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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Magari con le figure funziona

Vediamo se si riesce con le figure. Perché a parole lo ripetiamo da anni nelle scuole, nei libri, nelle piazze e negli spettacoli che i centri commerciali (e, soprattutto qui in Lombardia) stanno così tanti e così vicini da non avere abbastanza clienti. Mentre la politica e le associazioni di categoria non sanno mai trovarci una giustificazione credibile. Che l’ipermercato vicino a casa spesso è il monumento di pezzi di imprenditoria che hanno bisogno di spendere piuttosto di guadagnare. Soldi che devono assumere una forma qualsiasi l’importante è che non puzzino più di soldi, che non abbiano la forma riconoscibile dei soldi: come le case costruite nei nostri paesi che non vengono vendute, le zone industriali nuove di fianco a quelle vecchie tutte disabitate. Legambiente ne parla, con le figure. Magari così è più chiaro.

Le mafie fanno shopping

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Grazie a Paolo Pinzuti per la segnalazione. Qui la sua riflessione su ipermercati e mobilità.

Monti e l’umiliazione della scuola pubblica, come avrebbe detto Calamandrei

Scrive Nadia Urbinati su Repubblica che “il piano di tagli agli sprechi messo in cantiere dal governo Monti prevede alla voce scuola una ingiustificata partita di giro che toglie 200 milioni di euro alle istituzioni pubbliche per darli a quelle private. Con una motivazione che ha dell’ironico se non fosse per una logica rovesciata che fa rizzare i capelli in testa anche ai calvi. Leggiamo che si tolgono risorse pubbliche alle università statali al fine di “ottimizzare l’allocazione delle risorse” e “migliorare la qualità” dell’offerta educativa. Stornare risorse dal pubblico renderà la scuola più virtuosa. Ma perché la virtù del dimagrimento non dovrebbe valere anche per il settore privato? Perché solo nella già martoriata scuola pubblica i tagli dovrebbero tradursi in efficienza?”.

Ne parlavo ieri citando Mila Spicola che l’insegnante la fa di professione, tra l’altro. Nel senso più alto del termine, professando i propri valori nel proprio lavoro. Ma l’opinione migliore, che suona come uno schiaffo al progetto di Monti, è molto più datata. Del 1950. E sembra valere oggi ancora di più. E se le critiche di sessant’anni fa valgono nel nostro tempo forse significa che abbiamo imparato poco, ricordato meno e accettato l’indifendibile.

«L’operazione si fa in tre modi: (1) rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico… Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l’operazione… Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito». (Piero Calamandrei, 1950)

A due passi dal Duomo, Samarani Cafè, il ristorante con la mafia tutto intorno

La Gdf di Milano, nell’ambito dell’inchiesta della Dda sulla presunta cosca mafiosa dei D’Agosta con al centro l’intestazione fraudolenta di beni per 5 milioni di euro, ha sequestrato lo ‘storico’ bar-ristorante milanese ‘Samarani Cafe”, in piazza Diaz, a due passi dal Duomo. Nell’ambito delle indagini sul reimpiego di capitali illeciti, i finanzieri del nucleo di polizia tributaria hanno messo i sigilli anche all’hotel ‘Il Faro Molarotto’ in Costa Smeralda e ad un altro bar in provincia di Olbia.

Gli accertamenti dei militari della Gdf hanno riguardato, in particolare, due presunti appartenenti a una cosca mafiosa di Vittoria (Ragusa), Carmelo e Gianfranco D’Agosta, gia’ condannati a vario titolo per associazione mafiosa e traffico di droga.  Stando alle indagini, coordinate dal pm Claudio Gittardi, sarebbero emerse una serie di ”discrasie” tra i redditi dichiarati dai due e i beni intestati a loro o a presunti prestanome. Ipotesi che ha fatto scattare il sequestro preventivo, deciso dal gip di Milano Anna Maria Zamagni, in base alle norme sull’intestazione fittizia di beni relative a soggetti gia’ condannati per associazione mafiosa.Il ‘Samarani cafe” era gia’ stato coinvolto, negli anni ’90, in indagini simili che riguardavano presunti esponenti mafiosi siciliani e investimenti illeciti in locali e attivita’ a Milano. Ieri poi nel capoluogo lombardo era stato sequestrato anche il bar ‘Gran Caffe’ Sforza’, sempre in centro, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Napoli sulla camorra ‘cutoliana’ del clan Belforte. Nel blitz di oggi, invece, sono stati sequestrati anche l’hotel a quattro stelle ‘Il Faro Molarotto’, a una quarantina di minuti da Porto Cervo, e un altro bar in Sardegna, oltre ad un’auto di grossa cilindrata.

