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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Finalmente, in Calabria.

Qualcuno decide di decidere una data per le nuove elezioni dopo l’arresto di Giuseppe Scopellitti. Sarebbe bello che fosse stato qualche partito con senso di responsabilità e invece, come spesso succede in questo Paese, è dovuto intervenire il TAR:

Le elezioni vanno fissate al più presto. Entro dieci giorni. ll Tar della Calabria ha accolto il ricorso presentato da un gruppo di associazioni e ha imposto alla presidente facente funzione della Regione, Antonella Stasi, di stabilire quando i cittadini dovranno tornare alle urne. E questo dovrà avvenire entro dieci giorni dalla notifica dell’ordinanza. I giudici si sono spinti oltre ed hanno già nominato il prefetto di Catanzaro, Raffaele Cannizzaro, commissario ad acta nel caso in cui la Regione non emetta il decreto per fissare le elezioni. Il Prefetto, nel caso in cui dovesse scendere in campo, avrà a sua volta altri cinque giorni di tempo per indire i comizi elettorali.

Sulla scuola

Tenendo da parte i fan di Renzi che reagiscono come (e peggio) loro stessi descrivano i grillini (presentate un curriculum di lavoro con errori di sillabazione e poi ditemi), sulla riforma della scuola scrive bene Mariateresa Di Riso:

150mila assunzioni. Era ora, purché non si tratti di una cortina fumogena, destinata a dissolversi quando si scoprirà che non ci sono le risorse, tutte da cercare con i tagli (ma i tagli a che cosa?). Dissolta la quale resterà quel sistema di progressione di carriera attraverso ‘crediti’ assegnati di anno in anno al 66% degli insegnanti, col rischio di aumentare il divario già pesante tra la retribuzione dei docenti italiani e i colleghi europei (a parità di carico di lavoro), ma soprattutto di innescare un meccanismo perverso di competizione e trasferimenti tra una scuola all’altra non in base a competenze e progetti educativi, bensì verso gli istituti in cui è più facile ottenere lo scatto di aumento di 60 euro. Nella ‘buona scuola’ che chiede il Paese non ci dovrebbero essere insegnanti bravi pagati più dei ‘meno meritevoli’: questo è fotografare la disparità, non superarla; si devono piuttosto investire le risorse necessarie ad avere insegnanti formati, aggiornati, adeguatamente retribuiti. Garantire una ‘buona scuola’ a una parte degli studenti, pochi o molti che siano, significa pagare poi tutti il prezzo della cattiva istruzione ricevuta dai rimanenti. Ricordi il premier che la democrazia e la partecipazione nella governance di istituto non sono un impaccio per l’efficienza e la qualità, ma garanzia di innovazione e trasparenza. La proposta del governo invece, svuotando gli organismi collegiali e partecipati, riconferma la visione verticistica del famigerato disegno Aprea, gestioni discrezionali e personalistiche sotto il manto della managerialità. Aspettiamo con fiducia ma un po’ di impazienza anche banda larga e wi-fi. Augurandoci non sia l’ennesimo annuncio, dopo il fallimento del Piano scuola digitale. Perché purtroppo servono investimenti nella dotazione tecnologica degli istituti, quasi ovunque obsoleta, investimenti che non possono essere a carico delle famiglie o dipendere da donazioni e sponsor privati. Ben venga la consultazione sul piano presentato, se non è operazione d’immagine. Si spieghi ad esempio come si terrà conto dei pareri espressi. Noi un’idea di riforma la abbiamo: l’elevamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, una revisione organica dei cicli e dei curricola, un sistema efficace di valutazione non per premiare pochi ma per migliorare tutti, un impegno certo e a lungo termine di investimenti atti a garantire il diritto allo studio in una scuola pubblica, di qualità, su tutto il territorio nazionale. Anche su questo Sinistra ecologia libertà è sempre stata chiara: la scuola italiana ha bisogno di risorse e ogni euro reperibile nel bilancio dello stato per la scuola, deve andare alla scuola pubblica.

Su “via Baldoni” ne parla Guido

Un’intervista a Guido Baldoni:

“Non conosco le procedure e non so nemmeno quale sia il soggetto deputato a decidere, ma io non pretendo nulla. Sono felicissimo di questa grande dimostrazione di supporto da parte di persone che vorrebbero avere in città un luogo a lui dedicato e certo piacerebbe molto anche a me. Sarà il Comune a dire che cosa ne pensa, ma non voglio  essere io a forzarli”.

