Vai al contenuto

Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

La farmacia dei poveri

La chiamano così, L’India, con i suoi diciassette miliardi di euro di fatturato annuo della propria industria farmaceutica. Le luci su questo connubio poco conosciuto tra produttività, salute e India (appunto) si sono accese in questi ultimi giorni dopo la sentenza storica con cui la Corte Suprema di New Delhi ha respinto un ricorso presentato dal colosso svizzero Novartis relativo al brevetto di un medicinale anti cancro attualmente “copiato” dalle aziende farmaceutiche indiane  (Glivec) e venduto a un prezzo di gran lunga inferiore a quello dell’originale. Secondo i giudici, il farmaco Glivec non è una «invenzione», ma una riformulazione di un preparato contenente la stessa molecola. Si tratterebbe insomma di quello che gli addetti ai lavori chiamano “evergreening”, una pratica usata da “big pharma” per rinverdire un vecchio prodotto e rimetterlo sul mercato con un nuovo brevetto. L’atteso verdetto del massimo organo giudiziario permetterà ai gruppi farmaceutici indiani come Cipla e Rambaxy di continuare a produrre la versione generica del medicinale usato per trattare una rara forma di leucemia.

Secondo molti attivisti per i diritti umani la causa della Novartis vorrebbe privare molte persone di farmaci che non sarebbero altrimenti accessibili a molti, dall’altra parte le grandi industrie farmaceutiche rivendicano la protezione dei brevetti e degli investimenti nella ricerca. La verità in dispute come questa si frastaglia tra l’imprenditoria, il mercato e il valore solidale della vita. Sono gli intrecci che si annodano quando si parla di sanità dove l’imprenditore rivendica di potere essere impresa nel settore delle vite come per i pomodori, gli arredamenti o le automobili senza limiti di etica e solidarietà. Come se il mio meccanico con il mio motorino abbia un dovere morale identico al pediatra con la malattia di un mio figlio. E’ la transuamnza incontrollata e incontrollabile del Marchionnismo in tutti i campi: salute inclusa. E mentre i tribunali provano a parare il colpo alla fine la comunità internazionale finge di non capire che la propria latitanza sulla disposizione di nuove regole continua ad avere un costo sociale altissimo e relega una questione morale ai professionisti del marketing e del bilancio.

E questo succede in India, vero, ma in fondo l’India è molto più vicina di quanto pensiamo se ricordassimo un minuto soltanto le vicende della Clinica Santa Rita in Lombardia o gli innumerevoli casi di aziende ospedaliere gestite da mercatari che farebbero impallidire Ippocrate e i suoi.

E sarebbe bello che l’Italia partisse da qui per ricostruirsi una credibilità internazionale che non stia a farneticare solo di saggi, spread e alchimie di governo. Sarebbe bello davvero essere gli innovatori di un’etica farmaceutica comunitaria.

Costruire case nella città delle case invendute

Succede dappertutto. In pochi chiedono e quasi nessuno ottiene risposte. A Lodi ci sono mille (1000, eh) immobili invenduti e partono in questi giorni i cantieri per quattrocento (400, eh) nuovi alloggi.

Scene da Duomo d’onore, così:

Adesso immagina di dimenticare le parole. Di non credere più a quello che hai saputo. Di camminare soffice sopra a un materasso a forma del tuo paese, della tua città, della tua regione. Un materasso a forma di Lombardia come una bistecca ripiena di piume.

Cosa vedi? – Chiede l’unto periferico – immagina di contare i soldi come non sei riuscito a contare i morti. Immagina i soldi non più a forma di soldi, che corrono per mettersi addosso di corsa una cosa qualsiasi, basta non avere più la faccia e l’odore dei soldi. Ed escono dal guardaroba vanitosi e irriconoscibili:

Case a forma di case che sono soldi a forma di case e rimangono invendute nel quartiere dove quasi più nessuno ha il credito e i soldi per comprare case;

Capannoni industriali nuovi, invenduti, come le auto sempre in box degli annunci di seconda mano che invecchiano invenduti di fianco agli scheletri delle industrie che se ne sono andate. Capannoni a forma di soldi che si sono vestiti da capannoni;

Bar in centro, al centro di tutti i bar del centro, che scivolavano da padre in figlio di quelle famiglie che salutano tutti nel quartiere e nel paese e che vengono comprati nel giro di una notte, trattative brevi come un brigantaggio e riammodernamenti e ristrutturazioni come un’arrampicata gramigna: bar che luccicano come bigiotteria e non hanno bisogno di clienti. Soldi a forma di una tazza con il manico dorato e il mignolo alzato: mafie a forma di bar. Mafie in centro con consumazione obbligatoria;

Panettieri e pasticcerie a forma di soldi. Con i travestimenti che si infilano nel pane. Panini mafia e mozzarella;

Strade, autostrade, tangenziali, autotangenziali, rotonde, curve, sopraelevate e incroci, sopra asfalto all’uncinetto di soldi che diventano strade in pezzi da cinquecento euro, e sotto merda per qualche centesimo al chilo;

Pensioni nei videopoker, compro oro pago in contanti, e ipermercati;

Immagina di dimenticare le parole e non credere più a quello che hai sempre saputo: quanta cicoria devi vendere per un supermercato ogni dieci chilometri, quanti carrelli ci stanno per ogni abitante in un quartiere dove i soldi non si fingono ipermercati?