Quello che la politica non riesce a fare

Oggi su Repubblica uno scambio epistolare tra un lettore e Colaprico che è un punto di programma per la Lombardia che deve accadere. Perché a volte la politica sta tra le parole e le opinioni che non stanno per forza nei grandi editoriali di statisti à la page:

CA­RO Co­la­pri­co, mal­gra­do il pa­re­re con­tra­rio di tut­ti (co­mu­ni in­te­res­sa­ti, pro­prie­ta­ri dei ter­re­ni sot­to espro­prio, eco­lo­gi­sti, geo­lo­gi, eco­no­mi­sti, ec­ce­te­ra) gli in­sa­ni e cer­vel­lot­ti­ci «pia­ni per il traf­fi­co» del­la giun­ta re­gio­na­le lom­bar­da so­no sta­ti av­via­ti.
Mi ri­fe­ri­sco al­la rea­liz­za­zio­ne del­le «fa­mo­se» Pe­de­mon­ta­na, nuo­va au­to­stra­da Mi­la­no/Bre­scia e al­la Tan­gen­zia­le est ester­na. Al­tri mi­lio­ni di et­ta­ri di ter­re­no fer­ti­le sa­ran­no co­per­ti dal­l’a­sfal­to, ben­ché sia a tut­ti evi­den­te che il traf­fi­co su gom­ma sta di­mi­nuen­do, sia per il co­sto dei car­bu­ran­ti che per la cri­si eco­no­mi­ca, ed è de­sti­na­to ine­so­ra­bil­men­te in fu­tu­ro a di­mi­nui­re an­co­ra.
Que­ste ope­re inu­ti­li di­ven­te­ran­no al­tre «cat­te­dra­li nel de­ser­to», con un as­sur­do e mai tan­to in­sen­sa­to spre­co di de­na­ro pub­bli­co, a mag­gior ra­gio­ne in un mo­men­to co­me que­sto. Na­tu­ral­men­te «i so­li­ti no­ti» (fra i qua­li do­vre­mo an­no­ve­ra­re le va­rie ma­fie?) rin­gra­zia­no. La pia­nu­ra Pa­da­na è sto­ri­ca­men­te la par­te più fer­ti­le del no­stro pae­se, quel­la na­tu­ral­men­te de­sti­na­ta al­lo svi­lup­po agri­co­lo. È di­ven­ta­ta un’im­men­sa me­ga­lo­po­li, nel­la qua­le la teo­ria con­ti­nua di ca­se e ca­pan­no­ni è in­ter­rot­ta, di tan­to in tan­to, da qual­che di­ste­sa di cam­pi. Te­mo che fra non mol­ti an­ni si do­vran­no ara­re le stra­de (qual­cu­no­s’in­ge­gni a stu­dia­re vo­me­ri ade­gua­ti!).
Sil­va­no Fas­set­ta