Trovate tutto qui.

Bre.Be.Mi al di là dell’annuncite

Finalmente un articolo chiaro su Bre.Be.Mi al di là degli annunci:

[di Dario Ballotta | Legambiente Lombardia | su Il granello di sabbia]

Un’opera che doveva costare inizialmente 800 miloni per i 62 Km che corrono tra Brescia e Milano, allafine ha triplicato i suoi costi complessivi, passando a 2,4 miliardi comprensivi degli interessi. Il suo finanziamento, e quindi i rischi, sono stati ripartiti su un pool di banche, tra cui la capofila Banca Intesa con 390 milioni di euro, Unicredit e B.Mps con 290 milioni, Ubi Banca e Banca Popolare con 200 milioni ciascuna.

Ma la parte del leone è stata fatta dalla Cassa Depositi e Prestiti (l’istituto pubblico che raccoglie i risparmi postali) che ha partecipato con 765 milioni di euro. Con questo finanziamento è stata costituita una forte garanzia pubblica dell’opera. Il costo di un km di autostrada della Brebemi è passato da 12 milioni di euro, di qualche anno fa, a 36 milioni a km. Per avere una idea del prezzo “salato” di questa autostrada basti pensare che Benetton aveva comprato 9 anni fa la A4, l’autostrada parallela Milano-Venezia, a 2,2 milioni a Km, cioè a 33,8 milioni a km in meno dei costi attuali di Brebemi (se saranno mantenute le attuali previsioni).

Il Governatore della Banca d’Italia, nella sua ultima relazione, ha detto che tra gli altri, uno dei gap italiani consiste nel costo triplo rispetto ai paesi europei delle opere pubbliche (TAV, strade ed autostrade). Ha aggiunto che con questi costi non possiamo nè risanare la finanza pubblica né tantomeno, far crescere l’economia del Paese. Al netto degli aspetti ambientali relativi al consumo di suolo agricolo e di quelli trasportistici, serve davvero questa autostrada? Un dibattito andrebbe aperto sul tema dei costi, dei tempi di realizzazione e dei meccanismi di finanziamento. Il meccanismo nostrano di project financing adottato, ha fatto si che il closing finanziario avvenisse solo praticamente ad opera quasi conclusa. I dubbi e le perplessità sull’effettivo rientro dei capitali investiti attraverso il pedaggio nei tempi di durata della concessione, 20 anni, sono emersi sempre di più cammin facendo.

Sono marginalmente azionisti e sostenitori del progetto gli Enti locali delle 4 provincie interessate dal tracciato Milano, Bergamo, Cremona e Brescia, e le rispettive Camere di Commercio, ma maggiormente Banca Intesa, e altri gestori autostradali come la Centropadane, la Serenissima, la Serravalle e Gavio. L’assetto societario si è nel tempo modificato ed ora il controllo è di fatto passato in mano a Banca Intesa e Gavio (gestore autostradale e costruttore). Tra la crisi di liquidità di questi anni, lo spead e le indagini della magistratura, che ha bloccato tre cantieri per alcuni mesi dopo aver ritrovato rifiuti tossici seppelliti sotto l’asfalto, l’opera sta per essere conclusa. Nel frattempo le banche, “costrette” dalla politica ad affermare che l’investimento si sarebbe rivelato redditizio e ad intervenire, si sono fatte carico dei prestiti, garantendosi dal rischio prendendo inpegno tutte le azioni di Brebemi. Strada facendo, Brebemi ha rilevato anche la Tem (Tangenziale Est Milanese). Operazione avvenuta dopo il ritiro della Serravalle (pubblica) dall’azionariato di controllo di Tem, ma successiva al finanziamento a fondo perduto di 360 milioni da parte dello Stato che è andato “direttamente “ in soccorso alla TEM. A questo punto ne hanno beneficiato i soci privati di Tem (ancora Intesa e Gavio), controllati da Brebemi. La TEM è strategica perchè dovrebbe assicurare l’accesso della Brebemi alla tangenziale di Milano, attraverso la riqualificazione della Cassanese e della Rivoltana.

Va ricordato che a metterci una pezza per lo start-up di Brebemi, ci sono volute le FS (soldi pubblici) che hanno anticipato il versamento di 175 milioni visto che il progetto Tav, Treviglio-Brescia corre per un tratto parallelo alla Brebemi. Sul successso dell’opera nessuno scommette a partire dal mercato. Nessun petroliere si è presentato alla gara per l’assegnazione delle stazioni di rifornimento di carburante nelle due aree di servizio di Chiari e di Caravaggio. I dubbi sul successo dei volumi di traffico veicolare della Brebemi partono da qui.

