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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Il carotaggio antimafia

f0a2793d3438f26915dd8a1bf3983fbaE alla fine a Brescia i rifiuti tossici sostengono l’autostrada A4. La Terra dei Fuochi è a forma di stivale e nasconde il veleno nel suo ventre molle mentre in molti si preoccupano della bella posa e della buona pettinatura. Forse qualche protocollo o commissione antimafia in meno e qualche soldo per un carotaggio in più farebbe meno rumore ma molto “onore”. Perché, in fondo, delle parole in superficie i mafiosi se ne fottono da sempre: la storia ce lo insegna.

dal Corriere della Sera:

L’autostrada A4: la terza corsia è stata realizzata negli anni OttantaIn uno dei territori più inquinati d’Italia mancava solo un’autostrada dei veleni. L’Agenzia regionale per la protezione ha scoperto che la terza corsia della A4 nel tratto di Castegnato (Bs) è nata sopra una montagna di scorie industriali altamente tossiche. Il velenoso regalo di Natale è arrivato durante la realizzazione di un sottopasso per la linea ad alta velocità.

L’IPOTESI DI ALTRE SCORIE, FINO A MILANO – I tecnici dell’Arpa hanno trovato concentrazioni di cancerogeno cromo esavalente 1400 volte oltre i limiti di legge (per la falda il limite è di 5 microgrammi/litro). La scoperta apre ad interrogativi ancora più inquietanti: sotto l’asfalto della Serenissima, da Brescia fino a Milano, si nascondono altri veleni? «Domanda più che lecita» commenta la direttrice dell’Arpa Brescia, Maria Luisa Pastore: «È possibile ma per dirlo si dovrebbero effettuare nuovi carotaggi sotto altri punti dell’infrastruttura mentre ci sono analisi solo su Castegnato».Analisi che a breve potrebbero essere imposte dalla Procura di Brescia, che ha ricevuto una doppia denuncia da parte del Comune di Castegnato e dalla stessa Arpa. Se oggi è possibile utilizzare scorie industriali -opportunamente inertizzate – come sottofondi stradali, il timore di tecnici e amministratori è che nel passato, proprio per risparmiare alla voce «smaltimento rifiuti» delle aziende del territorio abbiano deciso di sbarazzarsi dei propri veleni nascondendoli sotto l’asfalto delle nascenti strade.

Il coraggio di essere vulnerabili

Non bisogna sempre cercare di non far succedere le cose. A volte occorre sentirsi a disagio. A volte occorre essere vulnerabili di fronte agli altri. A volte è necessario, perché serve per compiere un altro passo verso se stessi, verso il domani.

 (Cecelia Ahern)

Tutti gli infami per nomi e cognomi

La recensione dello spettacolo NOMI COGNOMI E INFAMI di Serafina Ignoto per ilcarrettinodelleidee.com:

“Nomi, cognomi e infami”, lo spettacolo (che è anche un libro) di Giulio Cavalli,  ripercorre i troppi anni bui della nostra Repubblica. La parola fa paura, sia essa una narrazione o un testo teatrale, una canzone o un articolo giornalistico: è un’arma bianca più potente di cento pallottole, colpisce  senza spargere sangue, destinata a restare e a farsi Memoria collettiva.  E’ in grado di mettere assieme fatti, persone e situazioni ma, soprattutto, fa pensare. Un peccato imperdonabile per la mafia che, infatti, ha costretto Cavalli a condurre una vita sotto scorta. La conoscono bene i prepotenti di tutto il mondo l’insidia che si annida nella potenza evocativa della parola, anche se poi peccano di ingenuità. Ingenuità si, perché la parola sopravvive alla morte. E se poi questa morte è pure violentemente provocata si ottiene un effetto contrario a quello che tutte le mafie vorrebbero per se stesse: l’invisibilità.

Si vive di segnali, la mafia ne ha sempre fatto largo uso, Falcone docet. Lo stato avrebbe dovuto mandarne uno e uno solo, forte e chiaro: si sarebbe dovuto alzare un urlo istituzionale che facesse da scudo alle vite di Di Matteo e di tutti i magistrati impegnati nel processo sulla trattativa. Si è invece sentito, ahimè, solo un silenzio imbarazzato e imbarazzante la cui logica rimanda al sospetto di complicità preoccupanti fra la mafia e pezzi grossi delle istituzioni. Perché anche i silenzi sono segnali.

