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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

E’ arrivato il tritolo

Schermata 2014-11-12 alle 23.28.55Ancora allarmi per il magistrato Nino Di Matteo, pubblico ministero del processo trattativa Stato-mafia. Secondo quanto scrive Repubblica, una fonte considerata “molto attendibile” dagli inquirenti ha rivelato che il tritolo per organizzare un attentato a Di Matteo si troverebbe già a Palermo, situato in diversi punti. Raccolto da diversi mesi, ormai, dalle famiglie mafiose palermitane. Le dichiarazioni della fonte in questione sono però poste sotto un rigido segreto investigativo.
È stato Leonardo Agueci, procuratore facente funzioni a Palermo, a comunicare l’emergenza sicurezza al Viminale. Nella mattinata di ieri ha avuto luogo un vertice con la presenza dei magistrati, delle forze dell’ordine, dei Gis dei carabinieri e dei Nocs della polizia, per potenziare le condizioni di sicurezza del pubblico ministero di Palermo.

(link)

Cemento e asfalto come idea stessa di “progresso”

A proposito di elezioni regionali in Liguria (ne parlavo qui), Roberto Della Seta ripercorre le Burlandiadi cementizie:

Prima da assessore, vicesindaco e sindaco di Genova (1981-1993), poi da ministro dei trasporti (1996-1998) e infine da presidente della Liguria (dal 2005), Burlando nelle sue scelte di governo ha sempre dimostrato di identificare con cemento e asfalto l’idea stessa di “progresso”. Che si tratti di mega-porti turistici o di centri commerciali, di nuove autostrade più o meno inutili o di villette a schiera, per Burlando l’eccessivo consumo di suolo è un non-problema e gli scrupoli per l’impatto della cementificazione su ambiente e territorio sono temi secondari. Come nel caso dell’outlet della Val di Vara costruito in piena area di esondazione, o del progetto-Marinella nel comune di Sarzana, immenso piano di cementificazione a due passi dalla foce del Magra (fortunatamente per ora bloccato). Nel 2009, la maggioranza “burlandiana” in consiglio regionale propose poi un Piano casa all’insegna della più spericolata deregulation edilizia: case e capannoni potevano essere liberamente aumentati fino al 50% della cubatura originaria, e il “premio” avrebbe riguardato anche gli immobili condonati. Alla fine venne approvato un testo più moderato, che in ogni caso prevedeva la possibilità per moltissime case di ampliamenti tra il 10% e il 30%.

Questo sono state le scelte di Burlando. Adesso tra un’alluvione e l’altra il suo mandato sta per scadere, ma il governatore vorrebbe che a succedergli sia Raffaella Paita, sua fedelissima e attuale assessore regionale alla protezione civile. Per intenderci, la stessa che il 9 ottobre, poche ore prima che esondassero il Bisagno, il Fereggiano e lo Sturla, “dimenticò” di diffondere l’allarme meteo già presente su molti siti web che annunciava tempesta. La speranza e l’auspicio è che i liguri questa volta mostrino più saggezza di chi finora ha governato, malissimo, il loro territorio.

Opportunità e colpevolezza

Ho passato i miei ultimi anni provando a riaccendere il senso di opportunità che abbiamo banalmente tralasciato sostituendolo con l’eventuale condanna o assoluzione (senza nemmeno riuscire a raccontare per bene cosa sia la prescrizione). Ne parlo ovunque: negli spettacoli, nei libri, nelle scuole. Tra i risultati nefasti di questa sclerotizzazione del senso di opportunità (e ovviamente inopportunità) c’è anche l’impunità politica di cui godono politici come Schifani, Formigoni (solo per citarne un paio, ma sono tantissimi) che nonostante siano talvolta stati assolti risultano chiaramente, carte alla mano, inopportuni in alcune loro amicizie e in alcuni loro comportamenti. Per questo credo che valga la pena leggere Alessandro Gilioli oggi su L’Espresso:

Ecco, da noi vent’anni di berlusconismo e antiberlusconismo, nonché di serrato confronto fra cosiddetti ‘garantisti’ e cosiddetti ‘giustizialisti’, ci hanno privati del giudizio politico. Siamo tutti lì incatenati ai tre gradi di decisioni togate, come se (almeno in alcuni casi) non potessimo esprimere un giudizio di opportunità politica a prescindere dalle sentenze.

E mi permetto di consigliare, a proposito di false innocenze, il mio libro qui.

(Autopromozione, sì.)

