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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Bobo Maroni: razzista (e imbecille) a comando

Interior Minister Roberto Maroni puts hi«La Svizzera non può considerare i lavoratori lombardi come dei topi. Sono dei lavoratori che operano oltre confine, hanno una dignità che va rispettata». 

La frase è di Roberto Maroni e questa volta gli sporchi terroni sono gli italiani che in Svizzera vorrebbero stessero a casa loro. Senza entrare nella complessa questione dei frontalieri (che abbiamo seguito e approfondito già dalla scorsa legislatura in veste tutta politica in Consiglio Regionale) la dichiarazione di Maroni rasenta l’imbecillità del credo leghista che frana davanti agli interessi elettorali. Leghisti al contrario con il culo degli altri. Roba da funamboli. O da imbecilli. O da leghisti.

Tsipras: una lista necessaria

Le parole (condivisibili) di Fabio Mussi:

I-PROMOTORI-DELLA-LISTA-TSIPRASChe impressione ti ha ha fatto Alexis Tsipras? E perchè sceglierlo?

Tispras è una autentica personalità uno che ha testa politica. Il nostro interesse è nato dal fatto che in queste  elezioni per il Parlamento europeo ci troveremo davanti a due blocchi. Da una parte, certamente, una ondata di destra neo-nazionalista, populista, che si spingerà fino ai confini del neo-fascismo, e dall’altra le forze politiche di governo che probabilmente difenderanno questa Europa che si è rinsecchita, ristretta, che con le politiche di austerità ha provocato sulla società europea effetti simili a quelli di una guerra. Penso che sia utile avere una posizione come la nostra e di Tsipras di europeismo critico. Un europeismo intransigente. Su questo Tsipras è stato molto chiaro: noi siamo per l’Europa, un Europa larga che deve riformarsi profondamente.

Quindi aperta anche al dialogo…

Non solo può dialogare con quella parte dei partiti socialisti che vedono ormai l’impossibilità di continuare sulla strada imboccata con la guida di Merkel ed altri. Penso che una buona affermazione delle liste collegate a Tsipras può fare molto di più per aiutare a cambiare, per far maturare una svolta a sinistra di quelle forze in Europa, svolta inevitabile se il socialismo vuole avere un futuro.

Alessandro Gallo, senza pace

Con Alessandro Gallo mi incrocio spesso in giro per l’Italia. Mi ritrovo spesso invitato agli eventi suoi (o con lui) e anche lui si occupa di teatro e di scrittura (con gli amici di Caracò). Oggi è uscito un ritratto di Alessandro che coglie bene nel segno di un impegno che ha alle spalle storie difficili (a proposito di capacità di discernimento, eh) e che premia giustamente le bellissime iniziative culturali ed editoriali che meritano di entrare nelle case di più persone possibili. Leggendo oggi il pezzo di Ciro Oliviero per Huffington Post ancora una volta ho pensato agli splendidi compagni di strada che mi sono capitati e mi capitano di continuo:

5-Alessandro-Gallo-a-Reggio-EmiliaÈ concezione comune, soprattutto al di fuori della regioni maggiormente ritenute ad alta presenza mafiosa, che l’azione malavitosa sia una questione di famiglia, sia scritta nel dna delle persone che scelgono di percorrere la strada sbagliata. Non è sempre così. Ci sono storie che insegnano che si può scegliere di cambiare strada. Storie come quelle di Alessandro Gallo e Antonio Prestieri.

Alessandro Gallo nasce a Napoli nel 1986 e cresce al rione Traiano in una famiglia apparentemente tranquilla. All’età di sedici anni però, sfogliando le pagine di un giornale provinciale, il giovane Alessandro legge dell’arresto del padre per spaccio internazionale di droga.

In quel momento la sua vita cambia ed inizia a collegare alcuni avvenimenti che lo avevano visto protagonista negli anni precedenti. Esempio lampante in tal senso è la restituzione della refurtiva di una rapina che aveva subito all’età di tredici anni. I ragazzetti del quartiere gli chiesero quasi scusa per l’accaduto dicendo di non sapere che lui fosse il cugino di Nikita, primo killer donna della camorra.

Gallo è riuscito a tenersi fuori dalla vita di strada e dalla vita criminale soprattutto grazie al teatro, al quale si era avvicinato per una punizione inflittagli da una professoressa alle scuole medie. Ha poi proseguito questa passione, facendola diventare un lavoro, finanche a laurearsi al Dams di Bologna qualche anno dopo.

