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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Due parole a De Corato

Sull’emergenza criminalità che ogni volta accende le speculazioni politiche non ho potuto esimermi dal rispondere alle bassezze intellettuali di De Corato e la sua banda. Qui il video:

La lezione olandese

Sarà che ci avevo visto giusto quando dicevo che la lezione olandese merita di essere seguita con attenzione ed analisi. Perché ora Roemer parla di sinistra, di Europa e soprattutto di alleanze. La responsabilità di dire cose di sinistra (senza cadere nelle facilonerie, ovvio) nel momento di crisi del liberismo è un imperativo che sembra essere più virale di quanto si pensi. E le nostre indecisioni e strategie sembrano ancora più incomprensibili mettendo il naso fuori dai confini nazionali e ascoltando la campagna elettorale olandese. Come racconta anche L’Espresso:

Ci sono un paio di cose da cambiare», afferma il leader socialista. «La principale è avere sul tavolo un’agenda sociale per l’Olanda e per l’Europa. Questa, adesso, è l’Europa per i mercati finanziari, per le grandi società, non è più l’Europa per le persone. Dobbiamo pensare che c’è una via sociale per uscire dalla crisi, dobbiamo avere la possibilità di dimostrare che esiste la possibilità di produrre lavoro, soprattutto per i giovani, di avere diritti sociali, buona sanità e buona istruzione e si può fare pagando tutti, non schiacciando il peso della crisi sulla pelle dei poveri». 

La sua ricetta è fatta di tasse più alte per i ricchi e per le società, rispettivamente al 65 per cento ed al 30 per cento, «cioè ai livelli di altri paesi europei», e di 3 miliardi di investimenti pubblici in infrastrutture. «Bisogna fare, non parlare». Quanto a parlare, ripete spesso la parola “solidarietà”, ma come un prodotto per la casa, non di esportazione. «Altri soldi alla Grecia? Non è una soluzione, negli ultimi mesi glieli abbiamo dati varie volte e le cose non stanno andando meglio. La Grecia ha bisogno di più tempo, non di più soldi». Spagna e Italia hanno invece bisogno di consolidare i conti pubblici e «di una Bce più attiva nel mercato dei titoli, è l’unico modo per abbattere le speculazioni e andare avanti». Sostegno quindi a Mario Draghi nel suo braccio di ferro con la Bundesbank. Quanto a Mario Monti, sospira, sorride e allarga le braccia: non è il suo tipo, glielo si legge in faccia. 

Il problema per Roemer è proprio quello delle alleanze, fuori e dentro l’Olanda. «Vedremo cosa succederà», conclude pensando al 12 settembre. «Io voglio un governo il più di sinistra possibile, voglio una risposta sociale alla crisi, non andrò al governo con nessun politico di destra e un’agenda liberale. E vorrei lavorare in Europa con altri governi socialisti». Merce rara.

Provate sempre a riparare il mondo

“È un tempo, questo, in cui non passa giorno senza che si getti qualche pietra sull’impegno pubblico, specie politico. Troppa è la corruzione, la falsità, il trionfo dell’apparenza e della volgarità. Troppo accreditati i finti rinnovamenti, moralismi abusivi, demagogia e semplicismo. Troppo evidente la carica di eversione e deviazione che caratterizza mansioni che dovevano essere di estrema responsabilità. Troppo tracotanti si riaffacciano durezza sociale, logica del più forte, competizione selvaggia”.

Lo dice nel 1991 Alexander Langer, uno dei promotori del pensiero “verde” europeo attento alle fragilità e all’opportunità che sta dietro alle debolezze.

“Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza dello spirito della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la norma quotidiana e onnipervadente. Se non si radica una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare, al contrario, in lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce), e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere ostinatamente osteggiato, eluso o semplicemente disatteso”.

Luca Sofri lo racconta per Repubblica. Ed è archeologia sana e indispensabile di questi tempi.

Caro Marchionne ci sarà un tempo in cui tutti coloro che hanno avallato le sue scelte prenderanno le dovute distanze.