«Quante più parole si adopera in distendere una legge, tanto più scura essa può diventare»

La frase è dell’abate Ludovico Muratori e ha qualcosa come tre secoli d’età eppure tre secoli dopo spariscono due righe piccole piccole che aboliscono l’abolizione delle pensioni d’oro su cui tanto si era speso il Presidente del Consiglio Matteo Renzi:

Secondo una tabella riservata fornita al governo dai vertici dell’Istituto di previdenza, infatti, tabella che pubblichiamo, 160 mila persone circa potranno godere sia dei vantaggi del vecchio sistema retributivo sia di quelli del «nuovo» sistema contributivo. E tutto ciò, se non sarà immediatamente ripristinata quella clausola di salvaguardia, causerà un buco supplementare nelle pubbliche casse di 2 milioni quest’anno, 11 l’anno prossimo, 44 fra due anni, 93 fra quattro e così via. Fino a una voragine fra nove anni di 493 milioni di euro. Per un totale complessivo, come dicevamo, di oltre due miliardi e mezzo da qui al 2024. Per capirci: una somma dieci volte superiore ai soldi necessari a mettere in sicurezza una volta per tutte Genova dal rischio idrogeologico e dalle continue alluvioni.

Napolitano(vo)

Io non so se sono io che forse non sono abbastanza acuto o forse se è questa politica che mi esclude per imperizia ma se davvero Napolitano (e non ci credo) è una rassicurazione fondamentale per l’Europa e se davvero solo lui può essere l’unica garanzia di questo (vomitevole) patto di grande coalizione beh allora mi chiedo se è davvero così normale che le sue eventuali dimissioni e gli eventuali tempi delle sue eventuali dimissioni siano un chiacchiericcio tra giornalisti e deputati, trattato come una notizia di gossip in cui tanto si affaccendano per dire e non dire. Nel senso, mi chiedo, chissà allora che figura ci facciamo in Europa con tutti questi sussurri e nemmeno una voce ufficiale che dica o smentisca, che ci informi che è venuto il tempo di pensare al sostituto oppure è tutto tempo perso buono solo a riempire le pagine.

Mi sembra semplice, no? O forse sono io che sono troppo semplice. Forse.

Un sano ostracismo

Un importante articolo de IlSole24Ore:

Repressione e partecipazione. Sono i due pilastri su cui si regge la possibilità di ridurre i fenomeni di criminalità che inquinano il Paese. Ma mentre la repressione, affidata allo Stato, ha via via affinato strumenti e capacità offensive, sul lato della società civile, le cose non vanno bene.

Ce lo ricordano alcuni volti seduti in Parlamento a legiferare, nonostante disavventure giudiziarie di ogni tipo; ce lo ricordano professionisti colti con le mani nella gelatina di favoreggiamenti, false attestazioni, perizie compiacenti, ma che nessuno cancella dagli albi; ce lo ricordano dipendenti pubblici che rubano, truccano carte e timbri, passano informazioni in cambio di denaro e restano al loro posto; ce lo ricordano gli imprenditori che invece di correre in Procura, si accordano in silenzio e alimentano il malaffare negli appalti. Fino a episodi che hanno dell’incredibile. E non ci riferiamo tanto agli inchini dei santi davanti alla casa dei boss o ai fuochi d’artificio e i caroselli di auto di un quartiere di Reggio Calabria, in onore di don Nuccio Cannizzaro, il prete “salvato” dalla prescrizione dopo aver testimoniato a favore di un criminale. Sono episodi antropologicamente misteriosi di un’Italia misconosciuta e confusiva. Ben più delle processioni ad personam, deve allarmare l’accoglienza riservata – e siamo a Roma, nell’estate 2012 – a un notissimo commercialista appena scarcerato dopo una retata di evasori fiscali.

Riportano le cronache locali, che mentre «al processo affiorano ulteriori elementi sul rapporto tra Carlo Mazzieri e Cesare Pambianchi »(già patron di Confcommercio e neopresidente di Assonautica) imputati di associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, la Procura chiude una nuova tranche dell’inchiesta dalla quale, un anno prima, «erano scaturiti arresti eccellenti e sequestri milionari, con 703 aziende coinvolte». In quei mesi, Pambianchi aveva mantenuto la presidenza di Confcommercio Lazio e, successivamente, era anche stato nominato al vertice di Assonautica. Ed ecco che il cronista annota: «Cesare Pambianchi, Cesarone per gli amici, è tornato. È arrivato quasi in incognito e ha preso posto in platea: qualche abbraccio, qualche saluto ai presenti. E, dopo il convegno, la pausa pranzo: in piedi, al buffet, per un piatto di pasta e quattro chiacchiere insieme a un amico. Imbarazzo? Nessuno.

