a casa di Galatolo dove l’uomo sta cenando con la moglie: “… telefonò Vito e ha detto che potete scendere che aspetta a noi per mangiare”.

Il 9 dicembre gli investigatori sono pronti a monitorare gli spostamenti di tutti i protagonisti. Quattro minuti dopo le 9 Guerrera è in macchina. Sardisco passa sotto casa di Tommaso Masino Contino, in cella con l’accusa di essere il capo della famiglia di Partanna Mondello. Nel frattempo, Biondino esce di casa a piedi. Percorre le vie Barcarello, del Tritone e del Mandarino e sale sulla Citroen C4 di Guerrera. La macchina è imbottita di microspie. Biondino si informa: “Che c’è Vito?”. Risposta affermativa. Guerrera, però, spiega che “a Masino non l’ho potuto trovare”. Biondino si rammarica: “Ci voleva Masino… ci voleva per certi discorsi… Masino ci vuole perché sa tanti discorsi”. Poi inizia a innervosirsi: “Dove dobbiamo salire? Là? Neanche io lo so, dove vuoi posteggiare posteggi, dove ci portano queste teste di minchia… li prenderei a calci nel culo a queste teste di… entra là dentro… abbiamo tante cose… da discutere”.

Gli inquirenti li hanno seguito passo dopo passo. Dopo aver percorso le vie Rosario Nicoletti, Partanna Mondello ed Emilio Salgari si sono fermati in via Jack London. Sono scesi dalla macchina per entrare nel condominio al civico 31 di via Partanna Mondello. Dopo pochi minuti, però, Biondino e Guerrera escono. Salgono in macchina e vengono intercettati in via Lanza di Scalea. L’incontro è saltato. Biondino deve avere fiutato qualcosa. Forse i movimenti delle forze dell’ordine.

Nel pomeriggio della stessa giornata vengono monitorati nuovi spostamenti. C’è una novità importante: Biondino si è defilato. Guerrera e Contino si spostano a bordo di una Smart. “Dobbiamo andare in corso Tukory… è da stamattina che mi rompo i… – spiega Guerrera – mi stavano facendo attummuliari stamattina. Stamattina non ti ho potuto trovare… hanno una cosa urgente, subito”. Alle 17 e 30 arrivano in via Lincoln. E si spostano in macchina verso una zona Secondo gli investigatori, avrebbero incontrato da qualche parte Vito Galatolo.

Cosa c’era di così urgente da trattare? Probabilmente in pochi, pochissimi erano a conoscenza dell’argomento. Non a caso Galatolo avrebbe parlato di un numero ristretto di personaggi, legati anche ad altri mandamenti della città, che a loro volta avrebbero partecipato ad altri summit su cui adesso si dovrà fare luce.

Perché nel dicembre 2012 la mafia inizia a progettare un attentato contro Nino Di Matteo.C’entrano il processo e l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia di cui il pubblico ministero si occupa assieme ai colleghi Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia? Le indiscrezioni che trapelano addensano l’ombra dei mandanti esterni. Soggetti diversi da Cosa nostra potrebbero avere deciso di servrsi dei boss per colpire loro obiettivi. Anche di questo avrebbe parlato Galatolo, figlio di Enzo, capomafia dell’Acquasanta coinvolto nelle stragi del’92 e in omicidi eccellenti come quello del giudice istruttore Rocco Chinnici.

Galatolo, 41 anni, detto “u picciriddu”, avrebbe deciso di vuotare il sacco temendo che che l’attentato potesse ancora essere realizzato. Troppo alto il rischio di subirene le conseguenze giudiziarie. Galatolo ha parlato anche dell’arrivo in città di un carico di esplosivo di cui, però, non c’è traccia. Gli investigatori lo hanno cercato in una villetta di Vincenzo Graziano. Già condannato per Mafia, Graziano aveva finito di scontare la pena nel 2012, ma è tornato in cella nel blitz Apocalisse con l’accusa di essere il regista del monopolio, realizzato d’intesa con Galatolo, nel settore delle slot machines e delle scommesse sportive on line. Gli veniva inoltre contestato, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Sergio Flamia, di avere affiliato, assieme a Galatolo, mentre si trovavano in carcere, un nuovo uomo d’onore. Accuse che, però, non hanno retto al vaglio del Tribunale del Riesame e Graziano è stato scarcerato.