E allora c’è da chiedersi qual è il senso di quel messaggio inviato alla Corte d’Assise di Palermo dal Capo dello Stato.  Nel nostro Stato-di-diritto-ancora-per-poco chiunque venga chiamato a testimoniare lascia alle valutazioni della magistratura se le sue conoscenze sono utili e conducenti  a chi indaga. E lo si fa dentro il processo, non fuori cercando escamotage per nascondersi dietro un dito. Ma dev’essere contagiosa questa malattia di credersi al di sopra delle leggi. Siamo un paese con troppi re e reucci, molti dei quali appaiono nudi.

Ma i silenzi parlano. Parlano e fanno pensare amaro, amarissimo le passerelle del Csm venuti a portare la loro solidarietà ai magistrati di Palermo. Un modo davvero singolare di agire non incontrando proprio chi ha subito minacce pesantissime di morte. Come leggere, allora, questo segnale visto che il capo del Csm è anche il capo di quello Stato che i giudici di Palermo  tentano di processare?

Giulio Cavalli ha saputo raccogliere il testimone idealmente lasciato da Peppino Impastato con la sua trasmissione Onda Pazza a Mafiopoli. “L’arma” è la stessa, la parola ironica è precisa e tagliente, fa sorridere facendoci riflettere. E’ bravo Cavalli nel ricostruire non solo le vicende di Cosa Nostra, ma anche di ‘‘ndrangheta e camorra, di legami occulti solo per chi non vuole vedere.

Tocca le corde, pur mantenendo un tocco lieve, quando parla di Lea Garofalo, uccisa e fatta sparire nel cuore della Brianza, patria di un’entità geografica inventata come la Padania. Tremano i polsi quando racconta della figlia, Denise Garofalo, che si toglie di dosso anche il nome paterno per essere la pelle, la carne e la lotta di sua madre; Denise e la sua giovinezza uccisa, costretta a nascondersi per salvarsi la vita, il bene più prezioso. Commuove ancora Cavalli, quando si rivolge al figlio, in una fiaba ideale, per spiegargli tutta l’umanità di un sentimento naturale come la paura per la propria incolumità e, ciononostante, resistere. Caparbiamente continuare a denunciare e a informare. Senza sconti. Anche quando si arriva all’ardire di piazzare una rivoltella carica sotto la finestra della sua abitazione e della sua vita scortata. Segnali davanti a cui non indietreggia, nonostante la paura.

E’ un lucchetto  di carne quella stretta di mano con Di Matteo alla fine dello spettacolo, il senso e il segno di una solidarietà vera e agita, un segnale tangibile che ci sono ancora “Uomini d’onore”. Onore vero, Giulio! Non quello annacquato e mistificato che ci vorrebbero propinare i mafiosi, sia quelli che mangiano cicoria, che quelli in colletto bianco  che manovrano soldi e leggi dai luoghi istituzionali più alti. Hai ragione, ci hanno derubato anche delle parole: riprendiamocele! Loro sono solo Disonorevoli. Siamo noi i veri “uomini d’onore”, quelli che lavorano con “professionalità”, cioè declinando l’etica e il sistema di valori nella propria occupazione. E’ il messaggio della nostra Costituzione e tu ce lo hai ricordato: grazie, di questo.

Abbiamo ancora bisogno di giullari per ricordarci che abbiamo la Costituzione più bella del mondo!

Serafina Ignoto

 

A Linate non sono morti solo in 118: prima Matteo e ora Paola

strage_linate_548x345Ho dedicato all’incidente di Linate e ai famigliari delle vittime un anno intenso e bellissimo. In fondo avremmo dovuto fare “solo” uno spettacolo teatrale ma l’affetto, il dolore, la voglia di verità e la costanza del Comitato 8 ottobre per non dimenticare hanno reso quel nostro progetto un vero e proprio capitolo della mia vita. Forse viene difficile spiegare quanti sopravvissuti e quanti sopravviventi ci sono con 118 morti: quanti orfani, fratelli spuri,  madre inconsolabili. In fondo le responsabilità dell’incidente (che ci sono e sono gravissime) risultano briciole di fronte ad un lutto di queste proporzioni.