Silvia adesso lotta contro la chiusura dell’Irisbus perchè, a fine anno, dalla Cig dovrà passare alla mobilità in assenza di un progetto industriale. E la mobilità dura solo due anni. Con gli altri colleghi operai ha preso contatti con la BredaMenariniBus, l’unica fabbrica italiana di autobus urbani (l’Irisbus, una volta Iveco, produceva pullman), per tentare una vertenza collettiva. Sono convinti che il piano di sviluppo per l’Italia passi anche per la ristrutturazione ed il miglioramento del trasporto pubblico. Silvia è splendidamente raccontata da Marika Borrelli. E ha deciso di scrivere a Marchionne:

Caro Sergio Marchionne,

anche se con molto ritardo, ritengo sia giunto il momento di rispondere alla sua lettera, inviatami il 9 luglio 2010. Vorrei tanto poterla incontrare perché ho delle domande da porle e, soprattutto, vorrei cercare di capire dov’è finito l’uomo che ci disse: «Scrivere una lettera è una cosa che si fa raramente e solo con le persone alle quali si tiene veramente. Vi scrivo prima di tutto come persona, prendete questa lettera come un modo più diretto e più umano che conosco».

So che non è sua abitudine interloquire con chi ha di fronte, che non ama il confronto né il conflitto; mentre io penso che alla base di ogni rapporto ci sia prima il confronto e, se necessario, anche un sano conflitto per poter raggiungere degli obiettivi.
DA 30 ANNI IN FABBRICA. Io in fabbrica ci sto da 30 anni, ho svolto tantissimi lavori e ho contribuito, senza presunzione, ai profitti dell’azienda. Ecco perché mi sembra irrispettoso da parte sua togliermi il lavoro che ho svolto sempre con il massimo impegno e continuità, nonostante i tanti disagi.
Se era vero che teneva a noi, perché ha cambiato idea? Un uomo, quando fa delle scelte così difficili, deve avere il coraggio di guardare negli occhi coloro che ne pagheranno le conseguenze, altrimenti è solo un codardo.
Come mamma, anche io ho dovuto guardare negli occhi i miei figli per dire loro che le cose sono cambiate e che bisogna essere pronti a fare enormi sacrifici. Ma anche che dobbiamo resistere e rimanere insieme, perché restare uniti nei momenti di difficoltà è la sola cosa che aiuta.
OPERAI SENZA ALTERNATIVA. Lei non ha voluto fare questo sforzo. Non ha atteso che passasse la bufera. Ha gettato la spugna cercando di mettersi al sicuro. Troppo semplice così: i veri eroi sono quelli che resistono soprattutto nei momenti di difficoltà. Ma lei l’alternativa l’aveva, noi no.
«Vi scrivo da uomo», continuava la sua lettera, «che ha creduto e crede ancora fortemente che abbiamo la possibilità di costruire insieme, in Italia, qualcosa di grande, di migliore e di duraturo. Perché la cosa peggiore di un sistema industriale, quando non è in grado di competere, è che alla fine sono i lavoratori a pagarne direttamente e senza colpa, le conseguenze». Perché ha dimenticato tutto questo? E il fatto che nelle fabbriche c’erano uomini e donne, ognuno con una propria storia e con una famiglia e dei figli da mantenere?
Senza rancore, le chiedo di avere l’umiltà di ammettere che ha fallito. Il suo piano di Fabbrica Italia ha seminato un numero indefinito di disoccupati; 50enni senza pensione e giovani senza futuro.
LO SPETTRO DEGLI SPECULATORI. L’Italia, Paese che lei dice di amare, resterà probabilmente senza la Fiat e, se il governo non interviene, rischiamo di finire in mano agli speculatori che vorranno appropriarsi solo dei nostri marchi.
Se l’obiettivo era quello di abbassare il costo del lavoro, forse l’ha ottenuto. Noi saremo, in futuro, il Paese in cui sarà più utile investire. Una volta affamati non saremo più liberi di poter scegliere e se avremo un lavoro sarà senza diritti e a basso salario.
Eppure lei scriveva: «Non abbiamo intenzione di toccare nessuno dei vostri diritti, non stiamo violando alcuna legge. Quello che stiamo facendo è tutelare il lavoro, proprio quel lavoro su cui è fondata la Repubblica italiana. Non c’è nessuna contrapposizione tra azienda e lavoratori, sappiamo bene che la forza di un’organizzazione arriva dalle persone che ci lavorano e lo avete dimostrato nel 2004 salvando la Fiat dall’orlo del fallimento». E continuava: «Quello di cui c’è bisogno è un grande sforzo collettivo, una specie di patto sociale per condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici. È il momento di guardare al bene comune e di lasciare da parte gli interessi particolari. Sono convinto che anche voi, come me, vogliate per i nostri figli e per i nostri nipoti un futuro diverso e migliore».
LA CHIUSURA DELLO STABILIMENTO. Noi quei sacrifici li stavamo facendo, avendo accettato la sfida. Lei invece ha inevaso tutte le promesse, chiudendo il nostro stabilimento. Sottolineo nostro perché ritengo che la Fiat, proprio per i motivi da lei citati, sia anche nostra.
Le parole scritte nella sua lettera hanno un acre sapore di postumo. Resta l’amarezza di non avere avuto il diritto di replica.
Ma anche per lei non si prospettano momenti sereni. Ci sarà un tempo in cui tutti coloro che hanno avallato le sue scelte e l’hanno osannata in parlamento nel febbraio del 2011, prenderanno le dovute distanze. La storia ci insegna che questa, in Italia, è una pratica molto diffusa.

