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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

BRINDISI: LA PAURA FEROCE (intervista di Cadoinpiedi)

Il momento del dolore dovrebbe essere un momento molto silenzioso in cui un Paese si stringe. Solo successivamente arrivano indagini e analisi. I tempi, invece, sono stati confusi: gli analisti avevano fretta di intervenire e dare un cappello a questa storia

Sabato mattina l’esplosione di Brindisi. La paura, la morte, un Paese intero che rivive sentimenti andati. Oggi, a tre giorni di distanza, che analisi si può fare su quanto accaduto, anche alla luce del caos mediatico… ?

Immediatamente dopo il fatto di Brindisi si è accesa una paura feroce. E si è accesa per l’età della vittima e dei feriti, e poi perché è inevitabile che la scuola abbia un valore simbolico, poiché è il luogo della formazione e delle speranze per il futuro (anche se ci sarebbe poi da aprire una discussione proprio sulla scuola, tanto bistrattata negli ultimi anni e oggi diventata improvvisamente monumento dell’Italia migliore).
Quando si accende questa paura feroce si avverte un bisogno immediato di rassicurazioni, a volte anche spettacolari. Purché immediate.Personalmente credo che questa caccia al colpevole, che cammina su ipotesi basate su poco o niente, non sia del tutto etica e rispettosa.
A mio avviso il momento del dolore dovrebbe essere un momento molto silenzioso. Un momento in cui un intero popolo, un intero Paese si stringe. Solo successivamente arriva il momento delle indagini, e ancora dopo il momento delle analisi. Mi sembra, invece, che in questo caso i tempi si siano un po’ confusi: gli analisti avevano fretta di intervenire, gli opinionisti avevano fretta di dire la loro opinione. E si è cercato di mettere il cappello a questa storia.
Lo stesso giorno dell’esplosione ho visto anche alcune manifestazioni in piazza, a cui ho partecipato, in cui anche la politica credo abbia cercato di strumentalizzare il tutto, quasi a voler rivendicare la paternità del dolore delle persone che avevano deciso di scendere in strada per ricordare. Non dobbiamo dimenticare che in questi casi esiste solo una bandiera: quella della civiltà.

E l’informazione non ha fatto un gran lavoro, cercando di sbattere subito il mostro in prima pagina…

Sì, credo di sì. Non abbiamo visto un’informazione elegante e intellettualmente onesta. Del resto questo è un Paese che ha sempre cercato in qualche modo di delegare tutto, nel bene e nel male. Ci sono sempre stati gli eroi, che sono i protagonisti che incarnano lo spirito salvifico, e poi i cattivi che devono essere riconoscibili e il più possibilmente lontani dalla nostra quotidianità per poterci comunque permettere di sentirci sicuri.

da CADOINPIEDI

#openlombardia I ribelli in casa Formigoni

Un siparietto irresistibile. Fabio Massa lo descrive benissimo.

Secondo quanto ha appreso Affaritaliani.it oggi in Consiglio regionale c’è stato un siparietto che di certo non farà piacere al governatore della Lombardia Roberto Formigoni. Durante la votazione infatti della mozione dell’opposizione sull’operato politico della Giunta che guida la Regione, per un mero errore di regia, il voto che doveva essere segreto è risultato palese. A questo punto tutti hanno potuto constatare come nella maggioranza in tre abbiano votato contro la Giunta Formigoni. I tre ‘ribelli’ del Pdl sarebbero l’ex assessore del Pdl Stefano Maullu, Angelo Gianmario e Sante Zuffada. La notizia non è ancora confermata ma pare che l’avvenuto stia creando non poco imbarazzo e mal di pancia tra le mura di Palazzo Lombardia.

Sonia Alfano non è in IDV. Parola di Massimo Donadi.

Un’Ansa di ieri. Per dire.

BALLOTTAGGI:DONADI,SONIA ALFANO?CHI NON E’ QUI NON E’ IN IDV
PALERMO
(ANSA) – PALERMO, 21 MAG – “Idv oggi è tutta in questa sala e con Leoluca Orlando, chi non è qui e non è con Orlando non é dell’Idv. Sonia Alfano ha appoggiato Ferrandelli? Non è di Idv, non cacciamo chi non ha neppure la tessera ma bisogna condividere il sistema dei nostri valori per stare nel partito”. Lo dice il capogruppo di Idv alla Camera, Massimo Donadi, ai cronisti che gli hanno chiesto come si comporterà il partito nei confronti dell’eurodeputato Sonia Alfano eletta a Strasburgo come indipendente ed attuale presidente della commissione antimafia del Parlamento europeo. (ANSA).

Ho vinto io

“Ho vinto io”, dice Rosaria, nel bel documentario di Felice Cavallaro:

“Io che sono riuscita ad andare avanti, andandomene da Palermo ma rimanendoci con la testa.