Del tritolo non c’è traccia. Qualcuno potrebbe avere già provveduto a ripulire i luogo dove era stato custodito. E poi ci sono le menti esterne. Quelle che, secondo Galatolo, avrebbero voluto la morte del giudice Borsellino e ora spingevano per assassinare Di Matteo.

Nel nome di Garibaldi, Mazzini e La Marmora, con parole d’umiltà formo la santa società …

“Buon vespero e santa sera ai santisti! Giustappunto in questa santa sera, nel silenzio della notte e sotto la luce delle stelle e lo splendore della luna, formo la catena! Nel nome di Garibaldi, Mazzini e La Marmora, con parole d’umiltà formo la santa società …”. E’ il boss che parla. Gli altri affiliati, riuniti in cerchio, ascoltano in silenzio. La sacralità del rito ricorda una messa, invece si tratta della cerimonia di conferimento della Santa, il più alto grado di affiliazione ‘ndranghetista. Che va in scena non in Calabria, ma nella Lombardia di Expo. Finora, solo i pentiti (pochi) lo avevano raccontato. Adesso, le telecamere nascoste del Ros dei carabinieri di Milano lo mostrano per la prima volta nella sua interezza. Fermi immagine definiti storici dagli inquirenti che questa mattina hanno arrestato 40 persone nell’ambito dell’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia milanese. Un altro duro colpo alla ‘ndrangheta del nord inferto dai carabinieri guidati dal tenente colonnello Giovanni Sozzo. Che arriva a pochi giorni di distanza da un’altra operazione che ha smascherato gli appetiti dei mammasantissima attorno ai subappalti dell’Esposizione universale.

L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata firmata dal gip Simone Luerti. Le accuse a vario titolo contro i 40 indagati sono associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi. Al centro dell’operazione “Insubria“, nata dalla storica inchiesta “Infinito“, la prima a riconoscere il radicamento al nord italia delle cosche calabresi, tre sodalizi della ‘ndrangheta radicati nel comasco e nel lecchese, con diffuse infiltrazioni nel tessuto locale e saldi collegamenti con le famiglie di origine. Oltre alla Lombardia (Milano, Como, Lecco, Monza-Brianza, Bergamo), gli arresti sono avvenuti anche in provincia di Verona e Caltanissetta. L’inchiesta della Dda, coordinata dai pm Ilda Boccassini, Paolo Storari e Francesca Celle, ha riguardato in particolare le cosche dei comuni brianzoli di Calolziocorte, di Cermenate e di Fino Mornasco, tutte facenti parte della nuova ‘Ndrangheta del Nord Italia, chiamata “La Lombardia”.

Dopo due anni di intercettazioni ambientali e filmati, sono stati documentati, in particolare, i rituali mafiosi per il conferimento delle cariche interne e le modalità di affiliazione. È la prima volta che viene ripresa la cerimonia di conferimento della Santa. I filmati, che riprendono i boss durante le cosiddette “mangiate“, mostrano l’uso di un linguaggio in codice, in cui il capo della locale viene chiamato Garibaldi, il contabile Mazzini, mentre il Mastro di giornata, tra le più alte cariche dell’associazione, viene chiamato La Marmora. Un altro filmato mostra tutta la violenza delle ‘ndrine: i giuramenti vengono fatti davanti con una pistola e una pastiglia di cianuro, che servono come monito al nuovo affiliato sulla sua sorte in caso di tradimento o “grave trascuranza”. Quanti colpi ha in canna, ne dovete riservare sempre uno!”, spiegano i boss, intercettati, altrimenti c’è sempre “una pastiglia di cianuro” oppure “vi buttate dalla montagna”.