Vor­rei av­vi­sar­la che la ri­vo­lu­zio­ne in­du­stria­le ri­sa­le al­l’800, che il boom eco­no­mi­co ita­lia­no è av­ve­nu­to al­la me­tà del se­co­lo scor­so e che Mi­la­no e Bre­scia so­no cit­tà do­ve le ci­mi­nie­re so­no spun­ta­te un bel po’ di tem­po fa. Lei cre­de­va di es­se­re in Ar­ca­dia, tra pe­co­re e pa­sto­rel­le e flau­ti? Ba­sta per­cor­re­re la Mi­la­no-Bre­scia per ren­der­si con­to del mon­do in cui sia­mo. Mol­ti an­ni fa Gior­gio Boc­ca rac­con­ta­va ai let­to­ri che usan­do il Po co­me una via d’ac­qua per le mer­ci, si sa­reb­be ot­te­nu­to il du­pli­ce sco­po di far di­mi­nui­re la con­ge­stio­ne del traf­fi­co su stra­da e tra­sfe­ri­re i con­tai­ner pre­sto e me­glio. Mol­ti an­ni fa… Me­no an­ni fa, quan­do co­min­cia­vo an­ch’io a fa­re il cro­ni­sta, ve­de­vo da vi­ci­no mol­te co­se e pur­trop­po og­gi, con tut­ta la mia espe­rien­za, do­po Tan­gen­to­po­li, le ma­fie, gli scan­da­li, i di­scor­si a pe­ra sul Nord, an­co­ra mi chie­do che co­sa mai ci re­sta da fa­re di le­ga­le. Per­ché noi po­ve­rac­ci sap­pia­mo ve­de­re spes­so le co­se giu­ste e le co­se sba­glia­te e ci chie­dia­mo: co­me mai, in po­li­ti­ca, pas­sa­no spes­so le co­se sba­glia­te? In qua­le la­bi­rin­to oscu­ro s’im­pri­gio­na chi fa po­li­ti­ca?
Piero Colaprico

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Cambiano le cose. Cambiano.

Con il lavoro, l’impegno, la serietà poi alla fine la storia non si inventa ma succede davvero: Monsignor Francesco Montenegro vieta le esequie di Giuseppe Lo Mascolo, arrestato pochi giorni prima di morire con l’accusa di essere il boss di Cosa nostra a Siculiana: “L’unico modo per imbavagliare la mafia è rifiutare i compromessi”. La notizia è qui.

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Non ho nemmeno le parole

Per immaginare le ore di Giulio Tamburini, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Mantova, impegnato anche come distaccato per la DDA di Brescia.
Per la bomba scoppiata vicino alla sua abitazione. Lo spavento. La notte. Il dolore. La famiglia da proteggere oltre all’ordinarietà non facile della vita.
A Mantova. Dove già parlarne è già troppo disturbo.
Solo un abbraccio solidale. A tutta la sua famiglia.

Scuole private non con le mie tasche

Mila Spicola su l’Unità, oggi ne scrive. Ed è un’altro di quei punti su cui la coalizione che ha in testa Bersani difficilmente ha un senso. La nostra posizione (per specificare, eh) è quella di Mila. Anche (e soprattutto) in Lombardia. Sono curioso di sapere quella dei cattolici del PD e dell’UDC. Anche qui in Lombardia.

Questa storia dei fondi alle parificate private è chiarissima. Parte di quei fondi vanno ad asili e materne parificate. E vabbè, amen. Sappiamo com’è la questione: non ce ne sono..e dunque chiudiamolo st’occhio, anche se ci dobbiamo mettere sottosopra per far aprire asili statali e comunali. Ma dall’altro ci sono le scuole degli altri gradi e sono diplomifici (o sbaglio?) o scuole delle “pie opere di carità” con rette mensili allucinanti che, in parte, contribuiscono a pagare anche i papà e le mamme dei miei alunni disgraziati, con le loro tasse. Possono girarmi le scatole, di grazia?

I governi, di qualunque colore fossero nulla è cambiato, finanziando le prime, i diplomifici, producono a nostre spese generazioni di ragazzi ignoranti, a danno loro e della collettività, e finanziando le cattoliche (che non abbiano tutto sto gran livello qualitativo) comprano voti di elettorato cattolico dalla Chiesa. Cioè omaggiano il Vaticano. Già sento il coro levarsi dal lato della platea cattolica, se non qualche lancio di oggetti. Attenzione: ciascuno può e deve andare nella scuola che più gli aggrada. Libera è la cultura e libero l’insegnamento. Ma per favore senza oneri per lo Stato. Quante volte lo dobbiamo ripetere? Senza oneri per lo Stato. Lontani dalle mie tasche. Figuriamoci adesso. Possono anche maledirmi. Ma io non sono nè cattolica, nè religiosa, le maledizioni mi bagnano e si asciugano: con le mie tasse pagatemi il riscaldamento, non la divisa delle orsoline.

