di LUCA VIDO — MILANO — GIULIO CAVALLI, milanese, classe 1977. Professione, attore, o quasi. Nel 2001 fonda, nel Lodigiano, la «Bottega dei mestieri teatrali», che troverà la sua sede solo nel 2007 con il Teatro Nebiolo di Tavazzano con Villavesco (Lodi), e firma le sue prime prove da autore e regista. Solo nel 2006 sale sul palco, spinto da quel geniaccio che risponde al nome di Paolo Rossi. E a quella del signor Rossi, in verità, molto assomiglia la sua parlata. Già, perchè Giulio Cavalli parla, dal palco, e non sta zitto. Nemmeno quando gli tagliano le gomme, gli mandano lettere minatorie, lo minacciano di morte e, tanto per gradire, gli fanno trovare una bella bara disegnata sulla porta di casa. Da allora è sotto scorta. Tutto è iniziato, ma non concluso, con «Do ut des» dall’esplicativo sottotitolo «spettacolo teatrale su riti e conviti mafiosi», in cui ridicolizza, proprio così, la mafia. E di mafia, e dintorni, tratta anche «A cento passi dal Duomo» che debutta questa sera, in prima nazionale, al Teatro della Cooperativa.
Vuoi dire che la piovra è arrivata anche sotto l’ombra della Madonnina?
«No, non proprio. Mi sono accorto che ridicolizzare la mafia funziona dove c’è un substrato…»
Ti interrompo… A questo punto ci sta a pennello l’aneddoto di Alcamo…
«Non la dimenticherò mai quella serata in Sicilia, è stato il momento in cui ho preso coscienza di quello che era veramente uno spettacolo come “Do ut des” in cui si gioca, come in una clownerie, sulla “punciuta”, ridicolizzando proprio il momento sacrale, il giuramento che il “picciotto” fa per entrare in Cosa Nostra. In piazza, ad Alcamo, non solo non ha riso nessuno ma la gente se n’è andata. Lì ho capito che non esiste solo il racket economico della mafia, ma anche il racket culturale. Ed è lì che noi operatori culturali dobbiamo lavorare».
Tornando a Milano?
«A Milano non c’è questo substrato mafioso, ma anche qui bisogna fare opera di alfabetizzazione per sensibilizzare. Esempio: Expo 2015. Certo, non bisogna fare entrare nel progetto, nei cantieri, imprese che abbiano legami con la mafia. Tutti d’accordo. Ma in “A cento passi dal Duomo”, scritto insieme a Gianni Barbacetto, vogliamo fare opera di sensibilizzazione perché ci sono imprese dal volto pulito che in realtà sono teste di ponte per il riciclaggio di denaro sporco. E il problema non è di tenere fuori dagli appalti queste imprese, ma di buttarle fuori, perché negli appalti già ci sono».
Roba da farsi rafforzare la scorta… A proposito come si sente un attore sotto scorta?
«Premettendo che trovo kafkiano dovermi difendere devo dire una cosa che sembrerà impopolare: sono schifato da questo voyerismo sulle scorte che si concentra solo su certi personaggi. Siamo a migliaia sotto tutela, impresari, politici, giornalisti, semplici negozianti. Mi piacerebbe ci fosse una solidarietà maggiore e non solo là dove il personaggio catalizza l’attenzione dei media. Io non mi sento il nuovo Saviano ma piuttosto il panettiere di Palermo che ha denunciato il pizzo e che, alle quattro di mattina, va a fare il pane con la scorta».
La tua vita quotidiana è cambiata?
«Faccio una vita molto nomade: al posto di avere due tecnici e tre collaboratori al seguito, in tournèe siamo due tecnici, tre collaboratori e le forze dell’ordine. Ma il sorriso, quei quattro imbecilli, non me lo tolgono».
Cos’è, per te, il teatro civile?
«Un istinto di sopravvivenza nato cinquecento anni fa, quando i giullari denunciavano che “il re era nudo” ma dovevano farlo senza poi morire di fame. Oggi somiglia di più a un funerale laico. Il teatro civile oggi lo fanno i giornalisti di inchiesta. Il teatro civile sta diventando molto incivile».
«A cento passi dal Duomo», da questa sera al Teatro della Cooperativa, via Hermada 8, info: 02.64749997.
DA IL GIORNO
2009-10-09