E’ cosa vecchia andare d’accordo con la mafia

GENCO-RUSSO-2Giusto qualche settimana fa, ripensando ai vari Dell’Utri, Cosentino e gli altri compari belli candidati impunemente in politica nonostante una compromessa storia personale, ripensavo al silenzio intorno al boss Giuseppe Genco Russo e giusto oggi incappo in un articolo interessante e ben fatto di Rey Brambilla:

Era terribilmente a disagio durante la tribuna politica del 1960, quando un giornalista gli chiese i motivi per cui il suo partito avesse candidato un boss mafioso nelle liste siciliane.
Non si sta parlando di Silvio Berlusconi e “Forza Italia”, ma di Aldo Moro e la “Democrazia Cristiana”: il partito dello scudo crociato aveva candidato Giuseppe Genco Russo, riconosciuto super boss mafioso, nel seggio di Mussomeli (Caltanisetta), promuovendolo a consigliere.
L’opinione pubblica italiana si stupisce per la presenza in parlamento di Luigi Cesaro (politico dai risaputi legami con la camorra) e di altri politici indagati per mafia: episodi inquietanti ma riguardanti uomini collusi con la mafia e non dei boss come Giuseppe Genco Russo.
Altrettanto umiliante è individuare la figura del boss e riflettere come un personaggio simile possa aver rappresentato le istituzioni: un uomo rude, grasso, volgare e fiero di esibire le più bieche abitudini contadine (sputare per terra, esibire scarpe sporche, essere sgrammaticati) ma nello stesso tempo egocentrico (al punto di essere ribattezzato “la Lollobrigida” dagli stessi criminali, per un’attitudine a farsi fotografare).

Perché la Democrazia Cristiana incappò in uno scandalo di tale portata?

Il resto è qui.

A Chiaiano camorra, massoneria e Stato si fanno discarica

Camorra, massoneria, pezzi deviati dello Stato e della cosiddetta buona società. C’è tutto questo dietro la realizzazione della discarica che, stando agli annunci dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi e dell’ex capo della protezione civile Guido Bertolaso, sarebbe stata una delle principali mosse per uscire definitivamente dall’emergenza rifiuti in Campania.

Parliamo della discarica di Chiaiano, a nord di Napoli, uno sversatoio la cui apertura ha mobilitato migliaia di persone, attivisti, associazioni, famiglie. Dalle indagini condotte dai carabinieri del Noe di Napoli coordinati dai pm della dda Antonello Ardituro e Marco del Gaudio, emerge uno scenario che appare trasversale e che mette in fila clan, pubblica amministrazione, professionisti insospettabili e anche la massoneria. Dagli atti dell’indagine emergono filmati che mostriamo nella videoinchiesta, e che documentano come gli argini della discarica venissero realizzati utilizzando terreno e rifiuti e fossero quindi assolutamente inadatti a contenere il percolato. Camion prelevavano scarti e immondizia da cantieri stradali, li stoccavano in un area per poi trasferirli a Chiaiano. Volendo semplificare i rifiuti avrebbero dovuto contenere e arginare altri rifiuti.

L’assenza di argilla

«La nostra indagine – spiega il comandante del Noe Paolo di Napoli – ha messo in risalto il mancato utilizzo dell’argilla nella costruzione degli argini della discarica. L’argilla avrebbe garantito l’impermeabilizzazione della discarica. Miscelare il tutto con terreno e rifiuti significava minare la tenuta del percolato. L’attività degli indagati consentiva perciò un doppio guadagno: da un lato i rifiuti provenienti dai cantieri stradali non venivano sottoposti a trattamento e poi i rifiuti stessi venivano venduti alla pubblica amministrazione come terreno vegetale o materiale argilloso per fare gli argini della discarica. Da un lato abbiamo una truffa ai danni della pubblica amministrazione, dall’altra abbiamo delle false certificazioni fatte dagli stessi funzionari pubblici che avevano attestato la corretta esecuzione dei lavori».