Ma, tra gli addetti ai lavori, la sua presenza non è passata inosservata». E c’è da crederci: nonostante sia finito in carcere e poi ai domiciliari, “Cesarone” non ha mollato la poltrona di Confcommercio Lazio. «Niente elezioni e, soprattutto, niente passo indietro volontario». Un episodio talmente sconcertante e significativo, da essere ricordato poche settimane fa a un convegno milanese dal Procuratore di Roma.
Ci sono voluti decenni e stragi terribili perché nelle coscienze maturasse una sana intolleranza per la mafia, ed ecco che ritroviamo i medesimi strabismi, gli stessi interessati silenzi, le stesse ambiguità e gli speciosi distinguo, nei confronti della corruzione e dei suoi longevi protagonisti. Non basta né serve arrestare un criminale, se questi viene poi reinserito senza pagare pegno negli stessi ambienti professionali da cui ci si aspetterebbe, invece, un sano ostracismo.

Non lo uccise la ‘ndrangeta, lo uccidono le banche

Stanno per essere licenziati 40 dipendenti dell’azienda Demasi di Gioia Tauro. Dove non è riuscita la ‘ndrangheta ci stanno pensando le banche e al danno si aggiunge la beffa: sì, perché gli istituti di credito sono stati condannati, in via definitiva, per usura ai danni dell’imprenditore Antonino Demasi che è in attesa di un risarcimento milionario. Soldi che non arrivano fino a quando non si conclude il procedimento civile con il quale l’imprenditore, sotto scorta dopo le minacce declan locali, ha chiesto agli istituti bancari un risarcimento di 215 milioni di euro. Nel frattempo, oltre alle linee di credito, le banche gli hanno chiuso anche i conti correnti e ora Demasi sarà costretto a mandare in liquidazione la sua azienda nonostante le commesse che gli consentirebbero, al contrario, di fare assunzioni. Una storia assurda che vede la Fiom schierata al fianco del “padrone”. “È paradossale quello che sta succedendo a Gioia Tauro“, racconta il segretario provinciale del sindacato Pasquale Marino che chiede l’intervento del governo. “Io ho subito l’usura e la Cassazione ha stabilito che la responsabilità è delle banche. – spiega Demasi – È da 11 anni che sto cercando di farmi restituire quanto mi è stato rubato. Più di quello che ho fatto non posso, adesso ho l’obbligo giuridico di chiudere l’azienda il primo gennaio. Licenzierò tutti ma continuerò a battermi contro il mondo bancario. Ci sono tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico. È importante avere ben chiaro chi sono i criminali e chi sono le vittime”. Già nell’aprile scorso, della vicenda si era parlato durante il congresso della Fiom. Ma le parole del segretario Maurizio Landini e di don Ciotti sono rimaste inascoltate

(di Lucio Musolino)

Povera Liguria

Cofferati candidato alla presidenza della regione Liguria è il paradigma di una politica che diventa sempre meno giustificabile come scrive giustamente Luca Sofri qui.

Pensare che tra le tante belle scelte coraggiose da fare ci sarebbe Ferruccio Sansa da convincere. E poi vincere.

I numeri sui beni confiscati

Un articolo di Danilo Rota:

Alla direzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata si sono finora succeduti quattro prefetti: Alberto Di Pace (da febbraio ad aprile 2010), Mario Morcone (da aprile 2010 a giugno 2011), Giuseppe Caruso (da giugno 2011 a giugno 2014) e Umberto Postiglione (da giugno 2014).
Eppure nessuno di loro ha redatto nei tempi stabiliti il resoconto sull’attività svolta dall’Agenzia.
Infatti, nonostante sia l’art. 3, c. 1 del decreto-legge n. 4/2010 (poi convertito dalla legge n. 50/2010), sia l’art. 112, c. 1 del decreto legislativo n. 159/2011 (Codice antimafia) impongano al Direttore di presentare la relazione ogni 6 mesi, essa ha sempre avuto cadenza annuale.
L’ultima disponibile è stata resa nota all’inizio del 2013 e si riferisce all’anno 2012 (quella per il 2013 avrebbe dovuto essere pubblicata tra il gennaio e il marzo scorsi, ma ad oggi resta un mistero).
Leggendola si scopre che al 31 dicembre 2012 i beni confiscati alle mafie in via definitiva sono 12.946: 11.238 immobili e 1.708 aziende.
Degli 11.238 immobili:
 