Io che ho cresciuto un figlio, che oggi ha vent’anni e sta frequentando l’accademia della guardia di Finanza.

Io che ho camminato sulle mie gambe, con la vicinanze delle altre persone che come me hanno sofferto per la mafia: il figlio di Rocco Chinnici, la moglie del giudice Paolo Borsellino ..
Io che ho tenuto in piedi una famiglia senza ricorrere ai soldi dei delitti”.

Ma dove siamo stati noi mentre Rosaria vinceva? Dove siamo mentre ci racconta la solitudine con cui ha convissuto? Le parole di Rosaria sono il ventennale più pulito di tutti quelli che vedremo tra qualche giorno: sta tutto nel vivere i momenti, gli affetti e le cose della vita, con la responsabilità del dolore e quella straordinaria ordinarietà nell’amare la dignità.

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Buffoni, palcoscenici e politici

“Nel 2008 la sinistra con Prodi ha preso la bastonata più’ forte della storia, Berlusconi ha avuto una vittoria travolgente .Forse si sono dimessi i presidenti di regione e i sindaci di sinistra? No perche’ giustamente non dovevano farlo”. Formigoni si e’ comunque detto “pronto a parlare di politica” con l’opposizione “ma se uno fa il buffone – ha concluso – vada sui palcoscenici, non faccia proposte politiche”.

Roberto Formigoni qualche minuto fa. Ogni riferimento è puramente causale.

#openlombardia bye bye Felice Tavola

Vi ricordate Felice Tavola? Leghista, Presidente dei revisori dei conti ARPA indagato per frode fiscale, ne avevamo scritto qui e avevamo promesso che ci saremmo dati da fare. Qualche minuto fa è stata discussa la mia mozione in Consiglio Regionale che lo invita a difendersi piuttosto che occupare un ruolo così delicato in rappresentanza dei cittadini lombardi: la mozione è passata all’unanimità (brutta cosa il cambiamento, eh?). Ora il dottor Tavola può solo agire di conseguenza. Noi, nel nostro piccolo, le cose proviamo a farle. E continuiamo.

Interviste come monologhi assistiti

«Una confessione per iscritto è sempre menzognera». Lo diceva Italo Svevo, o meglio lo diceva Zeno, o forse entrambi, e questo è solo il primo di molti tranelli. Non per nulla l’autobiografia ha fama di essere il più malfido dei generi letterari; si presta a tutte le reticenze e le compiacenze, agli accomodamenti retrospettivi, alle civetterie. Qui si lascia osservare l’analogia fondamentale tra l’ego umano e il soufflé in cottura, che è tutto un informe gonfiarsi e ribollire finché non lo trafigga la punta di una forchetta. Ecco, questa forchetta potrebbe provvederla il formato del libro-intervista, dove il narcisismo dell’autore cozza a ogni pagina con un emissario del principio di realtà, l’intervistatore. In altre parole, l’unico rimedio all’espansione incontrollata del soufflé è il dialogo, e anche per questo c’è chi mette in capo all’albero genealogico degli intervistatori Platone, fondatore del libro-intervista in forma di dialogo filosofico. Genealogia rivelatrice da qualunque lato la si guardi, perché 1) Platone scriveva sia le domande sia le risposte, se la suonava e se la cantava; 2) certi intervistatori di Socrate erano, per dire il meno, piuttosto accomodanti: Critone non fa che punteggiare gli sproloqui del maestro con i suoi «vero», «è chiaro», e «come no?». Ergo, dire che Platone è il padre del libro-intervista equivale a dire, grosso modo, che ogni intervista è un’intervista immaginaria o unmonologo camuffato.

Nella nostra epoca, il modello platonico puro va ricercato nelle interviste ai leader politici, e in particolare in un sottogenere assai nutrito: l’intervista a Fidel Castro. Il Critone di turno si è chiamato di volta in volta Frei Betto, Gianni Minà o Tomás Borge, tutti impegnati in una strenua gara di resistenza. Minà resse sedici ore, tanto che Valerio Riva lo candidò al Guinness dei primati per «la più lunga intervista fatta in ginocchio». Ma i record sono fatti per essere battuti, e così Ignacio Ramonet accumulò tra il 2002 e il 2005 ben cento ore di conversazione con il facondo líder maximo, che divennero un libro di settecento pagine. Ma lo si dovrebbe squalificare dalla competizione: come dimostrò all’epoca il giornalista spagnolo Arcadi Espada, l’intervista dell’allora direttore di «Le Monde diplomatique» era per buona parte un copia-e-incolla di vecchi discorsi di Castro e articoli usciti sulla stampa di regime. Il libro, ironicamente, s’intitolava Autobiografia a due voci. Presentandolo, Ramonet si premurava di ricordare che anche «i dialoghi platonici erano interviste». Appunto, e le scriveva tutte Platone.