(link)

Operazione “Insubria”: i nomi degli arrestati

Gli arresti dell’operazione “Insubria“. Le persone arrestate oggi, quasi tutte residenti in Lombardia, per associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi sono:

CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE (35):

1. Puglisi Giuseppe, inteso “Melangiana”, 53 anni, nato a Messina e residente a Cermenate (CO), operaio, già coinvolto, sebbene poi assolto, nell’indagine del 1994 sulla ‘ndrangheta in Lombardia nota come “Fiori della notte di San Vito”. Nell’ambito della presente indagine, Puglisi Giuseppe è emerso quale “capo” del “locale di Cermenate”, in possesso della “dote” di “Quartino”.

2. Mercuri Antonino, inteso “Pizzicaferro”, 64 anni, nato a Giffone (RC) residente a Airuno (LC). Nell’ambito della presente indagine, Mercuri Antonino è emerso quale “capo” del “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” di “Padrino”.

3. Mandaglio Antonio, inteso “Occhiazzi”, 60 anni, nato a Giffone (RC), residente a Carenno (LC), pensionato, già coinvolto, sebbene poi assolto, nell’indagine del 1994 sulla ‘ndrangheta in Lombardia nota come “Fiori della notte di San Vito”. Nell’ambito della presente indagine, Mandaglio Antonio è emerso quale “capo società” del “locale di Calolziocorte”, in possesso di “dote” pari o superiore a “trequartino”.

4. Chindamo Michelangelo, 61 anni, nato a Palmi (RC), residente a Cadorago (CO), già condannato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti nell’indagine del 1994 sulla ‘ndrangheta in Lombardia “Fiori della notte di San Vito”. Nell’ambito della presente indagine, Chindamo Michelangelo è emerso quale “capo” del “locale di Fino Mornasco”, in possesso della “dote” di “trequartino”.

5. Adducci Angiolino, 63 anni, nato a Grisolia (CS), residente a Lentate sul Seveso (MB), imprenditore, già condannato ad anni 3 di reclusione a seguito dell’indagine del 1996 sulla ‘ndrangheta in Lombardia nota come “Fiori della notte di San Vito 2”. Nell’ambito della presente indagine Adducci Angiolino è emerso quale “affiliato” al “locale di Cermenate”, in possesso della “dote” di “sgarro”.

6. Ambresi Pasquale, 55 anni, nato a Oppido Mamertina (RC), residente a Cadorago (CO), camionista. Nell’ambito della presente indagine Ambresi Pasquale è emerso quale “affiliato” al “locale di Cermenate”, in possesso della dote di “camorrista di sgarro”.

7. Monteleone Giuseppe, 25 anni, inteso “Baciulo”, nato a Cinquefrondi (RC), residente a Bregnano (CO), operaio. Nell’ambito della presente indagine Monteleone Giuseppe è emerso quale “affiliato” al “locale di Cermenate”, in possesso della dote di “camorra”.

8. Paviglianiti Marco, 30 anni, nato a Cantù (CO), residente a Lomazzo (CO). Nell’ambito della presente indagine Paviglianiti Marco è emerso quale “affiliato” al “locale di Cermenate”, in possesso di una dote allo stato non determinata.

9. Puglisi Giovanni, 20 anni, nato a Cantù (CO), residente a Cermenate (CO), figlio dell’indagato Puglisi Giuseppe, “capo” del “locale di Cermenate”. Nell’ambito della presente indagine PUGLISI Giovanni è emerso quale “affiliato” al “locale di Cermenate”, in possesso della “dote” di “sgarro”.

10. Scali Giuseppe Salvatore, 78 anni, inteso “Tarzan”, nato a Grotteria (RC), residente a Cantù (CO), pensionato, già condannato ad anni 18 di reclusione per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, a seguito dell’indagine del 1994 sulla ‘ndrangheta in Lombardia nota come “I fiori della notte di San Vito”. Nell’ambito della presente indagine, Scali Giuseppe Salvatore è emerso quale “affiliato” al “locale di Cermenate”, in possesso della “dote” di “trequartino”.

11. Sciacca Filippo, 51 anni, nato a Giffone (RC), residente a Cadorago (CO), operaio. Nell’ambito della presente indagine Sciacca Filippo è emerso quale “affiliato” al “locale di Cermenate”, in possesso di una dote pari o superiore alla “Santa”.