I casalesi e gli insospettabili

Nell’inchiesta spuntano figure assolutamente insospettabili come un ufficiale di polizia giudiziaria della DIA, nominato anche consulente della commissione parlamentare sui rifiuti e un professionista consulente di molti magistrati della dda e paradossalmente, uno dei consulenti nell’indagine sulla discarica romana di Malagrotta insieme con il perito che si è occupato (questa volta da solo) di redigere una consulenza tecnica approfondita, scrupolosa e importante per le indagini proprio sulla discarica di Chiaiano. Al centro dell’inchiesta un imprenditore, Giuseppe Carandente Tartaglia e la sua società, la Edilcar. Secondo le indagini CarandenteTartaglia, originariamente legato a personaggi di vertice dei clan Nuvoletta, Mallardo e successivamente anche del Polverino, era riuscito ad intrecciare rapporti anche con la cosca casalese capeggiata da Michele e Pasquale Zagaria. Per quest’ultimo clan in particolare, Carandente Tartaglia prestava un rilevante contributo organizzativo come imprenditore operante nello strategico settore della gestione del ciclo legale ed illegale dei rifiuti, controllato dal clan dei casalesi e dalla famiglia Zagaria. In questo modo i casalesi potevano partecipare alle attività imprenditoriali del settore attraverso le sue aziende. E così proponeva ed acquisiva commesse ed appalti rivelandosi capace, anche attraverso i necessari contatti istituzionali, di affrontare e risolvere i momenti di emergenza succedutisi nel tempo in Campania.

«Complessa vicenda imprenditoriale e criminale»

Scrivono i pm Ardituro e Del Gaudio nella richiesta di misura cautelare: «Giuseppe Carandente Tartaglia, o se si vuole la sua azienda, la Edilcar hanno saputo governare la complessa vicenda imprenditoriale e criminale della quale è parte anche la realizzazione e la gestione della discarica di Chiaiano coordinando gli interventi pubblici e dell’imprenditoria privata per l’utile proprio e della criminalità organizzata». Per i magistrati gli imprenditori facenti capo alla famiglia Carandente Tartaglia ebbero di fatto un ruolo centrale nella costruzione della discarica di Chiaiano, individuata nel 2008 come sito necessario per tamponare la persistente emergenza rifiuti verificatasi nei mesi precedenti.

«La questione rifiuti: il tesoretto di parte della politica»

Eppure già nel 2008 un funzionario della prefettura Salvatore Carli, più volte negli anni intimidito per le sue battaglie anticamorra, aveva inviato una relazione sulle cointeressenze della criminalità organizzata nella Edilcar all’allora prefetto di Napoli Alessandro Pansa, anche se poi nel 2009, nel corso di una riunione del GIA (gruppo interforze antimafia del quale Carli faceva parte ma che in quella occasione non era presente) fu rilasciata una informativa antimafia liberatoria proprio a favore dell’impresa di Carandente Tartaglia. Per gli inquirenti, gli imprenditori Carandente Tartaglia sono stati nel tempo protagonisti di un rilevante intreccio di interessi che ha visto convergere le aspettative della criminalità organizzata e l’appetito di numerosi soggetti, anche istituzionali. La questione rifiuti in Campania – scrivono ancora i pm – è una vicenda «che si fa fatica a definire realmente dettata dall’emergenza a meno di non snaturare la nozione medesima del termine, poiché è evidente che non può essere qualificata tale una vicenda che ha impegnato gli ultimi vent’anni della vita istituzionale, non solo locale, e degli interessi dei cittadini. Resta il fatto che la questione rifiuti ha rappresentato il tesoretto, anche elettorale, di una parte della classe politica regionale, la cassaforte della camorra ed in particolare dei capi del clan dei casalesi, oltre che la fortuna di alcuni selezionati (dalla politica e dalla camorra) imprenditori del settore».

Le intercettazioni

Sconcertano alcune intercettazioni che sembrano evidenziare che i titolari della Edilcar sapessero con anticipo che avrebbero ottenuto l’appalto. Infatti, un componente della famiglia di imprenditori dei rifiuti, Mario Carandente Tartaglia viene intercettato mentre insiste con gli altri interessati affinché accettino l’esproprio dei terreni nella zona: «Vi sarà un guadagno economico per tutti e principalmente per la nostra ditta che prenderà l’appalto che le consentirà di lavorare per molti anni». Concetto che questa stessa persona ribadisce anche alla sorella Elena, detta Pupetta: «Pupè, bello chiaro chiaro… quello lo ha preso l’impresa nostra».

