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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Il doppio “pacco” dall’Europa

Mentre discutiamo delle prodezze minorili di B., delle Epifanie nel PD e delle diarie grillesche l’Europa decide:

Il Consiglio Europeo ha approvato oggi il cosiddetto “two-pack”, un insieme di provvedimenti finalizzati a rafforzare la governance economica dell’Eurozona. In particolare è previsto un rafforzamento del monitoraggio e della valutazione dei budget dei Paesi dell’Eurozona, con una maggiore attenzione verso quelli sottoposti a procedura per eccesso di deficit. Prevista anche una ulteriore sorveglianza degli Stati membri minacciati da serie difficoltà finanziarie o che abbiano richiesto un’assistenza economica. Le proposte sono state presentate dalla Commissione nel novembre del 2011 a seguito dell’adozione delle misure note con il nome di “six-pack”. L’accordo con il Parlamento europeo è stato raggiunto il 20 febbraio del 2013.

E’ previsto che il 15 ottobre di ogni anno ogni Paese membro presenti all’Unione il proprio budget per l’anno successivo e, se questo dovesse presentare scostamenti eccessivi dagli obblighi di budget previsti dal Patto di stabilità e crescita, la Commissione chiederà una revisione del documento presentato. Ogni Stato membro che sia sottoposto a forte stress finanziario o abbia ricevuto un supporto precauzionale sarà sottoposto a una maggiore sorveglianza. I Paesi membri che ricevano un supporto economico Ue (non precauzionale) e non vengano incontro ai requisiti di budget saranno anche soggetti a un piano di correzione macroeconomica.

Una conversazione, un dibattito o delle analisi sulla politica economica europea forse ci farebbe bene al di là del gossip. Perché c’è un’Europa sopra le nostre teste e degli incompetenti a (non vigilare).

Un giornale-canzone, una ballata di cronaca e il senso di essere cantastorie

Ci ho pensato tante volte alla funzione “giornalistica” e “politica” del fare narrazione. Ci ho pensato, in fondo, perché spesso sono rimasto incastrato tra i campi dell’una e dell’altra cosa senza che per me fosse un problema eppure ricevevo richieste pressanti di chiarimenti quasi come fosse una colpa. Ricordo che con alcuni colleghi si pensava addirittura di fare una sorta di teatro-giornale che affrontasse i fatti della settimana (in fondo è la stessa evoluzione che poi ci ha portato a RadioMafiopoli) e l’idea piaceva a molti nonostante le difficoltà tecniche e di spazi.

Non so dire perché si sia spenta l’urgenza di essere contemporanei nei temi del fare il cantastorie, affidandosi piuttosto ad una memoria che se sta lontana nel tempo risulta più facile e comoda. Forse sarà che la crisi ha spento anche la voglia (e la forza) di ricamare arte su una male ultimamente misero e banale oltre che ciclico e breve all’inverosimile.

Per questo il progetto di Massimo Bubola, ‘InstantSongs‘, è un passo coraggioso e notevole: perché Massimo è stato un cantastorie già entrato nella letteratura e ha deciso di non riposare.

Il manifesto è chiaro:

Il sito ed il progetto “Instant songs” vuole ricondurre la canzone alla sua funzione originaria: cioè quella di raccontare i personaggi e i fatti salienti del nostro tempo e della nostra realtà, con particolare attenzione per quella che oggi viene definita “cronaca nera”. Prima dell’avvento della letteratura scritta, la letteratura orale di Omero ed Esiodo nella Grecia del VII-VIII secolo, era perlopiù cantata e recitata ed era uno dei principali modi per tramandare la storia che si fondeva nella mitologia. Per questo la canzone e la ballata hanno assunto nel tempo una funzione di memoria collettiva. Nel momento in cui si affronta la cronaca con una canzone, la cronaca si espande dai motivi che l’hanno ispirata e diventa epica cioè racconto condiviso, riuscendo a parlarci al di là dei fatti diretti che l’hanno ispirata. Un fatto di cronaca per quanto efferato, per quanto possa colpire e impressionare profondamente l’immaginario collettivo, si esaurisce giornalisticamente, per propria natura, nell’arco di poco tempo. Le instant songs, vorrebbero essere una cronaca in forma musicale che rimane a parlarci, così come le ballate dei cantastorie che ci hanno accompagnato fino ad oggi.

