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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Lombardia 2.0: siamo in tanti

Siamo in tanti ad avere un’idea possibile della prossima Lombardia possibile. Molti di più di quelli che stanno nelle liste dei partiti (o dei movimenti) e con molte più competenze di chi si ostina a fare campagna elettorale sul proprio nome e sulla propria faccia piuttosto che impegnarsi ad essere sintesi.
Legambiente in Lombardia sta costruendo in queste settimane una piattaforma che vale la pena leggere e adottare. Come scrivono loro: Lombardia 2.0 vuole essere un posto nella rete completamente VERDE. Un luogo dove parlare di “Ambiente” senza essere chiamati: i soliti noiosi ambientalisti. Un contenitore dove discutere dei temi che altri non affrontano ma anche un luogo dove proporre soluzioni ai problemi ambientali della Lombardia. Su questo sito proveremo a lanciare idee per una regione più bella e più sostenibile. Al centro però vogliamo mettere le opinioni e i commenti della rete stessa. Alla fine faremo una sintesi del lavoro svolto su questo sito e proveremo a elaborare un testo per una visione possibile per un futuro sostenibile.
La responsabilità di questa campagna sta tutta nel dovere di non disperdere i progetti: non scialacquare l’impegno. Ma davvero.

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Cavalli (Sel) alza il tiro contro l’ex ministro degli Interni Maroni

Da Varesereport

Presentati i candidati della provincia di Varese che correranno alle elezioni regionali, il 24 e 25 febbraio, sotto il simbolo di Sel. Capolista è il consigliere uscente di Sel, l’attore anti-mafia Giulio Cavalli, segiuito da Maria Cottini (insegnante di Busto Arsizio), Andrea Bagaglio (medico del lavoro e dirigente Asl di Varese), Cinzia Colombo (assessore all’Ecologia di Gallarate, educatrice), Francesco Liparoti (coordinatore provinciale di Sel e lavoratore esodato), Marzia Giovannini (avvocato di Varese), Luca Saibene (avvocato di Uboldo).
“Di Varese mi sono già occupato nella scorsa legislatura in Regione – esordisce l’attore e regista Giulio Cavalli, capolista di Sel, che alle scorse elezioni si presentò a Varese sotto le insegne dell’Idv -, in particolare ho voluto seguire le follie formigioniane relative a Malpensa”. Cavalli ha attribuito anche a Sel il merito di avere fatto cadere la giunta Formigoni in Regione. Ma il suo attacco più forte è nei confronti dell’attuale candidato presidente del centrodestra, il leghista Roberto Maroni. “Da ministro degli Interni è stato molto disattento nei confronti delle infiltrazioni della criminalità organizzata in questo territorio”, dichiara Cavalli. Non solo: Cavalli sottolinea il fatto che Maroni abbia “salvato Cosentino e collaborato con Dell’Utri”. Inoltre, nessun appoggio del Carroccio è venuto alla proposta, presentata dallo stesso Cavalli al Pirellone, di una Commissione Antimafia a livello regionale. Per il consigliere regionale uscente di Sel, che si atutodefinisce “ostinatamente smoderato”, “Umberto Ambrosoli è l’uomo simbolo della rinascita, ma se la coalizione di centrosinistra assumerà toni troppo moderati, ci saremo noi, simpatici ‘scassaminchia’ (come diceva Peppino Impastato), a farla tornare in carreggiata”.
Sui temi della laicità richiama l’attenzione Cinzia Colombo, che dice che “la Lombardia è una delle regioni più confessionali d’Italia”, mentre Bagaglio spiega di avere aderito al Comitato per l’ospedale unico a Varese e dichiara che il nuovo ospedale “viene gabellato come una cosa eccezionale, pur sapendo che non ci sarà mai per gli enormi costi di gestione che comporta”. “Credo nella passione dei diritti”, rimarca Marzia Giovannini, e Luca Saibene critica le opere formigoniane nel Saronnese e dichiara che “vanno tenuti in considerazione i diritti dei cittadini”.
Conclude la presentazione dei candidati Francesco Liparoti, che giustamente riporta l’attenzione generale sulla pesante crisi che colpisce la nostra Provincia. “Se Formigoni si è occupato di tante cose, non si è mai occupato dell’industria lombarda: in 17 anni non si è mai vista una seria politica industriale. Ora si perdono posti di lavoro e le piccole e medie imprese pagano un prezzo altissimo per la crisi, abbandonate a loro stesse”.