– il 52,14% (5.859 immobili) è stato destinato e consegnato a comuni (5.010), forze dell’ordine, vigili del fuoco e capitanerie di porto (646), ministeri (104), province e regioni (89), altri enti (10);
– il 35,55% (3.995 immobili) è in gestione: per 1.668 immobili lo stato di manutenzione è ignoto, per 873 è valutato “soddisfacente”, per 686 “mediocre”, per 664 “buono” e per 104 “inagibile”.
Inoltre:
2.819 sono gravati da una o più criticità (come ipoteche e procedure giudiziarie in corso);
1.556 hanno gravami ipotecari certi. Su 1.065 pesa un’ipoteca volontaria, su 343 un’ipoteca giudiziale, su 76 un pignoramento, su 59 un’ipoteca legale, su 13 altro;
– l’8,07% (907 immobili) è stato destinato, ma non consegnato: 377 immobili sono gravati da ipoteca;
– il 4,24% (477 immobili) è uscito dalla gestione. I motivi principali sono la revoca della confisca e le esecuzioni immobiliari.
Delle 1.708 aziende:
– il 70,90% (1.211 aziende) è in gestione (ma tante aziende non hanno dipendenti e stanno per uscire dalla gestione): per 393 imprese non è ancora stata trovata una destinazione, mentre le destinazioni disposte alle rimanenti 818 sono le seguenti:
342 liquidazione;
237 gestione sospesa;
189 chiesta la cancellazione dal registro delle imprese e/o dall’Anagrafe Tributaria;
44 vendita;
6 affitto;
– il 29,10% (497 aziende) è uscito dalla gestione perchè la confisca è stata revocata (14) e le aziende sono state:
cancellate dal registro delle imprese e dal repertorio delle notizie economiche e amministrative (285);
liquidate (153);
vendute (45).
Ma quanto tempo impiega lo Stato italiano per destinare i beni confiscati ai mafiosi?
Per saperlo, è necessario leggere la relazione annuale 2009 del Commissario straordinario del Governo per la gestione e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni criminali (Antonio Maruccia), pubblicata nel novembre 2009 (il commissario ha cessato le proprie attività con l’istituzione dell’Agenzia nazionale nel 2010).
Alla data del 30 giugno 2009:
– i tempi impiegati dallo Stato per destinare gli immobili confiscati alle mafie (totale immobili destinati: 5.407) sono i seguenti:
entro 4 mesi dalla confisca definitiva (limite previsto dalla normativa vigente): lo 0,06% degli immobili (3);
dopo 4-12 mesi: il 2,44% degli immobili (132);
dopo 1-2 anni: il 15,44% degli immobili (835);
dopo 2-5 anni: il 37,43% degli immobili (2.024);
dopo 5-10 anni: il 32% degli immobili (1.730);
dopo oltre 10 anni: il 12,63% degli immobili (683).
Tempi medi per la destinazione: 5 anni e mezzo (5,55);
– i tempi da cui è attesa la destinazione degli immobili confiscati alle mafie (totale immobili ancora da destinare: 3.213) sono i seguenti:
0-4 mesi: lo 0,62% degli immobili (20);
4-12 mesi: il 3,52% degli immobili (113);
1-2 anni: il 18,30% degli immobili (588);
2-5 anni: il 24,31% degli immobili (781);
5-10 anni: il 40,68% degli immobili (1.307);
oltre 10 anni: il 12,57% degli immobili (404).
Tempi medi di attesa: poco più di 6 anni (6,22).
– i tempi impiegati dallo Stato per destinare le aziende dopo la confisca definitiva (totale aziende confiscate in via definitiva alle mafie e poi destinate: 642) sono i seguenti:
entro 4 mesi: l’1,75% delle aziende (17);
dopo 4-12 mesi: il 5,57% delle aziende (54);
dopo 1-2 anni: il 15,69% delle aziende (152);
dopo 2-5 anni: il 20,64% delle aziende (200);
dopo 5-10 anni: il 15,38% delle aziende (149);
dopo oltre 10 anni: il 7,22% delle aziende (70).
Tempi medi per giungere alla destinazione delle aziende destinate dopo la confisca definitiva: 4 anni e mezzo (4,58).
– i tempi da cui è attesa la destinazione delle aziende confiscate alle mafie (totale aziende ancora da destinare: 216) sono i seguenti:
0-4 mesi: lo 0,93% delle aziende (2);
da 4-12 mesi: il 10,19% delle aziende (22);
da 1-2 anni: il 31,48% delle aziende (68);
da 2-5 anni: il 33,33% delle aziende (72);
da 5-10 anni: il 13,89% delle aziende (30);
da oltre 10 anni: il 10,19% delle aziende (22).
Tempi medi di attesa: quasi 4 anni (3,78).
Chissà perchè da 5 anni a questa parte i dati statistici sui tempi non sono più rendicontati e resi noti dall’Agenzia nazionale…

Come abbiamo visto, secondo il rapporto dell’Agenzia per l’anno 2012, la stragrande maggioranza degli immobili confiscati, destinati e consegnati passa dalla proprietà statale a quella comunale (l’85,51%).