12. Valente Ivano Bartolomeo, 25 anni, nato a Cinquefrondi (RC), residente a Guanzate (CO), operaio, nipote dell’indagato Puglisi Giuseppe, “capo” del “Locale di Cermenate”. Nell’ambito della presente indagine Valente Ivano Bartolomeo è emerso quale “affiliato” al “locale di Cermenate”, in possesso della dote della “Santa”.

13. Condò Marco, 43 anni, nato a Lecco (LC), residente a Sotto il Monte Giovanni XXIII (BG), operaio, fratello degli indagati Condò Ivan e Condò Antonio, entrambi affiliati al “locale di Calolziocorte”. Nell’ambito della presente indagine, Condò Marco è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte” con funzioni di “Mastro di Giornata”, in possesso della “dote” di “Vangelo”.

14. Buttà Giovanni, 52 anni, nato a Caronia (ME), residente a Calolziocorte (LC), già condannato per omicidio in concorso, operaio. Nell’ambito della presente indagine, Buttà Giovanni è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso di “dote” della “Santa”.

15. Condò Antonio, 44 anni, nato a Lecco (LC), residente a Torre de’ Busi (LC), camionista, fratello degli indagati Condò Ivan e Condò Marco, entrambi affiliati al “locale di Calolziocorte”. Nell’ambito della presente indagine, CONDÒ Antonio è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” pari o superiore al “Vangelo”.

16. Condò Ivan, 39 anni, nato a Lecco (LC), residente a Calolziocorte (LC), camionista, fratello degli indagati Condò Antonio e Condò Marco, entrambi affiliati al “locale di Calolziocorte”. Nell’ambito della presente indagine, Condò Ivan è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso di una “dote” allo stato non determinata.

17. Gozzo Rosario, 50 anni, nato a Giffone (RC), residente a Carenno (LC), operaio. Nell’ambito della presente indagine, Gozzo Rosario è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” di “Vangelo”.

18. Lamanna Domenico, 64 anni, nato a Laureana di Borrello (RC), residente a Calolziocorte (LC), elettricista, già coinvolto, sebbene poi assolto, per i reati di associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti nell’indagine del 1996 sulla ‘ndrangheta in Lombardia nota come “I Fiori della notte di San Vito 2”. Nell’ambito della presente indagine, Lamanna Domenico è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso di “dote” pari o superiore alla “Santa”.

19. Mandaglio Bartolomeo, 56 anni, nato a Giffone (RC), residente a Vercurago (LC), imprenditore edile, cugino dell’indagato Valente Salvatore Pietro. Nell’ambito della presente indagine, Mandaglio Bartolomeo è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” di “Vangelo”.

20. Mandaglio Luca, 30 anni, nato a Lecco, residente a Olgiate Comasco (CO), cameriere, figlio dell’indagatoMandaglio Antonio, “capo società” del “locale di Calolziocorte”. Nell’ambito della presente indagine MANDAGLIO Luca è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della dote della “Santa”.

21. Marinaro Giovanni, 54 anni, nato a Caronia (ME), residente a Calolziocorte (LC), imbianchino, già condannato per i reati di associazione mafiosa e traffico di stupefacenti nell’indagine sulla ‘ndrangheta in Lombardia nota come “Wall Street”. Nell’ambito della presente indagine, Marinaro Giovanni è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” di “Vangelo”.

22. Montagnese Nicholas, 22 anni, nato a Lecco, residente a Torre de’ Busi (LC), rispettivamente nipote e pronipote degli indagati Valente Salvatore Pietro e Mandaglio Bartolomeo, entrambi affiliati al “locale di Calolziocorte”. Nell’ambito della presente indagine Montagnese Nicholas è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della dote di “picciotto”.

23. Panuccio Albano, 33 anni, nato a Oggiono (LC), residente a Dolzago (LC), operaio, rispettivamente figlio, nipote e cugino degli indagati Panuccio Albano, Panuccio Antonino e Gozzo Rosario, tutti ”affiliati” al “locale di Calolziocorte”. Nell’ambito della presente indagine Panuccio Albano è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” di “Sgarro”.

24. Panuccio Antonino, 57 anni, nato a Giffone (LC), residente a Dolzago (LC), operaio, rispettivamente fratello e zio degli indagati Panuccio Michelangelo e Panuccio Albano, entrambi ”affiliati” al “locale di Calolziocorte”. Nell’ambito della presente indagine Panuccio Antonino è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” di “Vangelo”.