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La nuova Lega e la vecchia immunità parlamentare

bossi-maroni-175738QUOTE LATTE: BOSSI E MARONI PRESENTI A PERQUISIZIONI
(ANSA) –
 Umberto Bossi e Roberto Maroni erano presenti, da quanto si è saputo, nella sede della lega di via Bellerio a Milano durante le perquisizioni della Gdf con al centro le quote latte. Presenti anche Roberto Calderoli e Roberto Cota. Su alcuni uffici i rappresentanti del Carroccio hanno sollevato la questione dell’immunità parlamentare.

Da quanto si è appreso, i rappresentanti del Carroccio hanno sollevato la questione dell’immunità parlamentare su alcuni uffici delle sedi del partito perché sono di pertinenza di alcuni parlamentari e quindi la Gdf non ha potuto acquisire il materiale presente in quegli uffici. L’inchiesta era partita dalla bancarotta della cooperativa di agricoltori milanesi ‘La Lombarda’ (in passato è stato condannato per il crack il legale rappresentante) e poi gli inquirenti hanno allargato le indagini su presunti episodi corruttivi, arrivando ad indagare anche in Piemonte.

Eccoli qui, quelli che ci promettono una nuova Lombardia.

Riparte il futuro.

Schermata 2013-01-16 alle 14.12.47Senza corruzione. Per questo ho aderito a questo appello e mi auguro che sia meravigliosamente virale. E vitale.

La corruzione è uno dei motivi principali per cui il futuro dell’Italia è bloccato nell’incertezza. Pochi in Europa vivono il problema in maniera così acuta (ci seguono solo Grecia e Bulgaria). Si tratta di un male profondo, fra le cause della disoccupazione, della crisi economica, dei disservizi del settore pubblico, degli sprechi e delle ineguaglianze sociali.

Il prossimo 24 e 25 febbraio verremo chiamati a eleggere i nostri rappresentanti in Parlamento. È il momento di chiedere che la trasparenza diventi una condizione e non una concessione, esercitando il nostro diritto di conoscere.

Per questo domandiamo adesso, a tutti i candidati, indipendentemente dal colore politico, di sottoscrivere 5 impegni stringenti contro la corruzione. Serviranno per potenziare la legge anticorruzione nei primi cento giorni di legislatura e per rendere trasparenti le candidature.

Cavalli (Sel) ad Affari: “Ambrosoli abbia più coraggio. E c’è bisogno di Idv e Radicali”

(La mia intervista per Affari Italiani)

Schermata 2013-01-16 alle 13.39.37di Fabio Massa

Giulio Cavalli era uno dei candidati alle primarie per la scelta del candidato presidente della Regione Lombardia. Poi, dopo aver battagliato affinché le consultazioni si tenessero, aveva fatto pubblicamente un endorsement a favore di Umberto Ambrosoli e si era ritirato. Oggi, torna “sul luogo del delitto”, in un’intervista ad Affaritaliani.it. Per lanciare un messaggio forte al candidato civico del centrosinistra: “Io penso che si stia riuscendo nell’incredibile impresa di riabilitare Pdl e Lega, uno schieramento politico che nella realtà si ripresenta assolutamente uguale. Forse questa attitudine a presentare l’eccellenza della Regione Lombardia ha lasciato un po’ indietro l’attitudine a raccontare che cosa è stata la Lega Nord, che cosa è stato il formigonismo e che cosa questo matrimonio ha creato in questi anni. Umberto abbia più coraggio. Parli meno di liste e più di contenuti. E di una politica che non derivi da ultracentenari ex presidenti o da moderati per sfizio e per forza”. E ancora, sulle alleanze: “Ambrosoli ha bisogno dell’Idv. E anche i Radicali potrebbero dare un grande contributo”

Giulio Cavalli, è guerra di sondaggi. C’è chi dice che è in vantaggio Maroni. E chi dice che è in vantaggio Ambrosoli. Come commenta?
Io penso che si stia riuscendo nell’incredibile impresa di riabilitare Pdl e Lega, uno schieramento politico che nella realtà si ripresenta assolutamente uguale. Forse questa attitudine a presentare l’eccellenza della Regione Lombardia ha lasciato un po’ indietro l’attitudine a raccontare che cosa è stata la Lega Nord, che cosa è stato il formigonismo e che cosa questo matrimonio ha creato in questi anni.

