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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Il disertore

E’ l’aggettivo che più di tutti rappresenta Formigoni in questo momento: non affronta il tema delle inchieste sulla sanità lombarda che definiscono Regione Lombardia “asservita agli interessi dei privati” (ma va?), straparla di macroregione con la Lega prendendo un paio di bacchettate con le mani aperte sulla cattedra e le orecchie d’asino in cartone e non riferisce all’aula in Consiglio Regionale.

Forse davvero è questione di coraggio come si diceva qualche giorno fa. E sul punto noi stiamo lavorando. Silenziosamente. Per essere presenti nel presente, appunto.

Vivisezione: gli animali hanno coscienza. Noi?

Mentre in Commissione Sanità stiamo discutendo il nostro progetto di legge “NORME PER LO SVILUPPO DI METODI SCIENTIFICI INNOVATIVI E TECNOLOGICAMENTE AVANZATI PER IL MIGLIORAMENTO DELLA RICERCA BIOMEDICA E LA SOSTITUZIONE DELLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE” (lo potete trovare qui) il 7 luglio scorso è stata siglata da un gruppo di scienziati, alla presenza di Stephen Hawking, la “Dichiarazione di Cambridge sulla coscienza”, la quale afferma che molti animali sono coscienti e consapevoli allo stesso livello degli esseri umani:

We declare the following: “The absence of a neocortex does not appear to preclude an organism from experiencing affective states. Convergent evidence indicates that non-human animals have the neuroanatomical, neurochemical, and neurophysiological substrates of conscious states along with the capacity to exhibit intentional behaviors. Consequently, the weight of evidence indicates that humans are not unique in possessing the neurological substrates that generate consciousness. Non- human animals, including all mammals and birds, and many other creatures, including octopuses, also possess these neurological substrates.”

Ora manca solo che gli uomini prendano coscienza.

Rutelli, Tabacci e la piccola bottega degli orrori

L’assistente storica dai tempi del ministero di Francesco Rutelli, Ilaria Podda, da lunedì comincerà a lavorare per il Partito democratico a fianco diMatteo Orfini. Luciano Nobili, giovane organizzatore di tante battaglie, prima per la Margherita, poi con l’Api, giovedì era seduto in prima fila alla convention veronese di Matteo Renzi. Lo staff del leader dell’Api ha già cominciato le grandi manovre di riavvicinamento al Pd (che assicura contratti e stipendi dopo la liquidazione della Margherita) e ora anche lui prova a giocarsi l’ultima carta.

Ieri a Maratea, circondato da ex socialisti ed ex democristiani, Rutelli ha lanciato la candidatura ufficiale alle primarie del centrosinistra di Bruno Tabacci. Una strategia per provare a catalizzare voti al di fuori del suo partito e giocarseli al momento delle decisioni. “Non è l’ultima mossa possibile, è l’unica” spiega l’onorevole Luigi Fabbri, già socialista, già Forza Italia, eletto “ma mai iscritto” nelle file del Pdl, soprannominato da Silvio Berlusconi “il grillo parlante”. “L’ex premier? Mi lasciava parlare, parlare, e poi faceva come voleva – spiega il deputato oggi nell’Api – qui invece c’è molta più democrazia. Grazie al Terzo polo oggi quel governo non c’è più”. (da Il Fatto Quotidiano)

Poi succede che la domenica leggi articoli come questo e ti aspetti di rientrare in casa, accendere il televisore e vederlo in bianco e nero. Ma un bianco e nero nuovissimo, però.