Ma i comuni come utilizzano questi beni?
Dobbiamo nuovamente ricorrere alle informazioni contenute nella relazione del 2009 presentata dal Commissario straordinario.
Sono stati interpellati tutti i 480 comuni assegnatari dei 3.796 immobili complessivamente consegnati dallo Stato centrale. Il 75,42% dei comuni (ovvero 362) ha risposto, per un corrispettivo di 3.141 immobili. Tutte le amministrazioni comunali interpellate dell’Italia settentrionale e centrale, della Basilicata e della Sardegna hanno fornito una risposta, mentre per il Sud Italia continentale (Campania, Calabria, Puglia e la stessa Basilicata) lo ha fatto il 72,86% dei comuni interpellati (145 su 199). Inquietante il dato siciliano: solo il 42,86% dei comuni interpellati ha voluto rispondere (48 su 112).
Dei 3.141 immobili consegnati ai comuni e di cui sono pervenute informazioni tra l’aprile e il novembre del 2009, soltanto il 47,41% viene utilizzato (1.489 immobili). I comuni del Nord utilizzano il 62,80% di tutti gli immobili a loro consegnati (319 su 508), quelli del Centro il 53,17% (109 immobili su 205), quelli del Sud continentale – ovvero Campania, Calabria, Puglia e Basilicata – il 35,29% (512 immobili su 1.451), infine quelli siciliani il 55,95% (522 immobili su 933). La regione più virtuosa è la Basilicata, dove sono stati utilizzati tutti gli immobili (7 su 7), mentre quella più inefficiente sono le Marche, dove non viene utilizzato neppure l’unico immobile consegnato.
Perchè 1.652 immobili confiscati ai mafiosi sono stati consegnati ai comuni e questi ultimi non li hanno utilizzati (secondo le informazioni pervenute tra l’aprile e il novembre del 2009)?
Il 29,24% degli immobili (483) non viene utilizzato perchè le procedure per l’utilizzo sono state avviate, ma non concluse;
il 18,40% degli immobili (304) perchè mancano le risorse finanziarie;
il 14,83% degli immobili (245) perchè sono in attesa dei finanziamenti;
il 5,99% degli immobili (99) perchè si tratta di beni inagibili;
il 2,78% degli immobili (46) perchè si tratta di beni in quota indivisa;
l’1,94% degli immobili (32) perchè si tratta di beni occupati dal prevenuto e/o dai suoi familiari;
l’1,88% degli immobili (31) perchè si tratta di beni occupati da terzi senza titolo;
l’1,69% degli immobili (28) perchè si tratta di beni occupati da terzi con titolo;
lo 0,73% degli immobili (12) perchè si tratta di beni gravati da procedura giudiziaria in corso;
lo 0,30% degli immobili (5) perchè si tratta di beni gravati da ipoteca;
il 22,22% degli immobili (367) perchè sussistono altri motivi.

In un’intervista del 27 dicembre 2012 rilasciata al giornalista Attilio Bolzoni per “la Repubblica”, don Luigi Ciotti – fondatore e presidente di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” – ha affermato:

“Dentro lo Stato ci sono stati anche uomini che si sono spesi e a volte anche strutture che hanno funzionato. Sono mancati gli strumenti giusti, è mancata in generale un’aggressione mirata alla questione dei beni confiscati. E poi ci sono state reti di complicità, ci sono stati ritardi, ci sono stati silenzi. E qualcuno che doveva metterci la testa su queste cose, la testa non ce l’ha messa. Per questo oggi è giusto dire che è una situazione che grida vendetta”.

D’altra parte, come giustamente ha ricordato Saverio Lodato, l’immagine dello Stato italiano contrapposto alle mafie è una “favoletta (…) che per un secolo e mezzo è stata propinata agli italiani come una dolciastra melassa”. In realtà “sono sempre esistiti, in Italia, lo Stato-Mafia e la Mafia-Stato. E mai, come in questo momento, le due entità sono diventate simbiotiche”(editoriale intitolato “40 anni di Stato-Mafia e Mafia-Stato”, pubblicato sul numero 71 – il primo del 2014 – della rivista “ANTIMAFIA Duemila”, uscito nel luglio scorso).