Sta criticando la campagna elettorale di Ambrosoli?
Io credo che sarebbe il caso di parlare un po’ meno di liste e un po’ di più di contenuti. Farebbe più piacere ai nostri elettori. Ambrosoli sta giocando la sua campagna elettorale a suo modo. Io personalmente mi permetto di dare un consiglio ad Umberto, nonostante sia “forte perché libero”: il civismo è un ottimo ingrediente per dare il vestito iniziale dell’entrata in scena. Adesso è tempo di parlare di politica. I partiti così tanto bistrattati, sulle liste hanno seguito percorsi più o meno condivisibili, ma che sono stati discussi ed elaborati nei territori.

E Ambrosoli?
Mi sarei aspettato, proprio in nome del civismo, un’elaborazione politica e dialettica anche sulla composizione delle altre liste. Se nelle altre liste compare, come mi pare di capire, gente che ha come semplice merito il fatto di non avere un’investitura politica, allora forse qualcosa va rivisto. Umberto si occupa della Lombardia civica ma c’è una Lombardia politica che in consiglio regionale c’è stata, che è fiera di esserci stata, che è fiera di aver fatto l’opposizione a Formigoni, che in questo momento potrebbe dare un contributo concreto.

E’ d’accordo sul movimento che sta facendo il Pd per tenere lontano Ingroia, per difendersi da questo attacco da sinistra?
Io sono un resistente. Tutto quello che ha sullo sfondo una desistenza mi è antipatico. Credo che dentro Ingroia ci siano pezzi di centrosinistra e di sinistra diffusa che hanno voglia di dialogare e che possono essere utili a questa campagna elettorale. Dico di più: in questa formazione, con Ambrosoli, serve davvero l’Idv, la sua forza e la sua voglia di legalità.

E i Radicali?
I Radicali, pur con le loro contraddizioni, sono portatori di una radicalità dei diritti civili della quale in Lombardia ci sarebbe molto bisogno. Quando sento parlare di discontinuità, e di declinazione al plurale di famiglia, io penso che i Radicali avrebbero potuto essere dei buoni alleati per cambiare le cose.

Si pente della scelta di ritirarsi dalle primarie per sostenere Ambrosoli?
Assolutamente no, io penso che Ambrosoli sia una persona credibile. Ma credo che dovrebbe essere più coraggioso: per parlare di innovazione bisogna anche formulare pensieri politici che non derivano da ultracentenari ex presidenti o da moderati per sfizio e per forza. Tra l’altro io mi sono ritirato anche per motivazioni private. Dopo aver passato un momento abbastanza complicato, ad oggi posso dire di essere molto sereno e molto combattivo. Con gli avversari politici e anche con gli alleati, quando sono troppo moderati.

Lei come sta affrontando la campagna elettorale?
Direi bene. Procede. Sinistra ecologia e libertà ha dimostrato di essere molto più matura dell’età che ha. La battaglia politica interna ha dato i risultati di un confronto retto e leale. Sono contento di essere in un partito composto da persone civiche, che oggi si trova unito e compatto per Camera, Senato e Regione. Io e Chiara Cremonesi, come mia capogruppo abbiamo sulle spalle un’attività amministrativa sotto gli occhi di tutti. Per questo invito gli alleati ad essere più concreti. Uscendo da quel dibattito stucchevole di sanità pubblica o privata per parlare di obiettivi di riequilibrio. O di riforma della legge elettorale. A me non piace quest’idea per la quale tutto il lavoro che è stato svolto nei nostri anni di consigliatura, sia un’ombra da dimenticare.