Nella città emiliana vive e lavora tutt’oggi portando avanti l’impegno civico e civile, principalmente attraverso i progetti di educazione alla legalità nelle scuole medie e superiori. Ma non solo. Alessandro Gallo è anche attore, regista teatrale e scrittore.

Il primo romanzo ‘Scimmie’ è liberamente ispirato alla figura del giornalista napoletano Giancarlo Siani, ucciso all’età di ventisei anni nel 1985.

Oggi il padre di Alessandro è libero. “I nostri rapporti sono buoni, ci incontriamo. Mio padre ha pagato il suo debito con la giustizia. Oggi il nostro rapporto è diverso da quando lui era in carcere”.

Il 14 febbraio prossimo uscirà il secondo libro di Gallo, scritto stavolta a quattro mani con Giulia Di Girolamo, che si intitola ‘Non diamoci pace’, edito da Caracò, e raccoglie storie di denuncia e prevenzione sui temi dell’antimafia tra Parma e San Marino. In quella data la prima presentaizone avrà luogo all’interno dell’evento ‘Processo alla nazione’ che si terrà a Bologna in ricordo di Pippo Fava. I diritti d’autore del libro saranno devoluti in beneficenza alla ‘Rete no Name’ di Bologna e al ‘Gruppo della Zuccherificio’ di Ravenna’.

La giungla del 5 per mille e la rapacità della politica

Un ennesimo esempio di rapacità politica che si potrebbe risolvere in poche mosse. Ce ne parla Sergio Rizzo:

casi03_MGzoomLa relazione della Corte dei conti cita una nota dell’Agenzia delle Entrate nella quale si precisa che «la fondazione Liberal ha presentato domanda di iscrizione nella categoria degli enti per la ricerca scientifica». Ed è stata ammessa dopo i controlli eseguiti dal ministero dell’Istruzione.
Il fatto è che le regole sono frutto di una giungla intricatissima: 21 leggi in sette anni. Per non parlare dei controlli spesso inesistenti. Basta dire che nonostante spetti al ministero del Lavoro fare i riscontri sulle migliaia di potenziali destinatari dei finanziamenti, «segnalando eventuali posizioni da sospendere, tale attività», sottolinea il rapporto, «risulta esercitata una sola volta». Tutta questa confusione burocratica finisce per penalizzare soprattutto, com’è ovvio, chi di quei soldi ne ha un bisogno disperato. Per averli ci vogliono due anni. Almeno.
Non che non ci siano paletti. Per legge il 5 per mille può essere dato alle organizzazioni del volontariato e della promozione sociale, alla ricerca scientifica, universitaria e sanitaria, alle attività sociali svolte dal Comuni, allo sport dilettantistico, alla tutela dei beni culturali e del paesaggio. Ma nelle pieghe delle norme ognuno ha trovato il proprio spazio.

Ragion per cui negli sterminati elenchi si trova di tutto. Dalla Fondazione San Raffaele di Don Luigi Verzé (5,7 milioni nel 2011) al San Raffaele romano degli Angelucci, all’istituto neurologico Neuromed che fa capo alla famiglia dell’europarlamentare pdl Aldo Patriciello (1,8 milioni); dalla fondazione dei notai, che con appena 1.081 contribuenti, evidentemente assai facoltosi, ha portato a casa quasi 800 mila euro, all’associazione Radio Maria, che ha registrato nel 2010 introiti per 2,1 milioni sotto la voce «volontariato». Fino alle sigle di emanazione sindacale o padronali vicine a quei mondi: come l’Istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo (Cisl) o l’Associazione nazionale comunità sociali e sportive (Confartigianato). Con il rischio di un clamoroso conflitto d’interessi degli enti legati a soggetti che gestiscono i centri di assistenza fiscale e contemporaneamente sono beneficiari del 5 per mille. L’Agenzia delle Entrate ha ammesso di essere intervenuta in passato «per rimuovere una specifica situazione che poteva influenzare la libera scelta del contribuente…».

«Esemplare per l’incertezza delle disposizioni», scrivono i giudici contabili, «la vicenda relativa alle fondazioni. All’origine, furono previste nella categoria del volontariato; nel 2007, furono escluse quelle non qualificate come Onlus, a meno che non rientrassero nella tipologia della ricerca scientifica. Per gli anni 2007-2009, fu inserita una categoria specifica: le fondazioni nazionali di carattere culturale, peraltro, di difficile individuazione, essendo il requisito culturale di incerta qualificazione». Senza dire che «la mancanza di una rigorosa selezione ha fatto crescere a dismisura il numero dei beneficiari». Ecco allora comparire fra gli ammessi «le fondazioni di tendenza politica», ma anche i fondi di assistenza e previdenza e «le fondazioni di supporto alle squadre di calcio». Il rapporto segnala come nella lunga lista figuri anche, fra le Onlus, la Fondazione Milan, emanazione del club di Silvio Berlusconi, che a novembre del 2013 ha celebrato il decennale con un memorabile galà che ha favorito la tregua armata fra Barbara Berlusconi e Adriano Galliani.