25. Petrolo Francesco, 56 anni, nato a Giffone (RC), residente a Torre de’ Busi (LC). Nell’ambito della presente indagine, Petrolo Francesco è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” di “trequartino”.

26. Valente Salvatore Pietro, 48 anni, nato a Taurianova (RC), residente a Torre de’ Busi (LC), operaio, cugino dell’indagato Puglisi Giuseppe “capo” del “locale di Cermenate”, e dell’indagato Mandaglio Bartolomeo ”affiliato” al “locale di Calolziocorte”; padre dell’indagato minorenne Valente Manuel Bartolo e zio dell’indagato Montagnese Nicholas, entrambi affiliati al “locale di Calolziocorte”; Nell’ambito della presente indagine Valente Salvatore Pietro è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” di “Vangelo”.

27. Varrone Vittorio, 41 anni, nato a Belcastro (CZ), residente a Lecco (LC), operaio. Nell’ambito della presente indagine, Varrone Vittorio è emerso quale “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso della “dote” della “Santa”.

28. Gallo Fortunato, 62 anni, nato a Giffone (RC), residente a Carimate (CO), pensionato, già condannato ad anni 4 di reclusione a seguito dell’indagine del 1996 sulla ‘ndrangheta in Lombardia nota come “I fiori della notte di San Vito 2”. Nell’ambito della presente indagine Gallo Fortunato è emerso quale “affiliato” del “locale di Fino Mornasco”, in possesso della “dote” di “trequartino”.

29. Gentile Antonio, 38 anni, nato a Cittanova (RC), ivi residente, pizzaiolo, già condannato per reati in materia di stupefacenti, armi e rapina. Nell’ambito della presente indagine, Gentile Antonio è emerso quale “affiliato” del “locale di Fino Mornasco”, in possesso di una “dote” allo stato non determinata.

30. Greco Giuseppe, 31 anni, nato a Como, residente a Bregnano (CO), commerciante, già condannato per reati contro la persona. Nell’ambito della presente indagine, Greco Giuseppe è emerso quale “affiliato” del “locale di Fino Mornasco”, in possesso di una “dote” pari o superiore a “camorrista di sgarro”.

31. Iacopetta Salvatore, 39 anni, nato a Locri (RC), residente a Bulgarograsso (CO), camionista. Nell’ambito della presente indagine Iacopetta Salvatore è emerso quale “affiliato” del “locale di Fino Mornasco”, in possesso di una dote allo stato non determinata.

32. Larosa Michelangelo, 43 anni, inteso “Bocconcino”, nato a Giffone (RC), di fatto domiciliato a Milano, cognato dell’indagato Larosa Giuseppe (Polistena, RC, 20/07/1965), “capo” del “locale di Giffone”. Nell’ambito della presente indagine Larosa Michelangelo è emerso quale “affiliato” del “locale di Fino Mornasco”, in possesso di dote pari o superiore al “Vangelo”.

33. Mercuri Bruno, 62 anni, nato a Giffone (RC), residente a Bulgarograsso (CO), già coinvolto, sebbene poi assolto, per i reati di associazione mafiosa e traffico di stupefacenti nell’indagine del 1996 sulla ‘ndrangheta in Lombardia “I Fiori della notte di San Vito 2”. Nell’ambito della presente indagine, Mercuri Bruno è emerso quale “affiliato” del “locale di Fino Mornasco”, in possesso della “dote” della “Santa”.

34. Rullo Alfredo, 59 anni, nato a Giffone (RC), residente a Cadorago (CO). Nell’ambito della presente indagine Rullo Alfredo è emerso quale “affiliato” del “locale di Fino Mornasco”, in possesso della dote della “Santa”.

35. Rullo Luciano, 47 anni, nato a Como, residente a Fino Mornasco (CO), cugino dell’indagato Larosa Salvatore, affiliato al “locale di Fino Mornasco”. Nell’ambito della presente indagine Rullo Luciano è emerso quale “affiliato” del “locale di Fino Mornasco”, in possesso della “dote” di “Vangelo”.