Occuparsi, in mezzo alla crisi

Tito Boeri, oggi, su Repubblica:

Ovunque du­ran­te le re­ces­sio­ni la di­soc­cu­pa­zio­ne au­men­ta di più per i gio­va­ni che nel­le al­tre fa­sce di età. Que­sto av­vie­ne per­ché i da­to­ri di la­vo­ro bloc­ca­no le as­sun­zio­ni re­strin­gen­do ogni ca­na­le di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro. Ma nel­la me­dia dei pae­si Oc­se la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le è ar­ri­va­ta in que­sta cri­si a es­se­re al mas­si­mo il dop­pio di quel­la per il re­sto del­la po­po­la­zio­ne. Da noi, in­ve­ce, è qua­si quat­tro vol­te più ele­va­ta.
Il fat­to è che ai pro­ble­mi strut­tu­ra­li del no­stro mer­ca­to del la­vo­ro e del si­ste­ma edu­ca­ti­vo si è ag­giun­to il dua­li­smo fra con­trat­ti tem­po­ra­nei e con­trat­ti per­ma­nen­ti che ha cau­sa­to que­sta vol­ta, in ag­giun­ta al bloc­co del­le as­sun­zio­ni, an­che li­cen­zia­men­ti in mas­sa di gio­va­ni la­vo­ra­to­ri pre­ca­ri. Inol­tre i gio­va­ni ita­lia­ni, a dif­fe­ren­za che in al­tri pae­si, non han­no rea­gi­to al­la cri­si de­ci­den­do di con­ti­nua­re a stu­dia­re, ma an­zi han­no ri­dot­to le lo­ro iscri­zio­ni al­l’u­ni­ver­si­tà. Pro­ba­bil­men­te per­ché si so­no re­si con­to che le lau­ree trien­na­li non of­fro­no uno sboc­co ade­gua­to sul mer­ca­to del la­vo­ro ri­spet­to ai di­plo­mi di scuo­la se­con­da­ria, non so­no in gra­do di ri­pa­ga­re l’in­ve­sti­men­to ag­giun­ti­vo fat­to in istru­zio­ne.
In­fi­ne, es­sen­do que­sta una cri­si fi­nan­zia­ria, è an­co­ra più dif­fi­ci­le per i gio­va­ni che han­no pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li ave­re ac­ces­so al cre­di­to. Di so­li­to nel­le re­ces­sio­ni c’è an­che una par­te crea­ti­va per­ché il co­sto mi­no­re del cre­di­to, del la­vo­ro, dei fab­bri­ca­ti, del ca­pi­ta­le per­met­te a chi ha nuo­ve idee di rea­liz­zar­le. Ma que­sto non av­vie­ne du­ran­te le cri­si fi­nan­zia­rie, so­prat­tut­to da noi do­ve le ban­che non han­no in­ve­sti­to nel­la se­le­zio­ne di nuo­vi pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li.
Ogni stra­te­gia che vo­glia dav­ve­ro af­fron­ta­re il pro­ble­ma del­la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le de­ve per­ciò ave­re tre car­di­ni prin­ci­pa­li: pri­mo, de­ve mi­glio­ra­re il per­cor­so di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro; se­con­do, de­ve af­fron­ta­re il pro­ble­ma dei trien­ni, spin­gen­do più gio­va­ni a con­ti­nua­re gli stu­di ol­tre la scuo­la se­con­da­ria; ter­zo, de­ve fa­vo­ri­re l’ac­ces­so al cre­di­to per chi ha idee im­pren­di­to­ria­li.