 

argentiera-citta-fantasma

Il momento dei lupi e delle pecore

(Attenzione: post politico) Oggi mi viene da pensare così. Di questo tempo e di questa poesia dello scrittore e poeta tedesco Hans Magnus Enzensberger intitolata Difesa dei lupi contro le pecore:

Deve mangiar viole del pensiero, l’avvoltoio?
Dallo sciacallo, che cosa pretendete?
Che muti pelo? E dal lupo? Deve
da sé cavarsi i denti?
Che cosa non vi garba
nei commissari politici e nei pontefici?
Che cosa idioti vi incanta, perdendo biancheria
sullo schermo bugiardo?

Chi cuce al generale
la striscia di sangue sui pantaloni? Chi
trancia il cappone all’usuraio? Chi
fieramente si appende la croce di latta
sull’ombelico brontolante? Chi intasca
la mancia, la moneta d’argento, l’obolo
del silenzio? Son molti
i derubati, pochi i ladri; chi
li applaude allora, chi
li decora e distingue, chi è avido
di menzogna?

Nello specchio guardatevi: vigliacchi
che scansate la pena della verità,
avversi ad imparare e che il pensiero
ai lupi rimettete,
l’anello al naso è il vostro gioiello più caro,
nessun inganno è abbastanza cretino, nessuna
consolazione abbastanza a buon prezzo, ogni ricatto
troppo blando è per voi.
Pecore, a voi sorelle
son le cornacchie, se a voi le confronto.
Voi vi accecate a vicenda.
Regna invece tra i lupi
fraternità. Vanno essi
in branchi.

Siano lodati i banditi. Alla violenza
voi li invitate, vi buttate sopra
il pigro letto
dell’ubbidienza. Tra i guaiti ancora
mentite. Sbranati
volete essere. Voi
non lo mutate il mondo.

Traduzione dal tedesco di Franco Fortini

Chernobyl, provincia di Brescia: il ritorno

La trasmissione Presa Diretta dell’ottimo Riccardo Iacona ha alzato il velo sulla situazione bresciana. La stessa situazione che sul blog (e in Aula) avevamo più volte sollevato anche grazie all’aiuto del sempre puntuale Andrea Tornago. Basta farsi un giro sul blog qui per trovare gli indizi (forse sarebbe meglio dire le prove, forse) di un lavoro faticoso di politica e di informazione che per molti mesi i comitati, i cittadini e le associazione bresciane hanno sostenuto completamente inascoltati dalle istituzioni.

Oggi qualcuno mi diceva che “è vergognoso che queste cose vengano scoperte dalla televisione e nessuno ne parli”. Chi me ne parlava è una persona mediamente informata e politicamente responsabile: una persona sopra la media, verrebbe da dire, dal punto di vista dell’attivismo di cittadinanza.

Ecco, mi è venuto da pensare che forse abbiamo sbagliato anche noi, se non siamo riusciti a raccontare che quegli argomenti li abbiamo portati in commissione, in aula, negli uffici di Regione Lombardia con la costanza che abbiamo provato a mettere in campo. E forse è tempo di aprire una riflessione politica (ma seria) sulla rivalutazione del lavoro che in Aula e in Commissione i partiti (o i movimenti, fate voi) e i politici (che non sono tutti uguali, ahivoi) svolgono con piglio e professionalità. E allora smetteremo di giocare ai salvatori della patria, alle streghe, agli eroi e ai portatori di sogni e torneremmo a parlare di serietà dell’ impegno. E sarebbe una boccata di ossigeno per tutti.

Nell’uovo

Sarebbe bello avere trovato un Governo presieduto da un cittadino eletto. ELETTO. Sarebbe una buona lezione di democrazia, no?

daed91c034a00a4bb072aeed33d65824_immagine_ts673_400

Quando le dimensioni contano

A Ferrara mezza città scende in piazza per ricordare Federico, stare vicini alla madre Patrizia e sottolineare l’imbecillità di cani patetici benché feroci, travestiti da poliziotti.