Silvia Curcio operaia Irisbus

Lunedì, 03 Settembre 2012 

«Auguriamo a Vendola possa rimanere incinta lui o la sua dolce metà»

Il deputato leghista Torazzi durante l’ostruzionismo leghista in aula al decreto sull’Ilva: «Auguriamo a Vendola possa rimanere incinta lui o la sua dolce metà».

E’ la Lega ripulita di Maroni, quella di #primailnord, quella che non doveva più lasciarsi andare a xenofobia o urla o battute. E ha lo stesso odore di un branco di cani bavosi che provano a volare ma hanno solo le ali da polli.

E poi ci vengono a dire che la questione dei diritti in Italia sta facendo passi in avanti. Che se ne può discutere. Che non ci sono preconcetti. E che non sono fondamentali per cambiare la cultura di questo Paese. Così intriso di subcultura di “bassa Lega”.

#cosaseria con le figure: in Francia

Per interessante info storica, un cronogramma (fonte: Le Monde) del “potere” Francese (Dipartimenti, Regioni, Senato, Assemblea Nazionale e Presidente della Repubblica) dal 1958 (De Gaulle) all’odierno poker di sinistra da Hollande in giù.

‘Ndrangheta in Lombardia: operazione “Ulisse”. Facciamo il punto.

L’omertà

Il dato sconfortante che emerge dallo sviluppo delle inchieste Infinito e Crimine, e che ha portato oggi all’esecuzione di 37 ordinanze di custodia cautelare volte a smantellare le cosche di ‘ndrangheta radicate tra Milano e Monza, è sempre lo stesso: l’omertà degli imprenditori vittime di estorsione e usura. Piuttosto a dare un contributo fondamentale alle indagini, da quanto trapela da ambienti investigativi, è arrivato da un nuovo pentito. Si tratta di Michael Panaija, 37enne arrestato l’11 aprile 2011 perché ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio di Carmelo Novella, il capo della “Provincia” lombarda (l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta in Lombardia) ucciso il 14 luglio 2008 a San Vittore Olona perché voleva la scissione dalle cosche calabresi. A farne il nome come uno dei presunti esecutori era stato il collaboratore di giustizia Antonino Belnome. Era stato lui a snocciolare il suo e i nomi di altre 18 persone arrestate nel 2011 perché avrebbero avuto un ruolo – come mandanti, come esecutori, come fiancheggiatori, o come basisti – nell’omicidio Novella e in altri tre omicidi commessi nell’ambito delle guerre interne alla ‘ndrangheta per il predominio sul territorio e come ritorsione per i fatti di sangue. Si tratta dell’omicidio di Rocco Cristello, avvenuto il 27 marzo 2008 a Verano Brianza; di quello di Antonio Tedesco, ucciso il 27 aprile 2009 a Bregano, il cui corpo è stato trovato mummificato sotto due metri di calce e terra in un maneggio (è stato riconosciuto da una catena d’oro) ; e di quello di Rocco Stagno, fratello del più potente Antonio Stagno, avvenuto il 29 marzo 2010 in un cascinale a Bernate Ticino, il cui cadavere invece non è ancora stato trovato. Ora Panaija risulta aver svelato dettagli sulla reazione delle cosche lombarde dopo il maxi blitz che a Milano, nel luglio 2010, aveva portato all’arresto di oltre 170 persone, 110 delle quali già condannate con rito abbreviato. Le cosche di Giussano e Seregno avrebbero proseguito sia i traffici di droga, sia le estorsioni e lo strozzinaggio di piccoli imprenditori locali, soprattutto di origine calabrese. Oggi in manette sono finiti Ulisse Panetta, il presunto boss proprio della locale di Giussano, e alcuni appartenenti alle famiglie Cristello e Corigliano. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Cecilia Vassena. Le ordinanze sono firmate dal gip Andrea Ghinetti.