Un bel pezzo di Guido Vitiello.

Le 10 regole per il controllo sociale (Noam Chomsky)

Una riflessione interessante di Chomsky sul concetto di opinione pubblica. Utile, di questi tempi.
L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche.
1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.
5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…
7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…
9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

Melissa e Nicola (e la grammatura dei lutti)

Una ragazzina e un ragazzino. Adesso sono morti tutti e due.
Melissa lo sanno tutti chi era e che è morta dilaniata da un’esplosione davanti alla sua scuola di Brindisi, mentre vi si stava recando, da Mesagne, come tutte le mattine. Atroce, semplicemente atroce.
Chi sia Nicola lo sanno in meno persone: su Repubblica e il Corriere sta nella homepage, abbastanza in basso, mentre sulla homepage di Stampa, Unità e Manifesto non l’ho trovato. Nicola è stato lasciato cadere da una macchina che passava di corsa davanti a un pronto soccorso di Napoli alle 3 di notte, ed era già morto, sparato, alla gamba e al torace. Aveva 15 anni. Era nomade, forse ― ma non si sa bene, implicato in piccoli furti. Atroce, semplicemente atroce.

Ai funerali di Melissa lo sapete tutti chi c’è andato, sarebbe più facile elencare chi non c’è andato, l’elenco sarebbe meno lungo. Dei funerali di Nicola, se ne avrà, nulla sapremo, forse i suoi genitori saranno informati, ma noi certo no.

Ma sono due ragazzini, l’una certo più fortunata, almeno finché era viva, dell’altro, con famiglia “regolare”, scuola, comunità, perfino religiosa era, così piamente ci garantiscono; l’altro non so cos’avesse di regolare, nessuno ha fatto indagini sulla sua vita passata, sulla sua difficile adolescenza, nessuno intervista i genitori, nessuno chiede al parroco, o al sindaco. Per chi viene gettato morto davanti a un pronto soccorso, come un boss importante, ma non è un boss importante, non c’è storia, non c’è notizia vera, appena una cronaca di dovere, che domani o dopo sarà già sparita.

La riflessione di Antonio Sparzani riapre l’annosa diatriba dei morti di serie A e i morti di serie B. Che confesso non mi piace per niente quando forza la delegittimazione dell’uno per provare a legittimare l’altro in una bilancia di cadaveri e informazione. Però nella storia di Nicola forse c’è tutto quel razzismo culturale che anche per i più convinti a e civilissimi antirazzisti striscia sotto l’attenzione che si decide di dare ad una notizia in base alla provenienza del morto. E io chi fosse Nicola l’ho scoperto proprio leggendo Nazione Indiana perché non ci avevo fatto caso, non avevo esercitato attenzione. E mi piacerebbe un Presidente del Consiglio (o un Ministro, o magari il segretario del mio partito) che stupisce un po’ tutti presentandosi ad un funerale che nessuno aveva notato senza lasciare il dubbio di essere puntuale in scia ma, per una volta, anticipando una sensibilità che aveva lasciato le debolezze troppo all’ombra. Dico, sarebbe una meraviglia nel senso più pieno della parola e forse lascerebbe indietro anni luce questo vecchio senso di scollegamento tra la classe dirigente che c’è e quella che ci piacerebbe avere.

#ballottaggi e sballottati

Non mi piacciono i commenti a caldo. Mi piace leggere i numeri prima di proporre le analisi e invece sento già molti lanciati in tribune televisive con la smania dei cacciatori al safari di ferragosto. Non mi piace questa abitudine tutta italiana di deridere le vittorie degli altri, appropriarsi vittorie di sponda e questa eterna indecisione nell’ammettere le proprie debolezze. Le amministrative dicono che contano le persone oltre che i partiti (ricordate quanto l’hanno ripetuto nelle scorse settimane?): bene, le persone da candidare le scelgono i partiti (ne dovrebbero essere la sintesi politica) e la classe dirigente non può esimersi da questa responsabilità. Perché qui quando vince qualcuno diventa sempre “nostro” in senso larghissimo. Personalmente sono contento dei nuovi sindaci che conosco da vicino, penso a Fois a Senago, Lucini a Como, Scanagatti a Monza, Monica Chittò a Sesto San Giovanni e tanti altri: hanno l’occasione di provare a raccontare un’altra storia, sul serio. Non mi conforta Leoluca Orlando a Palermo: l’ho conosciuto da vicino, non mi piace, ma gli elettori hanno scelto lui (nell’anno del ventennale della morte di Falcone, poi).

Una cosa mi piace: Roberto Formigoni è stato sfiduciato dagli elettori in Lombardia. Ma questo non significa che dall’altra parte per forza si sia pronti ad essere convincenti. Partire da qui sarebbe un buon punto per qualcosa di veramente diverso. Ora studio e vediamo di andare più a fondo. A dopo.