La massoneria

L’indagine parte dall’aspetto relativo ai collegamenti con la criminalità organizzata ma da qui si è aperto uno scenario ulteriore e inaspettato: collegamenti con soggetti appartenenti alla massoneria utilizzata sia per superare fasi di stallo dei pagamenti per lo stato di avanzamento dei lavori della discarica sia per poter ottenere altre commesse. Un pentito, Roberto Perrone, riferisce ai magistrati di essere in possesso di informazioni su Carandente Tartaglia e sui suoi rapporti con i Polverino, anticipando anche i rapporti istituzionali e di natura massonica. Si tratta di componenti della loggia della Losanna, una delle più antiche fra le 20 logge del Grande Oriente d’Italia. La affiliazione a questa loggia secondo gli inquirenti, giustifica una fittissima rete di conoscenze distribuite a diversi livelli nei settori e apparati della vita pubblica, fra soggetti legati strettamente al dovere di obbedienza ed al vincolo della fratellanza. Uno dei personaggi frequentati da Carandente Tartaglia, ricopriva nella Losanna, la carica di secondo sorvegliante, figura che insieme con il primo sorvegliante e il “maestro venerabile” compone il “consiglio delle tre luci”, una sorta di organo direttivo della Loggia. Non è la prima volta che la massoneria entra in una indagine su camorra e rifiuti: infatti in passato erano emersi rapporti tra Gaetano Cerci e Cipriano Chianese, imprenditori ritenuti fedelissimi del boss casalese Francesco Bidognetti e Licio Gelli. Il contatto serviva a garantire il trasporto e l’interramento di rifiuti tossici provenienti dalle industrie del centro-nord Italia in provincia di Caserta, attraverso l’impresa Ecologia 89.

L’amarezza degli attivisti

Questi intrecci di malaffare e queste storie di ormai abituale scempio ambientale lasciano una ferita aperta tra gli attivisti napoletani: «Noi eravamo visti come i criminali – spiega Palma Fioretti, attivista della Rete Commons – come le donne della camorra che venivano schierate dagli uomini a protezione loro. Bertolaso disse che la discarica di Chiaiano sarebbe stata un esempio virtuoso per tutta l’Europa, uno degli impianti più efficienti. Molti di noi sono stati indagati per le nostra attività contro la discarica. Eravamo visti come i trogloditi che non capivano che questa era una risoluzione definitiva al problema dei rifiuti in Campania».

(corriere.it, 26 agosto 2014)

A proposito di mafia e slot

Un articolo da leggere de Il Fatto Quotidiano:

Lo Stato gli chiede 820 milioni di euro per danno erariale, loro rispondono facendo causa ad Alfano e pretendendo dal Ministero degli Interni un risarcimento colossale: 530 milioni di euro. Già che ci sono, fanno pubblicare un’ordinanza vecchia di tre anni che è l’ultimo azzardo in casa Corallo, i re delle slot machine: il tentativo di influenzare per via mediatica i giudici che a giorni scriveranno il destino della loro Bplus, la più grande concessionaria di giochi in Italia, ormai arrivata alla bocca dell’imbuto giudiziario-amministrativo in cui è finita da tre anni collezionando un’interdittiva antimafia, l’obbligo di cessione delle azioni e il successivo commissariamento per mancato adeguamento a quell’obbligo. E’ l’ultimo colpo di scena in una battaglia legale senza esclusione di colpi, che contrappone lo Stato concedente alla società concessionaria e ora viaggia spedita verso un’epilogo quanto mai incerto. In ballo, centinaia di milioni di euro che potrebbero dare un po’ di sollievo al governo Renzi.

Fatto sta che su Repubblica tre giorni fa è apparso, con grande evidenza, un estratto che ha fatto alzare il sopracciglio ai lettori più attenti. Riporta parte di un’ordinanza con la quale il Tribunale di Roma ordina al Ministero degli Interni di rimuovere dal suo sito un passaggio di una relazione nella quale la Dia ipotizza una contiguità sospetta tra i fratelli Carmelo eFrancesco Corallo – figli di Gaetano, personaggio noto alle cronache giudiziarie, tra l’altro, per i suoi affari con il boss Nitto Santapaola – e la mafia. Privo di una data, l’avviso induce a pensare a una decisione a favore dei Corallo recentissima, anzi “urgente”, come si legge nel testo. Ma non è affatto così. Quell’estratto risale a settembre del 2011 e nessun giudice, a tre anni di distanza, ne ha disposto la ri-pubblicazione. Due le ipotesi: o è quella vecchia, già pubblicata, oppure (ed è pure peggio) è stata tenuta in un cassetto per poterla utilizzare al momento più opportuno, due giorni prima dell’udienza per il commissariamento di Bplus.