Lo sfascio della lentezza: buon compleanno Salerno-Reggio Calabria

L’autostrada Salerno-Reggio Calabria festeggia i suoi cinquant’anni. E’ nata nel 1962, A 50 anni dovresti avere già qualche buona storia da raccontare ai tuoi figli, si ha già un buon campionario di cose buone e meno buone su cui arrovellarti per spremere un po’ di esperienza, un lavoro che forse ti è piaciuto tantissimo e comincia a non piacerti più, l’idea di come vorresti invecchiare. Tutte quelle cose lì. Invece l’autostrada Salerno-Reggio Calabria a 50 anni è ancora adolescente e incompiuta come sono incompiuti gli adolescenti. Anche sfrontata nella sua incompiutezza così esibita. La guardi e ti sembra dire “anche quest’anno non mi avete finito”, con un sorriso da finto reduce con gli amici al bar davanti ad un bicchiere di bianco. Io, che sono più giovane della Salerno-Reggio Calabria, potrebbe essere quasi mia madre o sicuramente una zia, sono decenni che sento parlare di infrastrutture. Mi siedo in un Consiglio Regionale, qui in Lombardia, dove ogni conferenza stampa magnifica le prossime infrastrutture, la TEM, la Pedemontana e infrastruttura delle infrastrutture EXPO 2015. Berlusconi ci diceva che le Grandi Opere avrebbero rilanciato il Paese, e prima di lui Craxi e dopo di lui quelli che sono venuti e quelli che verranno, probabilmente. Abbiamo assecondato visionari che sognano ponti, porti, autostrade a otto corsie, fiere cementificate e intanto ci teniamo l’autostrada che non finisce. Lì, una strada in mezzo alla strada come sfascio di una lentezza che sembra non sbloccarsi mai e sopravvivere ai governi. Come una statua in mezzo alla piazza a ricordarci che le cose, in Italia, a volte serve solo iniziarle per muoverci tutto quello che c’è dietro, poi finirle è un dettaglio trascurabile.

Omertà e ‘ndrangheta in Lombardia: intervista per Panorama

di Arianna Giunti (pubblicato su Panorama.it)

Sulla ‘Ndrangheta l’errore principale sa qual è? Che non riusciamo mai ad avere una visione di insieme. E ad uscire dalla classica trama da film”. Lui, invece, Giulio Cavalli, 35 anni, attore, scrittore, regista e soprattutto consigliere regionale del partito Sinistra Ecologia e Libertà, da sempre attivo nella lotta alla criminalità organizzata combattuta anche a colpi di piècesteatrali (e per questo sotto scorta da tre anni) un’idea ben precisa ce l’ha: “Cosa Nostra, con il fenomeno del pentitismo, ha perso credibilità agli occhi della criminalità organizzata straniera, in particolar modo con quella sudamericana. Che, allora, ha iniziato a fare affari con la ‘Ndrangheta. Reputando i boss calabresi più affidabili e – ai loro occhi – credibili”.

La ‘Ndrangheta si conferma ancora una volta come l’organizzazione criminale più capillare e silenziosa. Un “silenzio”, che lei ha sempre cercato di infrangere smuovendo le coscienze. Ma – le indagini lo dimostrano – sono sempre poche le persone che denunciano e che collaborano. Persino in Lombardia.

Ci dimentichiamo ogni volta che la grande forza della ‘Ndrangheta è quella di mimetizzarsi fra l’economia cosidetta “normale”, perché punta tutto sulla grande disposizione di liquidità. Parallelamente agli affari “sporchi”, come appunto il traffico di droga, ci sono quelli leciti. Che sono sempre lungimiranti.  Loro sanno sempre dove investire, individuano un attimo prima il settore in via si sviluppo che può essere più fruttifero. Pensiamo specialmente a quello delle sale gioco, il bingo, o le costruzioni. E poi, possono fare affidamento su avvocati scaltri e potenti, che trovano cavilli e scappatoie alle leggi. Vantano appoggi negli ambienti della massoneria e persino in quelli delleProcure.

E a quanto pare, viste le recenti inchieste, le infiltrazioni sono anche in campo politico.

A me farebbe comodo dire che queste “aperture” si sono manifestate più nell’area di centro destra che nel centro sinistra. Ma direi il falso. Loro cercano di corrompere chi governa, a prescindere dal colore. Questo è un problema politico, non partitico. Il fatto è che il Nord ormai è una terra di emergenza.

E cosa da dove si dovrebbe partire, secondo lei, per arginare l’impero della ‘Ndrangheta?

Innanzitutto, occorre fare un lavoro a livello capillare, sul territorio. La Prefettura, ad esempio, deve essere un presidio dello Stato nel territorio, e le leggi per contrastare la criminalità organizzata ci sono. Ma vanno applicate. Occorre che i prefetti siano più coraggiosi, e che non lascino gli atti eroici alle singole amministrazioni locali.

Solo pochi giorni fa gli investigatori hanno portato a segno l’ennesima operazione contro la ‘Ndrangheta al Nord, effettuando 37 arresti. Il procuratore aggiunto Ilda Boccassini ha sottolineato ancora una volta la pericolosa tendenza degli imprenditori lombardi a “piegarsi” al sistema mafioso. Senza denunciare.