36. Massimo Iacopetta, 36 anni, nato a Locri (RC) e residente a Vertemate con Minoprio, nella cui abitazione è stata rinvenuta e sequestrata una pistola . Iacopetta era indagato in stato di libertà e destinatario solo di una perquisizione, poichè dalle intercettazioni effettuate durante le indagini erano emersi indizi circa il possesso da parte sua di armi illegalmente detenute; Iacopetta è stato arrestato in flagranza, per il possesso illegale di una pistola,

 

IN CUSTODIA CAUTELARE AGLI ARRESTI DOMICILIARI (3):

37. Bersani Giuseppe, 49 anni, nato a Carate Brianza (MB), residente a Gudo (Svizzera), imprenditore metallurgico.

38. Mirandi Renato, 46 anni, nato a Como, residente a Olgiate Comasco (CO), imprenditore.

39. Panuccio Michelangelo, 61 anni, nato a Giffone (RC), residente a Dolzago (LC), “affiliato” al “locale di Calolziocorte”, in possesso di “dote” pari o superiore al “vangelo”.

Manifesto dell’antirazzismo (I e II parte)

Eccoci. In tanti chiedono (giustamente) le fonti dei dati che smentiscono questo incipiente razzismo italico tutto di pancia e allora vale la pena recuperare il puntuale lavoro di Angelo Cioeta. Queste sono le prime due parti:

(I parte)

Costruire una società migliore, basata sull’uguaglianza sostanziale (e non solo formale), sulla solidarietà tra le persone (concreta e non solo a parole), deve avere un punto di partenza imprescindibile: l’abbattimento dell’ignoranza di cui molte persone nutrono la loro pancia, facendo lievitare il consenso di politici la cui unica qualità è quella di saper urlare insulti od essere presenti in TV quasi come fosse casa loro. Si dirà che ciò è dovuto alla disperazione, alla fame, alla difficoltà di arrivare alla fine del mese etc. Evitiamo di non abusare di queste giustificazioni: non siamo la prima generazione che affronta questi problemi. Anzi, chi ci ha preceduto ha saputo molto spesso trasformare le sofferenze in benzina per le rivoluzioni, per conquistare diritti fondamentali (la nostra Repubblica è figlia delle macerie che il fascismo, molto gentilmente, ci ha lasciato) etc. Ma in passato c’era un senso di collettività molto più forte, la partecipazione politica non si riduceva al mero voto periodico per eleggere rappresentanti nelle istituzioni. Ora invece si tende a restare alla finestra, aspettare che passi sotto il primo problema e spendere quante più parole possibili per risolverlo (nella nostra testa però, non nella realtà). E poi, altra cruda realtà: la televisione, principale mezzo di comunicazione di massa, ha trasformato la società in un gruppo di persone il cui aspetto individuale è nettamente prevalente rispetto invece a quello di comunità. Peccato, perchè la TV inizialmente si era caratterizzata per un carattere educativo (il maestro Manzi, per chi ne può parlare, è un esempio eccezionale di ciò). Inoltre, ha standardizzato notevolmente le opinioni: basta che un politico furbo decida di monopolizzare l’etere ed ecco fatto che, nel giro di pochissimo tempo, ciò che dice diventa Vangelo. Poi, nessuno si preoccuperà di capire se tale Vangelo racconta verità o bugie (e quei pochi che lo fanno vengono subito emarginati). Così, ed eccoci arrivare al succo del post, gli immigrati diventano gli artefici dei nostri problemi socio – economici. Diventano una nuova Kasta che si ciba di soldi dei contribuenti pubblici senza far nulla (le famose storie dei 30, 40, 50… euro al giorno in hotel a 5 stelle etc.). Ok, se 25 anni fa i tedeschi si preoccuparono di abbattere il Muro di Berlino, a noi oggi spetta distruggerne uno più pericoloso: quello composto da mattoni di ignoranza e razzismo. A queste ultime due parole bisogna però aggiungerne un’altra: l’incoerenza del nostro popolo. Dunque, leggendo qualsiasi libro di storia si potrà comprendere che l’Italia è un Paese unito ed indipendente dal dominio straniero dal 17 marzo 1861, quindi da 153 anni. I valori risorgimentali della cacciata dello straniero, dell’indipendenza e, soprattutto dell’autodeterminazione dei popoli, in poco tempo sono evaporati, sostituiti da quelli prodotti dalla politica del colonialismo. Insomma, noi che più di tutti abbiamo sofferto l’occupazione straniera, decidiamo ad un certo punto di andare a colonizzare i Paesi africani, considerati inferiori rispetto all’Europa industriale e civile. In poche parole: non venite a casa nostra, però noi veniamo da voi anche senza permesso. Coerenza portami via. Certo, potrei anche ricordare esempi di superiorità italica clamorosi come Adua ma, lasciamo perdere, onde evitare di urtare le sensibilità patriottiche di qualcuno.