Massimo Bubola ha già scritto in 35 anni tante “instant song” che si sono protratte nel tempo da Cocis, sulla mala del Brenta, ad Alì Zazà, che narrava di un baby killer napoletano, a Don Raffaè* sul rapporti tra stato e anti-stato. Corvi sul conflitto nella ex-Jugoslavia e sui nuovi signori della guerra, Una storia Sbagliata* sulla morte di Pierpaolo Pasolini, Coda di Lupo* sugli indiani metropolitani, Cuori ribelli su un tentativo di insurrezione di indipendentisti texani e tante altre.

La canzone ‘Quante volte si può morire e vivere’ è dedicata alla storia di Federico Aldrovandi (ne abbiamo parlato molto da queste parti)  e arriva diritta alla piazza e al cuore. Come i cantastorie:

E forse vale la pena anche riguardare il docufilm sulla morte di Federico:

Speriamo che prima di allora le biblioteche non siano vuote.

Una cultura che si subordina agli indici d’ascolto, quindi al successo di pubblico, è una cultura persa. Si può fare cultura solo in opposizione agli indici d’ascolto o a dispetto di un indice basso. Quando la tanto decantata varietà dell’informazione si sarà definitivamente svelata come varietà propagandistica, allora si ritornerà con desiderio ai libri. Speriamo che prima di allora le biblioteche non siano vuote.

(Heinrich Böll)

Potevano stare zitte

Quindi Silvio Berlusconi decide di paragonarsi a Enzo Tortora volendo farci intendere di essere vittima di “errori giudiziari” (l’abbiamo capito vero che il senso era questo in previsione di sentenze di condanna?).

La figlia d Tortora puntualizza che le cose non sono proprio simili anzi per niente.

Berlusconi dichiara: “le figlie di Tortora potevano stare zitte”.

Capite perché ogni pacca sulla spalla a questo uomo e il partito che possiede è una manciata di fango sulla politica, sulla democrazia e sulla memoria di questo Paese? Eh, Letta?

Usare un bazooka per centrare una mosca

Sulla polemica di Mentana e Saviano di questi giorni per twitter c’è un pensiero che vale la pena analizzare. E’ di Galatea, che sta sulla rete, in casa, in giro. Come tutti gli altri.

Non pensate, cari Mentana e Saviano e vip tutti, di essere gli unici ad avere questo tipo di problemi: chiunque sta su internet, persino il più ignoto autore di blog, ha in media una decina di questi personaggi qua, che passano il tempo (alle volte anche anni) a spedirti commenti e persino mail piene solo di insulti a vuoto. Non si attaccano a voi, quindi, come dice Saviano, solo per vivere della mostra fama riflessa: si attaccano a voi perché gli state sulle balle, come gli sto sulle balle io quando scrivo sul mio blog un articolo che a loro non piace, anche se non sono nessuno.

Non è Twitter, il problema, né il fatto che ci si possa iscrivere con un nick: tanto anche con il nick, se scatta la denuncia, li beccano senza problemi. Il problema, invece, e qui scusatemi ma devo proprio dirvelo, sembra piuttosto il fatto che voi, in quanto vip, restiate spiazzati dallo scoprire che anche le persone comuni (non anonime, come dite voi: semplicemente non famose) alle volte sentono il bisogno di rispondervi, e, quando gli fate girare le balle, vi prendono anche in giro pubblicamente, con i loro post su Twitter o sui loro blog, come il buon Pasquino faceva con il Papa e i Cardinali ai tempi dello Stato Pontificio. Volete dire che non possono e farci la figura del Pio IX di turno e invocare leggi e regolamenti repressivi? Volete rispondere piccati come il Marchese del Grillo “Io so’ io e voi nun siete un c***?” Be’ questo sta a voi.

Ma, lasciatevi dare un consiglio: andarsene irati da Twitter e poi fare il pellegrinaggio delle sette chiese in tv per dire che è un posto pieno di maleducati, o scriverci sopra articoli che vanno in prima pagina sui quotidiani nazionali partendo dal fatto che due scemi ti han mandato un vaffanculo tramite web o che qualche centinaio di persone ti ha preso per il sedere con post ironici o sarcastici è come usare un bazooka per centrare una mosca.