Sul pri­mo aspet­to, sa­reb­be sta­to im­por­tan­te in­tro­dur­re in Ita­lia un con­trat­to a tem­po in­de­ter­mi­na­to a tu­te­le cre­scen­ti, ap­pli­ca­bi­le a tut­ti i la­vo­ra­to­ri, in­di­pen­den­te­men­te dal­la lo­ro età o qua­li­fi­ca. Pur­trop­po il go­ver­no ha scel­to una stra­da di­ver­sa, la­scian­do che le tu­te­le con­tro il li­cen­zia­men­to sia­no in­di­pen­den­ti dal­la du­ra­ta del­l’im­pie­go. Li­cen­zia­re un la­vo­ra­to­re con con­trat­to a tem­po in­de­ter­mi­na­to che è da un so­lo me­se in azien­da con­ti­nue­rà a co­ste­rà quan­to li­cen­zia­re un la­vo­ra­to­re che ha 20 an­ni di an­zia­ni­tà azien­da­le. Que­sto sco­rag­gia le as­sun­zio­ni dei gio­va­ni so­prat­tut­to nei com­par­ti do­ve il lo­ro ca­pi­ta­le uma­no ver­reb­be me­glio uti­liz­za­to. Nei set­to­ri tec­no­lo­gi­ca­men­te avan­za­ti è, in­fat­ti, mol­to dif­fi­ci­le per un da­to­re di la­vo­ro va­lu­ta­re le com­pe­ten­ze del­le per­so­ne che as­su­me. Si pos­so­no dun­que com­met­te­re mol­ti er­ro­ri. Al tem­po stes­so, bi­so­gna fa­re un in­ve­sti­men­to di lun­go pe­rio­do sui la­vo­ra­to­ri che si as­su­me. La per­si­sten­te di­co­to­mia fra con­trat­ti a ter­mi­ne e con­trat­ti a tem­po de­ter­mi­na­to im­pe­di­sce tut­to que­sto. E non po­trà cer­to il con­trat­to di ap­pren­di­sta­to ri­pro­po­sto dal­la ri­for­ma For­ne­ro a ri­sol­ve­re il pro­ble­ma. Sem­pli­ce­men­te per­ché le sue re­go­le (in ter­mi­ni di età, quo­te sul­le as­sun­zio­ni e co­sti de­gli in­cen­ti­vi fi­sca­li) im­pe­di­sco­no che pos­sa es­se­re este­so al­le gran­di pla­tee coin­vol­te dal­la di­soc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le.
Per sti­mo­la­re gli in­ve­sti­men­ti in istru­zio­ne bi­so­gna spin­ge­re i gio­va­ni a la­vo­ra­re e stu­dia­re al­lo stes­so tem­po. L’op­po­sto dei NEET (gio­va­ni che non stu­dia­no e non la­vo­ra­no al tem­po stes­so) di cui ab­bia­mo og­gi il tri­ste pri­ma­to. Per fa­re que­sto bi­so­gne­reb­be in­tro­dur­re in Ita­lia la for­ma­zio­ne tec­ni­ca uni­ver­si­ta­ria sul mo­del­lo del­le scuo­le di spe­cia­liz­za­zio­ne te­de­sche, le co­sid­det­te Fach­ho­ch­schu­le. Cia­scu­na uni­ver­si­tà, an­che se­de pe­ri­fe­ri­ca, in ac­cor­do con un