Le estorsioni e i nomi

Le accuse per i 37 indagati arrestati stamani dai carabinieri del Ros a Milano e provincia sono di associazione mafiosa, porto e detenzione illegale di armi (Kalashnikov, mitragliette Uzi, bombe a mano), usura ed estorsione, aggravati dalle finalita’ mafiose. I provvedimenti di custodia cautelare scaturiscono da diversi filoni investigativi avviati dal Ros a seguito dell’indagine ‘Crimine’ che ha portato nell’aprile 2011 all’arresto di 11 affiliati alle ‘ndrine di Seregno e Giussano. Tra questi c’erano anche gli autori dell’omicidio di Rocco Cristello, Carmelo Novella, Antonio Tedesco e Rocco Stagno, tutti commessi in Lombardia tra il 2008 e il 2010 nell’ambito delle faide tra le cosche Gallace e Novella di Guardavalle (Catanzaro). Le indagini hanno svelato le attivita’ delle cosche al Nord: traffico di droga, usura ed estorsioni. Numerosi gli episodi di questo tipo raccolti dai militari. A partire dal 2007, quando le vittime dell’estorsione furono i titolari della concessionaria di auto ‘Selagip 2000′ di Giussano, a cui venne chiesto il pagamento di 500mila euro dopo minacce, telefonate minatorie, attentati incendiari, e l’esplosione di colpi di pistola contro le vetrine. E’ del 2010, invece, quella nei confronti di Domenicantonio Fratea, imprenditore nel settore immobiliare e titolare di una bar a Giussano. A lui vennero chiesti 80mila euro con la medesima modalita’ intimidatoria. La lista prosegue con Roberto Gioffre’, titolare di una sala giochi che alla fine del 2010 fu costretto a rinunciare a un credito di 70mila euro, che vantava nei confronti di alcuni affiliati, dopo numerose minacce. Infine, Stefano Sironi, imprenditore edile di Giussano, costretto a riconoscere interessi esorbitanti sulle somme prestate dalla cosca.

Il ruolo di Ulisse Panetta a Giussano

Dall’agosto 2010, in seguito al maxi blitz delle operazioni Infinito e Crimine che il mese prima avevano portato all’arresto di circa 300 persone in Lombardia e in Calabria, è Ulisse Panetta ad assumere il comando dell’associazione mafiosa facente capo alla locale di Giussano in qualità di vice di Michael Panaija, arrestato l’11 aprile 2011. Lo scrive il gip Andrea Ghinetti nell’ordinanza di arresto che oggi ha colpito lo stesso Panetta e altre 36 persone. Dall’agosto 2010, si riassume nel capo di imputazione, Panetta fa carriera. Già “in possesso della dote del vangelo, dapprima ‘contabile’ e ‘mastro di giornata’, quindi, dopo l’arresto di Belnome, ‘capo società’, diventa il “capo e organizzatore” della locale di Giussano. Di conseguenza, “sovrintende alla gestione dell’armamento in dotazione della locale, comprensivo di armi corte, lunghe, esplosivo e munizionamento, parte del quale è stato a lui sequestrato nel febbraio 2012, alla scelta del luogo di occultamento ed alla individuazione delle persone deputate di volta in volta a servirsene. Mantiene i contatti con gli esponenti delle famiglie di riferimento in Calabria, mandando e ricevendo ‘ambasciate’. Provvede a mantenere i contatti con le famiglie degli arrestati della locale sia a seguito degli arresti del luglio 2010, sia di quelli dell’aprile 2011. Partecipa ai summit sopra indicati nel corso dei quali vengono conferiti a lui stesso e ad altri doti e cariche. Partecipa alla pianificazione delle attività criminali della locale percependone anche parte dei proventi”. Antonino Belnome è il pentito che per primo ha fatto luce sull’omicidio di Carmelo Novella, ex capo della “Lombardia”, l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta nella regione.