La conseguenza è che di quei circa 400 milioni l’anno il 40 per cento circa finisce nelle casse di 200 organizzazioni: le più potenti e attrezzate. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Ovvero la polverizzazione di contributi a favore di «una pletora» di soggetti. Il che, secondo il rapporto, fa salire i costi e rallenta le procedure di erogazione «rischiando di indebolire l’istituto del 5 per mille rendendolo un inutile contributo a pioggia privo di ogni ricaduta positiva».

Preso

Domenico Cutrì, l’uomo in fuga. Nonostante i consigli della madre che chissà cosa consiglierebbe ora.

042103972-9a354a90-f2da-473e-bd3d-e816f207bc82Le detonazioni, la porta che salta, l’odore di cordite, l’irruzione. Alle 3.35 di domenica 9 febbraio è finita la fuga di Domenico Cutrì. L’ergastolano, scappato lunedì dal carcere di Gallarate, è stato catturato dai carabinieri in via Villoresi, a Inveruno, suo paese natale. Cutrì, 31 anni, dormiva sui cuscini di un divano nell’appartamento di una palazzina in costruzione e riconducibile a un amico, Franco Cafà.

Con lui c’era l’ultimo complice, Luca Greco. Nella casa, al piano terra, che un cortile separa da altri locali e da un piccolo gabinetto, c’erano pasta, riso, farina, pane, biscotti, merendine, bottiglie d’acqua e di latte, un piccolo fornello e tabacco, tutti rifornimenti per proseguire il più possibile la latitanza. Sul pavimento erano sparsi i quotidiani con le pagine di questi giorni che hanno raccontato la caccia intensa, asfissiante, condotta dai carabinieri coordinati dalla Procura di Busto Arsizio. In azione i militari del Comando di Varese e del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell’Arma. Il blitz in via Villoresi è stato condotto dal Gis, il Gruppo d’intervento speciale dei carabinieri. Cutrì era armato di una pistola ma non ha nemmeno avuto il tempo di capire cose stesse accadendo che già era in manette. L’inseguimento dunque è terminato in meno di una settimana.

 

Arrestato a Crotone Silvio Farao

zcVYnplgPUxWn5n4Wlam3vJ59lEUDl7NDVIe2ZCfgtc=--I carabinieri del Comando provinciale di Crotone hanno arrestato il boss latitante Silvio Farao, ritenuto il capo dell’omonima famiglia operante a Cirò, il cui nome era inserito nell’elenco dei ricercati più pericolosi d’Italia. Latitante dal 2008, Farao era stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado.

Farao, 66 anni, è stato individuato e arrestato in un’abitazione rurale situata in piena campagna nel territorio di Cariati, comune del cosentino al confine con la provincia di Crotone. Quando i carabinieri del Comando provinciale di Crotone hanno fatto irruzione, il latitante si è arreso senza opporre resistenza. Farao era latitante dal novembre del 2008 quando evase dagli arresti domiciliari ai quali era stato posto pochi giorni prima, dopo essere stato arrestato al termine di un altro periodo di latitanza.

L’uomo era stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per l’omicidio di Mario Mirabile, ucciso a Corigliano Calabro (Cosenza) nel 1990 ed è ritenuto dagli investigatori un capomafia di grosso spessore criminale. In attesa che la sentenza di condanna diventasse definitiva, a Farao era stata imposta la sorveglianza speciale. Dopo ripetute violazioni, la Procura di Crotone aveva chiesto e ottenuto, come aggravamento della misura, gli arresti domiciliari.

Il 7 settembre 2007, però, il boss era fuggito una prima volta per essere arrestato il 4 novembre 2008. All’epoca furono disposti nuovamente i domiciliari, in quanto gli veniva contestata solo la violazione degli obblighi della sorveglianza speciale in attesa della definizione del processo per omicidio.