Questo infatti è un quadro allarmante. Che, da padre, mi spaventa per il futuro dei miei figli. Dalle indagini emerge come i boss calabresi si sentano impuniti, tanto da poter agire quasi alla luce del sole, portando “stili” sempre più calabresi in Lombardia. Pensiamo solamente alla costruzione delbunker, che gli investigatori proprio nel corso di questa indagine hanno scoperto. Finora non si erano mai spinti a tanto. E – anche in maniera pratica –non è una cosa facile da fare. Occorrono deipermessi edilizi, imprese di costruzioni compiacenti, vicini di casa che fingono di non vedere cosa sta accadendo. Ripeto: il quadro è allarmante. Sul fronte degli imprenditori strozzati dalla crisi economica che chiedono prestiti agli usurai della ‘Ndrangheta, e non denunciano, però, il discorso è diverso: chiediamoci cosa facciamo noi, come Stato, per loro. E perché siamo arrivati a questo punto.

Ma, a livello sociale, c’è la speranza che l’opinione pubblica venga quantomeno sensibilizzata?

Certo che la speranza c’è. Ma il lavoro è difficile. E occorre che ognuno di noi faccia qualcosa, senza sentirci sempre vittime, senza subire. Dall’impiegato di banca che segnala l’apertura di un conto corrente “sospetto”, all’imprenditore vittima del racket che trova la forza di denunciare: ciascuno di noi può fare qualcosa.

Sinistra, centrosinistra e #cosaseria: intervista per Byoblu

di Valerio Valentini (pubblicato su Byoblu.com)

A distanza di qualche settimana, torno a fare quattro chiacchiere con Giulio Cavalli, regista e autore teatrale, scrittore – il suo ultimo libro s’intitola L’innocenza di Giulio (Andreotti, non Cavalli), nonché consigliere Regionale Lombardia per SEL. Parliamo di quella strana cosa che è oggi la Sinistra italiana, all’indomani dell’inizio del viaggio elettorale di Matteo Renzi, deciso a mandare a casa la gerontocrazia del partito. Questa è la sua lettura degli scenari politici attuali e futuri.

Dopo essere stato eletto nel consiglio regionale lombardo nelle liste dell’IDV, hai deciso di passare tra le file di SEL. Motivasti quella scelta dicendo che avevi voglia di contribuire a costruire il cantiere di una nuova sinistra. Viene da pensare che ti sei lanciato in un’impresa titanica!

Viste le ultime notizie direi che scivoliamo nell’utopia in effetti. Vanno fatte però alcune precisazioni: sono stato eletto nelle liste dell’IDV come indipendente e sono molto grato ad Antonio Di Pietro e ai dirigenti (anche locali) che mi hanno accompagnato senza risparmiarsi in questa entusiasmante avventura. Con Luigi De Magistris e Sonia Alfano abbiamo pensato che la nostra presenza potesse essere un valore aggiunto al partito; poi alcune dinamiche ci hanno fatto prendere strade diverse: per le posizioni politiche, per le diverse vedute di gestione dei meccanismi interni e per gli obiettivi che intendevamo perseguire. Credo che non sia un caso che oggi io, Sonia e Luigi siamo usciti dall’Italia dei Valori. Ma bisogna precisare una cosa: il mio rapporto con IDV e Di Pietro è rimasto integro: credo che il mio è uno dei rarissimi casi in cui da entrambe le parti abbiamo convenuto che lasciarsi fosse la decisione migliore da prendere. Ricordo il comunicato stampa di IDV: “continueremo a lavorare sui nostri punti comuni”. SEL è una forza giovane che nasce per ricostruire una sinistra credibile e per prendersi la responsabilità di governare questo Paese. Era inevitabile che alla fine fossi qui.

E questi continui giri di valzer in vista delle elezioni, come li valuti? Non credi che un po’ tutti, Nichi Vendola in primis, farebbero bene ad essere più espliciti nel proporre le alleanze e indicare le coalizioni anziché lasciarsi sempre qualche spiraglio aperto per eventuali ripensamenti? Non si rischia di disorientare, e in definitiva di deludere, un elettorato troppo vasto ed eterogeneo?