Il bunker

Una botola nascosta nel pavimento della cucina, con un perfetto meccanismo di apertura telecomandata. Un bunker in piena regola per scappare ai blitz della forze dell’ordine, identico a quelli di ‘ndranghetisti latitanti dell’Aspromonte. La novita’ e’ che il nascondiglio si trovava nel profondo Nord, a Giussano, piccolo comune della Brianza. Per la precisione in via Boito 23, dove il boss Antonio Stagno, di 44 anni, originario di Giussano e attualmente detenuto nel carcere di Opera per altri motivi, aveva la sua residenza. Si tratta di un vero e proprio bunker con una parete mobile che si aziona con un telecomando – ha spiegato il pm della Dda di Milano, Alessandra Dolci – come quelli che siamo soliti trovare in realta’ come San Luca o Plati’. Per gli investigatori e’ un dato molto importante perche’ dimostra l’ulteriore passo in avanti della ‘ndrangheta al Nord, ormai cosi’ a proprio agio da esportare tecniche ritenute esclusiva delle zone d’origine. Il procuratore aggiunto del Tribunale di Milano, Ilda Boccassini, ha aggiunto che questo e’ momento di cambiamento per le ‘ndrine, con i giovani che stanno prendendo il posto degli ”anziani”. Nonostante cio’, pero’, resistono le tradizioni come quella dei bunker, di cui i calabresi sono considerati esperti costruttori.

Le minacce: i coltelli al ristorante

Rocco mi punto’ contro anche un coltello, il coltello da tavola del ristorante”. Cosi’ una delle ‘vittime’ delle estorsioni messe in atto dalle cosche della ‘ndrangheta di Giussano e Seregno, in Brianza, smantellate oggi con l’operazione ‘Ulisse’ condotta dai carabinieri del Ros, ha raccontato agli inquirenti della Dda di Milano l’ ‘umiliazione’ che subi’ quando nella sala di un locale venne preso anche a ”pugni e schiaffi al volto da parte di quasi tutti i commensali”, tra cui il presunto boss del clan di Seregno, Rocco Cristello, uno dei 37 arrestati. Nelle oltre 230 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, viene riportato anche il ‘capitolo’ della ”estorsione nei confronti di Gioffre’ Roberto”, ovvero le ”modalita’ estorsive attraverso le quali i due maggiori esponenti della locale di Seregno, ovvero Cristello Rocco e Formica Claudio (rispettivamente capo locale e capo societa’) si ‘appropriarono’ del locale chiamato ‘Casino’ Royale’ di Paina di Giussano, piu’ volte emerso nell’indagine ‘Infinito’ come luogo abituale di appuntamento degli affiliati”. La ‘vittima’ dell’estorsione, l’imprenditore Roberto Gioffre’, ha spiegato nella sua denuncia e nelle sommarie informazioni ai pm di aver dovuto incontrare nel 2009 in un ristorante di Seregno i presunti boss per cercare di ‘resistere’ alle vessazioni. ”Gioffre’ – scrive il gip Andrea Ghinetti – si reco’ all’appuntamento accompagnato dal fratello Francesco, consigliere comunale a Seregno”.