No: la figlia di Riina è la figlia di uno stronzo

riina-lucia-2Noi siamo un Paese ben strano: ci arrovelliamo sui segnali più o meno criptici (con interpretazioni molto fantasiose) dei mafiosi per lasciare impunita la fiabizzazione delle famiglia di mafia. Su Panorama è uscita un’intervista alla “dolce” figlia di Totò Riina, Lucia, presunta artista di presunte arti visive. Premetto subito qualche punto importante: non penso che i figli di mafiosi non abbiano il diritto di parlare e scrivere, figurarsi, ma credo abbiano l’obbligo di farci sapere cosa ne pensano dei delitti del padre, almeno questo. Preferisco disistimare la madre di un latitante che gli chiede di non costituirsi piuttosto che leggere un articolo in cui la figlia di Totò Riina non si trova mai di fronte alla parola mafia. Ma Panorama riesca addirittura a fare di peggio: disegnare la famiglia Riina come un covo di amore e dolcezza dimenticandosi vent’anni di storia d’Italia. Come scrive bene Adriana Stazio:

Lucia Riina non è responsabile delle scelte di suo padre, che rimane suo padre, però è una persona adulta che ha deciso sì di vivere la sua vita senza entrare in associazioni mafiose ma ha scelto di fare una propaganda di questo tipo. Una propaganda alla mafia. Oggi su Panorama come mesi fa alla televisione svizzera o attraverso il suo stesso sito di arte. Un’operazione di marketing di cui lei è la testimonial per presentare un volto attraente, familiare e spendibile mediaticamente della sua famiglia. Nelle regole di Cosa Nostra non è una rottura non entrare nell’organizzazione, cosa ben consentita ai figli, la rottura è mettersi contro Cosa Nostra e le sue regole.
Chi di noi può rimanere neutrale nei confronti della mafia? Nessuno. Ecco perché a maggior ragione non può farlo la figlia di un mafioso di quel calibro specie se vuole rilasciare interviste non solo su di sé ma anche sulla sua famiglia piena di stragisti efferati che hanno insanguinato l’Italia

Qui da noi gli stronzi vivi poi da morti non si riesce a raccontarli come stronzi morti e ai figli dei mafiosi gli si permette di essere indifferenti alla mafia. Mi spiace, cara Lucia Riina, ma il tuo silenzio non ti lava nemmeno un centimetro dall’unto di tuo padre. E la tua famiglia è una rovina per questo Paese.

Sposati con il boss (nel suo castello che dovrebbe essere confiscato)

Me ne avevano parlato giusto qualche giorno fa e se n’è parlato in Commissione Antimafia. Con risultati non soddisfacenti, direi:

castello-miasinoIl castello «Galasso» a Miasino e la torretta sequestrata a un esponente mafioso a Borgomanero sono stati al centro di una seduta della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie. A chiedere come mai i due beni, confiscati dallo Stato, non siano in realtà nelle mani pubbliche è stato il parlamentare milanese del Pd Franco Mirabelli, che a dicembre era stato a Borgomanero e a Miasino per verificare la situazione.

Prima ancora l’associazione Libera aveva organizzato iniziative volte a denunciare la questione. La discussione è partita dal castello di Miasino: «Questa struttura – ha detto Mirabelli – era ipotecata, per cui il Comune non ha potuto prenderla in carico, ed è stata assegnata a una società di gestione per farne un centro per cerimonie e rinfreschi. Oggi in questa società sono state rilevate consistenti quote da familiari della persona a cui è stata sequestrata la struttura».

Mirabelli ha chiesto al direttore dell’Agenzia per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso, come sia possibile che lo Stato di fatto non riesca ad usufruire né del castello né della torretta, appartamento chiuso da almeno 15 anni vicino alla stazione di Borgomanero. «All’edificio – ha risposto Caruso – erano interessati, dieci anni fa, il Comune e il Corpo Forestale. Il bene non è stato destinato all’ente pubblico perché a fronte di un valore stimato di 98 mila euro, c’era l’ipoteca della Banca Nazionale del Lavoro di 152 mila euro. Il Comune non può sopportare un onere del genere. Oggi io chiamerei il direttore di banca e cercheremmo di arrivare a una mediazione al ribasso». 

Il castello di Miasino, 1.700 metri quadri di superficie e 41 mila di parco, era stato fatto costruire dai marchesi Solaroli nel 1867: lo aveva poi comprato Pasquale Galasso, arrestato nel 1992 e diventato collaboratore di giustizia. La moglie di Galasso, Grazia Scalise, ha fondato la società «Castello di Miasino srl» e dal 2002 ha gestito la struttura trasformata in location per matrimoni e feste. In quell’anno la Corte d’Assise di Napoli ha autorizzato la stipula di un contratto di locazione con la società di 36 mila euro l’anno, ma ridotto dell’80% per più di un lustro. I Galasso hanno anche presentato un’istanza per la restituzione del bene, che però è stata rigettata definitivamente nel marzo 2012.  