Cordialità

Cordialità in politica. Ovvero fatte con il cuore e partite dal cuore. Sono le occasioni in cui qualcuno rischia di essere “frainteso” nella storia di tutta una carriera.

Stimo Antonio Ingroia da una vita ma questa scena è un trabocchetto (nella migliore delle ipotesi) che testimonia quanto la comunicazione politica sia da prendere terribilmente sul serio. Sul serio. Sarei curioso di sapere che sensazione lascia. Di primo acchito.

Mafia messinese dentro EXPO

expo-internaDopo gli allarmi, le conferme. L’Expo si ritrova in casa un’azienda sospettata di avere rapporti poco chiari con uomini legati a Cosa nostra. Risultato: la Prefettura di Milano ha emesso un’interdittiva per la Ventura spa di Furnari, paese non lontano da Barcellona Pozzo di Gotto. Mafia messinese, dunque, da sempre alimentata da un brutto impasto tra criminalità, massoneria e grigi settori della buona borghesia locale. La ditta ha un’importante sede milanese nel comune di Pieve Emanuele.

Attualmente la società siciliana fa parte di un’associazione temporanea d’impresa che si è aggiudicata l’appalto fino ad ora più goloso di Expo, vale a dire la costruzione della cosiddetta piastra sulla quale sorgeranno gli edifici dell’esposizione. Il tesoretto ammonta a 165 milioni e 130mila euro, portato a casa con un ribasso del 43%. Una percentuale pazzesca che ha fatto drizzare le antenne della procura di Milano. A tirare il gruppo è la veneta Mantovani, come venete sono la Silev e la Coveco, dopodiché c’è la romana Socostramo e quindi la Ventura, società quest’ultima iscritta alla Compagnia delle opere, il braccio finanziario del movimento cattolico Comunione liberazione.

All’azienda, seguendo una prassi ormai consolidata, verrà sospeso il certificato antimafia e dunque anche la possibilità di operare per Expo. Sospensione, si badi, che sulla carta può essere temporanea, visto che l’interdittiva può essere impugnata davanti al Tar. Così come fece la milanese Edil Bianchi, colosso del cemento al quale nel 2008 il Prefetto tolse la possibilità di operare dopo che le indagini certificarno l’affidamento di diversi subappalti a ditte calabresi in odore di ‘ndrangheta. Una decisione che fu però ribaltata dal Tribunale amministrativo che rimise in moto i camion della società. Questo per dire che, naturalmente, la scelta del Prefetto non qualifica la Ventura spa come ditta mafiosa, ma solo indica un sospetto ed evidenzia un rischio d’infiltrazione.

Un rischio che va cercato nelle carte dell’indagine Gotha tre, la maxi-operazione del Ros che nel luglio scorso ha portato in carcere dodici persone, tra cui l’avvocato Rosario Cattafi, oggi pentito e ritenuto uno degli uomini chiave per svelare finalmente i segreti della trattativa Stato-mafia. La Dia e il prefetto di Milano, però, non si sono spinti così in alto. Molto più banalmente, analizzando tutte le carte di quell’indagine, hanno incrociato più volte il nome della ditta Ventura. Ditta che, va detto, non sarà mai coinvolta penalmente in quell’operazione. A inguaiare gli imprenditori saranno,però, le dichiarazioni di alcuni testimoni verbalizzate dagli investigatori. Saranno loro, infatti, a coinvolgere la Ventura nel giro delle imprese collegate ai boss e alla grande spartizione degli appalti pubblici in tutto il Messinese.

Protagonista e puparo del gioco è Salvatore Sam Di Salvo, origini canadesi, ma curriculum (mafioso) tutto messinese. E’ lui, secondo la ricostruzione dei carabinieri, ad avere i rapporti con i Ventura. E così si scopre che nel 2003, durante una perquisizione in casa di Di Salvo i magistrati trovano una serie di certificati Soa, alcuni intestati alla ditta Ventura. Ma agli atti viene messo anche altro: e cioè la partecipazione della ventura a un consorzio temporaneo di imprese composto da ditte tutte (o quasi) riconducibili ai Ventura.