Appena entrati nel locale, Gioffre’ venne aggredito da Rocco Cristello che gli grido’: ”tu sei un pezzo di m…”. L’imprenditore disse agli uomini del clan che non avrebbe consegnato i ”50 mila euro” richiesti e per tutta risposta venne preso a ”pugni e schiaffi” al tavolo del ristorante. Poi il coltello puntato contro che fece reagire il fratello di Gioffre’, consigliere comunale. Cristello Rocco a quel punto, ha raccontato Gioffre’, ”lancio’ un’occhiata eloquente a mio fratello dicendogli ‘Franco, fatti i cazzi tuoi’, frase che fece desistere mio fratello”. L’importo totale ”di denaro” estorto a Gioffre’, sintetizza il gip, ”ammonta a 70 mila euro”. E’ questo l’unico dei 4 episodi di usura ed estorsione riportati nell’ordinanza nel quale la ‘vittima’ ha denunciato le vessazioni subite dai clan della ‘ndrangheta. Negli altri casi, invece, come si legge nell’ordinanza, gli imprenditori si limitavano al massimo a pronunciare al telefono, intercettati, frasi come ”mi hanno condannato a morte mi hanno detto (…) sono un morto che cammina”. Uno dei pentiti ‘chiave’ delle indagini di ‘ndrangheta degli ultimi mesi in Lombardia, Antonino Belnome, ha spiegato a verbale ai pm della Dda di Milano che ”la scelta delle persone da sottoporre ad estorsione nel territorio lombardo ricadeva quasi sempre (…) su imprenditori di origine calabrese in quanto maggiormente inclini per mentalita’ a sottostare alle richieste estorsive senza coinvolgere le forze dell’ordine”. Non solo, spiega ancora il gip riportando le parole di Belnome, ”le vittime, di solito e per risalente consuetudine, si rivolgono ad esponenti della criminalita’ organizzata del paese d’origine perche’ svolgano un ruolo di mediazione (e non gratis, ovviamente)”.

Il politico che nega

Francesco Gioffre’, consigliere comunale di Seregno (Milano), con un atteggiamento ”vicino alla connivenza”, tento’ ”di minimizzare” con le sue dichiarazioni agli inquirenti le minacce subite dal fratello Roberto, vittima di estorsione da parte della cosca della ‘ndrangheta dei Cristello. Lo scrive il gip di Milano, Andrea Ghinetti, nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di 37 persone, eseguita oggi da carabinieri del Ros e del comando provinciale. ”Un discorso a parte – scrive il gip – meritano le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, opaco fratello della vittima ed unica ‘voce fuori dal coro’ il quale, sentito a s. i.t. (sommarie informazioni testimoniali, ndr) il 26 aprile 2011, pur ammettendo di conoscere i fratelli Rocco e Francesco Cristello (che sostiene di avere aiutato per una pratica presso il comune nel quale egli stesso e’ consigliere comunale), ha tentato in ogni modo di minimizzare la portata dei fatti giungendo quasi a prendere le difese dei Cristello, sino al punto di dirsi estremamente stupito nell’apprendere la notizia del loro arresto del luglio del 2010”, nell’ambito del maxi-blitz ‘Infinito’. ”E’ di tutta evidenza – si legge ancora nell’ordinanza – alla luce delle risultanze investigative sopra esposte, che le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, nella parte in cui contrastano con quelle del fratello Roberto, non possono ritenersi credibili ma debbono al contrario essere inquadrate nel medesimo clima di intimidazione del quale e’ stato vittima anche Roberto Gioffre’, che ha evidentemente portato i due fratelli a reagire in modo diametralmente opposto”. Mentre uno dei due fratelli Roberto ”ha scelto di denunciare i fatti con rischio personale che lo ha portato a temere talmente tanto per se’ e per i suoi familiari da decidere di lasciare il Paese per trasferirsi all’estero, il politico locale Gioffre’ Francesco ha fatto una scelta diversa, vicino alla connivenza, piu’ in linea con quella gia’ riscontrata in altri casi oggetto della presente misura cautelare”

 

Sciacallaggio 2.0

Francesco su Non Mi Fermo segnala un inquietante caso di sanatoria per niente sana. A parecchi euro. Ed illegale. Sarebbe il caso di farla girare e chiedere nelle sedi opportune.