L’immobile era stato valutato nel 2009 per 4,6 milioni di euro. Ma allo Stato non è mai arrivato e Mirabelli ha chiesto come sia possibile. Caruso ha risposto che nessuno fino ad oggi si è fatto avanti per rilevare l’immobile, perché troppo costoso, e quanto al fatto che il castello è ancora nel possesso dei Galasso ha precisato che è accaduto in seguito ai loro ricorsi. «Mi risulta invece – sottolinea Mirabelli – che sia stato dato in gestione a una società con quote private normali, che poi in seguito sono state acquisite da familiari della persona a cui era stato sequestrato il bene». Il castello è diventato, come dice il direttore dell’agenzia, un «compendio aziendale» e per lo Stato non è così scontato entrarne in possesso, al punto che al termine del dibattito il presidente della Commissione ha annunciato che chiederà ulteriori informazioni.

Di mafia e di bavaglio a Pavia

mauroLeggete e seguite cosa sta succedendo a Pavia. Prima sul sito dei Wu Ming:

[Chi bazzica queste lande si è imbattuto tante volte in Mauro Vanetti. Oltre a essere uno dei commentatori di Giap –  e guest blogger – più acuti e apprezzati, è stato anche il curatore dell’antologia Tifiamo Asteroide. Mauro è un informatico e un attivista politico.  Nella sua città, Pavia, è tra i protagonisti di una multiforme battaglia contro le mafie e il business legale del gioco d’azzardo, nonché tra i promotori di Senza Slot e co-autore del recentissimo libro Vivere senza slot. Storie sul gioco d’azzardo tra ossessione e resistenza (nuovadimensione, 2013).
A monte di tutto questo, Mauro è un militante comunista, membro del PRC e della Tendenza Marxista Internazionale, che in Italia si raggruppa intorno al giornale Falcemartello.
E’ proprio dal sito di Falcemartello che riprendiamo la seguente chiamata alla solidarietà, perché Mauro sta subendo un attacco e bisogna aiutarlo a difendersi e contrattaccare, al di sopra delle differenze, delle diverse appartenenze e dei tribalismi delle tante sinistre.
A noialtri, poi, usare Giap per difendere un giapster sembra il minimo.
N.B. In generale, a Pavia c’è un clima pesante. Emblematico quel che è accaduto a Giovanni Giovannetti, autore del libro Sprofondo Nord( 2011). Non solo Giovannetti ha subito un fuoco di fila di querele: ha avuto anche la casa incendiata, e nel rogo è andato distrutto il magazzino della sua piccola casa editrice, Effigie.]

E il pensiero su discutibili.com:

La persona in questione è Mauro Vanetti, un attivista politico che ho conosciuto e frequentato – anche se non molto – all’università, attivo nella discussione sulle mafie nel nord e fervente sostenitore di posizioni contrarie alle slot-machine, che costituiscono un giro d’affari di cui Pavia rappresenta un centro propulsore di rilievo tristemente eccezionale. È stato chiamato in causa per diffamazione, per aver fatto riferimento, su Facebook, a un “picciotto”, in un thread polemico a cui aveva preso parte il signor Trivi. Questi, pur non comparendo il suo nome nel commento in questione, vi si è probabilmente riconosciuto, e avrebbe ritenuto di cogliere un’allusione alla propria persona nell’affermazione, stando alle fonti ugualmente priva di nomi, secondo cui: “Uno dopo l’altro, tutti i politici pavesi che se la intendono con la mafia la stanno facendo franca. Non saranno i giudici a levarceli dai piedi, dovremo pensarci noi”, con successivo chiarimento del pensiero dell’autore: “non penso che la mafia sarà mai sconfitta in tribunale se non viene prima sconfitta nella società, semplicemente perché gran parte di ciò che fa la mafia non è tecnicamente illegale”.

Beh, la sentenza di questo processo arriverà lunedì, scopro oggi. E quello che c’è da aggiungere è questo: che se la controparte è abituata a cavalcare sottigliezze processuali, chi si batte con impegno per un’idea di solito non ama perdercisi in mezzo. Ma in questo caso forse vi sarebbe di che eccepire, dato che, stando alle informazioni presenti in rete, i querelanti hanno proceduto senza presentare, come prove, altro che alcuni screenshot di Facebook sui quali non è stata eseguita alcuna perizia. A me, in questi casi, viene da sperare che le cose si concludano in modo giusto e ragionevole, ed equo. Ma poi mi chiedo anche se ha senso che io abbia fiducia nelle istituzioni, e, se sì, in quali. Non credo di poter aggiungere molto alla vigilia della fine di questa vicenda, che commento troppo tardi.