cer­to nu­me­ro di im­pre­se lo­ca­li, po­treb­be in­tro­dur­re un cor­so di lau­rea trien­na­le ca­rat­te­riz­za­to da una pre­sen­za si­mul­ta­nea in im­pre­sa e in ate­neo. Me­tà dei cre­di­ti ver­reb­be ac­qui­si­to in au­la e me­tà in azien­da. Il la­vo­ra­to­re sa­reb­be im­pie­ga­to in azien­da e se­gui­to da un tu­tor. Con con­trol­li re­ci­pro­ci fra uni­ver­si­tà e im­pre­sa sul­la qua­li­tà del­la for­ma­zio­ne con­fe­ri­ta al la­vo­ra­to­re che ri­dur­reb­be­ro for­te­men­te il ri­schio di abu­so. I gran­di ate­nei po­treb­be­ro or­ga­niz­za­re una de­ci­na di que­sti cor­si con un ba­ci­no di cir­ca 800 stu­den­ti per ate­neo, pa­ri a 80 stu­den­ti per an­no in cia­scun cor­so di spe­cia­liz­za­zio­ne. I pic­co­li ate­nei dif­fi­cil­men­te ne or­ga­niz­ze­ran­no più di due o tre cia­scu­no. In que­sto mo­do si po­treb­be ar­ri­va­re ad ave­re ogni an­no 12-15­mi­la nuo­vi gio­va­ni oc­cu­pa­ti. A re­gi­me, su tre an­ni, la ri­for­ma po­treb­be por­ta­re i gio­va­ni oc­cu­pa­ti e im­pe­gna­ti in lau­ree bre­vi di spe­cia­liz­za­zio­ne in­tor­no al­le 50­mi­la uni­tà, un nu­me­ro si­gni­fi­ca­ti­vo, da­ta la di­men­sio­ne del­le coor­ti di in­gres­so nel mer­ca­to del la­vo­ro.
Le due ri­for­me di cui so­pra so­no a co­sto ze­ro per le cas­se del­lo Sta­to. La ter­za avreb­be co­sti li­mi­ta­ti. Po­treb­be im­pe­gna­re i fon­di strut­tu­ra­li inu­ti­liz­za­ti met­ten­do a di­spo­si­zio­ne fi­no a 150 mi­lio­ni per il de­col­lo di nuo­ve ini­zia­ti­ve im­pren­di­to­ria­li so­prat­tut­to nel­le aree più svan­tag­gia­te del pae­se. Me­dian­te un ac­cor­do con le ban­che, po­treb­be se­le­zio­na­re 1.000 pro­get­ti im­pren­di­to­ria­li da so­ste­ne­re at­ti­van­do cre­di­to fi­no a quat­tro o cin­que vol­te que­sta ci­fra. La fa­se di se­le­zio­ne dei pro­get­ti com­por­te­reb­be il fi­nan­zia­men­to di uno sta­ge al­l’e­ste­ro (o in re­gio­ni con un for­te tes­su­to im­pren­di­to­ria­le e buo­ne uni­ver­si­tà) in cui per­fe­zio­na­re il pro­prio bu­si­ness plan per 5.000 aspi­ran­ti im­pren­di­to­ri. I sol­di ver­reb­be­ro da­ti ai gio­va­ni, ma ser­vi­reb­be­ro di fat­to co­me ga­ran­zia per i pre­sti­ti ban­ca­ri. Sa­reb­be un mo­do an­che per spin­ge­re le ban­che a spo­sta­re la lo­ro at­ten­zio­ne dai clien­ti con­so­li­da­ti e spes­so non più in gra­do di ge­ne­ra­re va­lo­re ag­giun­to a chi ha idee e la for­zaed en­tu­sia­smo per por­tar­le avan­ti.