L’antimafia che chiude in Lombardia

Ma perché in Lombardia hanno chiuso il Nucleo Informativo della DIA a Malpensa (dico: Malpensa, mica San Martino in Strada) e nessuno dice niente? Nessuno ne scrive? Nessuno si indigna?
Ma Maroni non ha nulla da dire? Ma tutte le Commissioni antimafia che imperversano non hanno ma parola dico una?

Dalla mafia che non esiste all’antimafia che chiude. Di bene in meglio.

E’ morto un amico dei mafiosi ma piangono uno statista

Eccolo, alla fine è morto. E il cristianesimo e la pietà umana che gli abbiamo concesso di sventolare mentre bestemmiava Dio nel suo agire politico oggi si alza ancora per celebrarlo.

Noi siamo un popolo così: non riconosciamo la gratitudine dal ricatto perché abbiamo avuto gentilissimi maestri di inumanità come il grigio Giulio. Ci hanno convinto che essere cinici sia una virtù e che essere buoni è da coglioni, ci hanno insegnato a dividere il fine dai mezzi e giudicare solo il risultato, ci hanno detto per decenni che la mafia è un febbriciattola leggera in cui inevitabilmente si incappa nel fare politica “alta” ma che passa con un po’ di riposo e che certe cose bisogna lasciarle a Dio e intanto Dio lo prostituivano per il prossimo appalto. Il maestro di questa perversione diventata buona educazione è il Divo Giulio Andreotti che chissà come sarà felice di leggere oggi nei suoi coccodrilli unti e servili che il suo ingranaggio è ben oliato e funziona ancora.

E’ morto un amico dei mafiosi fino alla primavera del 1980 come accertato nelle carte giudiziarie. Poi dicono che è guarito. Come un raffreddore. E alcuni ci hanno creduto, altri hanno pregato per lui e qualcuno ha messo a disposizione il proprio studio televisivo per farne il suo bidet. E’ morto uno di quegli amici dei mafiosi che si meriterebbe un funerale dove i partecipanti siano filmati e schedati e invece ci saranno tutte le alte cariche di questo Governo che nasce con quel grigio di mezzo fetido e cinico come piaceva a lui.

E’ morto un bugiardo. Spergiuro davanti alla Costituzione, alla Legge e al suo Dio. Che ha detto al Paese di farlo per il suo bene.

E’ morto un uomo che ha svenduto gli ideali politici per le trattative da bottega e ha inventato il compromesso ad ogni costo come pregio da mediatore piuttosto che codardìa intellettuale come sarebbe stato in un Paese normale.

E’ morto un mediocre che ha avuto bisogno di scavalcare le regole perché non riusciva ad amministrare rispettandole.

E’ morto un uomo grigio, come lo scriveva Aldo Moro nelle sue ultime lettere dalla prigionia:

Tornando poi a Lei, on. Andreotti, per nostra disgrazia e per disgrazia del Paese (che non tarderà ad accorgersene) a capo del governo, non è mia intenzione rievocare la grigia carriera. Non è questa una colpa. Si può essere grigi, ma onesti; grigi, ma buoni; grigi, ma pieni di fervore. Ebbene, on. Andreotti, è proprio questo che Le manca. Lei ha potuto disinvoltamente navigare tra Zaccagnini e Fanfani, imitando un De Gasperi inimitabile che è a milioni di anni luce lontano da Lei. Ma Le manca proprio il fervore umano. Le manca quell’insieme di bontà, saggezza, flessibilità, limpidità che fanno, senza riserve, i pochi democratici cristiani che ci sono al mondo. Lei non è di questi. Durerà un pò più, un pò meno, ma passerà senza lasciare traccia.

E’ morto Giulio Andreotti ma non ha lasciato orfani, perché tutto intorno i suoi allievi sono diventati grandi e camminano con le loro gambe e hanno imparato bene a non mostrare chi tengono per mano.

Gli elogi funebri che leggerete oggi sono l’effetto dell’etica erosa negli anni dalla mafia e dal brigantaggio politico. Chissà almeno che lo schiaffeggi Dio. Perché qui ci siamo prescritti tutti per interessi o vigliaccheria.

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