Il web, come il mondo offline, è pieno di insidie, soprattutto per chi è in difficoltà.
Capita così che da un tweet pubblico, si scopra una storia che, da qualsiasi angolo la si guardi, è decisamente poco limpida, per usare un eufemismo.
Il sito Africa-News.eu, riporta oggi un articolo inquietante: invita i cittadini africani presenti in Italia, a non pagare per procurarsi falsi documenti, e punta il dito verso il sito www.sanatoria2012.com.
“Il sito promette aiuto a tutti quei lavoratori che non sono in regola. Promette anche di procurare documenti all’immigrato lavoratore, per dimostrare di essere entrato in italia prima del Dicembre 2011. […] Considerate che questi servizi sono tutti illegali. Chiunque abbia bisogno di aiuto, viene invitato a contattare le persone che gestiscono il sito (nessuno sa chi essi siano), con la garanzia di venire aiutati  a trovare la soluzione appropriata. I gestori di sanatoria2012.com  chiariscono di offrire il servizio a pagamento […]. Il sito non ha un indirizzo fisico o un numero di telefono, ed è così impossibile sapere a chi vadano in mano i tuoi soldi.”

Il post è qui.

La priorità è il lavoro

In casa Fiom un sindacato «naturalmente» industrialista si interroga liberamente su cosa, dove e come produrre, cioè sulle compatibilità sociali e ambientali del lavoro, e lo fa insieme a chi alza la bandiera della decrescita. Si parlerà di vecchie povertà, quelle dickensiane, e nuove povertà, prodotte dalla crisi e dalle ricette liberiste per (non) uscirne, insieme a Marco Revelli. Ci si chiederà con economisti di diverso orientamento se ha un senso, e quale e come, finanziare le imprese. Si parlerà di giornali che sentono il fiato caldo della crisi sul collo e una volta ancora la Fiom farà la sua parte, sostenendo il manifesto con una cena di finanziamento, ma troverà uno spazio di ascolto anche un giornale che nasce: Pubblico.

Giorgio Airaudo, segretario nazionale della Cgil con un occhio particolarmente attento a Torino che è stata la sua palestra sindacale, ricorda che oggi si costituirà presso la Corte di Cassazione il comitato promotore dei due referendum sul lavoro (art.8 e art.18). Airaudo plaude all’obiettivo difficile e importante raggiunto: «Grazie alla disponibilità dell’Idv si è messo in moto un fronte molto ampio che consentirà di portare i temi del lavoro dentro la campagna elettorale». Ma non si fa soverchie illusioni: quello schieramento non è automaticamente l’embrione di uno schieramento ampio che abbia al centro i temi del lavoro e dei diritti, che però bisognerebbe costruire. «C’è chi, non solo nel Pd, pensa che il lavoro sia un tema del passato. C’è chi, nel Pd, si dichiara dalla parte di Marchionne senza se e senza ma, come ha fatto Renzi». «Nelle primarie del Pd il lavoro non c’è», è la sua amara constatazione. Però Airaudo, Bersani l’aveva invitato, ma verrà Fassina. Invece il Pd, nella sua festa torinese la Fiom non l’aveva invitata, a costo di non parlare della Fiat. Se poi anche nel partito di Bersani passa l’idea cara al presidente Napolitano che chiunque vinca le elezioni il segno della politica economica dovrà essere in continuità con quella messa in atto da Monti, c’è poco da farsi illusioni.

Perché proprio a Torino questo appuntamento? Perché da qui, con il modello Marchionne, è partito tutto. Perché Torino, aggiunge Airaudo senza far sconti al nuovo sindaco Pd Piero Fassino, è la città più indebitata d’Italia e sceglie di tagliare il welfare e appaltarne le briciole ai privati, cooperative disposte a competere abbattendo i diritti di chi ci lavora. «E’ inquietante che a parte la Fiom, e certo con più autorevolezza, l’unico a parlare di declino della città sia il vescovo, che non si fa scrupoli a chiamare in causa la famiglia Agnelli-Elkann».

Non sarà, è la domanda che si ripete noiosamente dal 9 giugno, che la Fiom vuole farsi partito? La risposta è sempre la stessa: la Fiom è un sindacato e vuole fare sindacato. Ciò non vuol dire che sia indifferente a quel che avviene in politica.

Il Manifesto di oggi racconta un vuoto: ecco lì dove dobbiamo stare. Perché il tema è il lavoro ed è il punto da sciogliere prima delle primarie. Uno di quei punti dove (lo continueremo a ripetere all’infinito) non si accettano mediazioni al ribasso. Per identità e per progetto sarebbe bello che una volta sia la politica a presidiare in difesa dei lavoratori e non solo il contrario.