Quelli che tu chiami giri d valzer sono sicuramente un problema. Ma credo che si tratti di un problema poliforme: politico e di comunicazione. In un momento così fluido (tra primarie del centrosinistra che sembrano congressi anticipati, cuciture di rapporti politici tenute sottotraccia e questa anomala alleanza che sostiene Monti) si tende a essere molto morbidi nella comunicazione sfumando le posizioni. Ed è incredibile come le segreterie dei partiti non si rendano conto che in questo momento i cittadini voglio ascoltare e riconoscere posizioni nette e riconoscibili. Certo esiste un’ala – in cui mi inserisco con molta convinzione – che crede che la ripresa e lo sviluppo dell’Italia passi da un’agenda completamente diversa da quella montiana e europea di questo momento, e anzi riconosce di dovere ripristinare alcuni diritti acquisiti che negli ultimi mesi sono stati rimessi in discussione; mentre c’è una componente (soprattutto nel PD) che ritiene di dovere continuare ciò che sta andando in scena in questi mesi a Roma. Per questo noi abbiamo voluto definire gli argini programmatici nel nostro appello “Facciamo la Cosa Seria” in cui chiedevamo a SEL e una parte consistente del PD di essere netti nei rapporti con l’UDC, di coinvolgere l’IDV nella coalizione e di aprirsi a sinistra e a tutti i movimenti che vedono uno sviluppo possibile uscendo dai dettami di Monti e Merkel. E, viste le ultime dichiarazioni di Vendola, direi che qualche risultato l’abbiamo ottenuto. Certo il percorso è lungo.

In effetti, nella politica e nella comunicazione, le scelte nette e chiare, spesso anche estreme, purché dotate di una certa coerenza, sembrano pagare. A tuo avviso il PD, che continua a barcamenarsi tra tendenze a volte inconciliabili, non l’ha ancora capito?

Il PD tiene insieme anime opposte su alcuni punti programmatici. Funziona finché la sintesi è una mediazione, quando diventa prevaricazione di una delle due parti o accordo in cambio dell’autopreservazione dimostra la sua faccia peggiore.

E in uno scenario simile, che primarie dobbiamo aspettarci, secondo te? Non si rischia un collasso definitivo a causa del conflitto non più latente tra queste “anime opposte”?

Le primarie funzionano quando sono conciliabili con un programma di fondo. Mi sembra che manchi la discussione proprio su questi punti. Così rischiano di diventare un corso di bellezza o una vendetta interna che interessa proco alla gente. La partecipazione si costruisce sui bisogni, sugli scenari e sul disegno di futuro che si vuole proporre. Oggi direi che le primarie stanno mostrando la faccia peggiore: quella dell’utilitarismo delle fazioni per riposizionarsi. Ogni tanto ho il sospetto che le antenne dei dirigenti del centrosinistra si siano sclerotizzate e abbiano perso il contatto con la realtà; e mi auguro che l’autunno caldissimo che ci aspetta sui temi dell’economia e del lavoro non comporti bruschi risvegli.

Si tratta più di una paura o più di una speranza? C’è un’alternativa concreta che possa evitare che questi risvegli avvengano in maniera pericolosamente traumatica?

Paura e speranza. Nel momento in cui i bisogni dei cittadini non trovano rappresentanza il rischio del cortocircuito è evidente. E l’incapacità di lettura di questa classe politica è conclamata. Secondo te al cittadino che tra qualche settimana non avrà più nemmeno la cassa integrazione può interessare l’alchimia algebrica di sigle per le prossime politiche? Credo di no.

Una classe politica, insomma, ottusamente rintanata nel Palazzo, per dirla con Pasolini. E sul Movemento 5 Stelle, qual è la tua idea?

Non condivido questo accanimento nei loro confronti. Questo elitarismo per cui si decide quale movimento sia democratico e quale no mi sembra un’insulsa pratica che non giova alla dialettica politica. E mi stupisce che nel Parlamento che ospita un partito incostituzionale come la Lega (perché la secessione è incostituzionale, per dire) si arrivi a strepitare contro il Movimento 5 Stelle. Io non ne condivido alcune posizioni e credo nell’importanza dei partiti ma in Consiglio Regionale in Lombardia mi sono ritrovato spesso a portare avanti alcune loro istanze (visto che non hanno rappresentanti). I politici si sono lamentati per anni della mancata partecipazione e oggi la condannano perché non è come la vorrebbero loro. Forse sarebbe il caso di aprire un’analisi seria sul perché così tante persone hanno deciso di affidarsi al Movimento 5 Stelle, capire cosa ha sgretolato la credibilità dei partiti, osservare quali risposte gli elettori credono di potere trovare nel movimento di Beppe Grillo e non da noi. Si dovrebbe fare così la politica, no?

Secondo te queste domande i leader degli attuali partiti non se le sono fatte per miopia, oppure semplicemente non vogliono cercare una risposta per paura di dover ammettere l’esistenza di una realtà dei fatti che non li vede più ai posti di comando?

La seconda che hai detto, direbbe una trasmissione di qualche anno fa.