Schermata 2013-03-31 alle 18.18.56

Saggi, seggi, tsunami e democrazia

untitledE’ Pasqua e passa la voglia di parlare anche oggi di politica, sarà perché in questo campo le resurrezioni sono quasi sempre una pessima notizia.

Non vorrei nemmeno sottolineare per l’ennesima volta come in questo Paese sia impossibile declinare la “saggezza” al femminile: qui le grandi donne al massimo riusciamo a concepirle come sfondo di un grande uomo, alla faccia del rinnovamento.

Non mi viene nemmeno da infliggere lezioni su chi siano Violante e Quagliarello, i due politici (onomatopeici) che hanno firmato pagine politiche troppo mediocri per meritare una santificazione (basta farsi un giro nel web per rinfrescarsi la memoria). Non mi piacciono i saggi e non mi piace la soluzione.

Una riflessione però vorrei farla: doveva essere il Parlamento di svolta per la democrazia diretta, la rappresentanza, le scelte dal basso, e invece ci ritroviamo dieci persone che sono state nominate (nominate) da un Presidente della Repubblica (che, nonostante l’autorità non è propriamente l’espressione della rappresentanza diretta). Non solo siamo passati dai tecnici ai saggi ma ancora una volta inghiottiamo il metodo del “porcellum” nobile che dall’alto ci indica le intelligenze. Auguri, ne abbiamo bisogno.

p.s. (e SEL?)

 

Antimafia di quartiere

CL176x300_9231Un progetto di Terre di Mezzo, agenzia Codici e il Consiglio di Zona 9 del Comune di Milano che prova “su strada” ad ascoltare e fare antimafia. Il federalismo dei curiosi “scassaminchia” in ogni quartiere è il federalismo che serve.

Un gruppo di giovani volontari scout, di Libera e del comitato di quartiere, sta battendo palmo a palmo le vie Farini, Thaon de Revel, Sassetti, De Castillia e Pepe per consegnare il questionario. Partner dell’iniziativa sono l’agenzia di ricerche sociali Codici, che ha curato la formazione dei volontari, e il Consiglio di zona 9, che ha dato un contributo di 2.500 euro. “Il nostro auspicio è di avere un quadro complessivo di quanto stia accadendo all’Isola e speriamo che questa fotografia non sia eccessivamente negativa. In ogni caso, siamo pronti ad affrontare qualunque risultato”, dichiara Beatrice Uguccioni, presidente del parlamentino di zona 9. In questi anni non sono mancate le segnalazioni al Consiglio di zona di episodi sospetti. “Confido che con l’iniziativa di Terre di mezzo, commercianti e cittadini si sentano affiancati. Bisogna tenere alta l’attenzione, promuovendo sempre più incontri e dibattiti sul tema mafia”, conclude Uguccioni.

“L’effetto positivo è che così si inizierà a parlare in quartiere della presenza e degli interessi mafiosi -aggiunge David Gentili, presidente della Commissione consigliare antimafia-. Mi aspetto inoltre che dai risultati del questionario si possa capire perché ci sono continui cambi di licenza e attentati incendiari”.

L’episodio più inquietante è avvenuto il 28 settembre 2011, quando è andato a fuoco lo Sugar Lounge di via Alserio 9, bar che compare nell’inchiesta Redux Caposaldo che sei mesi prima aveva portato in carcere Davide Flachi, figlio del boss della ‘ndrangheta Pepé Flachi. Nella stessa via, negli anni precedenti, avevano subito attentati incendiari anche una videoteca e un ristorante. “Ci sono persone che aprono nuovi locali e ti chiedi con quali soldi, data la crisi che c’è. So quanto serve per iniziare e non è poco”, ci ha detto un commerciante qualche settimana fa. Un altro dice di non aver mai sentito notizie di minacce, ma non si sbilancia. Si sa che tra i commercianti si tende a non toccare certi argomenti. Chissà se un questionario anonimo non faccia venir la voglia di parlare.

Per approfondire: un articolo pubblicato sul Corriere della sera (27 marzo 2013) racconta il progetto (leggi, qui).
Per dare il proprio contributo al progetto (segnalazioni, suggerimenti, contatti): redazione@terre.it 
Per seguire gli step: Twitter @terredimezzo #isolalamafia 

La rinocentite e la casta

In tempo di facilonerie e pancismi un articolo equilibrato, finalmente, di Alessandro Campi per Il Messaggero:

basta-castaPersino Maurizio Crozza – che è un grande professionista, ma rimane pur sempre un comico – alla fine ha riconosciuto che «forse stiamo esagerando». Sentire i presidenti delle Camere che all’unisono, appena eletti, annunciano in diretta televisiva di essersi ridotti lo stipendio (ma perché solo del 30%? perché non rinunciarvi del tutto?), leggere di un parlamentare grillino messo sotto accusa dai suoi colleghi per aver mangiato al ristorante di Montecitorio invece che alla mensa, tutto ciò dà il segno – ha sostenuto Crozza – di «una escalation assurda».