Prima ho utilizzato il termine Vangelo. Ovviamente, quando si dice tale parola, subito viene in mente la religione cattolica. Facendo una rapida ricerca, si comprenderà che l’Italia è un Paese con una netta prevalenza della religione cattolica (come potrebbe essere altrimenti, in quanto la Chiesa da sempre, nella nostra penisola, ha esercitato un’influenza notevolissima?). Il mio è un cattolicesimo molto flebile, ma da quel poco che ricordo, esistono comandamenti che dicono di amare il prossimo tuo come te stesso, parabole come quella del Buon Samaritano (di cui spesso si tende ad impersonare la parte del menfreghista e non di chi aiuta). Bene, sarebbe quindi utile raddrizzare le nostre contraddizioni storiche. Ora che ci penso, aggiungo un’altra notizia interessante. Nel lontano ‘500 in Francia si diffuse l’espressione machiavellico: era colui che si rendeva colpevole di diffondere nel Paese transalpino pratiche fino ad allora sconosciute, come la congiura, la truffa etc. Termine che ebbe origine in Niccolò Machiavelli e che fece degli italiani i principali bersagli di colpevolezza (d’altronde, in Francia, durante il ‘500 la Corte ebbe tra le sue fila alcuni nostri connazionali).

Abbiamo fatto una lunga premessa, un lungo lavoro di preparazione per realizzare l’abbattimento del muro. Adesso, immergendoci nella nostra attualità, provvederemo alle operazioni di distruzione dell’impianto, tappa dopo tappa, mattone dopo mattone.

(II parte)

Dunque, ci siamo lasciati dopo aver fatto una lunga copertina riguardo incomprensioni italiche che, in diversi modi, ci aiutano a comprendere che noi siamo un popolo che spesso ha cercato solidarietà all’estero (ma è restio a fare l’inverso), che ha nella sua storia e nella sua cultura elementi che dovrebbero favorire il processo di integrazione (invece si tende a dimenticare il nostro passato). Inoltre, abbiamo evidenziato come la politica per molti si è ridotta al mero voto periodico e a quanto passa la televisione, causando una standardizzazione dei propri pensieri. Ecco, conviene partire proprio da tale punto: gli effetti della comunicazione proveniente dai mezzi di informazione di massa. A partire dal 1994, anno della prima vittoria di Silvio Berlusconi, soprattutto la televisione è diventata un formidabile catalizzatore di voti, un mezzo che per vincere va assolutamente utilizzato. Ma, la politica è confronto, approfondimento, è arte del governare, è studio etc. E senza tali requisiti, forse occupare gli scranni delle istituzioni non conviene, se proprio si vuol bene alla collettività. Nell’ambito dell’immigrazione capita spesso che a parlare in tv sono politici che assolutamente nulla conoscono del fenomeno, facendolo passare per quello che non è. Sarebbe dunque più giusto far parlare gli esperti, coloro che, nel silenzio, sono a contatto tutti i giorni con la tematica interessata. Siate sinceri: quanti di voi hanno sentito parlare un rappresentate di un centro per rifugiati, un esponente dell’ UNAR (Unione Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) etc.? Ben pochi. Ecco, se ci si impegnasse di più ad informarsi presso gli organi competenti le cose andrebbero meglio per tutti. Detto questo, andiamo a smontare i tanti, troppi, tristi luoghi comuni sugli immigrati.