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Io sono fiero di essere quello che sono. Punto.

Clemente Gasparri (sì, il fratello di Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato) in qualità di vice comandante dell’Arma in occasione di una lezione sulla pedopornografia presso Scuola Ufficiali dei Carabinieri di Roma regala un insegnamento abbastanza spericolato«Ammettere di essere gay, magari facendolo su un social network, come un graduato della Guardia di Finanza, non è pertinente allo status di Carabiniere. L’Arma è come un treno in corsa, i passeggeri sono vincolati, prima di scendere, alla responsabilità di lasciare pulito il posto occupato. Gli ufficiali del Ruolo Speciale che fanno il ricorso, i giovani ufficiali dell’applicativo che fanno istanze per avvicinarsi alla famiglia, gli omosessuali che ostentano la loro condizione, sono in sintesi tutti passeggeri sciagurati dell’antico treno, potenzialmente responsabili della sporcizia o del deragliamento».

Un Appuntato Scelto della Guardia di Finanza prende carta e penna e risponde:

Le sue affermazioni ci riportano indietro di decenni. Il suo “consiglio” (e noi militari sappiamo benissimo cosa significa questo termine quando proviene da un Superiore) a non palesare il proprio orientamento sessuale è un macigno che cade in testa a quei militari che magari dopo tanta  fatica e sofferenza interiore avevano deciso di uscire alla luce del sole. Di essere e di vivere finalmente la loro vera natura senza dover più fingere di essere quello che non sono. Sperando di essere giudicati  non per chi si portano a letto o per chi amano ma solo in quanto buoni militari.

Non so se la conosce, Generale, ma in Italia esiste una associazione a cui sono fiero di appartenere, Polis Aperta, che è composta da appartenenti gay e lesbiche di tutte le Forze dell’Ordine e Forze Armate, inclusa la sua, che vivono serenamente e apertamente la propria condizione di gay in un ambiente militare o militarmente organizzato. Ci conosciamo tutti e siamo sparsi per la Penisola. Provi a conoscerci, Generale, provi a parlare con un suo militare gay e vedrà che si troverà di fronte ad un Carabiniere come tutti gli altri, con gli stessi pregi e gli stessi difetti. Non impedisca ad un suo militare di amare. Nessuno dovrebbe vergognarsi di quello che è.  Io non sono fiero di essere gay, così come non sarei fiero di essere etero. Io sono fiero di essere quello che sono. Punto.

Non so se la Sua posizione sia condivisa dal Comandante Generale dell’Arma ma spero vivamente di no.

Appuntato Scelto Marcello Strati

Ecco, sarebbe bello smettere tutto intorno di balbettare sul tema.

Un caffè macchiato camorra al Bar ‘Gran Caffè Sforza’ nel centro di Milano

La camorra ‘cutoliana’ nel cuore di Milano e in provincia attraverso bar, societa’ immobiliari, attivita’ commerciali e fabbriche di videopoker. C’e’ anche il bar ‘Gran Caffe’ Sforza’, nel centro storico del capoluogo lombardo, tra i beni sequestrati durante un’operazione antimafia dei carabinieri del Noe di Roma a Milano e nell’hinterland e nel Casertano. Sequestrati beni per 20 milioni riconducili a Mauro Russo, appartenente al clan Belforte o dei Mazzacane, che e’ stato arrestato. Indagate 12 persone.

Russo, 47 anni, e’ accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso. Non avrebbe solo reinvestito capitali sporchi ma, secondo un’intercettazione del 15 novembre scorso, anche rivelato di poter superare alcuni passaggi dell’iter amministrativo. ”Mi servirebbe, pero’ urgentemente, il certificato camerale, con la dicitura antimafia, per il bar qua di via Sforza”, avrebbe detto Russo al telefono con tale Paolo. L’associazione camorrista estorceva denaro agli operatori commerciali e si scontrava con le armi con altri gruppi camorristici per il controllo dello spaccio di droga e per l’imposizione di macchinette videopoker o slot machine agli esercenti di bar. Le indagini hanno portato alla luce un vasto giro di affari realizzato attraverso il reimpiego di capitali sporchi e una rete di prestanome legati a Russo. Secondo alcuni pentiti, Russo sarebbe il referente di Pasquale Scotti, latitante dal 1985, detto ‘Pasqualino o’ collier’ per aver regalato un collier alla moglie di Raffaele Cutolo, lo storico boss della Nuova Camorra Organizzata (Nco).  Fin dal 1999 Russo si e’ associato al clan Belforte, ex cutoliano. Dapprima ha imposto la distribuzione delle proprie slot machine agli esercizi commerciali di Marcianise (Caserta) e in zone limitrofe per poi diventare affiliato del clan. Al punto da fornire armi e auto usate per omicidi, offrendo appoggio logistico ai latitanti del gruppo, ma anche per il riciclaggio dei proventi illeciti, soprattutto nella zona di Milano. Il decreto di sequestro preventivo e’ stato eseguito dai carabinieri del Noe di Roma guidati dal colonnello Sergio De Caprio, noto anche come ‘Ultimo’, e dal capitano Pietro Rajola Pescarini. A disporlo il gip del Tribunale di Napoli Andrea Rovida su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo campano.