Poi succede che il dolore faccia percorsi inaspettati e che durano anni. La famiglia Rota ha perso nell’incidente il padre Giovanni, la mamma Clara e il fratellino Michele. Della famiglia sono rimasti in tre: Michele, Paola e Clemens. Proprio Matteo aveva accompagnato i genitori ed il fratello all’aeroporto quella disgraziata mattina. Poi Michele non ha resistito al dolore e il novembre di un anno fa ha deciso di farla finita. Ora Paola, proprio sotto il Natale, in una mattina che era cominciata come tutte le altre accompagnando alla fermata dell’autobus il figlio di cinque anni e mezzo, intanto a casa c’era la piccola Olivia, tre mesi ma il dolore, quel dolore, l’ha vinta e ha deciso di raggiungere gli altri.

Ci sono dolori enormi che sembrano letali e invece sono solo l’inizio.

I forconi mi scrivono /2: Solo Dio

I FORCONI PENSIERO

AL PAPA

SOLO DIO PUO’ SCONFIGGERE SATANA. L’EURO E’ OPERA DEL MALE: ARRICCHISCE I RICCHI E IMPOVERISCE I POVERI. SUA SANTITA’ PUO’ INTERCEDERE PRESSO DI LUI E LIBERARCI DAL MALE. AMEN!

Martino Morsello
Presidente
Movimento dei Forconi
3286009880

Per evitare che la cortesia prevalga sul diritto

Ogni tanto incrocio menti e frasi che hanno il dono soprannaturale della sintesi chiarissima. Durante la presentazione del corso per il riutilizzo dei beni confiscati a Caltanissetta promosso dalla Camera di Commercio di Caltanissetta il delegato Salvatore Pasqualetto (in delega al Presidente) ha detto:

La cultura d’impresa non può essere disgiunta dalla legalità, in provincia di Caltanissetta l’accesso al credito e’ problematico: il costo del denaro qui è stimato un punto e mezzo in più rispetto alle province di Catania e Palermo, questo dato da solo pone le imprese del territorio già ai margini del mercato. Per evitare che la cortesia prevalga sul diritto, lo Stato deve scommettere nel nostro territorio.

Se dovessimo analizzare con calma tutte le volte che un diritto ci viene rivenduto come cortesia forse scopriremmo che l’abuso di cortesia è fenomeno (pessimo) diffuso anche nella quotidianità da Nord a Sud: la cortesia di un amico medico che anticipa una visita nonostante la lista d’attesa, la cortesia di un documento preparato in due minuti grazie al parente che lavora all’anagrafe, la cortesia del numero diretto che scavalca il numero verde: sono centinaia le situazioni concrete e semplici che capitano in perfetta normalità. Ebbene la sistematica cortesia diventa inevitabilmente una solidarietà spinta solo tra sodali e benché spesso sia vissuta come “diritto familistico o di affetti” finisce per creare un grumo. Ecco: osservare i grumi e scardinarli sarebbe un bel fioretto. Perché le lobby di cui si parla oggi sui giornali riguardo la Legge di Stabilità poi in fondo sono proprio questa cosa qui.

Isolare Riina

Nella confusione su Riina e Di Matteo una domanda che è una proposta di Lirio Abbate che, lucido come sempre, invita a trovare soluzioni oltre alle “dimostrazioni”:

Ben venga tutto ciò. Ma se accanto a queste azioni pubbliche e mediatiche si operasse per neutralizzare (il termine va inteso come detenuto da isolare) Totò Riina, forse qualcosa in più si potrebbe ottenere. O evitare. Si sarebbe potuto iniziare, e questo va rivolto al Dap – e Alfano, Bindi e Cancellieri potrebbero sollecitarlo – applicando norme e regolamenti interni al carcere che avrebbero portato a rendere inerme il vecchio padrino di Corleone.