Racconta, invece, l’imprenditore Maurizio Marchetta: “Salvatore Di Salvo mi ha invitato, tra il fine 2002 ed i primi mesi del 2003 (…) a partecipare ad una riunione presso gli uffici dell’impresa Ventura Giuseppe. A questa riunione (…) Aquilla e Di Salvo (…) dicevano di voler organizzare in maniera più attenta, cioè più precisa, le turbative delle aste. Loro volevano coinvolgere Ventura e Scirocco per le sue conoscenze di altri imprenditori siciliani e del Nord. Infatti a loro interessava raccogliere un numero maggiore di offerte per condurre la turbativa con minimi margini di errore ed aggiudicarsi con maggiore certezza gli appalti di loro interesse (…) Sia io che Pippo Ventura abbiamo espresso le nostre perplessità in ordine alla riuscita di questa organizzazione delle turbative”.

Nel dicembre 2012, un’inchiesta dell’Espresso aveva già messo in luce i rapporti opachi della Ventura con i professionisti dei clan. All’epoca, il numero del settimanale uscì il 6 dicembre, i vertici di Ventura risposero con un secco comunicato stampa dove si precisava “che non risulta coinvolgimento alcuno e ad alcun titolo di suoi soci o amministratori nelle indagini condotte dalle Procure della Repubblica evidenziate; come d’altro canto certificato da tutti gli organismi deputati allo scrutinio dei rigidi requisiti richiesti per l’aggiudicazione di gare d’appalto di tale rilevanza”. Una rigidità nel controllo, rivendicata nei giorni successivi, dalla stessa società che gestisce Expo 2015. Anche in quel caso si fece appello agli alti livelli di controllo. Conclusione: pochi giorni fa la decisione del Prefetto di escludere la Ventura per sospetti legami con i clan.

(di Davide Milosa da Il Fatto Quotidiano)

La Guerra alla droga. E il suo fallimento.

me16Questo è un Paese in cui il coraggio veramente progressista nell’affrontare i problemi arriva sempre con qualche decennio di ritardo: succede per i diritti civili, succede per le leggi finanziarie, succede per la lotta (vera) alla mafia e succede per la questione “droga”. Verrebbe da pensare che sia fondamentale “allarmare” per poi finalmente aprire un dibattito e (nel migliore dei casi) intervenire a livello legislativo. Eppure i numeri del proibizionismo della droga sono numeri che dovrebbero fare riflettere e che dovrebbero essere raccontati almeno per potere formulare un giudizio consapevole e, ci auguriamo tutti, una soluzione al passo con i tempi e con i fallimenti passati. Magari prima del Governo del 2030, verrebbe da dire:

La storia della Guerra alla droga inizia dunque nel giugno 1971, con la scelta di Nixon di impegnarsi in un conflitto più grande, e ancor più difficile e folle, di quello in Vietnam. La droga, dice l’allora presidente in un discorso, è il nemico pubblico numero uno degli Stati Uniti. Nonostante la politica anti-criminalizzazione di Jimmy Carter, che porta, nel 1979, la depenalizzazione in 10 stati, Ronald Reagan torna sui passi di Nixon, e torna con lui la tolleranza zero. Uno dei protagonisti di Breaking the taboo è Robert DuPont, ex responsabile della propaganda anti-droga della Casa Bianca dal 1973 al 1977, sotto i presidenti Nixon e Ford. Oggi, è uno dei principali oppositori alla guerra. Giustifica il suo passato, in parte, così: «Il governo era completamente impreparato all’esplosione del problema della droga. We totally misunderstood cocaine».