Si sono incagliati gli sms solidali

Gli sms solidali per il terremoto dell’Emilia, Veneto e Lombardia si sono incagliati in una burocrazia che ha perso il cuore da decenni ma non manca occasione di perdere anche la faccia. Come racconta Vita.it i Presidenti di Lombardia, Veneto e Emilia non si sono ancora accordati sulla ripartizione e la Protezione Civile sta aspettando che quei soldi diventino ricostruzione.

Chissà perché appena passata l’ora delle interviste, delle inaugurazioni e dei moti di solidarietà che poi le cose si facciano per davvero non sembra interessare a nessuno. Chissà perché non fa notizia L’Aquila e tutta quell’Italia ricostruita per le fotografie di rito e poi lasciata con le carriole di fianco ai muri sbriciolati. Di un paese tutto a metà dove “iniziare” basta da solo a concimare il consenso.

Il diavolo e un angelo sul marciapiede di Milano

La politica della paura negli scorsi anni voleva militalizzare le periferie, se l’era presa con i negozi di kebab o di money transfert, aveva messo il coprifuoco proprio dove abito io. Perché, si sa, è lì che alligna il male. Ora ha già cambiato idea. Alza il tiro, con quella grevità becera che non aiuta a leggere il territorio. Paragona Milano a Scampia, comparazione indegna che non spiega né risolve nulla. Perché l’omicidio di lunedì scorso ci dice ben altro.

Quello che abbiamo scoperto è che nessuno è davvero al riparo. Si può morire a qualunque ora del giorno, dappertutto. Si può morire nel centro di una metropoli, quale è Milano, o, come è accaduto in Alta Savoia, sulle amene rive di un lago alpino. Il Diavolo abita ovunque. Anche qui. Esco dal bar. A pochi metri dal luogo del delitto una libreria espone un’intera vetrina di gialli scandinavi. Fettucce di plastica gialla, quelle che delimitano le scene dei delitti, ornano la vetrina con involontario pessimo gusto. Fanno tenerezza questi omicidi di carta, concilianti, indolori, consolatori, completamente avulsi dal mondo vero che fingono di raccontare. Pochi passi più in là, al numero 3 di via Muratori, il sangue è stato lavato, restano a terra pallidi cerchi fatti col gesso dalla scientifica. “Chi è stato?” mi viene chiesto. Non lo so, insisto. Scerbanenco comunque non avrebbe dubbi: i milanesi ammazzano al sabato. Ieri era lunedì, è sicuramente gente che viene da fuori. Poi lo vedo. Un fiore, legato con un nastro sull’archetto metallico. Un piccolo anonimo gesto di pietà, per le vittime e per la bambina sopravissuta, vittima anch’essa. Quello che cercavo (dove c’è il Diavolo c’è sempre un Angelo): il segno che Milano, anche se di corsa, non sa essere indifferente. Mai. (Gianni Biondillo su Nazione Indiana)

Serve il coraggio, in Lombardia

Ci vuole coraggio. Scegliere di provare a scostarsi dal luogo di osservazione dove per comodità si sono ammassati tutti come comari e provare a guardare la Regione Lombardia con occhi nuovi: dalle strade, dalle piazze e in mezzo ai presìdi, tra la gente, per dire. E forse sarebbe anche ora di provare a rivendicare il primato di questa politica così bistrattata, millantata e stropicciata da interessi minuscoli di botteghe coagulate da venti anni di mani sottobanco e sempre anticipata dall’intervento di una magistratura che fotografa le macerie di un sistema politico che è diventato schiavo delle sue maschere.

La crisi del formigonismo non è una crisi giudiziaria, su questo dobbiamo metterci d’accordo per non cadere nella tentazione di accettare un modello politico che nasce antisolidale al di là degli eventuali illeciti dei propri interpreti: oggi in Lombardia (e non solo) la crisi è profondamente politica, è il fallimento del potere che vuole diventare sistema e finisce per alimentare oligarchie, diseguaglianze e disgregazione sociale.