Sarebbe bastato che il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, viste che le parole del boss possono aver provocato problemi interni al carcere, e non solo, a Riina si sarebbe potuto applicare un decreto in base all’articolo “14 bis” dell’ordinamento penitenziario che restringe ancor di più il carcere duro al quale è sottoposto in base al 41 bis.

Basta questo per mettere in isolamento il capo dei capi per sei mesi. La procura di Palermo l’ha proposto ma per il Dap, in base agli elementi che la direzione del dipartimento dice di aver raccolto, non può essere applicato a Riina.

Ma come, il padrino dal carcere pensa ad una strage, la comunica a un detenuto, che dovrebbe farla arrivare all’esterno, qui i comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica fanno alzare il massimo livello di allerta e di protezione perché dicono che il pericolo è imminente tanto da proporre al pm Di Matteo di viaggiare su un carro blindato, e invece i magistrati in servizio al Dap stanno tranquilli, dicono che il 14 bis non si può applicare a chi vuole provocare – dal carcere – questo pericolo per l’ordine pubblico?

In passato il 14 bis è stato applicato a Leoluca Bagarella (dopo che ha minacciato l’autore di questo articolo durante un’udienza di un processo in cui il boss era imputato) e a Bernardo Provenzano. Isolamento per sei mesi, niente tv e giornali. Quando i difensori di Bagarella impugnarono il decreto davanti ai giudici del tribunale di sorveglianza di Bologna, questi lo hanno rigettarono sottolinenando che: «Data la particolare situazione di apparente movimento ai vertici di Cosa nostra e di cui Bagarella potrebbe ancor far parte, non appare irragionevole la scelta del Dap».

I nomi e i cognomi che ci mancano alla faccia di Di Matteo

E insomma alla fine il CSM non ha trovato il tempo per esprimere la propria solidarietà a Nino Di Matteo e colleghi che si devono accontentare della manifestazione “civile” e della serata al Teatro Biondo.
Alla fine sembra impossibile riuscire a pronunciare nomi e cognomi senza rinchiudersi nella generale “solidarietà ai magistrati che lottano contro la criminalità organizzata” come se pronunciare uno dei cognomi che si danno da fare sulla trattativa Stato-mafia sia un peccato mortale. Abbiamo una classe dirigente che è diligente nel rimanere nel brodo della mediocrità senza esporsi troppo, abbiamo uno stato anagettivo che delega la vicinanza ai cittadini rinunciando alla rappresentanza della solidarietà e abbiamo un Presidente della Repubblica che vive il processo che prova a raccontare la nascita della seconda Repubblica come un poppante intimorito. Questa sera Nino Di Matteo ha voluto alzarsi dalla seconda fila della platea che ascoltava il mio spettacolo al Teatro Biondo di Palermo per stringermi la mano. Gli ho promesso che se proprio dobbiamo essere soli saremo in tantissimi, ad essere soli. Insieme.

La novella del finanziamento pubblico ai partiti

L’analisi del giorno è su Malvino:

Nel Trecentonovelle (Franco Sacchetti, 1392) si narra di una ragazza che giunge terrorizzata alla prima notte di matrimonio, perché le è giunta voce che il marito abbia un pene enorme. Questi la tranquillizza, dicendole che non l’hanno informata a dovere. Egli ne ha due, rivela: uno è davvero enorme, come ella ha sentito dire, ma l’altro assai più piccolo, e per i primi tempi inizierà ad usare quello. Tutto fila liscio – è il caso di dire – senonché, dopo qualche tempo, la giovane moglie gli dice che si sente pronta a provare il pene più grosso, al che il marito scoppia a ridere.
Salto temporale: pare sia stato abolito il finanziamento pubblico ai partiti, che però era da intendere abolito già dal 1993, e al suo posto entri in vigore una forma di finanziamento che, almeno in parte, sempre pubblica è. Cioè, non entra in vigore subito, ma tra qualche anno. D’intanto sono all’incasso le rate dei rimborsi elettorali, che sarebbe la forma di finanziamento pubblico ai partiti che vige dall’ultima volta che era stato abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Sbaglio o è da ridere?