Nel 1989 negli Usa il presidente è George H. W. Bush (Senior), e Forbeselegge Pablo Escobar, 40 anni, settimo uomo più ricco del pianeta, con un patrimonio stimato in 25 miliardi di dollari. Escobar trasportava 15 tonnellate di cocaina al giorno nei soli Stati Uniti. Tra i protagonisti del doc c’è anche César Gaviria, presidente della Colombia dal 1990 al 1994, gli anni d’oro del più grande narcotrafficante del mondo. Inizialmente la Colombia era il paese dove si processava la droga, che veniva coltivata in Bolivia e Peru. Quando anche la produzione arrivò a Medellin, nacquero i grandi cartelli. «La gente» spiega Gaviria «aveva paura di Escobar». Forse. Ma fu proprio quando Stati Uniti e Colombia decisero di sfidare il potere del suo cartello che esplose una vera e propria guerra che portò 50.000 morti in due anni. Le immagini, a questo punto del documentario, mostrano piantagioni in fiamme e attacchi chimici su campi coltivati, da parte di aeroplani. La Colombia è l’unico paese al mondo in cui fu utilizzata questa tecnica, chiamata affumicazione aerea, che spesso colpiva e uccideva, però anche raccolti “innocenti” e circostanti. Facile, in queste situazioni, immaginare la spontaneità con cui le popolazioni locali simpatizzassero con i narcos. «Non puoi fare una guerra alla droga» aggiunge Ruth Dreifuss, ex presidente svizzera, «senza fare una guerra al popolo».

Dall’inizio del Plan Colombia nel 1999, l’iniziativa studiata dall’allora presidente sudamericano Pastrana e da Bill Clinton (un altro dei “pentiti”) per fermare la guerriglia colombiana e l’esportazione di cocaina, il numero dei paesi “coltivatori” passò da otto a ventotto. Oggi il traffico di droga mondiale ammonta a 320 miliardi di dollari l’anno, il più grande mercato clandestino del pianeta. Senza leggi a regolare questo traffico, come dice Morgan Freeman, armi e violenza sono i metodi di controllo più efficaci.

Andrade si sposta poi in Brasile, accompagnato da Fernando Cardozo, anche lui, manco a dirlo, ex entusiasta della Guerra alla droga. Le immagini parlano di sparatorie, ragazzi che si nascondono dietro macchine e riprendono il fuoco, pallottole che si sentono ma non si vedono, adulti e bambini che scappano nel panico. Si concludono con il pianto dei superstiti su alcune vittime, sdraiate in una strada e coperte da una plastica gialla trasparente, qualcosa che richiama, insieme, un imballaggio da banco frigo di un supermercato e una “panetta” di droga.

Si passa al Messico, alle spese dell’ex presidente Calderon nella Guerra (un miliardo di dollari solo nel 2008), ai 400.000 omicidi legati alla droga registrati dal 2006 a oggi, un dato che è difficile da quantificare esattamente, di primo acchito. È necessario rifletterci per un attimo, e tentare di stabilire le esatte dimensioni di 400.000 esseri umani (mi ha ricordato l’interminabile elenco di morte di Roberto Bolaño in 2666, o la popolazione dell’intera città di Bologna). E dopo il Messico, il primo piano di Bush Senior, sibillino e minaccioso: «If you do drugs, you will be caught. And when you’re caught, you will be punished. Some think there won’t be room for them in jail. We’ll make room». Realista: la Guerra alla droga è anche e soprattutto domestica. Circa 2 milioni e mezzo sono i detenuti negli Stati Uniti, un numero più alto di quelli cinesi. Erano 330.000 nel 1970. a Baltimora, una delle città più “problematiche” della nazione, su 600.000 persone, nel 2007, ci furono 100.000 arresti. Si è calcolato che la popolazione che fa uso di droga nel mondo (anche saltuariamente) è di 230 milioni di persone; di queste, il 90% non è “problematic”. In Italia (paese europeo leader nel consumo di droghe leggere) il 20,9% della popolazione compresa tra i 15 e i 35 anni fa uso di marijuana; in Olanda è il 9,5%. Siamo il secondo mercato oppiaceo del continente, il terzo per quanto riguarda la cocaina, e il 31% degli arresti del 2011 sono legati alla droga (dati dell’International Narcotics Control Strategy Report, marzo 2012). Intanto, negli Stati Uniti, nel 2009 si registrarono 1,6 milioni di arresti legati alla droga; 1,3 per il solo possesso; 800.000 legati alla sola marijuana.