Nella sanità le vicende del San Raffaele, prima ancora della clinica Santa Rita e per ultime quelle che riguardano la Fondazione Maugeri raccontano di una discrezionalità del Governatore (esercitata con “le carte a posto”) che ha finanziato lautamente servizi ai cittadini che oggi rischiano di risultare compromessi per mala gestione privata: una spaventosa ricaduta pubblica causata dalla dissennatezza privata mostra il fianco di un’architettura organizzativa che scarica i costi e le colpe sulla comunità. Nel caso del San Raffaele qualche giorno fa l’Assessore Bresciani ha avuto modo di dirci in Commissione Sanità che “la faccenda occupazionale non riguarda la Regione essendo una struttura sostanzialmente privata” e la difesa patetica svela perfettamente l’inceppamento che ha incagliato il motore della Lombardia: il denaro dei cittadini lombardi viene affidato a strutture private e le responsabilità politiche possono finire tranquillamente in un cassetto. Senza risposte. Senza assunzioni di responsabilità. Senza spiegazioni.

E credo non sia un caso che proprio in Lombardia stiano spuntando torbide figure professionali con evidente “peso politico” che sono proprie di tempi che si speravano passati. Nel processo Andreotti c’è un’interessante deposizione di Tommaso Buscetta che racconta una Sicilia dove politica, imprenditoria e Cosa Nostra si incontrano, ognuno con la propria spericolatezza, nella penombra degli interessi convergenti che soddisfano tutti. Dice Buscetta che i protagonisti di questo sistema che vive più tra le pieghe che nei luoghi ufficiali sono “gli amici degli amici”, quelli che “in ogni momento possono fare capire di essere vicino alla gente che conta”. Quando saltano i meccanismi di trasparenza e democrazia (ovvero quando la politica decide di essere socia d’impresa) i “faccendieri” sono gli anelli di congiunzione dei poteri che hanno bisogno di mettersi d’accordo. Per questo la vicenda Daccò è una storia intollerabile per il malcostume che rappresenta, al di là delle ricevute e delle barche di lusso.

Sotto la gonna della sussidiarietà sventolata da Formigoni e la sua banda c’è la solidarietà svenduta per poche lire ai soliti noti. Succede nella sanità, nella scuola, nei grandi appalti delle inutili infrastrutture, nella gestione del territorio nel consenso ammansito dalle periodiche regalie.

E allora ci vuole coraggio. Ci vuole anche il coraggio di porre le domande giuste. Una volta per tutte.

I soldi dati in questi anni alla sanità e alla scuola privata avrebbero costruito eccellenze pubbliche di cui essere fieri tutti e non qualche cerchia? Una seria legge sul consumo di suolo avrebbe impedito i PGT costruiti su misura per insoliti noti come la vicenda Ponzoni insegna? Un chiaro piano industriale regionale potrebbe evitare i soliti disperati e inefficaci interventi tampone? È possibile uscire dal linguaggio delle cose e tornare alle persone? Smettere di parlare di lavoro senza tenere conto dei lavoratori? Spogliare il PIL regionale su cui tutti si immolano dal doping del riciclaggio? Svincolare la cura dal profitto e tornare ad investire sulla prevenzione? Ricostruire una sanità ormai ospedalocentrica partendo dai presidi di medicina di base nei territori? Pensare ad una mobilità dolce che non abbia bisogno di più cemento ma di trasporto pubblico? Chiedere cultura, pretendere cultura, rivendicare il valore d’impresa e occupazione che sta dietro alla cultura? Occuparsi dell’accesso alla rete in zone con mastodontiche tangenziali e senza banda larga? Dirsi che i diritti civili sono di solito i diritti degli altri?

Ci vuole coraggio. Ci vuole il coraggio di riconoscere che il centrosinistra ha fallito perché troppo spesso ha inseguito i formigonismo di maniera volendo solo sostituire gli interpreti (ne è un esempio chiaro il penatismo che si è saputo pensare solo sistematico e sistemistico allo stesso modo con la sola differenza di essere fallimentare anche dal punto di vista elettorale). Ci vuole il coraggio di non sopportare più chi propone lo stesso modello promettendo una gestione più etica. Ci vuole il coraggio di dichiarare (alzando la voce, se serve) che un’alternativa si costruisce solo percorrendo le diversità, con compagni di viaggio che vogliano arrivare là dov’è il posto che ci prendiamo la briga di raccontare e volere raggiungere. E ci vuole il coraggio di rinunciare all’autopreservazione a mezzo di alchimie algebriche, alleanze matematiche più che di intenti e riciclaggio di facce che hanno già avuto l’occasione e l’hanno persa, ci vuole il coraggio di uscire da un centrosinistra con cinquanta sfumature di grigio che corteggia pornograficamente le segreterie prima dei cittadini.

Noi siamo in viaggio. Questo è il nostro viaggio. Il viaggio nel coraggio di sinistra che ancora è diffusa in tutte le città della Lombardia.

Scritto per MilanoX