  • #FERMIAMOLINVASIONE

Nell’aria si percepisce una presenza di immigrati talmente elevata da poter dar vita ad una occupazione dello Stato italiano, ad una cacciata dei «nativi» da «casa loro». Stiamo tranquilli, stando al rapporto DossierImmigrazione2014 (Fonti: http://www.dossierimmigrazione.it/ / http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/14/10/30/immigrati-meno-reati-di-italiani.html / http://www.unar.it ), attualmente in Italia sono presenti 5 milioni 364 mila persone su un totale di 60 milioni circa di anime presenti nella penisola. Nel giro di un anno si sono registrati circa 178mila nuovi arrivi.

  • #RUBANOILLAVOROAGLIITALIANI

Innanzitutto, diciamo subito una cosa: chi viene in Italia lo fa non per rubare, bensì per cercare lavoro. Un po’ come fanno i nostri connazionali all’estero. C’è anche da dire che, in buona parte dei casi, gli immigrati decidono di aprire attività inerenti i loro costumi, le loro tradizioni, la cultura che si portano dietro etc. Dunque, ecco fiorire ristoranti indiani, egiziani etc. Ci sarebbe poi un lungo discorso sulle persone che sfruttano la manodopera straniera, riducendola anche in schiavitù giusto per fare un esempio: http://www.uil.it/immigrazione/NewsSX.asp?ID_News=3370 ). Passiamo ora ad alcuni numeri: nel 2013 i visti per motivi di lavoro sono stati 25683 per il lavoro subordinato e 1810 per quello autonomo. Mentre ben 76164 sono stati rilasciati per “ricongiungimento familiare”. In sostanza, gli stranieri che ultimamente entrano in modo regolare in Italia hanno già un nucleo familiare radicato nel nostro Paese. L’Italia è una meta sempre meno ambita. Anche perchè gli stranieri sono pagati meno (la loro retribuzione media è di 959 euro contro i 1313 dei lavoratori italiani), perdono con più facilità il lavoro ed hanno difficoltà a trovarlo. Benchè i lavoratori stranieri occupati siano circa due milioni e 400mila (il 10 per cento del totale degli occupati), il loro tasso di disoccupazione ha superato il 17 per cento, contro l’11 per cento degli italiani. (Fonte: http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/14/10/30/immigrati-meno-reati-di-italiani.html ).

  • #RESPINGIAMOLI

Giustamente, quando c’è un’invasione, questa deve essere respinta. E’ da capire con quali armi e con quale esercito, visto che stiamo parlando di persone normalissime che, nella stragrande maggioranza dei casi, entrano con regolare documentazione e, solo in minima parte hanno la fedina penale sporca. Dunque, respingere persone che rispettano la legge sarebbe abbastanza contraddittorio. C’è però la questione dei barconi provenienti dalle coste africane: questa è la situazione accusata di “invasione”. Ora, se delle carrette scassate, che (purtroppo) spesso finiscono il loro viaggio prima di arrivare a destinazione, sono motivo di pericolo, tanto vale evitare di definirci orgogliosi italiani (vabbè che poi noi soffriamo della sindrome di Adua). Di nuovo, la matematica interviene in nostro aiuto: dal 2008 al 2013 il numero dei migranti respinti dall’Europa si è quasi dimezzato (da 634975 a 327255). E le frontiere dove si è registrata la maggior pressione non sono state quelle marittime (dove si è registrato il 2,2 per cento dei casi), ma quelle terrestri (84,3 per cento) e gli aeroporti (13,5 per cento) (fonte: http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/14/10/30/immigrati-meno-reati-di-italiani.html ). Altro sostegno ci viene dal diritto: “Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.” (dlgs 286, art. 2, c. 1). Dunque: diritto alla vita e alla salute, del diritto di asilo, del diritto alla libertà di manifestazione del pensiero, alla protezione della maternità, della famiglia e dell’infanzia etc. Ci sarebbero poi articoli della nostra Costituzione, del Trattato di Lisbona e tanto altro, ma fermiamoci qui. Aggiungo solo un’altra cosa: la legge del mare impone alle persone in difficoltà di essere portate in salvo, non di abbandonarle in braccio alla morte.