Si passerebbe, poi, all’Afghanistan, alle esportazioni di eroina che farebbero impallidire Escobar. Si passerebbe all’Olanda, al Portogallo, alla Svizzera, ai vantaggi della depenalizzazione e della legalizzazione (che rimangono, comunque, concetti estremamente diversi). Si passerebbe (si dovrebbe passare) ad altri articoli, altri dati, un’informazione più vasta: uno su tutti, il dato della spesa militare statunitense per la Guerra alla droga. Erano cento milioni di dollari la prima volta, nel 1971, sono quindici miliardi quelli del 2012. E poi c’è una ricorrenza importante, che dà ancora più senso al documentario e alla sua esistenza, gratuita e pubblica: quest’anno sarà l’ottantesimo anniversario dal 1933, l’inizio del proibizionismo americano. Non esattamente un bel ricordo per il mondo.

(da Rivista Studio)

Focalizzare la campagna elettorale (e l’avversario giusto)

campagna-elettorale-2013La campagna elettorale è partita con un profilo basso e con un confronto sostanzialmente limitato al problema degli schieramenti e delle alleanze. I veri temi politici sono limitati, finora, ad uno solo: le tasse, soprattutto l’IMU.
Confrontarsi con un populismo cinico e bugiardo è obiettivamente difficile per tutti. L’eterno ritorno di Berlusconi mina ogni residua possibilità di parlare di politica in modo più civile. Nel centrosinistra però sarebbe bene ricordare che gli avversari, almeno fino al voto, sono tutti gli estranei alla coalizione progressista ma il nemico (della democrazia e della costituzione) è purtroppo ancora lui e non il riformismo moderato che, del resto, era corteggiato quando era impersonato da figure non più affidabili di Monti, Oliviero, Riccardi.
Bersani è sincero quando dice di pensare prima al bene dell’Italia, poi del centrosinistra, poi del PD, e dunque di tutto ciò tenga conto. Non dia l’impressione, quasi per un inconsapevole riflesso di casta, di considerare non Berlusconi ma Monti estraneo alla dialettica democratica. E non usi verso Monti toni duri e sprezzanti che non userebbe verso Casini o Fini.
Consideri invece i danni che un’altra becera campagna elettorale di Berlusconi può causare a questo già disgraziatissimo paese. E a questo pericolo reagisca.
Perché in nessun paese civile al mondo sarebbe potuto accadere che un personaggio simile dopo i fallimenti politici, il disastro economico, la caduta di ogni illusione e promessa, il discredito personale e politico che lo circonda all’estero, i processi in corso e la condanna in primo grado, la conclamata abitudine all’imbroglio e alla simulazione, potesse ancora presentarsi alle elezioni politiche e oltretutto sperare, e con qualche fondamento, di ribaltare o comunque condizionare l’esito del voto con due mesi di recitazione della solita, logora commedia.
Bersani e tutto il centrosinistra devono domandarsi: come è possibile che questo accada? Come siamo arrivati a questo punto? Cosa è accaduto a questo paese?
Questo è tema politico per eccellenza, perché la politica non è solo amministrazione della cosa pubblica ma anzitutto guida dei processi sociali e della cultura civica del paese.

Ha ragione Sergio Materia: il tema è questo. E sarebbe ora di muoversi.

Ecco, sarebbe da imparare anche dalle nostre parti

Leggevo (lo so, è inaspettato da parte di un consigliere regionale in Lombardia) e pensavo allo snobismo che sta prendendo piede qui in tutti questi anni e (ci interessa di più) nella Lombardia milanocentrica di un pezzo del centrocentrosinistra. E ho trovato questo, che sarebbe da tenere a mente prima di lanciarsi in spericolati civismi partecipati e partecipativi nella forma e diversamente nei contenuti:

[…] Un’altra cosa contribuì ad offendermi: il modo arrogante, tipico dell’alta società, col quale invece di rispondere alla mia domanda e fingendo anzi di non averla sentita, l’aveva interrotta con un’altra, come per farmi notare che m’ero spinto troppo in là, mi ero preso troppa confidenza osando rivolgergli simili domande. Per questa tattica dell’alta società nutrivo un’avversione che rasentava l’odio.

Fëdor Dostoevskij, Umiliati e offesi (Einaudi tascabili, pagina 224)

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