Se continua così, ha concluso fra le risate del pubblico, fra qualche tempo qualcuno si inventerà in televisione un’inchiesta-denuncia su un onorevole sorpreso a mangiare una brioche con crema all’autogrill di Roma Sud. Uno scandalo, ovviamente, visto che i parlamentari degli altri Paesi europei le brioche le mangiano vuote. E chi la paga la crema se non i poveri contribuenti italiani?

La verità, messa in luce da uno spettacolo satirico ma che si ha evidentemente paura di sollevare a livello di dibattito pubblico, è che la campagna mediatica contro la casta e gli sprechi della politica è sfuggita di mano a coloro che, nel corso dell’ultimo decennio, l’hanno meritoriamente promossa. Ma il loro obiettivo, apprezzabile dal punto di vista dell’impegno civile, era la riforma del sistema dei partiti, non la sua paralisi o peggio la sua distruzione.

Una riforma peraltro sostenuta da argomenti che ormai oscillano sempre più tra la demagogia e l’invettiva vera e propria. Nata per denunciare i costi oggettivamente esorbitanti delle assemblee rappresentative (centrali e periferiche) e in genere della macchina burocratico-istituzionale italiana, per mettere a nudo la corruzione dei singoli e i molti privilegi, diretti e indiretti, connessi allo svolgimento di ruoli e incarichi politici, tale campagna ha tuttavia finito per gettare una sorta di discredito generalizzato, un’ombra di sospetto permanente, su chiunque occupi uno scranno o svolga una funzione di governo, avallando implicitamente l’idea che la politica sia in sé un affare sporco.

Il trionfale ingresso di Grillo e dei suoi seguaci nelle aule parlamentari è in gran parte da attribuire proprio a questo sentimento collettivo, che da anni è largamente ostile alla politica e ai suoi attori tradizionali. Sentimento che Grillo – un Savonarola nell’epoca dei social network – ha capitalizzato, accomunando destra e sinistra in una condanna senza appello.

La sua vittoria ha spinto tutte le altre forze politiche, frastornate e impaurite, ad assecondarlo a costo di sfondare il limite del grottesco. Tutto, ivi comprese le trattative politiche più riservate e delicate, deve essere reso trasparente e accessibile. Ogni atto o parola deve essere ripreso in video e sottoposto al giudizio del pubblico. Ogni spesa, ivi comprese caramelle e penne a sfera, deve essere documentata scontrino alla mano.

Non c’è competenza o carriera professionale, non c’è funzione o incarico, per quanto delicato e prestigioso, che possa giustificare uno stipendio o una pensione che offenda l’amor proprio (o stimoli l’invidia sociale) di un pensionato, una casalinga o uno studente fuori corso. Tutti – purché cittadini – possono occuparsi di tutto e svolgere qualunque mansione, in omaggio all’idea che le istituzioni funzionano in virtù della volontà e dei desideri di chi momentaneamente se ne appropria, non delle conoscenze tecniche di chi opera stabilmente al loro interno.

Ma non basta. Ogni esperienza politica pregressa, aver già ricoperto un incarico pubblico o un mandato politico, è da considerarsi con sospetto, in una versione aggiornata e un tantino ridicola del delirio rivoluzionario che nella Cambogia degli anni Ottanta spingeva i seguaci di Pol Pot a deportare nelle campagne o eliminare chi indossava un paio di occhiali o possedeva un titolo di studio, e a consegnare il potere ai fanciulli.

E guai naturalmente a farsi vedere in un ristorante del centro, meglio recarsi a piedi in Parlamento, tutti a chiedere di tagliare: stipendi, province, rimborsi, numero dei deputati e dei senatori, auto blu, scorte, appannaggi, pensioni, in una gara nella quale il qualunquismo travestito da morigeratezza sembra superato solo da un’ipocrita insipienza.

Per chi si ricorda di Ionesco e del teatro dell’assurdo, sulla scena politica di queste settimane sembra essersi realizzata la trasformazione di milioni di italiani – ivi compresi opinionisti eccellenti e politici di lungo corso – in rinoceronti impazziti che caricano senza risparmiare nulla, mossi dallo spirito di rivalsa e dal desiderio di fare tabula rasa.

La “rinocerontite”, come la chiamava il drammaturgo romeno, sembra aver colpito la maggioranza e si va diffondendo come un virus. E l’unico che abbia sin qui avuto l’ardire (e il buon senso) di opporsi a questo delirio febbrile sembra essere stato Crozza, un uomo di spettacolo ma per sua fortuna ancora politicamente pensante.